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Il cinema ai tempi di Riddick

Inserito Mercoledì 13 ottobre 2004

Cinema di Danilo Santoni


Primo movimento

Se è vero che il mondo fisico ha ormai accettato il concetto che nulla si crea e nulla si distrugge, a maggior ragione l’universo del ‘raccontare’ ne ha fatto ormai il credo della propria esistenza: raccontare una storia a parole o a immagini, in un libro o in un film, vuol dire accettare formule narrative che permettano al pubblico la fruizione completa del prodotto che viene presentato. L’originalità è un elemento pericoloso, un lusso che un oggetto abbastanza sofisticato a volte non può permettersi anche perchè non sempre rappresenta una discriminante fondamentale fra un’opera interessante ed un’opera banale. Un esempio calzante per questo concetto è il film Pitch Black. Già dalle prime immagini ci si rende conto che è un’opera figlia di molti padri: un’astronave con un equipaggio e un ‘carico’ umano che viaggiano in stato di sonno criogenico entra in avaria, atterra su di un pianeta che sembra deserto (e desertico), scopre una base umana la cui popolazione è stata annientata, inizia a perdere membri del proprio gruppo, realizza che il pianeta è illuminato da tre soli che impediscono il calare della notte, deve affrontare un’emergenza terribile allorché si prospetta la possibilità quasi immediata che un secondo pianeta, durante la propria rivoluzione, arrivi a nascondere (per un tempo indeterminabile) la luce dei soli.

L’emergenza iniziale del film è un classico delle idee fantascientifiche, si ha solo l’imbarazzo della scelta nel citare opere precedenti che hanno usato tale espediente. C’è poi un po’ di Conrad e del suo Lord Jim nella reazione al pericolo del navigatore che pensa di salvarsi scaricando i passeggeri e nel conseguente rimorso; l’idea del pianeta illuminato continuamente che entra in crisi col sopraggiungere del buio è una delle migliori avute da un Asimov ancora giovane (Notturno); il pericolo che scaturisce dalle modificazioni dello stato fisico di un pianeta si ritrovano in moltissime opere di sf e un esempio può essere La Luna e Michelangelo di Ian Watson (il racconto è presente in questo sito); il clima di angosciosa attesa e l’aspetto fisico degli alieni non possono non far pensare ad Alien, un film che si presenta continuamente come modello espressivo e tematico in quest'opera... e si potrebbe continuare ancora.

E poi ci sono i personaggi: il buono che poi tanto buono non è e che alla fine si dimostra cattivissimo, il capitano (una donna) che dopo la debolezza iniziale si dedica anima e (soprattutto) corpo alla salvezza dei suoi passeggeri, il duro che vuole rimanere duro nonostante tutto lo spinga ad essere morbidoso e solo il caso, alla fine, gli farà salvare ciò che c’è da salvare restando pur sempre duro e cinico...

Ma, detto tutto questo, va sottolineato che Pitch Black è un film che si fa vedere e che ti diverte; forse perchè è un prodotto serio che svolge il compito che si è assegnato e lo fa cercando di far fruttare al massimo i pochi mezzi che sono stati messi a sua disposizione. Gli effetti speciali sono ridotti allo stretto necessario e la cosa, di questi tempi, non guasta per niente, in quanto costringe il regista e lo sceneggiatore a raccontare con delle azioni ciò che in troppi film viene raccontato con le mirabilie dell’arte del computer.

E quando il film finisce ti accorgi che, anche se ti è stata raccontata una storia non troppo originale usando un linguaggio abbastanza comune, nessuno ha cercato di fregarti e tutti si sono impegnati per attirare la tua attenzione e per non farti rimpiangere i soldi spesi per il biglietto.

Un appunto personale. Trovo che Vin Diesel assomigli in modo straordinario ad Aldo Ballio e mi sono dovuto sforzare non poco a rimanere ad un livello di serietà nel guardare il film, perchè appena allentavo un po’ la tensione mi sembrava di stare a vedere un film di Aldo Giovanni e Giacomo ed ero pronto ad aspettarmi la battuta comica (che, stranamente, non veniva mai!)


Secondo movimento

Ricordo che nel ricevere il David per la sua opera prima Ricomincio da tre, Troisi disse che si stava preparando a girare il suo terzo film dato che aveva deciso di saltare il secondo, in quanto il più delle volte, dopo il successo del primo, il secondo film lo si sbaglia sempre. The Chronicle of Riddick purtroppo è il secondo film della serie ed è sbagliato.

Che i soldi non diano la felicità si può sempre mettere in dubbio, ma che da soli non riescano a dare un’anima e un valore ad un film è una certezza assodata. Questo secondo film crolla già dall’inizio sotto il peso degli effetti speciali e di una spettacolarità esagerata: stormi di astronavi che volano contro fondali artificiali non sono segnali di una narrazione dal passo mitico, ma sono un allarme importante e un indizio determinante della mancanza di idee del regista e dello sceneggiatore.

La storia, anche qui, non è certo originale: l’universo sta per essere inghiottito dalle orde di un Lord tenebroso che ha visitato un’altra dimensione e ha raggiunto poteri sovrumani. Nessuno può fermarlo, tranne un uomo di una razza ormai quasi estinta (guarda caso Riddick sembra proprio appartenere a questa razza).

Il nostro eroe, prima dello scontro finale, se ne va un po’ a spasso per l’universo e finisce in un mondo prigione (Crematoria) che quando è illuminato dal sole arriva a molte centinaia di gradi sopra lo zero e quando si trova nella fase oscura scende a molte centinaia di gradi sotto lo zero. E’ ovvio che non ci verrà risparmiata una fuga contro il tempo e contro l’alba che sta sorgendo (forse, per una specie di contrappasso, qui a differenza del primo film non è la tenebra ad essere pericolosa, ma è la luce a incutere terrore).

Il film visivamente si presenta come una gigantesca accozzaglia di reperti barocco/nazional-socialisti e mostra di non essere rimasto indifferente ai richiami iconografici della trasposizione cinematografica di Dune mentre la trama sembra spesso appoggiarsi al Machbeth di Shakespeare, con tanto di Lady Machbeth di seconda categoria e pugnale fatale.

Alla fine ti rendi conto che The Chronicles of Riddick è un film eccessivo, eccessivo in tutto, in bruttezza, in inutilità, in ovvietà...


Terzo movimento

Nello spazio temporale che divide l’azione dei due film si situa un’opera d’animazione di venti minuti circa dal titolo The Chronicle of Riddick – Dark Fury. Ancora una volta ci troviamo di fronte ad un’opera che non brilla per originalità e per inventiva.

La trama: sull’astronave che li porta in salvo dopo le peripezie del primo film, Riddick, Jack e Iman vengono risucchiati all’interno di una gigantesca base spaziale e Riddick viene catturato per essere messo all’interno di una specie di museo della cattiveria che la malvagia Chillingsworth sta ricreando all’interno della base. Una volta liberatosi viene inseguito e cacciato da tutto il campionario dei malvagi. Vittoria finale e via verso il film successivo.

Se in Chronicles la cifra visiva era il barocco di stile dark, qui il film è pervaso da uno stile liberty arabeggiante. Di un certo interesse e di una qualche bellezza grafica è la forma aliena al neon che affronta Riddick, per il resto niente di nuovo sotto il sole, a partire dalla cattiva Chillingsworth, regina/principessa/femme fatale/Crudelia Demon/etc.etc., che torna in ogni opera scadente di fantascienza come stereotipo della cattiveria femminile contro l’eroe puro e duro.


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