di Danilo Santoni
Primo movimento
Se è vero che il mondo fisico ha ormai accettato il
concetto che nulla si crea e nulla si distrugge, a maggior ragione l’universo
del ‘raccontare’ ne ha fatto ormai il credo della propria esistenza: raccontare
una storia a parole o a immagini, in un libro o in un film, vuol dire accettare
formule narrative che permettano al pubblico la fruizione completa del prodotto
che viene presentato. L’originalità è un elemento pericoloso, un lusso che un
oggetto abbastanza sofisticato a volte non può permettersi anche perchè non
sempre rappresenta una discriminante fondamentale fra un’opera interessante ed
un’opera banale.
Un esempio calzante per questo concetto è il film Pitch
Black. Già dalle prime immagini ci si rende conto che è un’opera figlia di
molti padri: un’astronave con un equipaggio e un ‘carico’ umano che viaggiano in
stato di sonno criogenico entra in avaria, atterra su di un pianeta che sembra
deserto (e desertico), scopre una base umana la cui popolazione è stata
annientata, inizia a perdere membri del proprio gruppo, realizza che il pianeta
è illuminato da tre soli che impediscono il calare della notte, deve affrontare
un’emergenza terribile allorché si prospetta la possibilità quasi immediata che
un secondo pianeta, durante la propria rivoluzione, arrivi a nascondere (per un
tempo indeterminabile) la luce dei soli.
L’emergenza iniziale del film è un classico delle idee
fantascientifiche, si ha solo l’imbarazzo della scelta nel citare opere
precedenti che hanno usato tale espediente. C’è poi un po’ di Conrad e del suo
Lord Jim nella reazione al pericolo del navigatore che pensa di salvarsi
scaricando i passeggeri e nel conseguente rimorso; l’idea del pianeta illuminato
continuamente che entra in crisi col sopraggiungere del buio è una delle
migliori avute da un Asimov ancora giovane (Notturno); il pericolo che
scaturisce dalle modificazioni dello stato fisico di un pianeta si ritrovano in
moltissime opere di sf e un esempio può essere
La Luna e Michelangelo di Ian Watson (il racconto è presente in questo
sito); il clima di angosciosa attesa e l’aspetto fisico degli alieni non possono
non far pensare ad Alien, un film che si presenta continuamente come
modello espressivo e tematico in quest'opera... e si potrebbe continuare ancora.
E poi ci sono i personaggi: il buono che poi tanto buono
non è e che alla fine si dimostra cattivissimo, il capitano (una donna) che dopo
la debolezza iniziale si dedica anima e (soprattutto) corpo alla salvezza dei
suoi passeggeri, il duro che vuole rimanere duro nonostante tutto lo spinga ad
essere morbidoso e solo il caso, alla fine, gli farà salvare ciò che c’è
da salvare restando pur sempre duro e cinico...
Ma, detto tutto questo, va sottolineato che Pitch Black
è un film che si fa vedere e che ti diverte; forse perchè è un prodotto serio
che svolge il compito che si è assegnato e lo fa cercando di far fruttare al
massimo i pochi mezzi che sono stati messi a sua disposizione. Gli effetti
speciali sono ridotti allo stretto necessario e la cosa, di questi tempi, non
guasta per niente, in quanto costringe il regista e lo sceneggiatore a
raccontare con delle azioni ciò che in troppi film viene raccontato con le
mirabilie dell’arte del computer.
E quando il film finisce ti accorgi che, anche se ti è
stata raccontata una storia non troppo originale usando un linguaggio abbastanza
comune, nessuno ha cercato di fregarti e tutti si sono impegnati per attirare la
tua attenzione e per non farti rimpiangere i soldi spesi per il biglietto.
Un appunto personale. Trovo che Vin Diesel assomigli in
modo straordinario ad Aldo Ballio e mi sono dovuto sforzare non poco a rimanere
ad un livello di serietà nel guardare il film, perchè appena allentavo un po’ la
tensione mi sembrava di stare a vedere un film di Aldo Giovanni e Giacomo ed ero
pronto ad aspettarmi la battuta comica (che, stranamente, non veniva mai!)
Secondo movimento
Ricordo che nel ricevere il David per la sua opera prima
Ricomincio da tre, Troisi disse che si stava preparando a girare il suo
terzo film dato che aveva deciso di saltare il secondo, in quanto il più delle
volte, dopo il successo del primo, il secondo film lo si sbaglia sempre. The
Chronicle of Riddick purtroppo è il secondo film della serie ed è sbagliato.
Che i soldi non diano la felicità si può sempre mettere in
dubbio, ma che da soli non riescano a dare un’anima e un valore ad un film è una
certezza assodata. Questo secondo film crolla già dall’inizio sotto il peso
degli effetti speciali e di una spettacolarità esagerata: stormi di astronavi
che volano contro fondali artificiali non sono segnali di una narrazione dal
passo mitico, ma sono un allarme importante e un indizio determinante della
mancanza di idee del regista e dello sceneggiatore.
La storia, anche qui, non è certo originale: l’universo sta
per essere inghiottito dalle orde di un Lord tenebroso che ha visitato un’altra
dimensione e ha raggiunto poteri sovrumani. Nessuno può fermarlo, tranne un uomo
di una razza ormai quasi estinta (guarda caso Riddick sembra proprio appartenere
a questa razza).
Il nostro eroe, prima dello scontro finale, se ne va un po’
a spasso per l’universo e finisce in un mondo prigione (Crematoria) che quando è
illuminato dal sole arriva a molte centinaia di gradi sopra lo zero e quando si
trova nella fase oscura scende a molte centinaia di gradi sotto lo zero. E’
ovvio che non ci verrà risparmiata una fuga contro il tempo e contro l’alba che
sta sorgendo (forse, per una specie di contrappasso, qui a differenza del primo
film non è la tenebra ad essere pericolosa, ma è la luce a incutere terrore).
Il film visivamente si presenta come una gigantesca
accozzaglia di reperti barocco/nazional-socialisti e mostra di non essere
rimasto indifferente ai richiami iconografici della trasposizione
cinematografica di Dune mentre la trama sembra spesso appoggiarsi al
Machbeth di Shakespeare, con tanto di Lady Machbeth di seconda categoria e
pugnale fatale.
Alla fine ti rendi conto che The Chronicles of Riddick
è un film eccessivo, eccessivo in tutto, in bruttezza, in inutilità, in
ovvietà...
Terzo movimento
Nello spazio temporale che divide l’azione dei due film si
situa un’opera d’animazione di venti minuti circa dal titolo The Chronicle of
Riddick – Dark Fury. Ancora una volta ci troviamo di fronte ad un’opera che
non brilla per originalità e per inventiva.
La trama: sull’astronave che li porta in salvo dopo le
peripezie del primo film, Riddick, Jack e Iman vengono risucchiati all’interno
di una gigantesca base spaziale e Riddick viene catturato per essere messo
all’interno di una specie di museo della cattiveria che la malvagia
Chillingsworth sta ricreando all’interno della base. Una volta liberatosi viene
inseguito e cacciato da tutto il campionario dei malvagi. Vittoria finale e via
verso il film successivo.
Se in Chronicles la cifra visiva era il barocco di stile
dark, qui il film è pervaso da uno stile liberty arabeggiante. Di un certo
interesse e di una qualche bellezza grafica è la forma aliena al neon che
affronta Riddick, per il resto niente di nuovo sotto il sole, a partire dalla
cattiva Chillingsworth, regina/principessa/femme fatale/Crudelia Demon/etc.etc.,
che torna in ogni opera scadente di fantascienza come stereotipo della
cattiveria femminile contro l’eroe puro e duro.