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Inserito Martedì 28 settembre 2004

Narrativa Un racconto di Walter Catalano


Così finiamo Compagni ?
La mia gola si arrende.
(V. Majakovskij – Poesia e Rivoluzione )


40 gradi non è vodka,
meno 40 gradi non è freddo,
1000 Kilometri non è distanza.
(proverbio siberiano)


“Compagno Vassiliev…Compagno Professore….Dove vi siete cacciati ?”
L’urlo di Savitsky si perse nel turbine bianco di neve e fiato congelato.
“Maledizione” – imprecò il gigante barbuto avanzando faticosamente lungo il binario incrostato di ghiaccio - “Razza di imbecilli. Gli avevo raccomandato di non allontanarsi dalla linea ferroviaria. Con la tormenta non si vede un accidente”.
Si voltò indietro con un movimento lento e doloroso. La locomotiva e il vagone che li avevano condotti fin laggiù da Irkutsk erano ormai stati inghiottiti per sempre da quel paesaggio senza suono. Il gelo mordeva come un cane rabbioso. Pensò con nostalgia alla burzuika, la stufetta portatile che li aveva accompagnati sul treno, e all’ultimo paio di sedie bruciate la notte prima: non erano bastate e avevano dovuto strappare via le assi di legno sul pavimento del vagone. Danneggiare un mezzo del Comitato Centrale Esecutivo dell’Armata Rossa siberiana era un reato punibile con la fucilazione ma non provava alcun timore né senso di colpa. Meno che mai in quel momento.
“Compagni dove siete ?” – gridò di nuovo con più convinzione. Questa volta una voce lontana rispose. Era Vassiliev che sosteneva il Professore per le spalle aiutandolo a risalire l’argine scosceso al lato del binario. Sprofondando nella neve fino alla coscia Savitsky si spinse avanti verso gli altri due tirandoli con entrambe le braccia nella giusta direzione.
- Il Compagno Professore è ruzzolato giù e sono sceso a riprenderlo – si giustificò Vassiliev.
- Tutto bene Compagno Professore ? – chiese il gigante premuroso – Un ultimo sforzo e siamo arrivati. Sempre se i cosacchi di Kalmykov non ci hanno già individuati: ce n’erano tre che hanno tallonato il convoglio per tutta la mattina.
- Anche noi siamo tre – rispose il gracile uomo di mezza età che chiamavano Professore, sfiorandosi con la mano la cintura da cui emergeva il calcio della Mauser.
- Ormai è notte. E con la tormenta le pistole servono a poco – grugnì Savitsky rivolto più che altro a sé stesso.


Dopo quasi due ore di marcia i tre uomini raggiunsero il laghetto gelato circondato di larici e abeti e l’accogliente baracca di tronchi in cui li attendeva Korgikoff. Il fuoco scoppiettava nel rudimentale caminetto e l’acqua bolliva nel samovar. In silenzio si riposarono al caldo fumando preziose sigarette turche offerte dal nuovo compagno e passandosi una bottiglia di vodka.
- Nikolai Zakharovitch avete preparato il materiale per l’esperimento ? – si informò finalmente il Professore fissando il rosso cupo delle braci. Korgikoff annuì gravemente.
- Ti trattano bene quaggiù compagno Korgikoff: vodka, tè, sigarette di lusso. A Mosca, a Omsk, a Irkutsk si muore di fame. Non avrei mai sospettato che questo incarico sarebbe stata una vacanza…- proruppe Savitsky ridacchiando.
- Non sarà affatto una vacanza, compagno capitano, non ti illudere. – sibilò l’interpellato - Per questo ci sono stati consentiti alcuni confort, per alleviare la tensione e ritemprare il fisico e la mente. La mente soprattutto. Inoltre sapete bene tutti che lavoriamo a nostro rischio e pericolo, senza alcun avallo ufficiale del Comitato Centrale: ci approvvigioniamo unicamente con beni sequestrati al nemico, prede di guerra.
- Se è così allora… - Savitsky rassicurato si attaccò alla bottiglia, piena per un quarto, vuotandola in un sorso.
- Siete sicuro che ci sia tutto ? – riprese il Professore seccato per l’interruzione – Sapete bene cosa intendo.
- Alexandr Nikolaievitch la materia prima non ci mancherà certamente. E’ solo questione di attendere una notte al massimo. Da quando la Ceka ha fatto fucilare Kolcak, con i giapponesi in ritirata e la Siberia Orientale in subbuglio, la materia prima non manca mai. E a noi poi serve più fresca possibile.
Nikolai Zakharovitch Korgikoff con un mezzo sorriso stappò un’altra bottiglia di vodka: “Brindo al Proletkult del compagno Bogdanov, ai Costruttori di Dio e alla vittoria sociale sulla morte”.

La mattina giunse gelida a scacciare un sonno appesantito dall’alcool. Non era stato necessario fare turni di guardia: la rumorosa e abbondante presenza di lupi nei dintorni teneva lontano qualunque visitatore notturno. I quattro uomini, appena furono in grado di farlo, iniziarono a trafficare intorno a grandi casse di legno accatastate in un angolo della capanna. Savitsky e Vassiliev si resero utili, con le loro braccia muscolose, per spostare le casse, terribilmente pesanti, in un’ampia stanza dal pavimento in terra battuta sul retro dell’abitazione; ma quando fu il momento di aprirle Korgikoff e il Professore fecero capire ai compagni che la loro presenza non era più necessaria. Per diverse ore i due restarono fuori a sorvegliare le sponde del lago fumando.
- Che ci sarà là dentro ? – chiese Vassiliev – E come ha fatto Korgikoff a portare tutta quella roba da solo ?
- Non era solo e avevano una slitta. E’ un lavoro che preparano da mesi.
- Chi lo prepara e di che lavoro si tratta e poi chi è questo Korgikoff con tutti i suoi privilegi ?
- Belle domande. Posso rispondere, in parte, solo all’ultima: Korgikoff, e anche il Professore per il poco che so, prima della Rivoluzione erano con Bogdanov nel Proletkult.
- Ho sentito il nome ieri notte. Ma non mi dice niente.
- Cultura Proletaria, un’organizzazione esterna al Partito che già prima della Rivoluzione lottava per la liberazione culturale e spirituale del proletariato. Con Bogdanov c’erano anche i compagni Gorkij e Lunacharsky: una specie di setta semisegreta, i Bogostroitely, i Costruttori di Dio. Quando il compagno Lenin attaccò Bogdanov, in “Materialismo e empiriocriticismo” mi pare, criticando il suo concetto di “sostanza vitale” e accusandolo di “approccio borghese e idealista”, il gruppo ebbe uno sbandamento e si disperse. La maggioranza tornò all’ortodossia, almeno ufficialmente.
- Non ti facevo un intellettuale. Come sai tutte queste cose ?
- Non sono un intellettuale, sono solo un comunista e so queste cose perché con loro all’inizio c’ero anch’io.
- Sei uno di quelli tornati all’ortodossia, direi.
- Sì.
- Per questo non ti danno vodka e sigarette.
- Alla fine me le hanno date, no ? E anche a te.
- Già. Hai sentito invece quando bisbigliavano fra loro ? Come se fossimo due stupidi. Non vogliono farci assistere all’esperimento.
- Solo Korgikoff non voleva. Ragioni di sicurezza, ha detto. Ma il Professore non è d’accordo. E’ un uomo di un‘altra pasta: almeno rischia e si espone in prima persona. Korgikoff invece…
- Non mi piace Korgikoff. Non lo conosco, ma non mi piace lo stesso.
- Neanche a me. Hai notato che non si danno del tu e si chiamano solo per nome ? Fra loro non usa dirsi compagno.
- Korgikoff non è un compagno. E’ uno di quei borghesi a cui non abbiamo ancora tagliato la gola.
- Siamo qui per questo…
Uno sparo echeggiò improvviso oltre il filare di larici. Vassiliev si piegò su sé stesso, il breve sogghigno rattrappito in una smorfia di dolore.
- I tre cosacchi di ieri. Ci hanno trovato alla fine ! – imprecò Savitsky cercando un precario riparo dietro alla staccionata. – Sei tutto intero Vassiliev ?
- Mi hanno preso alla spalla, credo. Comunque sono vivo per ora. – rispose in un rantolo Vassiliev, poi riuscì a strisciare faticosamente fino ad una roccia lasciandosi dietro un rivolo di sangue denso.
- State al riparo compagni. Abbiamo visite ! – gridò Savitsky in direzione della casupola. Dalla feritoia degli scuri serrati già facevano capolino le canne dei fucili di Korgikoff e del Professore.
Le raffiche di copertura provenienti sia dalla baracca che dalla mano incerta del ferito permisero a Savitsky di spingersi avanti fra le frasche rade e rinsecchite dal gelo, lungo la riva del laghetto. Presso un tronco di faggio abbattuto potè avvistare finalmente il primo cosacco: un pezzo grosso a giudicare dal colbacco da atamano, a meno che non l’avesse rubato. Non ebbe il tempo di mirare e scaricò di fila i tre colpi del caricatore. L’uniforme immacolata della Guardia Bianca si tinse di rosso sul petto e sui fianchi mentre l’ufficiale stramazzava. Con un’agilità impensabile per la sua mole, Savitsky gettò via il fucile ormai scarico e piroettò avanti verso il corpo immobile. Estratta la pistola gli sparò, per sicurezza, un altro colpo dietro l’orecchio. Trattenne il respiro restando al riparo del tronco: non vedeva gli altri ma li sentiva vicini. Tutto taceva anche nella baracca, fiochi raggi di sole traevano bagliori incerti dal metallo delle armi appostate dietro le finestre. D’improvviso da dietro un cespuglio un cosacco adolescente, quasi un bambino, si gettò avanti verso di lui, con la baionetta innestata cantando a squarciagola un inno patriottico: Savitsky sparò di nuovo con la pistola, altri due colpi contemporanei al suo echeggiarono dalla capanna. Centrato allo sterno il ragazzo smise di cantare e ruzzolò rovinosamente per la breve scarpata fino a scivolare sulla superficie ghiacciata del lago.
- Imbecille – non potè fare a meno di esclamare Savitsky. Il terzo cosacco intanto, fuori vista oltre i cespugli congelati, si dava un gran daffare sgambettando rumorosamente nella neve ghiacciata per cercare di raggiungere le cavalcature più indietro.
- Se ce la fa siamo fregati - gridò Savitsky mentre balzava all’inseguimento sparando gli ultimi colpi disordinati in mezzo agli alberi. Non colse il bersaglio ma stava guadagnando terreno. L’ansito dell’inseguitore e dell’inseguito si coagulavano in un'unica nuvoletta grigia di traspirazione febbrile. Non aveva più tempo di ricaricare l’arma ma doveva comunque arrangiarsi da solo: il soldato era troppo lontano da loro e riparato dagli alberi perché i fucili dei compagni potessero fermarlo. Savitsky estrasse il coltello mentre il cosacco incespicando raggiungeva i cavalli. La concitazione del fuggitivo però lo tradì: le bestie spaventate scartarono sfuggendo alla sua presa. L’istante bastò a Savitsky per colmare lo spazio che lo separava dalla preda. Il Bianco, che aveva lasciato cadere il fucile nella corsa, cercò di afferrare la sciabola appesa alla sella ma le braccia ferree del gigante lo avevano già stretto e lo immobilizzavano in una morsa implacabile mentre la lama rapida e precisa del coltello, con un movimento esperto, gli recideva la gola da orecchio a orecchio.

I tre cadaveri giacevano allineati di fronte alla capanna. Il Professore li passò in rassegna storcendo la bocca.
- Bel lavoro Compagno Savitsky. L’atamano ha la testa maciullata, a quest’altro gliel’hai quasi staccata. – sospirò rassegnato – Decisamente una mano pesante la tua. L’unico utilizzabile è il ragazzino.
- Meno male. La prossima volta cercherò di essere più delicato. – replicò Savitsky sarcastico mentre Korgikoff lo fulminava con lo sguardo. – Piuttosto come sta Vassiliev ?
- Ha un polmone bucato. Vista la situazione direi che gli restano al massimo quarant’otto ore. – il Professore fece una lunga pausa studiata – Ma anche lui avrà il privilegio di essere parte dell’esperimento. Dobbiamo affrettarci.
Savitsky sputò rumorosamente per terra.

La notte scendeva e la cataratta bianca di una nuova tormenta si addensava oltre i pinnacoli irti degli alberi ghiacciati da cui la luce argentata della luna traeva bagliori minacciosi. Altri bagliori ancor più sinistri, di un colore sfuggente che variava dal rosso al violetto, provenivano dalle imposte socchiuse della casupola.
- Nikolai Zakharovitch è bene precisare che la ferraglia arrivata da Pietrogrado è puramente ausiliaria. Una volta instaurato il campo elettrico è solo la forza di una mente esercitata che può utilizzare appropriatamente l’energia. Si tratta di una sorta di yoga senza misticismo, lo stesso processo auspicato dal Compagno Platonov. Bisogna tendere al sunnyata dei buddhisti, che noi, refrattari ad ogni superstizione primitiva, definiremo scientificamente come vuoto dell’anima proletaria.
Il volto del Professore avvampava al crepitio dei fulmini violetti mentre nervosamente scandiva le parole come arringasse uno sparuto manipolo di studenti universitari in una sala di dissezione. Su un tavolaccio giaceva il cadavere del giovane cosacco la cui fronte era incoronata di una ghirlanda di elettrodi collegati ad una dinamo. Altri cavi si dipartivano dalla dinamo per perdersi fra le lenzuola umide del pagliericcio dove agonizzava Vassiliev. Alcuni tubi impiantati nelle arterie femorali del morente e del morto terminavano in un’ampolla di cristallo in cui rosseggiavano diversi litri di sangue ribollente; un tubicino più sottile connetteva l’ampolla ad una siringa piantata nell’avambraccio del Professore. Savitsky sedeva in un angolo, le braccia abbandonate lungo i fianchi e gli occhi increduli, come un cane raggomitolato su sé stesso; all'altro estremo della stanza Korgikoff armeggiava ad una sorta di oscilloscopio.
- Attraverso la comunione del sangue realizzeremo il grande sogno: la resurrezione dei morti, secondo la filosofia della Causa Comune di Fedorov, sarà resa possibile dall’Istituto per la trasfusione del sangue di Mosca. – declamò quest’ultimo con voce alterata - La riuscita dell’esperimento darà conferma alle teorie dei Biocosmisti-Immortalisti di Pietrogrado: il nostro motto “Immortalismo e Interplanetarianismo” diverrà una realtà per l’umanità nuova. Le moltitudini dei resuscitati porteranno a compimento la Rivoluzione proletaria e colonizzeranno lo spazio. Noi renderemo perfetta una creazione incompiuta sconfiggendo la morte, la più grande nemica del comunismo.
- Nikolai Zakharovitch non correte troppo. – lo interruppe il Professore - Quello che potremmo ottenere, per il momento, è solo una parziale rianimazione del cadavere. Ma ci interessa soprattutto verificare l’innesto e la fusione temporanea di una coscienza vivente, la mia, con quella prossima all’estinzione di Vassiliev e quella ormai estinta del soldato nemico. Creeremo una sorta di super entità collettiva, al di là della vita e della morte: canalizzare l’energia comune delle masse, questo è il primo passo verso l’immortalità collettivizzata. Per oggi ne assaporeremo solo un assaggio. Il campo elettrico crea l’aura che dinamizza il plasma, la condivisione del plasma dinamizzato agglutina poi la coscienza collettiva capace di rianimare i tessuti decomposti e, sfruttando questa stessa energia collettiva, il vuoto dell’anima proletaria – soprattutto sotto la guida di un individuo adeguatamente preparato – proietta la visione nel tempo. La durata appartiene all’individuo: le masse non hanno tempo, esistono da quando esiste l’uomo, esisteranno per sempre. Se tutto va come credo, e questo è il nostro obbiettivo, fra poco vedremo il futuro.
Il Professore fece un cenno con la mano a Korgikoff che ruotò con forza una manopola sull’oscilloscopio come stesse azionando una vecchia macchina per cucire. I lampi violetti aumentarono sensibilmente in frequenza ed intensità mentre un forte odore di ozono si diffondeva nell’aria sospinto dal frinire assordante di gigantesche elitre impazzite.

L’intensità della vibrazione raggiunse livelli parossistici: il battito aritmico di un cuore immane sembrava rintoccare nella sistole e diastole ischemiche di un finale marasma cosmico. Un senso di nausea irrefrenabile pervadeva Savitsky che, gli occhi fuori dalla testa, contemplava il sangue ribollire e montare come panna nel recipiente di cristallo: scorreva continuo mescolandosi nell’ampio alambicco e da lì passava nei corpi cerei del vivo, del morente e del morto. Una concrezione nebbiosa rossastra emanava dal plasma schiumante pervadendo l’atmosfera ormai satura di un etere attraversato da baluginii di figure traslucide, volti stilizzati, pinnacoli, volute, cattedrali di nubi e cristalli di sangue incrostato.
Il cadavere rigido del cosacco ed il corpo immobile di Vassiliev, ormai in coma, iniziarono improvvisamente a contorcersi in preda a convulsioni spastiche. Una sorta di respirazione spasmodica li univa alla vibrazione onnipervadente in un generale orgasmo comune.
- Ci siamo, Alexsandr Nikolaievitch, ci siamo ! – gridò Korgikoff fuori di sé. Ma anche il Professore non poteva più rispondere: gli occhi ruotati all’indietro a mostrare i globi bianchi e ciechi, la bava che colava dalla bocca, il corpo scosso dalla crisi epilettica eppure ritto sulla schiena inarcata come un insetto trafitto dallo spillo di un entomologo sadico.
- Fermate tutto ! E’ mostruoso ! – gridò Savitsky levando il pugno minaccioso verso l’alambicco in cui il sangue splendeva come lava.
- No è troppo tardi ! – biascicò Korgikoff quasi in trance, estraendo la sua Mauser dalla fondina – torna subito a sedere compagno e guarda, guarda ! Vedremo il futuro !
Indicò il vuoto di fronte a sé, l’etere turbinoso di forme embrionali e caotiche, di volti, smorfie, ghigni e di suoni confusi nel frinire convulso della vibrazione. Erano immagini e voci insieme - la voce baritonale del Professore, quella roca di Vassiliev e quella giovane e sconosciuta del cosacco, disperse in un coro spettrale di moltitudini – nel rosseggiare mostruoso del sangue emergevano e affondavano paesaggi e visioni: uomini e donne che penzolavano dalle forche; contadini magri come scheletri che divoravano membra umane; marinai che inneggiando ai soviet venivano falciati dalle Guardie Rosse (la precisione era assoluta: nomi, luoghi, dettagli, tutto - visto e detto insieme - scorreva impetuoso nell’accelerazione progressiva di un fiume in piena che irrompe dall’argine); Lenin ridotto ad una larva sbavante su una sedia a rotelle; i suoi funerali, la mummia, l’erezione di un mausoleo cubico (la faccia di Kazimir Malevic mentre lo disegna, mentre dice “il cubo è la porta della quarta dimensione, il regno super-materiale dello spirito ideale”); Majakovskij che grida “Lenin è vissuto! Lenin vive ! Lenin vivrà !” (la testa di Majakovskij che ricade, in uno schizzo di poltiglia scarlatta, sul petto sfondato da un proiettile sparato a bruciapelo); Trotzky, Bucharin e Kamenev che insultano Stalin; Stalin che spalanca la bocca baffuta e fagocita uomini e cose; ancora forche, fucilazioni, contadini cannibali, falò agli angoli delle strade e persone che cercano di scaldarsi; divise, eserciti, parate militari; un colpo di piccone e la fronte spappolata di Trotzky; processi, torture, ancora fucilazioni; Molotov che stringe la mano ad un ometto baffuto con una croce uncinata al braccio; guerra, fame, fucilazioni; Stalin seduto accanto ad un uomo gracile sulla sedia a rotelle e ad un ciccione che fuma il sigaro; bandiere rosse che garriscono accanto a bandiere a stelle e strisce; migliaia e migliaia di cinesi che marciano; campi di concentramento, gelo; ossa umane calcinate dal sole circondate da una vegetazione tropicale; un uomo tozzo e canuto getta una scarpa sul tavolo; un uomo dalle sopracciglia immense, sembra una mummia, saluta stancamente con la mano un plotone che marcia al passo dell'oca; carri armati, bastonate, ragazzi che si cospargono di benzina e si danno fuoco; orientali inturbantati e barbuti che sparano all’impazzata; un uomo calvo con una voglia viola sulla fronte sorride come un imbonitore da fiera di paese; la bandiera rossa ammainata, statue di Lenin abbattute, il mausoleo cubico smontato pezzo a pezzo; un uomo canuto con la faccia da maiale saluta la folla (un eco di grida: “Viva la democrazia ! Viva il Presidente !”): è ubriaco, zampetta in mezzo ai ministri, poi tocca il culo ad una segretaria….
- Basta ! – gridò Savitsky, la sua voce stonata era un acuto in falsetto per l’orrore, la mano pelosa del gigante strappò via tubi ed elettrodi cercando di rovesciare l’alambicco di sangue. Suoni e immagini implosero in un un fulmine viola. Korgikoff senza esitare premette il grilletto ringhiando “Maledetto ! Solo io e Alexandr Nikolaievitch siamo in grado di eseguire il processo. Non sai quali conseguenze…. “.
Savitsky, benchè colpito era ruzzolato sul fianco e aveva estratto a sua volta la pistola facendo fuoco due volte: un proiettile colse Korgikoff in piena fronte; l’altro centrò l’alambicco facendolo scoppiare come un’impressionante bolla di sapone: il sangue che conteneva si era improvvisamente vaporizzato come risucchiato dall’atmosfera e i corpi del Professore, di Vassiliev e del cosacco giacevano ora inerti, stecchiti e rinsecchiti, quasi fossero stati prosciugati di ogni liquido.
Tamponandosi la ferita all’addome, Savitsky contemplò incredulo i quattro cadaveri distesi in mezzo ai macchinari distrutti: tre mummie ed un corpo dal cranio sfondato. “Che pazzia” – mormorò, poi si piegò su sé stesso e finalmente vomitò.

Zoppicando vistosamente Savitsky girò intorno alla capanna in fiamme controllando di aver appiccato il fuoco in modo uniforme. “Che non resti nulla di loro” – pensò. Gli avevano parlato una volta del mirovoi nekropol, del “cimitero mondiale” di Setnitsky, in cui conservare al gelo dell’estremo nord i corpi di tutti i compagni caduti in attesa dell’imminente risurrezione operata non da un dio inesistente ma dalla scienza comunista. Panzane: avevano cercato di inventare un incubo inutile. Se davvero solo Korgikoff e il Professore ne conoscevano il segreto operativo ora anche questo, per fortuna, bruciava con loro. Ma il vero terrore non nasceva dal sangue ribollente, dai cadaveri epilettici, dai corpi prosciugati in un attimo come mummie. Il vero terrore era l’allucinazione che avevano scatenato: il futuro ? Un brivido intenso gli percorse il corpo. I nostri sforzi, i nostri sacrifici e tutti questi morti, tutto questo orrore sarebbero per nulla. Inutili: un errore, un capriccio della storia. Cacciò via a forza quel pensiero devastante: “Lenin è vivo e sta benissimo e noi vinceremo” – si disse – “La Rivoluzione è come me. Ci vuole altro che una scalfittura o un po’ di neve per fermarmi. Arriverò a Vladivostok a piedi se necessario”.
Tirandosi dietro una slitta improvvisata contenente i pochi beni utilizzabili recuperati nella capanna, Savitsky si incamminò claudicando con pazienza verso l’immensa pianura bianca. Qua e là sulla neve delicati geroglifici di gocce vermiglie marcavano il suo percorso.



FINE



WALTER CATALANO



Walter Catalano (catalano29-at-supereva.it).
In gioventù partecipa al mondo delle fanzines degli anni '70. Pubblica articoli o racconti su Kronos, Il Re in Giallo e Loculus. Dagli anni '80 in poi si allontana dalla fantascienza dedicandosi ad altri interessi.
Ha realizzato due cortometraggi di fiction (di soggetto non fantastico) in 16mm. e vari documentari; ha collaborato con la RAI; scritto su Il Giornale dei Misteri (articoli riguardanti prevalentemente l'esoterismo e la magia) e su varie altre riviste con uno spettro politico-culturale piuttosto ampio e atipico (si va da Diorama Letterario a Cyberzone).
Ha pubblicato la raccolta di saggi "Applausi per mano sola: dai sotterranei del Novecento" (Clinamen, Firenze 2001) e suoi contributi sono stati inclusi in volumi di saggi miscellanei, in fase di pubblicazione, sulla psichedelia e sull'eresia politica. Negli ultimi tempi si è riavvicinato alla SF e alla fiction in generale. Quello accluso è il suo primo tentativo narrativo dopo molti anni.



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