Un racconto di
Jim Cowan
Genetic
Moonshine
La suoneria del
telefono era un aspro sferragliare elettronico. Intorpidito dal sonno
l'ispettore Scopes, classe 2214 della Polizia Pasteur, si voltò nel buio e
bofonchiò: "Scopes, pronto?"
"Mi spiace
svegliarla," Anche alle quattro di mattina la voce del commissario Bolt era
disinvolta ed educata. "Abbiamo un problema da Prima Legge, Scopes. Due
sospettati e il solito armamentario: uso illegale di geni alieni, ingegneria
contraria del genoma umano. Ma la loro giustificazione è abbastanza originale:
miglioramento creativo, per quello che possa significare."
"Hu, huh." Ma che
cavolo l'aveva svegliato a fare Bolt? Non era niente altro che il solito
progetto strampalato di migliorare l'umanità, un altro giochetto che poteva
aspettare fino all'alba.
"Scopes, queste
persone sono degli esperti. Sono transbiologi che lavorano per la General Genes
su un pianeta che si chiama Meadow."
"Meadow. E' un
Biomondo," fece Scopes, espirando lentamente quasi volesse far volar via microbi
alieni dalle proprie labbra che procuravano febbre etica, tremori da squassare
le ossa, flemmi verdi che soffocavano e vomito sanguinolento, tutti germi che
sui Biomondi uccidevano una persona in poche ore.
"L'aggiornerò nel mio
ufficio. Venga subito. E prepari qualche abito. La mando su Meadow." Bolt
riappese.
Scopes scese
faticosamente dal letto a una piazza e si diresse a passi felpati verso il
bagno. Era la paura a procurargli la nausea? O era il disgusto? Davanti al
lavandino, cercando di mettere a fuoco il proprio viso, non poteva certo dirlo.
Studiò il riflesso del proprio corpo ossuto, dei suoi capelli color sabbia, i
delicati lineamenti celti e alla fine osservò la guancia sinistra. Era
raggrinzita per via di una vecchia ferita da battaglia che non voleva
scomparire. Inesorabilmente strofinò la cicatrice con un movimento lento anche
se era un'abitudine che non gli piaceva. La barba di un giorno gli raspò sotto
le dita. Stamattina non si sarebbe rasato. Il non radersi era una vecchia
superstizione alla PP prima di un lavoro da Sezione Sei, e di certo questo lo
sarebbe stato.
In fondo al
ripostiglio trovò l'ultima camicia pulita. Stava armeggiando con i bottoni
quando scorse il vecchio berretto bianco da cadetto, impolverato e dimenticato
sullo scaffale. Quanti anni? Quindici? Prese il berretto con la punta delle dita
e soffiò via la polvere. Il distintivo con le PP d'argento era tutto macchiato:
Salvare per Sterilus: Salvezza attraverso Sterilità. Ributtò il berretto sullo
scaffale. Solo la morte poteva liberarlo dal suo giuramento.
Il corridoio era buio.
Fece rotolare la bicicletta arrugginita nel vicolo e strizzò gli occhi contro i
mulinelli di rifiuti che volteggiavano cogli interminabili venti di Coriolis di
Hermes. Le strade dell'isola abitativa curvavano sei chilometri sopra la sua
testa, una coperta di oscurità trapunta da piccole luci. Scopes pedalò
ostinatamente controvento e la sua figura curva e solitaria passo lentamente
attraverso le pozze gialle di luce sotto i lampioni di città. Stava spuntando
l'alba artificiale di Hermes quando arrivò al quartier generale della Polizia
Pasteur.
L'ufficio a mansarda
di Bolt era un guscio tranquillo di legno scuso e finta pelle increspata. Delle
portefinestre si affacciavano su un brillante giardino sul tetto, arredato con
sedie in ferro battuto e un bel tavolo bianco. Il Commissario, alto magro e
curvo era nell'ombra di fronte al tavolo da lavoro spronando un insetto robotico
posato sul cristallo della scrivania. Quando raccolse lo scarabeo in metallo, ai
suoi polsi brillarono dei gemelli d'oro. Una volta aveva detto a Scopes che
erano fatti con delle krugerrand. Monete d'oro da un vecchio paese che ammirava.
"Ah, Scopes, felice di
vederla così presto. Non c'è stato tempo per radersi, vedo. Molto bene."
Bolt mosse un braccio
in segno di invito e disse: "Andiamo fuori, è una mattina magnifica."
Passeggiarono uno
accanto all'altro nel giardino della soffitta, calpestando il ghiaione. Bolt
s'abbassò e posò su un'aiuola lo scarabeo. Il piccolo robot scappò
precipitosamente a nascondersi.
"Sa che quel modello
può scovare singoli mammiferi solo dall'odore?"
"Si," rispose Scopes.
Aveva lavorato su molti Biomondi, gli scarabei erano essenziali per
l'esplorazione di quelle biosfere ostili.
"A casa, tutto a
posto, vero?"
"Sì, abbastanza bene,
grazie," rispose Scopes pensando al letto singolo sfatto che lo avrebbe accolto
al suo ritorno. La sua solitudine lo fece guardare in su, alla linea della città
che si curvava, sei chilometri sopra la testa, in cerca del piccolo spruzzo di
verde che era l'Accademia Pasteur. Su quei prati levigati, 15 anni fa, lui e Blu
e gli altri del corso, spalle indietro e testa in alto, avevano giurato di
difendere le Leggi sui Geni Umani e, una volta posti in libertà, avevano
festeggiato rumorosamente e buttato per aria i berretti bianchi.
Bolt trascinò due
sedie fino al tavolino bianco. Scopes si sedette. Nel giardino di Bolt c'erano
viole e rose, madreselva e belladonna, che provenivano dalle banche-geni della
vecchia Terra. Ma queste piante fiorivano tutto l'anno, fioriture eterne e forti
fragranze realizzate con geni alieni selezionati da piante di un centinaio di
Biomondi. Scopes respirò profondamente, gustando l'odore fantastico. Questa era
transbiologia al suo meglio.
Bolt passeggiava
avanti e indietro. "Che cosa sa di un uomo chiamato Foster? Un transbiologo, un
nero, mi è stato detto che da giovane ha fatto un buon lavoro."
Scopes si stese
impazientemente. "Foster ha scoperto i geni fissa-ozono in piante aliene rare
che fissava l'azoto libero nell'atmosfera. Ha aggiunto questi geni a piante
provenienti dalla Terra e ha inventato la moderna idrocoltura. E' per questo che
si mangia così bene nelle isole abitative."
"Oh, sì. Mi sembra di
ricordare qualcosa dell'azoto. Lei ha una memoria ottima per quanto riguarda
questi dettagli scientifici, Scopes, quasi la invidio. E' proprio una fortuna
che lei sia l'uomo sul campo e io il burocrate."
"Foster lavorava su
Lumena quando c'ero anch'io, ma non l'ho incontrato mai."
"Siete stato assegnato
su Lumena? L'avevo dimenticato."
"In segreto. Ho
insegnato Bio-legge per due semestri. E' stata una perdita di tempo."
"Bene, Foster ha
infranto le Leggi Geniche. Dice che sta cercando di rendere la mente umana più
inventiva, più creativa con un gene alieno che crea la codificazione per nuovi
percorsi nel cervello." Bolt scosse la testa. "E' una chiara violazione della
Prima Legge. Lei lo sa, Scopes, non ho mai creduto a quella gente di Lumena col
loro governo organico. Scemenze! Tutta l'isola abitativa mancava di disciplina,
autorità, struttura. Ma le cose sono andate per il meglio. Dopo quello che le
hanno fatto dovrebbe essere d'accordo." Bolt stava guardando la cicatrice di
Scopes e Scopes sentì la propria guancia che avvampava com'era avvampata dieci
anni prima quando il laser gli aveva bruciato il viso.
Questo era dieci anni
prima, fuori Lumena, L'Isola della Luce. Due milioni di persone che nel giro di
una settimana avevano sanguinato fino a morire. La storia ufficiale era che
l'incuria e la scarsa tecnica avevano lasciato passare un'epidemia aliena da un
Biomondo. Ma c'erano altre voci. Bolt aveva mandato centinaia di PP. Come sempre
Scopes e Blu lavoravano nello stesso gruppo. Bolt aveva detto che il loro
compito era un affare di quarantena e di risanamento igienico. Qualche mese dopo
l'aveva definito un successo.
Bolt si volse e
attraverso la nebbia mattutina guardò alle spire distanti di Hermes. Scopes
toccò appena la sua cicatrice poi con uno scatto strinse le mani alle ginocchia
e si sforzò di riportare il pensiero sul crimine di Foster. "La creatività
maggiorata sembra un'idea intrigante. Forse Foster sta cercando di modificare la
sua mente?"
"E' uno scenario
faustiano, Scopes, ma temo non sia corretto. Foster non sta armeggiando con se
stesso. Ha alterato i circuiti neurali dell'altro transbiologo di Meadow, una
ragazza di nome Maria Mataya."
Maria Mataya. Trovò
istantaneamente il suo viso nel cimitero della sua memoria: zigomi alti e occhi
come pozze marroni luminose al di là del tavolo durante le conversazioni
profonde ai bar del campus di Lumena. Ma quella Maria era stata una dei due
milioni; Bolt stava di sicuro parlando di qualcun altro.
Un tramestio tra i
fiori lo fece girare alle spalle. Lo scarabeo di Bolt correva attraverso la
ghiaia, afferrando un topo che si dibatteva debolmente tra le tenaglie. Bolt
estrasse dalla tasca un telecomando e premette un bottone. Lo scarabeo strinse
la presa. Ci fu un suoni spiaccicato e crepitante. Dalle orbite del topo
schizzarono fuori sangue e cervella.
"Strabiliante," disse
Bolt, ma Scopes s'era girato, arrabbiato e disgustato.
Lo scarabeo seppellì
con cura il topo tra la pacciamatura. Bolt raccolse l'insetto meccanico e
rimosse il modulo della memoria. "Non potrebbe essere più accorto," disse.
Scopes lo seguì all'interno.
Bolt raccolse dei
documenti dalla scrivania. Guardò a Scopes. "Ho una colazione di lavoro alla
General Genes su quest'affare di Meadow. Un drone-mercantile parte alle dieci
per Meadow. Viaggiando col carico sarà là per stanotte. In nottata la seguirò
anch'io."
Scopes annuì in modo
cupo. "Sezione Sei?"
Bolt gli porse un
data-disk etichettato col logo della General Genes: doppia G e doppia elica,
rossa e bianca. Sotto, Bolt vi aveva scritto Dati Personali: Foster & Mataya.
"Sì, Sezione Sei.
Foster è un criminale e Mataya ha un genoma contaminato. Non c'è altra strada."
Mentre Scopes scendeva
con l'ascensore verso la metropolitana, pensò al topo e si chiese se Bolt era
nato così o se aveva passato troppo tempo alla Polizia Pasteur. Eppure Bolt
aveva ragione. Salvare per Sterilus. Non c'era altra strada. L'Homo Sapiens era
la specie di maggior successo nell'universo conosciuto e i tentativi di
miglioramento erano andati a male. Le Leggi dei Geni bloccavano i transbiologhi
come Foster dal fare macelli col genoma umano. La Polizia difendeva le Leggi
operando attraverso l'autorità di un codicillo segreto: Sezione Sei, Esecuzione
Sommaria.
Dopo l'Accademia il
suo secondo caso era stato una Sezione Sei, due studenti bocciati e il loro
patetico laboratorio nero. Fu allora che iniziò a vedere il lavoro di polizia
per quello che realmente era: brutale e disgustoso. Avrebbe dovuto lasciare anni
prima, ma aveva fatto un giuramento e poi se avesse abbandonato la Polizia di
certo non sarebbe più riuscito a trovare un lavoro.
La metropolitana
puzzava d'urina e il pavimento sotto i piedi era appiccicoso, se si stesse
camminando sul velcro. In fondo al marciapiede, nascosto dalla folla inerte di
operai con la tuta della GG, qualcuno stava suonando un sassofono.
Scopes si fece strada
in modo scontroso verso la musica. Un ragazzo stracciato stava soffiando con
lena nel sax mentre un uomo emaciato con una maglietta bianca lo controllava.
L'uomo annuiva, sorrideva e a volte aggrottava le ciglia al ragazzo. L'uomo
stava là spesso. Scopes lo conosceva bene. Si chiamava Blumenthal. Quando erano
tutti e due degli sconosciuti, Scopes per scherzare lo aveva chiamato Capitan
Blu. Blu veniva da Lumena, era un po' più anziano e aveva moglie e un figlio.
Capitan Blu. Il nome l'aveva imbarazzato. Scopes ripensò ai berretti bianchi
buttati per aria, come un gruppo di colombe che s'alzano in volo, e a come
caddero velocemente quei berretti per rimanere sparsi nella polvere.
Il ragazzo finì e la
gente gettò una manciata di monetine. Blu si piegò per bisbigliare qualcosa
all'orecchio del ragazzo che lo fece sorridere, prese il sax e suonò una strofa
o due, mostrandogli come venivano meglio. Scopes osservò tranquillo, augurandosi
che fosse il padre.
Poi Blu lo vide e
iniziò a suonare. La musica cristallina si fece strada attraverso l'aria cupa
della metropolitana e salì come un uccello verso il soffitto a volta, una
celebrazione gloriosa della vita. La folla dai visi grigi si fece
istantaneamente silenziosa, attenta come se venisse offerta una speranza. Il
ragazzo stracciato rimase incantato. Scopes sorrise per Blu aveva scelto bene:
un piccolo scherzo scritto da Bach per sdegno una domenica mattina allorché la
figlia prediletta gli era morta di scarlattina.
Due minuti ed era
finito. Blu ignorò la pioggia di denaro. Fissò Scopes e fece un gesto lento. Era
un movimento enigmatico, parte accenno, parte saluto.
Sì, Blu si era
comportato bene. Alla fine aveva fatto il suo dovere, anche quando gli avevano
chiesto di fare la cosa peggiore che uno potesse fare. Poi aveva lasciato e se
ne era andato a testa alta e a spalle indietro e aveva scelto un modo differente
per vivere.
Scopes prese il treno
per il molo spaziale su a nord, fissando la propria immagine sul vetro del
finestrino. Forse sarebbe riuscito a far sì che fosse l'ultima missione. Avrebbe
fatto il lavoro che aveva giurato di fare, non importava cosa lo aspettava su
Meadow, ma questa sarebbe stata l'ultima volta. Di ritorno a casa avrebbe
smesso. In qualche modo sarebbe vissuto.
A bordo del mercantile
portò la propria attrezzatura nella stiva del cargo e appese una branda a caduta
libera agli anelli d'ancoraggio. Dormì attraverso l'iperspazio. Quando il
mercantile decelerò nell'orbita di Meadow la branda andò a sbattere contro una
paratia e si svegliò, era fresco e calmo.
Salì sul ponte. Il
mercantile attraccava con uno shuttle orbitale. Sulle ali e sull'alettone dello
shuttle il logo GG brillava nel sole alieno. Al di sotto, Meadow era un globo
verde-blu striato di nuvole bianche. Tutti i Biomondi apparivano a quel modo e
abbondavano di vita a base di carbonio: animali alieni, piante e microbi
mortali.
Il commlink si mise a
suonare. Il viso da falco di Bolt apparve sullo schermo e l'ufficio pannellato
riempì lo sfondo. "Scopes, la sua missione è più importante di quanto pensassi.
La General Genes le pagherà un extra per una risoluzione veloce." Disse una
cifra. "Credo che sia sufficiente per ritirarsi. Buona fortuna. Sarò là stanotte
tardi." Ed era già scomparso in uno scoppio di rumori statici.
Con decisione Scopes
tirò fuori il data-disc dalla sacca d'equipaggiamento e lo inserì nel computer
del ponte. Avrebbe affrontato subito Foster e Mataya e applicato la Sezione Sei.
Con un po' di fortuna avrebbe finito coi documenti già prima che arrivasse Bolt.
Digitò alcuni tasti per selezionare i dati di Mataya. Fissò lo schermo e rimase
sbalordito. Stava osservando il viso familiare di lei, i suoi zigomi alti e i
suoi occhi scuri, l'espressione interrogativa che lei aveva quando faceva
domande durante la lezione. Scopes rimase seduto davanti allo schermo per un bel
po'. Non c'era via d'uscita. Si massaggiò la cicatrice.
Un'ora dopo lo shuttle
incrociò una costa con delle creste che si dirigevano verso una spiaggia
appartata e una vasta savana. Ad ovest un sole fiero si abbassava su una catena
di montagne innevate; nella savana un grappolo di cupole brillava nella luce
morente, le ombre erano lunghe ellissi attraverso la pianura.
Dalle cupole giunse la
telemetria. Un abitante: Foster. Temperatura 98.8F; conto globuli bianchi e
differenziale normali..., linfociti nominali, colture ematiche tre volte
negative, sonde per DNA alieni tutte negative. Bene. Così Foster non aveva
infezioni aliene. Ma Maria dov'era?
Lo shuttle fece una
sosta presso la cupola maggiore. Scopes si mise addosso una tuta gialla
ingombrante, si abbassò l'elmetto sulla testa e assicurò i fermi. File di luci
luccicarono ai confini del campo visivo. Qualche verde acceso brillava a
sinistra: sigilli a pressione intatti. Spie blu e gialle lampeggiavano a destra:
sistemi di sopravvivenza e riciclaggio normali.
S'incamminò nel
biancore uniforme della camera di assetto dello shuttle. La porta interna si
chiuse dietro di lui col tonfo aspirante della transgomma sul cromo. Le pompe
tuonarono sotto il pavimento nebulizzandolo di dioxicloruro per uccidere i
microbi che passeggiavano sulla sua tuta. La contaminazione dei Biomondi era
sempre decisamente vietata. Le spranghe massicce della porta esterna si
ritirarono, l'aria di nuovo sterile fischiò via e il portello si aprì. Scopes si
incamminò nella savana pericolosa di Meadow. Camminò pesantemente attraverso
l'erba che gli arrivava alla vita e che gli frusciava sulla tuta. Il cielo
serale era colmo di costellazioni aliene.
All'interno della
camera di assetto della cupola gli spruzzi minuti di dioxicloruro lo lavarono di
nuovo. Quando le pompe si arrestarono sgusciò fuori dalla buffa cosa gialla e
attese che si aprissero le porte. Molto presto avrebbe applicato la Sezione Sei
su di un vecchio pazzo che un tempo era stato un genio, e avrebbe fatto la
stessa cosa con una ragazza che aveva conosciuto e che aveva conosciuto e che,
forse, se il suo lavoro non lo avesse storpiato, avrebbe potuto imparare ad
amarla. L'odore del dioxicloruro rimase debolmente nell'aria, era un odore acre
e battericida che gli faceva venire le lacrime agli occhi.
Sentì una debole
musica nell'aria, come l'odore di una donna che se n'è andata. Ascoltò con
attenzione, distinse una tromba che si levava al di sopra di una banda, una jazz
band di New Orleans. Un ritornello di 12 battute finì e quello successivo era
sottilmente diverso, meravigliosamente innovativo. Questo era il tipo di musica
di Blu.
La musica si fece più
forte quando si aprì la porta interna della camera di assetto. Foster lo
aspettava: un nero, sottile, più basso di Scopes, con dei globi oculari gialli
per l'età. I capelli sulle tempie erano bianchi e tagliati molto corti. Sulla
testa c'erano delle macchie di pelle più chiara che sembravano dei continenti
alieni.
"Ispettore Scopes,
Polizia Pasteur." Scopes si aspettava che il terrore apparisse sul viso di
Foster, ma Foster si limitò a stringergli appena la mano e dire, "Entrate, mi fa
piacere che siate arrivato così velocemente."
A bocca aperta Scopes
entrò nel vestibolo imbiancato di Base Meadow. "Aspettava me?"
"Be', non esattamente
voi, ma qualcuno dalla Polizia sì. Avevamo chiesto un controllo scientifico.
Desideriamo un esonero ufficiale dalle Leggi Geniche."
Si diressero verso i
quartieri di Foster. C'era un letto ad una piazza accuratamente rifatto, un
divano, alcune sedie e delle camicie pulite erano appese a un filo nel bagno. La
cucina era immacolata. Era la casa di una persona autosufficiente.
Con un cenno Foster
gli indicò il divano. "Che ne pensa del nostro progetto?"
"Be', non sono sicuro
di aver compreso appieno il vostro lavoro," disse Scopes con cautela.
"Abbiamo fatto la
scoperta definitiva: abbiamo scoperto il segreto della scoperta stessa. Abbiamo
trovato un modo per rendere la mente umana più innovativa, per aiutare le
persone a pensare in modi a cui prima non avevano mai creduto. Ma siamo stati
attenti a non infrangere le Leggi Geniche e ci occorre una dispensa per poter
andare avanti."
Foster lo osservava
con attenzione, forse per giudicare la sua reazione. Scopes rimase impassibile e
chiese soltanto: "Cosa volete esattamente dalla Polizia Pasteur?"
"Dobbiamo aspettare
che torni Maria," disse Foster. "La storia è più sua che mia. Si trova in una
stazione esterna a sud, ma torna stanotte. Ha preso l'hovercraft." Guardò
l'orologio. "Circa un'ora."
Prenderli tutti e due
assieme, pensò Scopes, mentendo a se stesso, pensando a Maria che guidava
attraverso il mare d'erba oscuro e pericoloso di Meadow. Si starà sporgendo
verso il parabrezza come il pilota di qualche bombardiere antico col riverbero
degli strumenti che le illuminavano il viso.
"Whisky?" Foster gli
stava chiedendo se voleva bere. Scopes annuì. Foster andò in cucina. Scopes udì
i cubetti di ghiaccio che tintinnavano nei bicchieri. Foster tornò con due
bevande. "Andrebbe un po' di jazz?" Chiese.
"Certo. Un mio amico
all'Accademia suonava il sax."
"Ottimo. Sono stato a
New Orleans sapete, dopo le maree." Aveva preso un'astronave per la Vecchia
Terra, sceso lungo l'Elevatore Orbitale fino a Porto Santana, preso un volo per
Denver, su nelle Rockies, e fatto un noioso viaggio in treno di quattro giorni
fino a New Orleans. "Ci sono rimaste ormai solo poche persone che raspano, come
galline, tra le rovine. La città vecchia è sepolto sotto tre metri di fango. Ho
portato con me uno scarabeo, era programmato per scavare nel fango in cerca di
lacche. Sotto il fango, in una cantina a Ursulines Street (sa, il vecchio
quartiere Francese) lo scarabeo ha trovato l'oro. Centinaia di 78 giri
dimenticati. Deve essere stata qualche casa di un collezionista. Erano tutti
rotti, ci saranno stati migliaia di pezzi."
Aveva riportato tutti
gli spicchi delle lacche e mostrò a Scopes come ne aveva fatto delle immagini
digitalizzate, messo diligentemente assieme gli spicchi, riassemblando i dischi
sullo schermo.
"Ora osservate," disse
e un puntino rosso seguì la scanalatura nell'immagine del 78 giri. Iniziò una
debole musica scricchiolante. "Questo è quello con cui ho iniziato." Aveva usato
tecniche di intelligenza artificiale per rimuovere il fischio, aggiunto
armoniche perse e riempito anche spicchi mancanti. "Lo sa, c'è gente che pensava
che tutta questa roba fosse andata perduta per sempre nell'inondazione."
Ascoltarono seduti
fianco a fianco sul divano. Scopes sorseggio il suo whisky steso all'indietro e
a occhi chiusi. Si trovava a New Orleans, in un piccolo cortile con una lunetta
a forma di semi ellisse e dove le pietre erano umide di pioggia. Stava con la
mano sulla ringhiera di una scala curva e mentre aspettava che scendesse
qualcuno guardava attraverso la carreggiata arcata del cortile coi cancelli in
ferro battuto. Fuori, lungo la strada marciava una banda jazz. Una piccola folla
danzava lungo le pietre bagnate. Il funerale era finito e stavano tornando tutti
dal cimitero. La musica era trionfante.
"Roba buona," fece
Scopes, pensando alla musica, ma Foster stava guardando il suo bicchiere vuoto e
propose di prenderne un altro.
"Di sicuro," disse
Scopes.
"Picchia duro."
"Lo faccio in
laboratorio. Lo chiamavano moonshine, distillato alla macchia." Foster
riempì i bicchieri. Maria sarebbe arrivata presto. Scopes realizzò d'essere
felice-
"Nuove connessioni, è
questo il segreto della creatività," disse Foster. "Il jazz è un buon esempio:
melodie europee e ritmi africani complessi. Da nuove connessioni arrivano sempre
nuove idee."
Scopes fece vorticare
l'whisky nel bicchiere e lo sorseggiò con attenzione. "La creatività è data da
nuove connessioni?"
"Certo, le connessioni
che realmente contano sono quelle nel cervello umano. Quelle sono le basi
fisiche per nuove idee. Parlo dei dendriti, Scopes, di quei piccoli filamenti
che crescono tra i neuroni. Nuove dendriti significano nuove idee." Stava
osservando attentamente Scopes. Scopes sorseggiò il suo moonshine lentamente e
annuì per mostrare che aveva capito.
"Maria ed io abbiamo
una proteina che stimola la crescita dei dendriti di un migliaio di volte:
Dendritic Growth Factor, DGF. Abbiamo anche il gene per sintetizzarla."
"Avete trovato questa
proteina su Meadow?"
"No. L'ho avuta da un
amico, uno che si chiama Sour Belly, un transbiologo dissidente, se mai ce n'è
stato uno. Comunque legale. Anni fa Sour Belly fece un sacco di soldi, registrò
un gene. Si comprò una nave e ci installò il miglior laboratorio di bordo che
abbia mai visto. Per quattro anni gironzolato per i confini dell'universo
conosciuto esplorando i Biomondi al di fuori della portata della General Genes.
"Desiderava qualcosa
del primo Satchmo, le registrazioni Hot Fine del 1927. Sapeva che le avevo
trovate a New Orleans. Le ho scambiate per il DGF. Sono dei classici." Dopo un
momento Foster aggiunse pensieroso: "Anni fa Sour Belly voleva che mi unissi a
lui, mi offrì l'acquisto di una piccola parte della nave. Se fossi stato furbo
avrei dovuto fare anche quello."
Scopes fece roteare
l'whisky nel bicchiere e disse, "Mi piace l'idea di essere il capo di se stesso
là fuori lungo la frontiera." Guardò dritto negli occhi di Foster. "Mi creda, ci
sono modi peggiori per un uomo per farsi una vita."
La radio gracchiò e si
sentì la voce di Maria, disturbata nella banda stretta, che diceva, "ETA in
cinque minuti." Si scoprì impaziente, ansioso, affamato.
"Possiamo aspettare
sul molo d'attracco," disse Foster. Scopes si sforzò di camminare adagio. La
musica si dissolse dietro di loro.
Aspettarono sul ponte
d'osservazione dietro una parete di vetro spesso e guardarono attraverso il molo
d'attracco nella notte. Scopes si sforzò di scorgere la macchia bianca che
sarebbe stato il primo avviso dell'hovercraft che tornava. Dietro di lui un
interruttore si chiuse con rumore; una luce dura inondò il molo e l'ammasso di
merci polverose. L'hovercraft, bianco brillante con le rosse GG sui lati, arrivò
sollevando nella notte le nubi turbinose di polvere. Il veicolo virò attraverso
la catasta e si appoggiò al molo prima di porsi sul bordo ondeggiante.
La porta della cabina
si aprì e una figura con una tuta a pressione gialla sgraziata saltò giù sul
molo e si avviò verso la camera di assetto. Nonostante la tuta Scopes la
riconobbe. Camminava in modo orgoglioso, come una ballerina stanca che torna a
casa dopo la lezione. Era ancora piena di grazia, piena di grazia come lo era
stata da giovane con lui.
Aspettò impaziente
fuori della camera di assetto fino a che le pompe mugolanti non s'azzittirono.
Si aprì la porta interna e lei venne fuori e di nuovo lui vide gli zigomi alti,
i capelli ancora neri e i profondi occhi marroni.
"Scopes!" gridò,
ridendo per la sorpresa e forse per la gioia. "Di tutta la gente che avevano
hanno mandato proprio te!" Lo abbracciò e lui si asciugò qualche lacrima dagli
occhi.
"E' quel dannato
dioxicloruro," disse un po' imbarazzato.
Lo strinse di nuovo e
sorrise e disse a Foster: "Scopes è più sensibile di quanto creda. Lo è sempre
stato."
La tenne stretta. La
sua camicia di cotone blu era così soffice al tocco e lei era così bella e lui
aveva giurato di ucciderla.
"Hei, Scopes, non
essere così triste," gli disse tenendolo a un braccio di distanza per guardarlo
meglio. "Ma che diavolo t'è successo alla guancia?"
Si toccò la cicatrice.
"Non è niente, solo una ferita alla pelle," rispose. "E' accaduto sul lavoro."
"Dovresti trovarti un
lavoro migliore."
In che modo crudele
aveva ragione! Ma Bolt l'avrebbe uccisa comunque e così, in modo difensivo,
rispose, "La PP è tutto quello che conosco. Inoltre ho fatto un giuramento, ti
ricordi?"
Gli sorrise e scosse
la testa. Si sforzò di pensare a qualcosa da dire per tornare all'allegria
dell'incontro. Lei si girò per riprendere la borsa dell'attrezzatura.
"E allora cosa avete
fatto nel laboratorio?"
"Glielo mostreremo,"
disse Foster e fece strada attraverso passaggi di bianco levigato verso il
laboratorio di Maria. Era un caos di attrezzature, soprattutto sequenziatori del
DNA e analizzatori di funzione dei geni. Scopes aveva familiarità con l'arte
della transbiologia; era un confronto noioso di migliaia di coppie di base, una
ricerca di somiglianze, idoneità, modi possibili di usare un gene da un mondo
per modificare la funzione di un gene da un altro. Il lavoro richiedeva una
conoscenza enciclopedica della biologia di molti mondi. Occorreva la testa di un
maestro di scacchi per vedere combinazioni, possibilità, opportunità. Il lavoro
era straordinariamente noioso. Ma al centro del laboratorio di Maria c'era un
sintetizzatore musicale e quattro altoparlanti.
"Quello a che serve?"
chiese indicando il sintetizzatore. "Te lo faccio vedere." Si sedette alla
tastiera e lui si mise dietro di lei a guardare da sopra la spalla sentendo
l'odore di fresco dei suoi capelli. Al polso aveva un braccialetto d'argento,
alcune maglie pesanti, un serpente articolato che tintinnava ogni volta che
inseriva un data-disk e premeva un tasto.
Una musica fischiante,
profonda e lamentosa riempì il laboratorio, melodie intrecciate in una nota
minore, armonie toccanti che conducevano ad un'ultima nota triste. La solitudine
si diffuse nel laboratorio silenzioso e Maria rimase seduta lla tastiera, testa
piegata, mani posate semplicemente in grembo. Il sistema di supporto vitale si
mise a ronzare. Lei annuì a se stessa e guardò verso Scopes con la testa piegata
in un angolo interrogativo. "Questa è la musica dei geni di una balena che
viveva sulla Terra."
"Stupendo," disse
Scopes.
"E' una scoperta di
Maria," disse Foster. "DNA nella musica. L'orecchio umano è un grande strumento
per il riconoscimento delle strutture, molto più dell'intelletto. Ha programmato
un processore neuro-analogico per modulare l'uscita del sequenziatore del DNA
con paradigmi musicali."
Lei prese un disco e
lesse l'etichetta, "Neuroni umani / fase di crescita". Questa musica era un
canto gregoriano: ragazzi soprano che cantavano all'unisono, in modo lento e
stupendo, echi in una cattedrale immensa. "Questi siamo noi umani che pensiamo,"
disse. "Che creiamo nuovi dendriti, uno ad uno."
Inserì un altro disco.
"DGF". Timpani puri, tamburi energici, ritmi multipli che ondeggiavano avanti e
indietro, arrivando assieme e divergendo, sempre affascinanti.
Foster le allungò un
ultimo disco e lei in silenzio mostrò a Scopes l'etichetta scritta a mano:
Neuroni umani con aggiunta DGF. Lo inserì.
Un'onda di suono si
riversò su di lui. La musica era una sommossa di armonia e ritmo, uno scoppio di
rumore, una enorme fuga pulsante in otto, 16, 32 voci… perse il conto. La fuga
portava verso una risoluzione armonica ma sempre modulata ad un'altra nota in
una magnifica combinazione di controllo e invenzione.
Maria fermò la musica.
Il braccialetto tintinnò nel silenzio. Disse, "DGF farà pensare meglio la gente,
pensare in modo diverso."
Ora capiva perché Bolt
e la General Genes volessero un lavoro da Sezione Sei. Maria e Foster non erano
criminali genetici, erano vessilli viventi che sventolavano un'idea pericolosa.
Scopes provò nel cervello un'infiltrazione fredda, umida, disperata. Non sarebbe
mai riuscito a persuadere Bolt di lasciarli andare e anche se lui avesse
infranto il proprio giuramento e li avesse aiutati a fuggire, la PP li avrebbe
cacciati come si fa con le bestie.
"Ho sintetizzato la
proteina DGF," disse Foster, "e l'ho iniettata nel sangue di Maria. Vive poco
nel sangue umano, solo pochi minuti, ma a Maria è bastato per scrivere il
programma che trasforma le strutture del DNA in paradigmi musicali."
"Quello che hai appena
ascoltato," disse lei, "è il primo prodotto del DGF. Ho spedito a Sour Belly una
copia del mio software DNA-in-musica per fargli vedere cosa avevamo fatto col
gene che aveva scoperto."
"Così voi due non
avete violato le Leggi Geniche?" chiese Scopes.
"No di certo," disse
Maria. "Sappiamo tutto della Sezione Sei."
Scopes la ignorò.
"Avete iniettato la proteina per un breve test, ma non avete inserito il gene
DGF nei cromosomi?"
"Giusto," disse
Foster.
"Devo inviare u
rapporto su Hermes." Forse poteva convincere Bolt. "Non posso fare niente fino
all'alba."
"In questo caso me ne
vado a letto." Foster sbadigliò e sorrise. "E' tardi per una persona anziana."
Se ne andò.
Di colpo Scopes fu
totalmente cosciente di trovarsi solo con Maria nel laboratorio silenzioso, ma
prima che potesse dire una sola parola lei gli si era avvicinata e gli toccava
la cicatrice. "Per favore, raccontami cosa t'è successo."
"Lumena. L'epidemia
emorragica nel 2219, ti ricordi, la gente che sanguinava dappertutto, si
dissanguava, moriva nel giro di pochi minuti?"
Lui annuì, "Mi
ricordo."
"Ero di posto su
Hermes. Inviarono un reparto distaccato intero di PP, dissero che era una
questione di quarantena. Io lavoravo col mio compagno, di nome faceva Blumenthal
ma lo chiamavamo Capitan Blu. Avevamo un rimorchiatore di salvataggio e ci
dissero di saldare i portelli. C'erano due milioni di persone dentro l'isola
abitativa e noi saldammo i portelli." La guardava fissa in viso, in cerca di
disgusto, ma lai era impassibile.
"Mentre eravamo al
lavoro alcune persone si introdussero attraverso una piccola chiusura di
manutenzione. Ricordo che uno tossì quando mi arrivò vicino e il sangue si
sparpagliò per tutto l'interno della visiera. Erano disperati, cercavano di
rubare la nave, cercavano di fuggire. Uno mi acchiappò col laser. La cicatrice è
niente, ma un dito più vicino all'occhio…" Si strinse nelle spalle. "Blu mi
stava cercando, li uccise col cannone Bofors, mi salvò la vita."
"Sei stato fortunato
che fosse tuo amico." Disse.
"Eravamo assieme
all'accademia. Era il mio compagno. Stava attento che non mi succedesse niente
anche se là aveva la moglie e il figlio. Erano su Lumena, voglio dire." Scopes
si grattò la cicatrice e la guardò come un animale in gabbia, cercando la sua
riprovazione, ma lei scosse semplicemente la testa.
"Continua."
"Passammo un'altra
settimana dentro quel rimorchiatore puzzolente, urlando sopra il rombo dei
motori finché non riuscimmo a fermare Lumena. Per allora erano tutti morti,
tutti e due i milioni. Lumena era una carcassa, una bara. La spingemmo a spirale
verso il sole e tornammo a casa. Ma niente fu più come prima. Blu abbandonò il
giorno stesso che tornammo su Hermes. Da allora non ha fatto più nulla, va
avanti in qualche modo, fa il suonatore ambulante nella metropolitana."
"Niente è più come
prima," disse lei e fece girare la sedia per lavorare al proprio terminale.
Estrasse la foto di una bambina delicata coi capelli neri che stava sulla porta
di una capanna di canne. All'interno, nell'ombra, c'era un piccolo televisore a
colori su un tavolo di plastica economico. Dietro la capanna dei ruderi maya
bianchi si alzavano al di sopra della giungla verde. "Sono io a dieci anni.
Avevano appena chiamato da Lumena per dire ai miei genitori che avevo vinto una
borsa di studio.
"I miei genitori
vennero con me su Lumena perché ero troppo piccola. Mio padre ci trovò lavoro,
il primo vero lavoro che avesse mai avuto. Vivevamo su Lumena e ci piaceva, ma
in estate io tornavo nello Yucatàn per stare coi nonni. Ero là nell'estate del
'19, nello Yucatàn. Ma i miei erano rimasti su Lumena, solo due persone tra le
tante, quando avete sigillato le uscite."
Scopes nascose il viso
nelle mani. Non poteva guardarla. Sentì che doveva piangere ma non ci riusciva.
Si sentiva distrutto, incapace di sfuggire alla sua carriera infame. Alla fine
sollevò lo sguardo su di lei e disse ciò che era vero. "Non lo sapevo."
"Hai fatto quello che
si doveva fare. La colpa non era la tua. Quando tutto fu finito, per ricordo
alla memoria dei miei genitori, giurai di fare del mio meglio per liberare la
gente da questa minaccia orribile e costante dell'infezione aliena. Il DGF è la
mia migliore possibilità. Ascolta."
Lei tirò fuori un
altro disco. Sistema immunitario umano: modificato. Questa musica genica era
simile al jazz, roca, spensierata, una marcia brillante suonata da una banda che
un tempo avrebbe potuto avanzare impettita per una strada umida di New Orleans.
Lasciò che la musica
suonasse per un minuto o due. "L'ho fatto con la proteina DGF nel mio sangue.
Posso vedere come modificare il sistema immunitario umano, velocizzare la sua
risposta, farlo improvvisare e reagire con qualsiasi cosa i Biomondi abbiano in
serbo per noi." Lo guardò con fervore. "Voglio liberare la gente dalle isole
abitative, voglio che la gente possa passeggiare per quei Biomondi stupendi e
che il sole possa brillare sui loro visi e che il vento possa soffiare tra i
loro capelli."
E di colpo lui capì
cosa avrebbe fatto. "Ti aiuterò. Mi hanno mandato per applicare la Sezione Sei
su di te e anche su Foster. Ma non lo farò. Infrangerò il mio giuramento."
"Scopes, lo sapevamo
che t'avevano mandato per la Sezione Sei. Sapevamo che avrebbero mandato
qualcuno, ma non mi aspettavo te. Ma questo non importanza. Occorre che tu
faccia quello che hai giurato di fare."
"Non posso," disse.
"Non posso più farlo." Seppellì il viso nelle mani quasi a nascondere la propria
vergogna.
"Allora rovineresti
tutto," disse lei incalzante. "Devi tener fede al tuo giuramento, devi seguire
gli ordini che ti sono stati dati. Contiamo su quello. Solo così potrai rendere
reali i miei sogni." Gli prese la mano. "Sono anche i tuoi sogni, Scopes.
Ricordi?"
Si ricordò delle
discussioni profonde nel centro studentesco e sorrise e le strinse la mano e
disse: "Sì, mi ricordo. E' per questo che mi devi lasciarti salvare."
"No, Scopes. Siamo legati a giuramenti diversi. Il tuo (salvare per Sterilus)
porta alla morte. Il mio porta verso la vita. Salvare per Sacrificius: Salvezza
per mezzo del sacrificio."
Si allungò per
toccargli di nuovo la cicatrice. "Tutti e due dobbiamo essere fedeli a noi
stessi. La verità è la sola base per il futuro che vogliamo." Fece scorrere il
dito lungo tutta la cicatrice e sulle sue labbra. Il tocco era così leggero che
lui sentiva a malapena il calore del polpastrello. Lo baciò, sorprendendolo
quando gli fece passare la lingua attraverso le labbra, lasciando che la
passione di lei fluisse in lui come una potente corrente elettrica.
Più tardi, mentre le
stelle aliene ruotavano lentamente sopra il suo letto, lei dormì tra le sue
braccia, il respiro caldo sulla sua pelle e i capelli scuri arruffati sulla sua
spalla.
Lui restò immobile,
confuso e arrabbiato, ripensando alle vecchie dicerie della PP su Lumena: che
l'epidemia aliena era una cosa deliberata, che la Costituzione per la Libertà di
Lumena era una minaccia troppo grossa per la General Genes, che la corporazione
aveva sparso deliberatamente l'isola abitativa con l'infezione aliena.
Pensò al ruolo che
aveva svolto nell'assassinio dei genitori di lei, e anche della moglie e del
figlio di Blu. Pensò ad Hermes, alla metropolitana che puzzava, alle folle di
impiegati con le uniformi della GG e a Bolt nel suo ufficio che sminuiva in modo
ignorante la genialità di Foster. Pensò alle speranze distrutte della vita di
Blu, e a Maria col suo Giuramento segreto ai genitori morti e al suo discorso
sul sacrificio. Alla fine si stese per baciarle gentilmente il viso
addormentato. Non sapeva che altro fare.
Sulla sua testa un
doppio scoppio sonico spazzò il cielo notturno. Lo shuttle si allineò e voltò
nel suo approccio finale. Bolt si stirò nel sedile si sporse verso le cupole
addormentate. Infilò la mano nella tasca della giacca e accarezzò amorevolmente
il modulo di memoria dello scarabeo.
Bolt uscì a grandi
passi dalla camera di compensazione aggiustandosi i polsini mentre ascoltava il
rapporto di Scopes. Quando Scopes terminò Bolt disse: "Così questa proteina DGF
migliora la crescita dendritica. Quando la proteina è stata iniettata a Mataya
lei ha avuto molte nuove idee. Ora vogliono inserire il gene DGF nel suo genoma
così da poter modificare il sistema immunitario umano. Così tutti vivranno
felici e contenti sui Biomondi. Naturalmente mi sto soffermando solo sui punti
principali."
"Sì. Lei e Foster non hanno infranto le Leggi Geniche."
"E non si applica la Sezione Sei. E' qui il punto? E' per questo che sono ancora
vivi?"
"Sì. Io non l'autorità."
"Ha ragione. Lei è un buon uomo sul campo, Scopes. Lei non ha nessuna autorità
riguardo alla Sezione Sei. Ma ora ci ritroviamo con un difficile problema."
Scopes sentì irrigidirsi i muscoli del viso, sentì la bocca serrarsi.
Mi lasci spiegare, Scopes. La nostra società è pura e stabile, i conflitti del
passato se ne sono andati per sempre. Le politiche sono morte e governa
l'economia. Viviamo in un mondo di commercio interstellare che è scorrevole,
stabile e omogeneo. Perfino le nostre case nelle isole abitative sono costruite
per ottimizzare la salute della nostra specie."
Questa era propaganda
standard della PP. Ma la voce di Bolt andava perdendo la brillantezza
acculturata. "Iper-immunità!" Sputò fuori la parola. "Cosa può significare per
il futuro della nostra specie? Il suo tono s'era fatto duro e gutturale.
"Significa che gli uomini potranno vivere liberamente su tutti i Biomondi e ci
sono milioni di questi pianeti nella galassia. Significa che il linguaggio e la
cultura umani e certamente anche la Biologia umana, divergeranno senza limiti,
proprio quello che noi alla Polizia Pasteur abbiamo giurato di prevenire."
Allungò il dito contro il petto di Scopes. "Controllare la biologia vuol dire
controllare la società. Lei è uno strumento, Scopes, semplicemente uno strumento
creato per controllare la Biologia, creato per preservare la purezza della
nostra specie. Salvare per Sterilus."
Riprese fiato e disse
in tono tranquillo: "Ci troviamo di fronte ad una minaccia seria e altamente
insolita. Il mio lavoro, in qualità di funzionario, è di trovare una soluzione
elegante ai problemi insoliti. Soluzioni legali ma efficienti. Per esempio ho
portato qualche nuova attrezzatura per un test sul campo."
Un'ora dopo, all'alba,
Scopes se ne stava nel fresco della camera di compensazione, l'elmetto tra le
braccia, e si sporse attraverso l'oblò della porta massiccia. Fuori la vasta
savana di Meadow era grigia e scura. Un branco di paracervi si era spostato
nella nebbia mattutina per pascolare attorno alle cupole. Evitò il riflesso del
proprio viso sfigurato e con la barba lunga.
Dietro di lui Bolt
chiuse la cerniera della tuta pressurizzata dai piedi al mento con una sola
tirata e sigillò il casco. I display luminosi del pannello di controllo erano
riflessi sulla visiera di Bolt; i colori gli coprivano il viso come una cruda
maschera di un sacerdote tribale. Bolt estrasse una ad una dalla rastrelliera in
lega grigio smorto quattro pistole elettriche webley SC-4. Scopes fu contento di
vedere che lasciava appeso il lanciafiamme, una taniche di metallo che
scintillava tra tubi disordinati.
Foster era seduto in
un angolo che ricontrollava con attenzione l'equipaggiamento. Delle perline di
sudore gli coprivano lo scalpo nero come se una nebbia si fosse posata sul
pavimento umido di qualche antica città fluviale. Senza dire niente prese una
webley da Bolt e sigillò la tuta.
Maria era accanto alla
serratura che legava indietro i capelli con un nastrino bianco. Portava la
solita camicia di cotone scolorito tanto soffice al tatto. Il bottone della
tasca era attaccato a un filetto bianco. Infilò una confezione di blister in
tasca e ficcò dentro la pattina. Prima di sigillare la tuta tirò di nascosto un
bacio a Scopes. Tirò giù la cassa dello scarabeo nero da sopra la serratura.
Fecero tutti i cicli della chiusura e uscirono nella savana. I paracervi,
sorpresi, si allontanarono scuotendo in modo insolente le code.
Il sole che sorgeva
aveva lavato via le stelle aliene e aveva sbiancato il cielo fino a farlo
diventare un blu pallidissimo, come la camicia di Maria. L'aria era immobile e
gli insetti silenziosi e intorpiditi aspettavano il bianco sole di Meadow per
catalizzare i loro processi chimici. Tutte le lame d'erba alte quanto la vita
erano prostrate in preghiera, la testa arcuata da una pallina di rugiada e ogni
goccia di rugiada era un prisma toccato dal sole. Un vento di zeffiro colpì
l'erba e la vasta savana luccicò e lampeggiò, brillante, cromatica, viva. Scopes
si piegò a cogliere un piccolo fiore blu tirando il gambo carnoso con la mano
guantata. Voleva darlo a Maria. Lei camminava facendo dondolare la cassa dello
scarabeo nero, spigliata e piena di grazia, appariva felice. Il fiore gli
appassì davanti agli occhi e lo gettò nell'erba aggrovigliata.
Dopo una mezz'ora
stavano salendo su una scogliera. Il sole scottava alle spalle e i paragrilli
cantavano, piccoli campanelli che tintinnavano con urgenza prima di una bufera.
Scopes aveva regolato
il termostato della tuta troppo alto e sudava. Poteva sentire il sudore colare
sotto le ascelle e non c'era modo di fare qualcosa per il gocciolare irritante.
Riprogrammò il termostato: LED blu e gialli gli lampeggiarono sulla visiera,
accettando il comando.
Di fronte a lui Bolt
teneva pronta la pistola, con le braccia rigide nella posizione sgraziata
approvata dagli istruttori giù ad Hermes, mentre Foster e Maria se ne andavano
dinoccolati con le armi slacciate ai fianchi.
Dalla cima della
scogliera guardarono giù all'ampia curva del fiume. L'acqua di un marrone lucido
scorreva via veloce dal loro lato mentre rallentava in mulinelli tortuosi
nell'altra riva dove mammiferi e rettili bevevano fianco a fianco, fermi
nell'acqua bassa, con gli uccelli posati sulle spalle. Una fitta nuvola di
insetti volteggiava sopra la mandria e si spostava come fosse fumo.
La mandria si
sparpagliò; un pennacchio di polvere procedette a fatica attraverso la
confusione e si fermò di colpo. Un paracervo era steso di fianco che scalciava
debolmente mentre una transtigre gli squarciava il ventre. Grosse
formiche-avvoltoio alate scendevano a spirale dal cielo battendo l'aria con le
ali chitinose iridescenti. Bolt osservò con attenzione. Scopes fece scorrere la
sicura alla webley e sentì un migliaio di ampere che si riversavano nella canna.
Il raggio laser brillò rosso anche nella vivida luce del sole, la ma la
paratigre non ci fece attenzione mentre masticava la carcassa sanguinolenta del
cervo.
"Faremo qui il test,"
disse Bolt.
Maria aprì la cassa
che portava e estrasse lo scarabeo. Accese la piccola macchina che si mise a
ronzare e per un po' dimenò le zampette. Tenendolo come un bambino tiene una
tartaruga lei si diresse verso il limite della scogliera. La tuta a pressione
non poteva nascondere la schiena diritta o la curva dei fianchi, aveva ancora la
grazia di una ballerina stanca.
Posò lo scarabeo.
Attraverso il fiume la transtigre sollevò la testa insanguinata e guardò verso
di lei. Scopes afferrò la pistola.
Maria girò le spalle
allo scarabeo e tornò indietro. L'andatura era disinvolta e spensierata. Scopes
udì un ronzio e il graffiare di zampe di metallo, vide il sorriso di Maria
mutarsi in terrore. Corse verso di lui urlando. "Toglimelo dalla schiena!"
Si arrestò e si voltò.
Lo scarabeo aveva tagliato la tuta da cima a fondo. I lembi del protocotone
della tuta sventolavano nella brezza. Lo scarabeo si staccò dalla schiena di
Maria e scappò.
Come un antico
congegno ad orologeria che si mette in moto traballando, Foster sollevò la
webley e fece saltare con un solo colpo lo scarabeo colpevole. Scopes corse
verso Maria e la prese tra le braccia. La macchiolina rosso vivo di un mirino
laser gli lampeggiò attraverso la tuta, un avvertimento di Bolt. Scopes si volse
sempre sorreggendola e vide Bolt che disarmava Foster.
Bolt disse: "Foster!
La manutenzione dello scarabeo, i test… di chi era il compito?"
"Mio." Disse Foster.
"Abbiamo avuta una
disfunzione fatale dello scarabeo. L'accuso di negligenza colposa. E' un peccato
che abbia distrutto le prove, non potrete difendervi davanti ai giudici. Metto i
sigilli al vostro laboratorio. Siete consegnato nei vostri quartieri. Domani vi
condurrò su Hermes per gli interrogatori."
"Brucerete
all'inferno," disse Foster.
Maria si sfilò il
casco ormai inutile, tirò il nastrino bianco dei capelli e li fece ondeggiare
liberi nell'aria. "Siete una feccia," disse rivolta a Bolt. "Una feccia che ha
ammazzato i miei su Lumena, una feccia che se potesse ucciderebbe tutto ciò che
è umano. Non vinverete mai."
Si volse verso Foster,
gli fece un gesto col pollice alzato con tutte e due le mano. "Abbiamo fatto del
nostro meglio. Ci siamo andati proprio vicino."
"Più vicino di quanto
possa pensare," rispose Foster. Le fece un segno con la mano, quasi un saluto.
"Sei la migliore."
Si volse e si diresse
verso la cupola. Non c'era bisogno di una scorta, non c'era nessun posto dove
scappare, ma Bolt lo seguì da vicino con la webley appoggiata nella piega del
braccio come fosse un cacciatore di galli cetroni in qualche brughiera scozzese.
"Scopes, finisca la
faccenda," urlò mentre se ne andava. Maria scosse la testa per il disgusto.
Sgusciò fuori dalla tuta spaccata e svolazzante e si liberò dell'involucro vuoto
color giallo elettrico. "Penso che andrò giù al fiume. Vieni con me, Scopes." E
scesero dalla scogliera, tenendosi per mano, le piccole dita affusolate di lei
che si perdevano nel guanto sgraziato di lui. Affondavano i talloni nel fango
lungo la discesa sabbiosa e dei rivoli di sabbia correvano davanti a loro fino
all'acqua.
In fondo lei si
arrestò e inalò profondamente. "Questi mondi sono dei nuovi Paradisi Terrestri,"
disse. Raccolse un fiore, lo annusò, sorrise. "Credimi, profuma di buono."
"Ho fatto quello che
hai voluto tu," disse disperato. "Avremmo potuto rubare lo shuttle, fuggire. Se
solo me lo avessi lasciato fare."
"Per andare dove? Sono
una minaccia troppo grossa per loro. Bolt mi avrebbe braccata e uccisa, anche se
gli ci fossero voluti degli anni. No. Questa era l'unica strada."
"Per morire senza
combattere?"
"la morte senza
opporsi, è questo che significa sacrificio. Scegliere di morire per lasciare il
posto a qualcosa di nuovo, qualcosa di migliore, l'unica cosa che Bolt non può
fare, che non può neppure concepire."
"Fare posto a che
cosa? A questo?" Scopes rise in modo sarcastico.
"Vieni," disse
prendendo la mano guantata e iniziando a guadare il fiume con l'acqua lucente e
marrone che roteava attorno alle cosce, si sedettero fianco a fianco su una
roccia piatta, Maria con la maglietta scolorita, i jeans scuri e bagnati che
socchiudeva gli occhi per il riverbero danzante del sole sull'acqua, Scopes
impacciato nella tuta gialla.
Lei si spogliò e nuotò
nel fiume, a stile libero contro corrente, lasciandosi riportare dalla corrente
verso Scopes, sorridendogli e spruzzandogli la visiera.
Più tardi prese i
vestiti e si sedettero sulla spiaggia. Lui accese un fuoco coi detriti perché
lei iniziava a tremare. La circondò con un braccio e avrebbe desiderato tanto
avere una coperta.
Si mise di nuovo a
tremare irrigidendosi del tutto e il respiro si fece affannoso, una specie di
polmonite fulminante, pensò. I polpastrelli e le labbra erano blu. Il respiro lu
usciva con dei grugniti.
"Nella tasca," disse
con affanno. "C'è la pillola." Nella fretta strappò il bottone lento ma trovò il
flaconcino. Hipercianuro. Le fece posare la testa tra le braccia.
"Babbo, stammi
vicino," sussurrò.
"Sì," disse, ignorando
il suo delirio.
"Grazie." Sorrise e
chiuse gli occhi. Fece scivolare la capsula sotto la lingua e nel giro di venti
secondi era morta. La posò sulla sabbia e le chiuse la bocca delicata con la
mano guantata.
Qualcosa stava
scendendo dalla scogliera dietro di lui. Un robot, mandato dalla cupola, che
portava qualche attrezzo, non poteva vedere cosa fosse. Su in alto c'era lo
sbattere delle ali chitinose e un breve oscurarsi del cielo.
Il robot arrivò. Bolt
lo aveva mandato col lanciafiamme, un richiamo al fatto che la contaminazione
dei Biomondi era vietata.
Quando Scopes ebbe
terminato c'era solo una macchia fumante di terra. Nel tornare indietro vide il
bottone staccato e lo sotterrò con rabbia tra i rifiuti. Per la rabbia fece
roteare il lanciafiamme in un ampio arco verso il cielo e colpì con la fiamma
gialla una formica-avvoltoio. La creatura urlò di terrore e cadde verso terra,
un ammasso fumante di carne e piume.
Tornò arrancando verso
la cupola con soltanto la propria ombra per compagnia. Passò attraverso le
procedure irritanti di decontaminazione con la mente vuota e gli occhi asciutti.
Bolt lo aspettava nel
modulo di comando. "Ho posto sotto sigillo il laboratorio di Foster. Nessun
equipaggiamento, nessun dato può lasciare questo pianeta. Niente. Per sempre."
Foster stava firmando
un rapporto.
"Dovrebbe leggerlo
prima di firmarlo," disse Bolt, sempre da burocrate.
"A che pro? Lo
cambierebbe se non fossi d'accordo?" Bolt gli tolse il foglio, studiò la firma,
piegò la carta e se la infilò in una tasca della giacca.
"Va bene se vado in
camera mia?" chiese Foster. "Ho un sacco di moonshine che non vorrei fare andare
a male. Forse ne dovrebbe provare un po', commissario. Le farebbe bene
sciogliersi un po'."
"Oh, no, grazie, non è
il mio tipo di bevanda," rispose Bolt con tatto.
"E voi, Scopes?"
Un'ora dopo, dopo aver
finito con le scartoffie, Scopes rattristato si diresse lungo il passaggio per
la stanza di Foster dove la musica era forte e veloce, la tromba marciava salda
in testa alla banda, ritornello dopo ritornello, infinitamente inventiva,
ardita, trionfante. Spinse la porta. Foster gli rivolse un ampio sorriso e
afferrò un disco dal tavolo.
"Questo è qualcosa per
lei. Un regalo," disse. "Non è jazz, ma credo che le piacerà. Moonshine music.
Di contrabbando. La migliore merce in tutto l'universo conosciuto." Inserì il
disco. La musica era saltellante, a volte briosa, a volte piena di grazia (come
una ballerina stanca che torna a casa dopo la lezione) e una volta si sentì un
tintinnio vivace che a Scopes ricordò un braccialetto d'argento sbalzato.
"L'originale era grande," disse Foster, "ma mi perdoni, ho aggiunto alcune
battute." Il battere puro di alcuni timpani era quello che aveva aggiunto. Poi
iniziò la magnifica fuga infinita di invenzioni.
Il genoma di Maria,
DGF inserito.
Lanciò il disco a
Scopes. Lo porti a Sour Belly. Saprà cosa farci. Musica nel DNA."
Scopes guardò in
silenzio il disco che teneva in mano. Sorridendo Foster disse, "E' contro le
Leggi Geniche, lo sa. Geni alieni, clonazione, tutta quella roba."
"Vadano a farsi
fottere le Leggi Geniche."
Foster rimise il disco
jazz e la musica aspra riempì la mente di Scopes con quel cortile umido di New
Orleans, con la luce graziosa dei lampioni e la scalinata incurvata. Stavolta
una ragazzina saltellò giù per i gradini a prendergli la mano e il palmo era
soffice e caldo nel suo. Passeggiarono assieme attraverso il lastricato lucido e
al di là del cancello in ferro battuto sulla strada. Si tenevano per mano e
guardavano la banda passare. Un berretto bianco, perduto, stava tra le pietre
del selciato. Era macchiato. La piccola Maria lo raccolse e lo dette a lui.
Soffiò via lo sporco e con accortezza lo rigirò per guardarci dentro. Il nome
che c'era scritto era Blumenthal. Si piegò per sollevare la bambina tra le sue
braccia. Lei lo abbracciò e gli premette il viso caldo contro la guancia
sinistra. La guancia era liscia.