un racconto di Charles Sheffield
John Kenyon Martindale di rado faceva le
cose in modo normale. Fino all'arrivo nella mia casa di Losanna di un biglietto
aereo di prima classe compreso il ritorno e un assegno di 10.000 dollari, non
sapevo neppure che esistesse. La nota acclusa diceva soltanto: "Per servizi di
consulenza di Klaus Jacobi a New York, 6-7 Giugno." Era scritta su carta
intestata e firmata con una sigla, JKM. L'assegno era della Riggs Bank di
Washington. I biglietti erano per la rotta Ginevra - New York del 5 Giugno, col
ritorno libero.
Io non ho bisogno di lavorare. Non mi
occorre denaro. Non ho nessun interesse particolare per New York e una
telefonata transoceanica a John Kenyon Martindale rivelò soltanto che era fuori
città fino al 5 Giugno. Perché mai avrei dovuto preoccuparmi di lui? La
curiosità ti fa scordare tante precauzioni.
La limousine che venne a prendermi
all'aeroporto Kennedy si diresse verso una residenza signorile in pietra sull'East
River con un giardino che arrivava fino all'acqua. Una vecchia col naso, il
mento e la mole di capelli di una strega delle favole aprì la porta. Mi condusse
di sopra, al quarto piano, mentre il mio bagaglio scompariva sotto la casa
assieme alla limousine. Il palazzo era sorprendentemente quieto. L'ascensore non
faceva alcun rumore e quando uscimmo, i pavimenti pieni di tappeti del corridoio
facevano il paio con i muri rinforzati da arazzi orientali. Non ero abituato a
tanto silenzio. Allorché fui introdotto in una serra lunga e ombreggiata piena
di piante da fiore e mi ritrovai alla presenza di un uomo e una donna, desiderai
urlare. Invece rimasi fermo ad osservare.
Shirley Martindale era scura, con i
capelli neri, grosse ciglia e una pelle perfetta e cremosa. Non era più alta di
un metro e sessanta, ma aveva una figura piena e ben fatta. Con una normale
compagnia sarebbe stata un centro di attenzione, con John Kenyon Martindale
presente si ignorava.
Lui era di altezza media e sottile,
con una bocca ampia e sorridente. I capelli erano fini e del colore del
frumento, pettinati all'indietro. Qualsiasi altra espressione avesse potuto
avere era invisibile. Da due centimetri sotto gli occhi a cinque centimetri
sopra, uno scudo nero e piatto si estendeva per tutto il viso. All'interno di
quella banda ricurva di oscurità si muovevano delle ombre colorate, piccoli
punti dardeggianti e sprazzi di luce che lampeggiavano rossi e verdi e blu
elettrico. Erano ipnotici, si spostavano secondo degli schemi che potevano
essere seguiti ma mai essere previsti con sicurezza, e attiravano l'attenzione e
la catturavano. Erano così impressionanti che mi ci volle qualche momento per
rendermi conto che John Kenyon Martindale doveva essere cieco.
Non agiva come una persona priva di
vista. Quando entrai nella stanza si diresse subito verso di me e mi strinse la
mano con sicurezza. La presa era ferma e sorprendentemente forte per un uomo
così minuto.
"Un lungo viaggio," fece dopo aver
completato le presentazioni. "Posso offrirle qualcosa per rinfrescarsi?"
Anche se la strega se ne stava ancora
nella stanza, in attesa, preparò le bevande da solo, spezzando il ghiaccio,
selezionando le bottiglie e versando la giusta quantità lentamente ma senza
errori. Allorché mi porse un bicchiere e disse sorridendo "Ecco qua! Come va?"
io guardai Shirley Martindale e replicai: "Va benissimo, ma prima di iniziare i
brindisi mi piacerebbe sapere che cosa stiamo festeggiando. Perché sono qui?"
"Niente macelli in giro, eh? Siete
proprio diretto. Un vero svizzero... anche se non lo siete." Volse la testa
verso la moglie e le piccole luci lampeggiarono dietro la maschera nera. "Che ti
avevo detto, Shirley? E' l'uomo giusto." E poi verso di me, "Siete qui per
guadagnare un milione di dollari. E' una ragione sufficiente?"
"No, Mr. Martindale, non lo è. Non è
stato il denaro a portarmi qui. Ho denaro a sufficienza."
"Allora forse siete qui per diventare
un cittadino svizzero. E' un'offerta migliore?"
"Sì. Se potete pagare in anticipo."
Avevo già un'idea di ciò che John Martindale voleva da me. Non sono un indovino,
ma so leggere e osservare. La parete interna della serra era tappezzata da mappe
dell'America del Sud.
"Diciamo, che pagherò in semi
anticipo. Riceverete cinquecentomila dollari sul vostro conto prima di partire.
Il resto, e le carte della cittadinanza svizzera, vi aspetteranno al ritorno
dalla Patagonia."
"E chi sarebbero questi 'noi'?"
"Voi ed io. Altre guide se pensate che
occorrano. Attraverseremo territori difficili, anche se so che li conoscete
meglio di chiunque altro."
Guardai Shirley Martindale e lei
scosse la testa con decisione. "Non io, Klaus. Né per un milione di dollari, né
per dieci milioni di dollari. Questo è un parto tutto di John."
"Allora la mia risposta deve essere
no." Sorseggiai il miglior pisco sour che avessi mai assaggiato da quando
ero stato l'ultima volta in Perù e mi chiesi dov'è che aveva imparato la
tecnica. "Mr. Martindale, mi sono ritirato quattro anni fa in Svizzera. Da
allora non ho più messo piede in Argentina, anche se ho ancora quei documenti di
cittadinanza. Se volete qualcuno che vi porti attraverso l'echter Rand
della Patagonia, ci devono essere almeno una dozzina di altre persone più
qualificate di me. Anche quand'ero nelle mie migliori condizioni, anche
quand'ero così giovane e arrogante da pensare che niente avrebbe potuto
uccidermi o sfiorarmi... anche allora avrei rifiutato di portare un cieco sulle
altitudini che mostrate sulle vostre pareti. Con la presenza di vostra moglie e
con la sua assistenza nei vostri riguardi per i problemi personali, forse
sarebbe stato anche possibile. Senza di lei... avete forse qualche idea di quali
condizioni ci siano lassù?"
"Molto di più di qualcun altro." Si
sporse. "Mr. Jacobi, permettetemi di fare un piccolo test. Prendete qualcosa
dalla tasca e tenetelo di fronte a voi. Qualcosa che dovrebbe essere
completamente sconosciuto a me."
Odio i giochetti, e questo aveva
proprio quel sapore, ma c'era qualcosa infinitamente persuasivo in quell'ometto
sorridente. Cosa avevo nella mia tasca? Infilai la mano, sentii il portafogli e
tirai fuori una fotografia. Non la guardai e non ero sicuro io stesso di cosa
avessi scelto. La tenni tra pollice e indice, a poco più di mezzo metro dalla
faccia intenta di Martindale.
"Tenetela molto ferma," disse. Poi,
mentre i punti di luce brillavano e tremavano, "E' un'immagine, una fotografia
di una donna. E' la vostra assistente, Helga Korein, giusto?"
La girai verso di me. Era un ritratto
di Helga che sorrideva alla macchina. "Apparentemente conoscete molto più di me
di quanto non sappia io di voi. Comunque, non siete molto corretto. E' una foto
di mia moglie, Helga Jacobi. L'ho sposata quattro anni fa, quando mi sono
ritirato. Non siete cieco?"
"Legalmente, sono completamente cieco
e lo sono dal mio ventiduesimo compleanno, da quando sono stato abbastanza
stupido da mandare una macchina da corsa addosso a un muro di contenimento."
Martindale dette dei colpetti allo scudo. "Senza questo non posso vedere niente.
Con esso non vedo e non sono cieco. Ricevo degli impulsi da diodi a doppia
carica nei miei nervi ottici e li interpreto. Non vedo né sulle lunghezza d'onda
né alla risoluzione dell'occhio umano, né ciò che ricostruisco è in qualche modo
simile alle immagini che ricordo dal tempo prima di diventare cieco, ma vedo. In
un'altra occasione sarò felicissimo di dirle tutto ciò che so riguardo alla
tecnologia. Quello che dovete sapere stanotte è che riuscirò a portare il mio
peso in qualsiasi viaggio. Posso darvi questa assicurazione. Ed ora lo chiedo di
nuovo: Lo farete?"
Naturalmente, come dice il proverbio,
era stata la curiosità ad ammazzare il gatto. Martindale non mi aveva dato quasi
nessuna informazione sia su dove volesse andare, o quando, o perché. Ma qualcosa
stava attirando Martindale e io volevo sapere cosa fosse.
Annuii, convinto ormai che avrebbe
visto il movimento. "Di sicuro dobbiamo discutere la cosa in dettaglio; ma per
il momento usiamo questa bella frase legale di un tempo e diciamo che c'è un
accordo di principio."
C'è un accordo di principio.
Con questa frase distrussi la mia vita.
Shirley Martindale venne in camera mia
quella notte. Non mi sorprese. Il surrogato visivo di John Martindale era un
miracolo tecnologico, ma aveva certe limitazioni. Il congegno non poteva
determinare lo sguardo fugace negli occhi di una donna, o lo sporgersi
millimetrico di un labbro inferiore. Io avevo catturato il segnale al primo
istante.
Non parlammo fino a che non fu finito
ed eravamo stesi fianco a fianco nel mio letto. Sapevo che non era finita. Non
si era rilassata accanto a me. Attesi. "C'è dell'altro oltre a quello che t'ha
detto," disse alla fine.
Annuii. "C'è sempre dell'altro. Ma
aveva abbastanza ragione su quel posto. L'ho provato anch'io, molte volte."
Come l'America del Sud si restringe
dal grosso rigonfiamento del bacino amazzonico, la terra diventa più fredda e
più spezzata. La grande spina dorsale della cordigliera delle Ande perde in
altezza come si va verso sud. Catene che torreggiano fino a settemila metri nei
tropici si riducono fino a dei modesti tremila e seicento. La terra è divisa da
Argentina e Cile e lungo il confine, iniziando dalle gelide profondità del lago
Buenos Aires (novantasei chilometri lungo, sedici chilometri largo, più grosso
di qualsiasi altra cosa in Svizzera), una grossa catena di laghi di montagna sta
a cavallo della frontiera, per tutta la strada che va a sud, verso la Terra de
Fuoco e la fiorente città cilena di Puntas Arenas.
Per quattordici anni la terra di
confine tra Argentina e Cile, tra le latitudini 46 e 50 sud, era stata la mia
casa, all'ingrosso tra il lago Buenos Aires e il lago Argentina. Ci ero legato
più di qualsiasi altro essere umano, più legato perfino di Helga. Il versante
est delle Ande in questa regione è un deserto amaro, inaridito, dove venti da
bufera soffiano incessantemente trecento sessanta giorni all'anno. Provengono
dalle cime innervate delle montagne e gelano tutto ciò che toccano. Conoscevo il
paese e lo amavo, ma Helga mi aveva convinto che non era una terra in cui un
uomo può ritirarsi. Il vento schiaffeggiante era un esaurimento infinito, troppo
per del sangue vecchio. E' meglio, disse, lasciare agli inizi della mezza età,
quando ancora puoi rifarti una vita da qualche altra parte.
Quando venne il momento di salire
sull'aereo che mi avrebbe portato via da Buenos Aires e poi in Europa, mi venne
il desiderio di buttare via i biglietti. Non sono un uomo sentimentale, ma solo
la presenza di Helga mi permise di lasciare il Regno dei Venti.
Ora John Martindale mi stava tentando
a tornarci, con più che con il denaro. Ad un lato della sua serra-studio c'era
un enorme globo, quasi due metri di diametro. Presumibilmente datava da un tempo
precedente a quando aveva comprato i suoi occhi artificiali, perché differiva da
tutti gli altri mappamondi che avevo visto per un aspetto importante, di fatto
era un mappamondo a rilievo. Gli oceani erano delle superfici piatte mentre le
catene montuose del mondo si sollevavano dalla superficie patta della sfera. Il
grado dei rilievi era stato esagerato, ma tutto era in proporzione. Le catene
dell'Himalaya e del Karakorum si sollevavano di qualche millimetro rispetto alle
Montagne Rocciose o alle Ande e queste, a loro volta, erano un po' più alte
delle Alpi o delle catene vulcaniche dell'Indonesia.
Quando finì il mio drink, Martindale
mi portò accanto a quel mappamondo. Fece scorrere il dito lungo la spina dorsale
delle Americhe, seguendo le catene montuose continue dall'inizio in Alaska,
attraverso le catene Rocciose americane, attraverso l'America Centrale e giù
verso le altezze delle Ande e del nord del Cile. Quando alla fine raggiunse la
Patagonia, le sue dita rallentarono e si arrestarono.
"Qui," disse. "Inizia qui."
Il suo polpastrello era posato su di
un'area per me molto familiare. Era proprio sul confine Argentina-Cile, con un
altro dei gelidi laghi di montagna al suo centro. Conoscevo il lago come lago
Pueyrredon, ma come solito coi corpi d'acqua che si trovano a cavallo del
confine c'era un nome differente (lago Cochrane) in uso sul lato cileno. La
piccola città di Paso Roballo, dove avevo passato una dozzina di notti nell'arco
di una dozzina di anni, si trovava proprio a nordest.
Se chiudevo gli occhi potevo vedere
l'intero paesaggio che si trovava sotto il suo dito. Ad est era secco e
polveroso, manteneva solo cespugli spinosi ed erba resistente sulla superficie
scura delle vecchie colate vulcaniche; ad ovest, c'era l'erba alta in fiore e le
foreste con boschetti di sequoie, cipressi e faggi antartici. Perfino nella
primavera di fine novembre c'era la neve nelle terre più alte, con l'acqua dei
laghi che veniva dalla neve che era scura come giaietto sotto un cielo blu di
Prussia.
Io potevo vedere ogni cosa, ma
sembrava impossibile che John Martindale potesse fare altrettanto. Il suo
teschio cieco doveva avere una visione differente.
"Cos'è che inizia qui?"
domandai, e di nuovo mi chiesi quanto potesse ricevere da quell'assemblaggio di
cristalli inorganici.
"Le anomalie. La regione ha schemi
meteorologi che sfuggono ad ogni logica e a tutti i modelli."
"Su questo sono d'accordo, per
esperienza personale. Quell'area ha lo schema dei venti più curioso di ogni
altro posto al mondo." Era stato un lungo volo e un lungo giorno e per allora
iniziavo a sentirmi un po' affaticato. Ero pronto a differire la discussione sul
tempo fino all'indomani e volevo un po' di tempo per riflettere sul nostro
'accordo di principio'. Continuai, "Comunque, non vedo perché quei venti debbano
interessarla."
"Sono un meteorologo. Ora, aspetti un
attimo." Il suo sensore doveva aver catturato qualcosa della mia espressione.
"Non arrivi a conclusioni sbagliate. La mia era una professione perfetta per un
cieco. Chi può vedere il tempo? Ero dieci volte più sensibile di un vedente per
quanto riguarda i venti, il calore, i cambiamenti di umidità e la pressione
barometrica. Quello che non potevo vedere erano le formazioni nuvolose e quelle
sono conseguenze piuttosto che cause. Potevo dedurre la loro manifestazione da
altre variabili. Otto anni fa ho iniziato a sviluppare i miei modelli da
computer degli schemi temporali, analizzando l'interazione di neve, venti e
topografia. Cinque anni fa credetti che il metodo fosse completamente generale,
e totalmente accurato. Poi studiai il sistema andino, e in un'area (una
soltanto) falliva." Batté il dito sul globo. "Qui. Qui ci sono venti senza
nessuna fonte di sostentamento d'energia. Posso definire uno schema di
circolazione e localizzare un vortice, ma non posso calcolarne l'esistenza."
"L'area che indicate è conosciuta
localmente come il Regno dei Venti."
"Lo so. Voglio andare là."
E ci volevo andare anch'io.
Mentre parlava provai un gran
desiderio di tornare, di rivedere l'altiplano dei pendii andini orientali
e risentire la musica del vento occidentale. Era tutto dietro di me. Avevo
giurato a me stesso che l'Argentina esisteva solo nel mio passato, che
l'incantesimo della Patagonia era rotto per sempre. John Martindale mi stava
dando un milione di dollari e la cittadinanza svizzera, ma più di ciò mi stava
dando una scusa. Per quattro anni non aveva fatto altro che cercarne
inconsciamente una.
Sollevai il bicchiere. "Penso, Mr.
Martindale, che mi andrebbe un altro drink."
O due. O tre.
Shirley Martindale si stava muovendo
accanto a me, facendo scorrere senza posa la sua mano lungo il mio braccio. "C'è
dell'altro. Vuole capire i venti, ma c'è dell'altro. Spera di trovare
Trapalanda."
Non mi chiese se ne avevo sentito
parlare. Nessuno che passi più di una settimana nella Patagonia centrale può
essere ignorante in merito a Trapalanda. Per trecento anni gli esploratori hanno
cercato la 'Città dei Cesari', Trapalanda, la versione in Patagonia
dell'El Dorado. Voci e speculazioni dicevano che Trapalanda si trovava a circa
47 gradi sud, alla stessa latitudine di Paso Roballo. Le sue favolose
case-tesoro d'oro e gemme preziose avevano attirato centinaia di uomini a
cercare la morte sulle alture andine. La gente non è che tornasse e dicesse "Ho
cercato Trapalanda e non sono riuscito a trovarla." Non tornava per niente. Io
ero un'eccezione.
"Mi dispiace," dissi. "Pensavo che tuo
marito fosse un uomo più saggio."
"Che vuoi dire?"
"Tutti vorrebbero trovare Trapalanda.
Quattro anni della mia vita sono andati nella sua ricerca, e io avevo il miglior
equipaggiamento e la miglior conoscenza possibili. Ho detto a tuo marito che
c'era una dozzina di guide migliori, ma mentivo. Conosco quel paese meglio di
qualsiasi uomo vivente. E' sicuro che fallirà."
"Crede di avere delle informazioni
speciali. E tu lo farai. Tu lo porterai là. Per Trapalanda."
Lo sapeva meglio di me. Fino a che non
aveva parlato non sapevo cosa avrei fatto. Ma aveva ragione. Dimenticate l'accordo
di principio. Sarei andato.
"Tu vuoi che lo faccia, vero?" Chiesi.
"Ma non capisco le tue ragioni. Sei sposata con un uomo proprio ricco.
Sembra che abbia più denaro di quanto non ne possa spendere."
"John è curioso, sempre curioso. E'
come un ragazzino. Non lo fa per denaro. Non si preoccupa dei soldi."
Non aveva risposto alla mia domanda
sottintesa. Non avevo mai domandato dei motivi di John Kenyon Martindale,
cercavo le ragioni di lei del perché dovessi andare. Poi mi accorsi che
la sua presenza, qui nel mio letto, mi diceva tutto ciò che dovevo sapere. Sarei
andato nel Regno dei Venti. Se avesse trovato quello che cercava avrebbe
riportato ricchezze enormi. Se avesse fallito, Shirley Martindale sarebbe stata
una vedova libera e molto ricca.
"Il sesso con tuo marito non va troppo
bene?" Chiesi.
"Cosa ne pensi? Sono qui, non è vero?"
poi si abbandonò. "E' peggio di non troppo bene, è terribile. Con lui è così
brutto quanto è eccitante con te. John è una persona gentile e riflessiva, ma io
ho bisogno di qualcuno che mi prenda e che non chieda o spieghi. Tu sei un uomo
forte e penso che sei una persona fredda ed egoista. Per tutto il tempo che
siamo stati assieme non hai pronunciato mai il mio nome, o hai detto una parola
gentile d'affetto. Non pensi sia necessario fingere dei legami. E sei sessista.
Ho notato la reazione di John quando hai detto 'Ho sposato Helga.' Lui l'avrebbe
detto in maniera differente, forse 'Shirley ed io ci siamo sposati.'" Le sue
mani si spostarono dal mio braccio e iniziarono a toccarmi più intimamente.
Sospirò. "Non mi interessa il tuo atteggiamento. Quello che John trova difficile
da sopportare, a me occorre. Hai visto cosa mi hai fatto qui, senza una
parola. Mi hai fatto rabbrividire."
Mi voltai per portare i nostri corpi
ad un contatto completo. "E John?" chiesi. "Perché ti ha sposata?" Non c'era
motivo di chiedere perché lei avesse sposato lui.
"Tu cosa credi," disse. "Era la mia
intelligenza, il mio sguardo, il mio fascino? Dammi la mano." Gentilmente passò
le dita lungo il suo viso e sui seni. "Fu cinque anni fa. John era ancora cieco.
Ci incontrammo e quando ci dicemmo buonanotte lui sentì la mia guancia." Aveva
una voce amara. "Mi ha sposata per la mia pelle."
La grana era sorprendente. Non si
sentiva la minima ruvidità, nessuna imperfezione, neppure il più delicato pelo.
Shirley Martindale aveva la pelle calda e perfetta di un bambino di sei mesi. Si
stava scaldando sotto il mio tocco.
Prima che iniziassimo si sollevò alta
sopra di me, puntellandosi sulle braccia forti. "Helga. Com'è? Non riesco ad
immaginarmela."
"La vedrai," dissi. "Domani telefono a
Losanna e le dico di venire a New York. Verrà con noi a Trapalanda."
Trapalanda. Avevo detto così?
Ero molto stanco, volevo dire Patagonia.
Mi sollevai per toccarle i seni.
"Niente più parole ora," dissi. "Niente più parole." I suoi occhi erano neri
come giaietto, scuri come i laghi di montagna. Nuotai fin nelle loro profondità.
Shirley Martindale non incontrò Helga;
né a New York, né da un'altra parte, né mai. John Kenyon Martindale mi chiarì la
sua posizione la mattina successiva mentre giravamo per la biblioteca del
settimo piano. "Non le permetterò di stare in questa casa," disse. "Non è per me
o per voi e certamente non per Shirley. Ma è per lei. So come la tratterebbe
Shirley.
Non sembrava per nulla contrariato, ma
fissai la nera maschera cieca e rividi le mie idee su quanto potesse vedere coi
suoi CCD e i suoi fasci di fibre ottiche.
"Le ha detto ieri notte perché vado in
Patagonia?" chiese mentre prendeva un libro e lo posava sulla tramoggia di una
stufa dalla pancia di ferro con aspirazione elettroniche.
Esitai e dissi la verità. "Mi ha detto
che cercate Trapalanda."
Rise. "Desideravo andare in Patagonia.
Il modo più facile per farlo senza dover litigare con Shirley era di tirare
fuori un'esca di cinquanta miliardi di dollari. La cosa buffa, comunque, è che
ha quasi ragione. Sto cercando Trapalanda." E rise di nuovo, con più gusto di
quanto qualsiasi cosa avesse detto avrebbe potuto giustificarlo.
La macchina nera di fronte a noi fece
un piccolo rumore di fusa come se fosse contenta e una piacevole voce femminile
iniziò a leggere a voce alta. Era un testo di matematica sui fondamenti della
geometria. Avevo notato che sebbene Martindale si descrivesse come meteorologo,
quattro quinti dei suoi libri nella biblioteca erano di matematica e fisica
teorica. C'erano troppe cose su John Martindale che non erano quello che
sembravano.
"La voce di Shirley," disse, mentre
stavamo accanto alla macchina e ascoltavamo ad una definizione disorientante
della curvatura intrinseca di una superficie. "E una voce proprio piacevole, non
pensate, per farsi bisbigliare dolci epsilon nelle orecchie? L'ho presa per
usarla con questo ricognitore ottico di caratteri, prima che prendessi gli
occhi."
"Non pensavo che ci fosse al mondo una
macchina che potesse farlo."
"Oh, sì." La spense e Shirley si fermò
a metà parola. "Non è più neppure all'avanguardia. Lo era quando fu fatta, e
costava una fortuna. Il prossimo anno sarà un'anticaglia, e daranno via una
capacità pressoché uguale nei pacchetti dei cereali. Andiamo ora da Shirley per
un aperitivo."
Anche se John Martindale era
arrabbiato con me o con sua moglie, lo nascondeva bene. Capii che la maschera
andava ben al di là dell'involucro nero.
Cinque giorni dopo volammo in
Argentina. Quando Martindale menzionò la sua idea di essere nel Regno dei Venti
in tempo per il solstizio d'inverno, la stagione delle dimostrazioni più forti
dell'anomalia, abbandonai ogni idea di un viaggio a Losanna. Feci in modo che
Helga impacchettasse tutto quello che mi serviva e ci incontrammo a Buenos
Aires. Avrebbe atteso all'aeroporto Ezeiza senza andare nella città vera e
propria, e saremmo volati subito verso sud. Anche andando tutto bene nei viaggi,
avremmo dovuto avere fortuna ed essere efficienti per essere vicino a Paso
Roballo una settimana prima del solstizio.
Mi divertì vedere Martindale che
cercava Helga agli arrivi dell'aeroporto nello scendere dall'aereo. Aveva visto
la sua foto e lo avevo assicurato che sarebbe stata là. Non poteva trovarla. Nel
giro di qualche secondo, molto prima che fosse possibile vedere le sue fattezze,
l'avevo trovata. Fissava un libro che teneva sulle ginocchia. Ogni quindici
secondi alzava la testa per un rapido giro di controllo, come quello del radar,
verso la zona dei passeggeri e poi tornava alla pagina. Martindale non la notò
fino a che non le fummo accanto.
Li presentai. Helga annuì ma non
parlò. Si alzò e fece strada. Aveva affittato un charter a quattro posti e con
la sua solita efficienza aveva fatto trasferire il nostro bagaglio a bordo.
La dogana, vi chiedete? Siamo
realistici. L'ufficio doganale in Argentina non è più corrotto, diciamo, di
quello della Bolivia o dell'Ecuador; il che è quasi sufficiente. Se John
Martindale avrebbe avuto successo nell'individuare i tesori leggendari di
Trapalanda, ci sarebbero state moltissime mani pronte ad aiutarlo a rimuoverli
illegalmente dal paese.
Helga fece strada attraverso
l'aeroporto. Apparentemente non era ciò che si era aspettato da mia moglie e
potevo vederlo mentre la studiava attentamente. Non era più alta di un metro e
cinquantasette, contro il mio uno e ottantasette, e il suo corpo minuto non era
molto eretto. La spalla sinistra scendeva un po' e tendeva a non sforzare molto
la gamba sinistra nel camminare.
Poiché ero l'unico ad avere una
patente di volo mi sedette avanti nel seggiolino del co-pilota, accanto a Owen
Davies. Avevo usato in precedenza Owen come pilota alla giornata. Conosceva il
Regno dei Venti e lo rispettava. Non avrebbe corso rischi. Nonostante il suo
nome era nativo dell'Argentina, uno dei molti gallesi che trovano qualsiasi
lavoro preferibile all'allevamento delle pecore argentine dei loro genitori.
Martindale ed Helga sedevano dietro a noi, a fianco a fianco nel retro, mentre
volavamo verso Comodoro Rivadavia sulla costa atlantica. Era l'ultimo vero campo
aereo che avremmo trovato per un po', a meno che non ci fossimo inoltrati
attraverso il confine cileno verso Cochrane. Preferii non provarlo. Ai vecchi
tempi avresti rischiato qualche proiettile dai posti di frontiera. Oggigiorno
con molte probabilità sarebbe potuto essere un missile terra-aria.
Avremmo completato le provviste a
Commodoro Rivadavia e poi usato spianate per aerei sporche e polverose per il
resto della strada. Era previsto che le provviste sarebbero state pronte al
nostro arrivo. Mentre Helga e Owen controllavano per assicurarsi che la consegna
includeva tutto quello che avevamo ordinato, Martindale mi venne accanto.
"Non parla mai?" chiese. "O è solo la
mia mancanza di fascino?" Non appariva disturbato, solo perplesso.
"Datele tempo." Guardai per vedere
cosa stessero facendo Helga e Owen. Indicavano tre ceste aperte di provviste, e
Owen stava alzando piuttosto la voce.
"Ha notato come cammina Helga e come
tiene il braccio sinistro?"
Lo scudo nero si abbassò e si alzò,
rendendomi subito curioso su cosa c'era dietro. "Ho provato anche a tentare una
domanda in quella direzione," disse. "L'ha debitamente ignorata."
"Non è nata così. Quando Helga entrò
nel mio ufficio nove anni fa, pensai di stare ad osservare qualcosa di
congenito. Lei non disse nulla e neppure io. Cercavo un'assistente, qualcuna che
fosse interessata alle terre alte di confine quanto me, e Helga andava bene.
Aveva solo ventun anni ed era acerba, ma si vedeva che era intelligente e poteva
migliorare."
"Arrendevole," disse Martindale. "Mi
scusi, continui."
"Devi essere portato ad andare in giro
con temperature gelate a tremila metri," dissi. "Come parte della condizione di
assunzione di Helga c'era che doveva sottoporsi ad una visita totale. Si
rifiutò. Acconsentì soltanto quando vide che l'impiego dipendeva da essa. Era in
una forma eccellente e la passò facilmente; ma il dottore (abbastanza
impropriamente) mi permise di guardare ai suoi raggi."
Erano sollevate le sopracciglia dietro
quel visore di ossidiana? Martindale piegò la testa verso destra, un piccolo
gesto di domanda. Helga e Owen Davies si stavano avvicinando a noi.
"Era messa assieme come le tessere di
un puzzle. Quasi tutte le ossa delle braccia e delle gambe mostravano segni di
frattura e di cura. Anche le costole. Da piccola era stata, come dicono in
questi tempi illuminati, 'abusata'. Torturata. Già da piccola, Helga aveva
imparato a stare buona. La cosa migliore che poteva sperare era di essere
ignorata. Vedete bene quanto può essere invisibile."
"Non vi avevo mai sentito arrabbiato
prima," disse. "Sembrate il padre, non il marito." Il tono era calmo, ma
qualcosa di nuovo si celava dietro quella maschera. "Ed è per questo," continuò,
"che a New York..."
Fu interrotto. "Domani," disse Owen da
dietro di lui. "Dice che allora avrà tutto il resto. C'è da credergli. Gli ho
detto che è un bastardo grasso e stupido e che se non dovevamo partire per
mezzogiorno gli avrei tirato fuori tutta la merda a forza di calci."
Martindale mi annuì. La conversazione
era chiusa. Ci dirigemmo in città verso il bar di Alberto McShane ed i piaceri
dubbi di una vita notturna a Comodoro Rivadavia. Martindale non abbandonò la
cosa. Per tutta la strada parlò in modo sommesso ad Helga. Di risposta non
ricevette più di dieci parole.
Erano passati cinque anni. Alberto
McShane non batté ciglio quando entrammo. Prese la mia ordinazione senza un
commento ma quando Helga gli passò accanto sollevò il braccio buono e le dette
un grosso abbraccio. Lei fece un sorriso radioso. Era a casa. Aveva girato
attorno al bar Guanaco da quando aveva dodici anni, un moccioso del
petrolio portato qua negli anni del boom. Quando i genitori se ne andarono
rimase. Si nascose tra i fusti della birra nella cantina di McShane finche
l'aereo non si alzò. Poi poté rilassarsi per la prima volta nella sua vita. La
povertà e il duro lavoro erano dei lussi dopo tutto quello che aveva passato.
L'arredo del bar dall'ultima volta non
era cambiato. La bottiglia dello sporco petrolio nero (la prima ad essere
pompata a Comodoro Rivadavia, a dar credito a McShane) era appesa sopra al
bancone e lo stesso guanaco e lo stesso nandù impagliati gli stavano accanto. E
l'armadillo di McShane, o suo nipote, se ne andava lemme lemme tra i tavoli in
cerca di residui di birra.
Io conoscevo i piani di ricerca, ma
Helga e Owen Davies avevano bisogno di essere aggiornati. Martindale prese le
carte 1:1.000.000, con gli emendamenti e i dettagli locali con la mano attenta
di Owen, e ci aggiunse le mappe fotografiche a colori a 1:250.000 che si era
fatto fare negli Stati Uniti e sparpagliò il tutto fino a coprire per intero il
piano del tavolo.
"Da qui a qui," disse. Le dita
battevano la mappa vicino a Laguna del Sello, poi si mossero a sud e ad ovest
finche non raggiunsero il Lago Belgrano.
Owen le studiò per un po'. "Tutto da
questa parte del confine," disse. "E' una buona cosa. Cosa volete fare là?"
"Voglio atterrare. Qui e qui e qui."
Martindale indicò sette punti in una linea che grosso modo andava da nord a sud.
Owen strizzò gli occhi, valutando ogni
località. "Lago Gio, Paso Roballo, Lago Posadas. Li conosco tutti. Difficile
atterrare in due, e quest'ultimo posto è in mezzo al Parco Nazionale Perito
Moreno; ma un posto possiamo trovarlo." Guardò su, non a Martindale, ma a me.
"Non sei sull'altopiano giusto, comunque. Sei una trentina di chilometri tropo a
est. Cosa volete fare una volta arrivati là?"
"Voglio scendere e cercare ad ovest,"
disse Martindale. "Dopo di questi le dirò dove vogliamo andare."
Owen Davies non disse più niente, ma
quand'eravamo al bar a prendere altre bevande mi fece una scrollata di spalle.
Troppo a est, disse. Non sei sull'altopiano. Là non troverai
Trapalanda, dove vuole atterrare. Che storia è questa?
Owen era un uomo onesto e un grande
pilota che aveva avuto il suo tentativo fallito a Trapalanda (a volte pensavo
che fosse vero per ognuno che vivesse sotto ai 46 gradi sud). Trovava difficile
credere che uno qualsiasi potesse aver successo dove non l'aveva avuto lui, ma
non poteva resistere alla seduzione.
"Sa qualcosa che non ci dice," dissi.
"Si tiene delle informazioni per sé, tu non lo faresti?"
Owen annuì. Botti di rubini e
tonnellate di platino e barre d'oro brillarono nei suoi scuri occhi gallesi.
Quando tornammo al tavolo John aveva
fatto la sua conquista. Helga stava parlando e singhiozzando per il ridere.
"Come siete riuscito a farlo?" stava dicendo. "E' intoccabile. Che cosa
gli avete fatto?" L'armadillo di McShane era seduto sopra la tavola che
masticava felice un pezzo di mela. Martindale gli strofinava l'ammasso di
scaglie ossee dietro il collo e l'armadillo si appoggiava contro la sua mano.
"Crede che sia uno di loro."
Martindale toccò lo schermo nero attraverso i suoi occhi. "Vedete? Tutti e due
abbiamo delle scaglie. Sono proprio uno di famiglia." Voltò il viso verso di me.
Scoprii della soddisfazione dietro la maschera. E posso fare a tua moglie,
Klaus, quello che hai fatto alla mia? sembrava dire. Non sarebbe altro
che giustizia.
Non erano i pensieri di Martindale. Lo
capii. Erano i miei. E quello fu l'istante in cui la mia simpatia verso John
Kenyon Martindale iniziò a piegarsi verso il risentimento.
A livello del terreno i venti
occidentali scorrono giù dai massicci andini a settanta nodi e oltre. A duemila
e settecento metri soffiano a meno di trenta. Owen era un pilota con la testa
per l'economia. Ci portò volando a tremila fino a quando non eravamo sul punto
d'atterraggio preferito per poi sganciarci giù a terra in tre scivolate d'ala
stomachevoli.
Aveva già i suoi atterraggi tutti
pianificati. Gran parte della Patagonia è costruita da grossi livelli di lastre
che sorgono come terrazze dalle alte scogliere sulla costa dell'oceano Atlantico
verso le cime andine ad ovest. L'eccezione era nell'area che stavamo esplorando.
Là le eruzioni vulcaniche avevano spinto alla superficie grossi strati di
basalto. La terra è tutta fratture ed è irregolare e sfregiata dallo sfregare di
venti infiniti. Ci vuole un'abilità speciale per far atterrare un aeroplano con
la velocità del vento che eccede la velocità d'aria dell'atterraggio e Owen
Davies ce l'aveva. Mostravamo una velocità d'aria di oltre cento nodi quando
toccammo terra, come un granello di polvere, e rotolammo in un atterraggio
perfetto. "Abbastanza buono," disse Owen.
Ci aveva portato su una striscia
piatta di lava scura, alle tre di pomeriggio. Il sole era basso all'orizzonte
verso nordovest e noi scendemmo in bocca a un vento freddo e pieno di polvere.
Il vento batteva e tirava e spingeva i nostri corpi cercando di risoffiarci
nell'Atlantico. Owen, Helga ed io portavamo visiere e caschi contro le nuvole di
graniglia e sabbia.
Martindale era a testa scoperta.
Piantò un transponderatore per confermare la nostra posizione esatta e si volse
verso ovest. Con la testa spostata in avanti e i capelli l colore del grano che
volavano dappertutto, fece un aggiustamento a lato del visore e annuì. "E' là,"
disse. "So che deve esserci."
Guardammo e non vedemmo niente. "Cos'è
che c'è là?" chiese Helga.
"Ve lo dico in un attimo. Annotate
questi. Leggo le altezze e gli angoli." Martindale guardò il sole e la bussola.
Iniziò a voltarsi lentamente da nord verso sud. Ogni quindici gradi si fermava,
osservava il cielo sbiadito e leggeva una lista di numeri. Quando ebbe finito
annuì ad Owen. "Bene. Ora possiamo fare il prossimo."
"Vuole dire che è questo?
Tutta la faccenda? Tutto quello che farete è starvene là?" Owen è molte cose
buone, ma non è diplomatico.
"E' questo... per il momento."
Martindale iniziò la strada di ritorno verso l'aereo.
Non potevo seguirlo. Non subito. Avevo
sollevato la visiera e stavo osservando attentamente, con occhi pieni di lacrime
per il vento, verso ovest. La terra là si buttava in alto verso il cielo blu
scuro del tramonto. Era l'onda delle Ande, meno di trenta chilometri più avanti,
che si rotolava in lunghi frangenti dalla cima innevata. Mi incamminai
attraverso i ciuffi di erba a mazzetti e allungai una mano per appoggiarmi ad un
faggio isolato alto circa tre metri. Modellato dal vento e ostacolato stava,
tronco e rami curvati verso est, a nascondersi la testa dal vento mortale
d'occidente. Era l'unico in vista.
Questa era la mia Patagonia, quella
vera, quella terribile.
Sentii un tocco gentile al braccio.
Helga era là che aspettava. Le carezzai la mano in risposta e istintivamente
arretrò. Seguimmo assieme Martindale e Davies fino all'aereo.
"Ho trovato quello che cercavo," disse
Martindale, quando fummo tutti dentro. Il vento colpiva e faceva dondolare lo
scafo, indignandosi per la nostra presenza. "Non è più un segreto. Quando i
venti si avvicinano alle Ande dal lato cileno, lasciano andare tutta l'umidità
che hanno raccolto sul Pacifico, e accelerano. L'equazione del bilanciamento
dell'energia è la stessa dovunque nel mondo. Dipende dal terreno, dall'umidità,
dal calore e dagli strati atmosferici. La stessa equazione dappertutto... tranne
che qui, nel Regno dei Venti, qualcosa è sbagliato. I venti raccolgono
così tanta velocità che diventano termodinamicamente impossibili. C'è un
meccanismo in funzione che pompa energia nell'aria in movimento. Lo sapevo già
prima di lasciare New York e sapevo anche cosa doveva essere. Doveva esserci una
lunga linea di vortice orizzontale che va da nord a sud e che trasmette energia
al vento occidentale. Ma anche questo era impossibile. Per primo, allora, dovevo
confermare che il vortice esisteva." Annuì vigorosamente. "Esiste. Coi miei
sensori visivi posso vedere gli schemi di compressione e rarefazione. In altre
parole posso vedere la prova diretta del vortice. Con un'altra mezza dozzina di
letture localizzerò l'origine esatta della sua fonte d'energia."
"Ma tutto questo che ha a che fare con
il cercare..." Owen si arrestò e mi guardò con aria colpevole. Gli avevo detto
cosa cercava Martindale, ma lo avevo anche messo in guardia di non menzionarlo
mai.
"Col cercare Trapalanda?" finì
Martindale. "Ma, ha tutto a che vedere con essa. Deve esserci un posto, uno
specifico posto, dove esiste il generatore che alimenta il vortice di linea.
Trovato quello avremo trovato Trapalanda."
Come Dio, il Dovere o il Paradiso,
Trapalanda significa cose diverse a seconda delle persone. Potevo vedere
dall'espressione del viso di Owen che un generatore di potenza per una linea di
vortice non era la sua Trapalanda, non importa cosa potesse significare
per Martindale.
Gli avevo concesso sei giorni, ce ne
vollero tre. La sera del 17 giugno sedevamo attorno al piccolo tavolo nella
cabina posteriore dell'aereo. Il giorno dopo non ci sarebbe stato nessun volo e
Owen aveva tirato fuori una bottiglia di usquebaugh australis; "whiskey
meridionale", la bevanda più cattiva al mondo.
"A piedi," stava dicendo John
Martindale. "Ora deve essere a piedi... e solo per qualche evenienza, uno di noi
rimarrà al campo in contatto radio."
"Helga," dissi. Lei e Martindale
scossero la testa all'unisono. "Supponi che si debba portar fuori qualcuno."
disse. Io non posso farlo. Dovrai essere tu o Owen."
Almeno la stava prendendo in modo
serio, cosa che non faceva Owen Davies. Aveva guardato con disgusto crescente
mentre Martindale faceva osservazioni atmosferiche in sette siti. Una volta
venne da me in segreto. "Stiamo lavorando per un pazzo," disse. "Non troveremo
nessun tesoro. Era meglio se lavoravo per Diego."
Diego Luria ("Mad Diego") credeva che
la posizione di Trapalanda si poteva trovare con una corretta interpretazione
del Vangelo secondo Giovanni. Aveva fatto cinque spedizioni nell'altopiano,
quattro delle quali con Owen come pilota. Era più difficile per Owen di quanto
non si possa credere, Diego infatti a volte aveva detto che c'era bisogno del
sacrificio umano prima che Trapalanda potesse venir scoperta. Non avevano
trovato niente, ma erano tornati il che non era impresa da poco.
Martindale aveva fatto le sue
triangolazioni esatte e rilevato un punto nella mappa. Aveva calcolato
coordinate UTM con uno scarto di venti metri. Non erano promettenti. Quando
volammo il più vicino possibile al posto da lui scelto, trovammo che stavamo a
guardare ad un posto a metà strada di una facciata rocciosa a strapiombo, dove
una serie di cascate si gettavano lungo una scogliera quasi verticale.
"Sono sicuro," disse in risposta ad
una mia domanda sottintesa. "I residui del gruppo dati sono troppo piccoli per
lasciare dubbi." Batté il dito sulla mappa e guardò fuori dell'aereo alla
facciata rocciosa in lontananza. "Domani voi, Helga ed io andremo. Lei, Owen,
resterà qui a monitorare le nostre trasmissioni di frequenza. Se restiamo
sconnessi per più di dodici ore verrà a prenderci."
La stava prendendo troppo
seriamente. Prima che la luce svanisse uscii di nuovo per provare i binocoli
sulla parete rocciosa. Secondo Martindale in quella posizione c'era un
generatore di potenza che poteva modificare il flusso dei venti per un'ampiezza
di quattrocento chilometri. Io non vedevo nient'altro che il vapore bianco delle
cascate e delle cataratte e una volpe grigia dell'altopiano che saliva con
facilità lungo la parete rocciosa verticale.
"Mi creda." Martindale era apparso di
colpo al mio fianco. "Posso vedere quelle strutture dei venti se faccio
funzionare i miei sensori sulla lunghezza d'onda giusta. Quale è il vostro
problema?"
"Le dimensioni." Mi volsi verso di
lui. "Può far sì che i sensori le forniscano immagini telescopiche?"
"Fino ad un'apertura effettiva di tre
pollici."
"Allora date un'occhiata lassù. State
dicendo che troveremo una macchina che produce una potenza tremenda..."
"Moltissimi gigawatt."
"... molta più potenza di un'intera
centrale. E là non c'è niente, niente da vedere. E' impossibile."
"Non proprio." Il sole procedeva a
fatica lungo l'orizzonte settentrionale. La debole luce del giorno era durata
solo otto ore e già stava scemando. John Kenyon Martindale scrutò verso ovest e
scosse la testa. Batté il dito sul visore nero. "Avete avuto modo di osservare
questo," disse. "Supponete che avessi voluto comperare qualcosa che poteva fare
ciò che fa questo, diciamo... cinque anni fa. Sapete quanto avrebbe pesato?"
"Pesato?" Scossi la testa.
"Almeno una tonnellata. E dieci anni
fa, sarebbe stato impossibile costruirlo, per quanto grosso saresti stato
disposto a farlo. Fra un'altra decina di anni, tutto l'assemblaggio starà
facilmente all'interno di una protesi oculare. La strada va verso la
miniaturizzazione, densità di energie più elevate, design più compatto. Mi
aspetto che il generatore sia piccolo. Si volse di scatto a fissarmi dritto in
viso. "Ho una domanda per lei, ed è maledettamente personale. Avete mai
consumato il vostro matrimonio con Helga?"
Aveva anticipato il mio affondo e
retrocedeva rapidamente. "Non mi fraintenda," disse. "L'estrema avversione di
Helga per il contatto fisico è ovvia. Se fosse totale, ci sono a New York
specialisti che probabilmente potrebbero aiutarla. Ho delle conoscenze là."
Guardai giù alle mie mani che tenevano
il binocolo. Tremavano. "E'... totale," dissi.
"Lo sapevate... eppure l'avete
sposata. Perché?"
"Perché avete sposato vostra
moglie, sapendo che sareste stato cornificato?" mi stavo slanciando, non mi
aspettavo una risposta.
"Vi ha detto che l'ho fatto per la sua
pelle?." La voce era stremata e si era voltato dall'altra parte mentre parlava.
"Sono sicuro di sì, ve lo dico io. Ho sposato Shirley... perché voleva che lo
facessi."
Poi mi ritrovai da solo nell'oscurità
che aumentava. Shirley Martindale mi aveva messo in guardia, là a New York. Lui
era come un bambino, curioso di tutto. Incluso me, inclusa Helga, incluso me ed
Helga.
Che tu sia maledetto, John
Martindale. Guardai verso la parete spoglia e pregai che Trapalanda in
qualche modo lo ingoiasse. E allora non avrei più dovuto sopportare quella voce
insidiosa e investigatrice che chiedeva cose a cui era impossibile rispondere.
L'aereo era atterrato nell'unica parte
di terreno in livello per chilometri e chilometri. La nostra destinazione era a
due chilometri e mezzo, ma era al di là di un territorio formidabile. Dovevamo
discendere un ghiaione scosceso, attraversare un quattrocento metri coperti di
rupi fino ad arrivare a un corso d'acqua torrenziale e seguirlo controcorrente,
fino a giungere al centro delle cascate stesse.
La spianata di rupi mostrava la
lucentezza traslucida di una sottile coperta di ghiaccio. Il viaggio non poteva
essere fatto con poca luce. Avremmo aspettato fino al mattino e saremmo partiti
con prontezza alle dieci.
Helga ed io andammo a letto presto,
lasciando Martindale coi suoi calcoli e Owen Davies col suo usquebaugh
australis. In caso di necessità nell'aereo ci si sarebbe potuti stare in
quattro, ma Helga ed io dormimmo fuori in una piccola tenda rinforzata portata
apposta. L'area del pavimento era un metro e mezzo per due e dieci. Avevamo
piazzato la tenda sottovento rispetto all'aereo, laddove l'ululato del vento era
attenuato. Ascoltavo il respiro di Helga e dopo mezz'ora sentivo che era ancora
sveglia.
"Pensi che troveremo qualcosa?" dissi
sottovoce.
"Non lo so." E poi, forse dopo un
minuto, "Non è questo. E' di te, Klaus."
"Io non sono mai stato meglio."
"Questo è il problema. Ti ho visto in
questi ultimi giorni. Sei innamorato di questo posto. Non avrei mai dovuto
portarti via."
"Non mi sto lamentando."
"Anche questo fa parte del problema.
Tu non ti lamenti mai. Vorrei che lo facessi."
Sentii che si voltava verso di me nel
buio e per un secondo immaginai una mano che si stava allungando verso di me.
Era un'illusione. Lei proseguì: "Quando ho detto che volevo lasciare la
Patagonia e vivere in Europa, tu hai accettato senza batter ciglio. Ma il tuo
cuore è sempre stato qua."
"Oh, be', io non so..." La bugia mi si
strozzò in gola.
"E c'è dell'altro. Non volevo dirtelo
perché temevo che mi avresti frainteso, ma voglio dirtelo. John Martindale ha
cercato di toccarmi."
Mi mossi ed iniziai ad alzarmi e
sentii la tela ruvida contro la fronte. Fuori il vento fece un urlo improvviso
attorno alla tenda. "Vuoi dire che ha cercato di... di..."
"No. Si è allungato e ha cercato di
toccarmi il dorso della mano. Nient'altro. Non so perché l'abbia fatto, ma penso
che sia solo per curiosità. Osserva tutto e ci ha osservato. Ho tirato via la
mano prima che si avvicinasse. Ma mi ha fatto pensare a te. Non sono stata una
moglie per te, Klaus. Tu hai fatto del tuo meglio e io ho fatto il possibile ma
non è migliorato niente. Sii onesto con te stesso, sai che non è così. Così se
vuoi restare qui quando questo lavoro sarà finito..."
Odiavo sentirla così confusa e persa.
"Non parliamone ora," dissi.
In altre parole, non mi va di
parlarne.
Avevamo provato tanto all'inizio, con
Helga che digrignava i denti ad ogni tocco leggero. Quando alla fine capii che
il sudore sulla sua fronte e il fremito nelle sue membra sottili era cento per
cento paura e zero per cento eccitazione, allora smisi di provare. Dopo di che
siamo stati felici, o almeno io lo sono stato. Non sono stato fedele
fisicamente, ma questo posso spiegarlo abbastanza bene. E poi, con questo
viaggio e l'arrivo sulla scena di John Kenyon Martindale, l'intera relazione tra
Helga e me si è sentita minacciata. Ed io non so perché.
"Dovremmo dormire il più possibile
stanotte," dissi, dopo circa una ventina di secondi. "Domani sarà una giornata
dura."
Non disse niente, ma rimase sveglia
per un lungo, lungo tempo.
E così, naturalmente, io feci la
stessa cosa.
I primi quattrocento metri furono
facili, una passeggiata lungo un declivio in leggera pendenza di basalto
dilavato. Owen Davies ci aveva osservati partire con un misto strano di sdegno e
cupidigia in viso. Non avremmo trovato niente, su questo era quasi sicuro, ma
d'altra parte, se per qualche miracolo ce l'avessimo fatta e lui non era
là a guardare...
Portavamo bagagli al minimo. Io avevo
pensato che non sarebbe stato un viaggio più lungo di due ore per arrivare alla
nostra meta, e non avevamo alcuna intenzione di passare fuori la notte.
Quando arrivammo al campo delle rupi
cambiai la mia stima. Ogni millimetro quadrato di superficie era ricoperto con
uno strato finissimo e traditore di ghiaccio trasparente. In principio la sua
presenza era impossibile. Con una atmosfera a questa temperatura e così
asciutta, quel ghiaccio si sarebbe sublimato subito.
Lo attraversammo con attenzione,
concentrandoci più sul bilanciamento che sul progresso. Il vento ci colpiva,
sempre nel momento peggiore. Ci volle un'altra ora e mezza prima che fossimo in
cima alle cascate e che cercassimo il modo di affrontare la facciata rocciosa.
Non sembrava troppo brutta. C'erano sufficienti fratture e sporgenze per una
salita abbastanza facile.
"Quello è il punto," disse Martindale.
"Proprio lassù."
Seguimmo il suo dito puntato. Circa
venti metri sopra le nostre teste una delle cascate più grandi trovava la sua
strada dalla collina per una caduta verticale di dieci metri.
"La cascata?" chiese Helga. Il tono
della voce diceva molto di più delle parole. Si suppone che vi sia un
generatore di quattrocento metri di venti di tempesta? diceva. Raccontane
un'altra.
"Dietro." Martindale stava camminando
lungo la base della scogliera in cerca di un posto comodo per iniziare la
salita. "Le coordinate veramente sono all'interno della scogliera. Il che
significa che dobbiamo cercare dietro alla cascata. E questo significa
che dobbiamo arrivarci di lato."
Avevamo portato con noi delle
attrezzature da roccia. Non ci occorsero. Martindale trovò una scanalatura
diagonale che correva ad un angolo di trenta gradi lungo il fianco della
scogliera e dopo averla seguita fino ad un camino verticale trovammo un'altra
mensola inclinata che correva dalla parte opposta. Due altri cambi di strada,
nessuno difficoltoso, e ci ritrovammo sulla mensola larga circa sessanta
centimetri che saliva propria a destra sul retro della cascata.
Sessanta centimetri sono di meno
quando sei a ventun metri e cammini su una mensola di pietra sdrucciolevole per
l'acqua. Anche qui i venti ci strappavano senza sosta i vestiti. Ci legammo
assieme, Martindale che guidava, e procedemmo. Quando fummo a pochissimi metri
dalla cascata, Martindale allentò la corda tra lui e me e andò avanti da solo
dietro l'acqua che cadeva.
"E' tutto a posto." Doveva urlare per
farsi sentire sopra il rumore dell'acqua. "Diventa più facile. La mensola
s'allarga. Va in una grotta sulla facciata. Venite."
Portavamo delle potenti torce
elettriche e ci occorsero. Una volta dietro allo schermo dell'acqua, la luce
s'impallidì e scemò. Puntammo le torce sul fondo della caverna. Ci trovavamo su
di un'area piatta, larga circa tre metri e profonda circa tre e mezzo. E questo
sistemava il sogno di Owen di caverne del tesoro infinite, e anche i miei sogni,
anche se erano stati molto meno grandiosi dei suoi.
A circa due metri e mezzo dal bordo
della mensola c'era un cilindro blu scuro, forse lungo un metro e mezzo e largo
come la coscia di un uomo. Aveva una superficie liscia ed era uniforme, senza
alcun segno di controllo o di indicazioni sulla superficie. Sentii Martindale
che grugniva per la soddisfazione.
"Tombola," disse. "Eccolo qua."
"E' tutto quanto?"
"Certamente. Ricorda quanto le ho
detto l'altra notte sulla tecnologia avanzata che lo rendeva così piccolo? C'è
la fonte della linea di vortice: l'unità di potenza per l'intero Regno dei
Venti." Fece due passi verso di esso e subito Helga Gridò: "Guardate!"
La parete vuota sul fondo della
caverna era cambiata all'improvviso: al posto della pietra grigia e umida si era
formato un rettangolo d'oscurità striata, di un'altezza di poco superiore ai due
metri e largo uno e mezzo.
Martindale sorrise in trionfo e si
volse verso di noi. "Per il momento non muovetevi. Ma non preoccupatevi, è
esattamente quello che speravo di dover trovare. Sospettai qualcosa del genere
quando incontrai per la prima volta l'anomalia. I venti sono solo un effetto
secondario accidentale, come un mulinello. L'equipaggiamento qui sarà un po'
ammaccato nel girare, ma funziona, su questo non ci sono dubbi. Sentite il
trascinamento inerziale?"
Potevo sentire qualcosa, una forza
debole ma persistente che mi tirava verso il rettangolo oscuro. Mi sporsi
indietro per bilanciarla e guardai con più attenzione all'apertura. Come gli
occhi si aggiustarono realizzai che non c'era una vera oscurità. Delle deboli
linee blu di luminescenza iniziavano ai bordi dell'apertura e fluivano
rapidamente verso un punto che spariva al centro. Là sparivano, mentre nuove
strisce blu nascevano al di fuori.
"Da dove viene l'apertura?" chiese
Helga. "Là non c'era quando siamo entrati."
"No. E' un portale. Sono sicuro che si
accende quando sente l'oggetto giusto nel suo raggio d'azione..." Martindale
fece un altro paio di passi in avanti. Ora si trovava proprio sull'orlo
dell'apertura e guardava al di là, a qualcosa che per me era invisibile.
"Cos'è?" chiesi. Nonostante le parole
di Martindale anch'io m'ero avvicinato di un paio di passi e la stessa cosa
aveva fatto Helga.
"Un portale, una porta verso qualche
altra parte dell'Universo, costruito attorno ad una linea di singolarità
gravitazionale." Rise, e la sua voce suonò con una tonalità di un'ottava più
bassa. "Qualcuno l'ha lasciato qui per noi umani e porta verso le stelle.
Desideravate Trapalanda? E' qui: una scoperta che non ha prezzo nella storia
della razza umana."
Fece un altro passo in avanti. La
gamba in movimento si tirò all'infinito davanti a lui, allungandosi e
allungandosi. Quando il piede arrivò giù, la gamba sembrava lunga una
cinquantina di metri e si rimpiccioliva verso la macchiolina minuta e distante
del suo piede. Sollevò il piede di dietro da terra e come sporse in avanti il
suo corpo, ondeggiò e si distorse, allontanandosi da me. Ora appariva normale,
ma era a quasi cento metri, portato dal suo lungo passo in un tunnel che
avanzava a perdita d'occhio.
Martindale si volse e allungò la mano.
Un braccio smisurato zummò verso di noi, ancora attaccato a quel corpo distante,
ed una mano destra di dimensioni normali apparve al di qua dell'apertura.
"Venite." La voce era ancora più bassa
di tono, e stranamente rallentata. "Tutti e due. Non volete vedere il resto
dell'Universo? Questa è l'occasione migliore che avrete mai."
Helga ed io facemmo un altro passo in
avanti, fissando proprio dentro l'apertura. Martindale allungò anche la mano
sinistra che si precipitò verso di noi, crescendo rapidamente fino a che non fu
possibile raggiungerla per prenderla. Feci un altro passo e fui dentro il
portale stesso. Mi sentivo normale ma di nuovo fui cosciente di quella forza che
ci tirava con più forza verso il tunnel. Di colpo fui afferrato da una paura
irrazionale e irresistibile. Dovevo scappare. Mi volsi per allontanarmi
dall'apertura e mi ritrovai a guardare Helga. Era lontana una trentina di metri,
drasticamente rimpicciolita che stava davanti ad una piccola parete di acqua che
precipitava.
Un altro passo mi avrebbe portato
fuori in salvo, libero dall'apertura e dal suo campo persistente che attraeva.
Ma quando ero in equilibrio per fare quel passo, Helga si mosse. Chiuse gli
occhi e fece un lungo e tremolante passo in avanti. Potevo vederle la bocca
muoversi, come se fosse in preghiera. E poi la mossa che non potevo credere: si
sporse in avanti per afferrare spasmodicamente la mano tesa di John Martindale.
Sentii il suo gemito e la vidi
tremare. Poi faceva un altro passo . E un altro.
"Helga!" cambiai direzione e brancolai
dietro di lei lungo quel tunnel infinito. "Da questa parte. Andiamo fuori."
"No." Aveva fatto un altro passo
tremolante e stringeva ancora la mano di Martindale. "No, Klaus." Aveva una voce
sfiatata. "Ha ragione lui. E' l'avventura più grande che possa accadere. Vale
qualsiasi cosa."
"Non abbia paura," fece una voce cupa
e rimbombante. Era Martindale e ora tutto ciò che potevo vedere di lui era un
profilo luccicante. L'uomo era stato sostituito da una forma baluginante.
"Venga, Klaus. Siamo quasi arrivati."
La forza traente era più forte e
tirava ogni cellula del mio corpo. Guardai Helga, ora un contorno brillante come
John Martindale. Si stavano rimpicciolendo, sparivano. Scomparvero. Con
stanchezza mi voltai e cercai di tornare per la strada da cui ero venuto. Mi
sentivo agganciato a tonnellate di peso che mi si avvolgevano attorno a tutte le
membra. Stavo cercando di tirare il mondo intero su di una collina infinita.
Forzai le gambe a fare un piccolo passo, poi un altro. Era impossibile vedere se
facevo qualche progresso. Ero circondato da quello schema rombante di silenzio
delle linee blu che correvano, tutte in direzione opposta alla mia, ognuna che
faceva del suo meglio per portarmi indietro. Avanzai centimetro per centimetro.
Alla fine riuscii a vedere il bianco della cascata di fronte. Cresceva ma allo
stesso tempo perdeva in definizione. Gli occhi mi dolevano. Per quando feci
l'ultimo passo e caddi a faccia in giù sul pavimento di pietra della caverna, la
cascata non era altro che una foschia lattiginosa e un rumore d'acqua corrente.
Owen Davies mi salvò la vita, ciò che
ne era rimasto. Feci del mio meglio per aiutarlo. Desideravo vivere quando mi
risvegliai e, debole com'ero e mezzo cieco, tentai di trascinarmi lungo quella
ripida parete rocciosa. Mi stavo tirando sui massi ghiacciati quando mi trovò. I
miei vestiti erano a brandelli e mi cadevano dal corpo ed io tremavo e piangevo
per il freddo e la paura. Mi avvolse nella sua giacca e mi aiutò a tornare
all'aereo.
Poi uscì per cercare John Martindale e
Helga. Non tornò mai più. Fino ad oggi non sono riuscito a sapere se ha trovato
il portale e c'è entrato o ha fatto una brutta fine lungo la strada.
Passai due giorni nell'aereo, sapendo
che ero troppo malato e che i miei occhi erano troppo malandati per sognarmi di
volare da qualche parte. I denti davanti erano partiti del tutto e mangiai
minestroni o biscotti intinti nel tè. Altri tre giorni e iniziai a realizzare
che se non mi mettevo in volo non sarei andato da nessuna parte. Il settimo
giorno tentati un decollo barcollante da incompetente e volai verso nord-est,
fissando con attenzione gli strumenti coi miei occhi diventati ormai mezzi
ciechi. Feci un atterraggio disastroso a Comodoro Rivadavia, mi tirarono fuori
dai rottami e mi inviarono in volo all'ospedale di Bahia Blanca. Fecero quello
che poterono, che non fu molto. Per allora stavo iniziando ad avere una pallida
idea di ciò che era successo al mio corpo ed appena l'ospedale ebbe l'intenzione
di rilasciarmi presi un volo per Buenos Aires e poi subito uno per il Lakeside
Hospital di Ginevra. Rimossero le cataratte dai miei occhi. Tre giorni dopo
potevo di nuovo vedere senza quella patina nebbiosa sopra ogni cosa.
Prima di lasciare l'ospedale
insistetti a fare un controllo fisico completo. Grazie al mezzo milione di
dollari di deposito di John Martindale, il denaro non sarebbe stato un problema.
Il medico che controllò le risposte con me aveva all'incirca trent'anni, un
ebreo viennese che aveva fatto tirocinio per solo un paio d'anni. Stranamente
somigliava ad un mio cugino che aveva la stessa età. "Benissimo, Mr. Jacobi,"
disse (dopo uno sguardo furtivo alla mia cartella per essere sicuro del mio
nome), "non ci sono anormalità organiche, nessun problema cardiovascolare, solo
dei piccoli problemi di circolazione. Ci sono tracce di osteo-artite alle anche
e alle ginocchia. Sono felicissimo di dirle che avete in generale un'ottima
salute per la vostra età."
"Se non lo sapete," dissi, "quanti
anni pensate che abbia?"
Dette un'occhiata ai suoi foglietti
riassuntivi, ma non ci trovò nessun aiuto. Avevo deliberatamente omesso la mia
età là dove lo richiedeva il foglio d'ingresso al'ospedale. Cercò di
compiacermi. "Settantasei?"
"Colpito," dissi.
Avevo idea che aveva calato un paio
d'anni dalla sua stima tanto per farmi piacere. Così diciamo che la mia età
biologica era di settantotto, settantanove anni. Quando avevo preso l'aereo con
John Martindale per Buenos Aires mancava un mese al mio quarantaquattresimo
compleanno.
A quel punto presi un aereo per New
York e andai a casa di John Kenyon Martindale. Incontray Shirley, brevemente.
Non mi riconobbe e io non cercai di identificarmi. Le detti il nome di Owen
Davies. In assenza di John, dissi, ero interessato a contattare qualcuno dei
suoi amici matematici che mi aveva detto mi avrebbe fatto piacere incontrare.
Non è che si ricordava
qualcuno dei nomi in modo da poterli
chiamare già prima che tornasse John? Sembrò annoiata, ma tornò con una rubrica
telefonica e produsse tre nomi. Uno era a San Francisco, uno era a Boston e il
terzo era qui a New York, al Courant Institute.
Aveva circa venticinque anni, un uomo
riccio, dal fisico curato con occhi blu luminosi e un grosso sorriso. Quello che
lo sorprese della mia visita, penso, non fu tanto il soggetto della materia. Fu
il fatto stesso che facessi la visita. Trovava sorprendente che un pezzo
d'antiquariato malridotto come me si presentasse al suo ufficio a chiedere
questo genere d'argomento sulla fisica teorica.
"Quello che state suggerendo non
soltanto è permesso nell'odierna visione di spazio e tempo, Mr. Davies,"
disse. "E' assolutamente richiesto. Non si può fare qualcosa allo
spazio, come fare un collegamento istantaneo tra due luoghi, come state
suggerendo, senza allo stesso tempo avere effetti profondu sul tempo.
Spazio e tempo sono realmente una singola entità. Le distanze e i tempi
impiegati sono intimamente correlati, come due facce della stessa medaglia."
"E il generatore di vortice di linea?"
chiesi. Gli avevo detto molto di meno riguardo a questo, soprattutto perchè
tutto quello che ne sapevo ci era stato detto da John Martindale.
"Be', se il generatore in qualche
senso si approssimasse ad un cilindro infinitamente lungo che ruota rapidamente,
allora sì. La relatività generale insiste che vi accadono cose molto peculiari.
Ci potrebbero essere violazioni globali della causalità: "prima" e "dopo" che si
confondono, causa ed effetto che si mescolano, questa specie di cose. Dio solo
sa a cosa assomiglino tempo e spazio vicino alla stessa linea di singolarità. Ma
non mi fraintenda. Prima che possano succedere tutte queste cose, devi avere a
che fare con un sistema immenso, qualcosa con una massa molte volte più grande
di quella del sole."
Resistetti all'impulso di dirgli che
si sbagliava. Apparentemente non accettava la confidenza imperturbabile di John
Martindale nell'idea che con una migliore tecnologia arrivavano aumenti di
capacità e diminuzioni nel formato. Mi alzai e mi appoggiai al bastone.
Avevo un fianco un po' malandato e si stancava se camminavo a lungo. "Siete
stato di molto aiuto."
"Non c'è di che." Si alzò anche lui e
disse, "Veramente darò delle lezioni all'Istituto su questi argomenti fra un
paio di settimane. Se vuole venire..."
Mi annotai l'ora e il posto, ma sapevo
che non ci sarei stato. Erano passati tre mesi dal giorno in cui John
Martindale, Helga ed io avevamo scalato la parete rocciosa e passati dietro alla
cascata. Rimaneva poco tempo, il mio tempo. Dovevo riandare a sud.
Il volo verso l'Argentina avvenne
senza intoppi. Comodoro Rivadavia era lo stesso di sempre. Adesso me ne sto
seduto al bar di Alberto McShane a bere un'ultima birra (tutto quello che la mia
digestione mi permette per oggi) e aspetto il pilota. McShane non m'ha
riconosciuto, ma l'armadillo sì. E' rotolato fino al mio tavolo e s'è seduto a
guardarmi. Dov'è il mio amico John Martindale? sta chiedendo.
Sul serio, dove? Te lo dico subito.
L'aereo è pronto. Stiamo per andare a Trapalanda.
Mi occorre tutta la mia forza, ma
penso di potercela fare. Ho aggiunto dell'equipaggiamento per aiutarmi ad
attraversare quel campo gelato di massi e salire la parete rocciosa. E'
settembre. Il tempo sarà più caldo e si procede con più facilità. Se chiudo gli
occhi ora posso vedere il portale, dietro la cascata, le sue profondità nere e
le striature blu luccicanti che corrono verso il punto di scomparsa.
Trentacinque anni. Questo è quanto mi
deve il portale. Me li ha succhiati dal corpo mentre lottavo contro il gradiente
di gravità. Forse è impossibile riprenderseli. Non lo so. Il mio giovane amico
matematico insiste che il tempo è infinitamente fluido, con nessuna limitazione
di più nel movimento attraverso di esso di quanta ce ne sia su un viaggio
attraverso lo spazio. Io non lo so, ma voglio i miei trentacinque anni. Se
dovessi morire nel tentativo, perderei poca cosa.
Sono terrificato da quella porta
aperta, col suo scuotersi alieno delle geometrie del mondo. Sono più preoccupato
di quello di qualsiasi altra cosa al mondo. L'altra volta ho fallito e non l'ho
potuta attraversare. Ma ora l'attraverserò.
Questa volta ho qualcosa di più della
curiosità scientifica di Martindale a spingermi. Non sono dei pensieri di
pericolo o di morte a riempirmi la testa mentre sto qui seduto. Ho quell'immagine
finale di Helga che si sporge in avanti ad afferrare con la sua la mano di
Martindale. Che si sporge, che afferra volontariamente la sua mano. Amo Helga,
di questo sono sicuro, ma non posso decifrare le mie altre emozioni; paura,
gelosia, rabbia, speranza, eccitazione. Lo toccava. Lo ha fatto perchè
voleva andare attraverso il portale, lo voleva così tanto che ogni paura era
insignificante? O finalmente, dopo trent'anni, aveva trovato qualcuno che poteva
toccare senza ritrarsi o provare avversione?
Il pilota è arrivato. Il mio bicchiere
è vuoto. Domani lo saprò.
tit.orig.
Trapalanda, Isaac Asimov's Science Fiction Magazine, June 1987,
pp.80-104,
© Charles
Sheffield, traduzione italiana Danilo Santoni