un racconto di Annarita Petrino
Vi scrivo dalla mia camera d’ospedale ora che ho un po’ di tempo. Non
preoccupatevi, non sono grave, solo una gamba rotta e qualche costola incrinata.
Che mi è successo? Nulla a parte innamorarmi follemente di Sara.
La prima volta che la vidi, rimasi folgorato dalla sua bellezza. Ero in
biblioteca per cercare un testo sull’astrologia, così mi avvicinai al bancone
delle informazioni. Lei lavorava ad uno dei terminali per la ricerca.
“Buongiorno signore, che posso fare per lei?” mi chiese puntandomi addosso i
suoi due occhioni verdi
Quello sguardo mi paralizzò e mi fece fare la figura dell’idiota.
“Mi… serve un testo sull’astrologia.” riuscii a dire alla fine
Lei si mise immediatamente al lavoro e mi trovò, a suo dire, il testo più
completo che esistesse sull’argomento.
“Grazie.” mormorai dopo aver preso il numero dello scaffale “Senta… posso
invitarla a cena?”
Quella frase mi uscì così, senza pensarci. Lei mi sorrise e scosse la testa:
“Non credo sia il caso.”
Mi allontanai deluso. Ma come mi era venuto in mente di chiederle a bruciapelo
di uscire con me? Che cosa avrebbe dovuto rispondermi?
Ad un certo punto notai un ragazzo che si avvicinava al bancone, uno di quei
tipi che credono che tutte le donne debbano cascare ai loro piedi. Sentii odore
di guai. Era chiaro che non era entrato in biblioteca per cercare un libro e si
dirigeva sicuro verso il bancone di Sara! Ero pronto ad intervenire.
Vidi il giovanotto gesticolare e sorridere mentre la ragazza si incupiva sempre
più e gli faceva segno di andare via. Il ragazzo non aveva intenzione di mollare
la presa, questo era fin troppo chiaro, così cominciai ad avanzare. In quel
momento però Sara scattò in piedi con due occhi rosso fuoco e afferrò il giovane
per i risvolti della camicia. Poi lo scaraventò lontano, gridandogli di non
farsi vedere mai più.
Rimasi lì dov’ero come pietrificato. Osservando i colleghi di Sara ed i
presenti, mi resi conto che quello che era appena successo non costituiva un
fatto eccezionale. Eppure Sara aveva lanciato quel ragazzo come fosse stato una
pallina da ping pong.
“Chiuda la bocca giovanotto o le si riempirà di mosche.” mi disse un’anziana
signora avvicinandosi. Stando alla targhetta che portava appuntata sulla giacca
era una delle impiegate della biblioteca “Lei non è di queste parti vero?”
“Mi sono trasferito da poco. Vengo dal sud.” risposi continuando a fissare il
bancone
“Ecco spiegata la sua espressione stupefatta. Se vuole stabilirsi qui deve
abituarsi al fatto che qui vivono anche dei cyborg. Non so cosa le hanno
raccontato, ma le posso assicurare che sono inoffensivi… almeno fino a quando
non vengono provocati e Sara in particolare è una ragazza adorabile.”
La signora si allontanò lasciandomi in una confusione di idee. La parola cyborg
entrò a fatica nel mio cervello. Al sud non se ne vedevano, ma sapevo che erano
degli esseri umani in parte meccanici che appartenevano ad una razza superiore
per intelligenza e per forza.
Credo di essere rimasto lì impalato per una buona mezz’ora, mentre il ragazzo si
rimetteva in piedi e lasciava la biblioteca. Sicuramente non si sarebbe fatto
più vedere. Alla fine me ne andai anch’io, senza prendere il libro che stavo
cercando.
Quella notte non riuscii a chiudere occhio. L’immagine di Sara mi ossessionava.
Era la più bella ragazza che avessi mai visto ed a sorpresa il fatto che fosse
un cyborg non guastava l’idea che avevo di lei. Doveva essere mia.
Il giorno dopo mi alzai di buonora e mi vestii elegante, poi andai dal barbiere
e mi feci fare un taglio alla moda. Quindi mi diressi verso la biblioteca
fermandomi a comprare delle rose rosse lungo la strada. Una volta lì, cercai
Sara con lo sguardo e la vidi vicino agli scaffali dei libri di storia. Mi
avvicinai.
“Ciao.” dissi
“Ciao, hai bisogno di aiuto?”
Per tutta risposta allungai il mazzo di fiori verso di lei.
Lei li guardò senza capire: “Che significa?”
“Sono per te.”
“Perché?”
Quella domanda mi sorprese. Poi pensai che probabilmente non era abituata a
questo genere di cose. Questo, però, non mi scoraggiò: “Forse ieri sono stato
precipitoso, ma vorrei riprovarci. Ti va di venire a cena con me stasera? Non
accetto rifiuti.”
Sorrise: “Non accetti rifiuti?”
Lo disse con un tono che poco aveva in comune con il sorriso di poco prima. Io
però ero determinato.
“Infatti.”
“E questi?” chiese prendendo i fiori
“Sono per te, te l’ho detto. Dei bei fiori per una bella ragazza.”
Non sembrò particolarmente colpita dalla frase, ma alla fine disse: “Va bene.”
Rimasi lì a fissarla come uno stupido, poi sorrisi a mia volta e ci mettemmo
d’accordo per vederci sotto casa sua. Andai via con il cuore che mi batteva
all’impazzata. Stavo toccando il cielo con un dito.
Aspettai l’arrivo della sera con ansia crescente. Durante la giornata mi fermai
a pensare più di una volta, se quello che stavo facendo fosse giusto o meno.
D’altronde Sara era una cyborg ed io ne sapevo così poco sul loro conto.
Eppure riflettere sulla nostra differenza non bastò a farmi demordere. Sara
doveva essere mia ed avrei usato ogni mezzo a mia disposizione per riuscirci.
Quando l’ora dell’appuntamento si avvicinò, uscii di casa in preda ad una strana
eccitazione. Presi la macchina e raggiunsi l’indirizzo che Sara mi aveva dato.
Ero puntualissimo ma lei era già lì, ferma sul marciapiede che mi aspettava.
Certo, nel caso di una ragazza umana avrei dovuto attendere molto di più, ma il
fatto di non sapere da quanto tempo fosse lì mi provocò un leggero fastidio.
“E’ molto che aspetti?” le chiesi mentre saliva in macchina
“Solo un quarto d’ora.”
“Mi dispiace.”
“Non preoccuparti. Ero io ad essere in anticipo.”
Annuii e mi rimisi a guidare, ma lungo il tragitto non riuscii a fare a meno di
lanciarle delle lunghe e furtive occhiate. Indossava un vestito nero molto sexy
aperto sulla schiena e corto fin sopra il ginocchio ed ora che mi era seduta
affianco le arrivava ancora più su.
Arrivammo in perfetto orario al ristorante italiano che avevo scelto per
l’occasione. Il nostro tavolo era un po’ appartato e questo mi diede modo di
parlare liberamente per tutta la serata e di vincere l’imbarazzo iniziale.
Scoprii che avevamo molti interessi in comune e che lei possedeva un’indole
dolce che non avevo sospettato. Lentamente si instaurò tra di noi una sorta di
feeling. Quando però arrivammo al dessert qualcosa turbò quella magica
atmosfera. Un uomo alto, magro, sulla trentina, comparve in fondo al locale. Lo
sguardo di Sara cambiò impercettibilmente mentre veniva avanti.
“Sara!” disse con voce ferma ma incredibilmente calma
Reagii d’istinto alzandomi in piedi e chiudendo le mani a pugno. Qualcosa mi
diceva che non si trattava di un vecchio amico. Al primo accenno di minaccia se
la sarebbe dovuta vedere con me. Invece mi superò e si fermò proprio di fianco a
Sara.
“Che cosa vuoi George?” chiese lei senza alzare lo sguardo
“Cosa stai facendo qui?”
“Non lo vedi? Sto cenando.”
Il volto di Sara appariva molto rilassato, nonostante la freddezza delle sue
parole ed anche il viso del giovane a parte un’ombra contrariata non mostrava
nient’altro. In ogni caso stava rovinando il nostro appuntamento!
“Ascolta amico,” dissi allora “la signorina ed io stavamo cenando e tu ci hai
interrotti.”
“E tu chi saresti?”
“Sei tu che dovresti presentarti, visto che sei piombato qui all’improvviso.”
risposi portandomi di fronte a lui
“Togliti dai piedi.”
Alzai i pugni. Sara capì con una frazione di secondo di ritardo quello che avevo
in mente. Mi avventai contro quell’individuo ed alcuni istanti dopo mi ritrovai
a terra con il naso che mi pulsava e mi faceva male. Cercai di alzarmi per
suonargliele, ma un violento giramento di testa mi costrinse a restare a terra.
Delle persone cominciarono ad affollarsi intorno a me. Alcune scuotevano la
testa, altre commentavano a bassa voce. Un liquido caldo cominciò a scorrermi
lungo l’angolo della bocca e giù per tutto il mento. Sangue. Quel figlio di
puttana mi aveva rotto il naso. Lo cercai con lo sguardo, furente e lo vidi che
parlava con Sara. Lei gli fece segno di andarsene e lui, dopo avermi lanciato
un’ultima occhiata, lasciò il locale. La ragazza mi si avvicinò e mi aiutò ad
alzarmi.
“Mi dispiace.” dissi mentre con estrema facilità mi rimetteva in piedi “Chi
diavolo era?”
“Mio marito.”
Allora capii. L’apparente fragilità, la calma ostentata, la velocità con la
quale mi aveva colpito. Un cyborg!
“Perché hai alzato i pugni?” mi chiese porgendomi un tovagliolo
“Per difenderti in caso di necessità.”
Lei sospirò ed io mi resi conto della stupidità di quell’affermazione. Poi mi
condusse fuori sotto lo sguardo curioso dei presenti. Mi fece salire in macchina
e si mise al volante. Non feci obiezioni. Il naso mi faceva troppo male per
guidare e poi sanguinava.
“Non preoccuparti,” mi disse “non è rotto. George avrebbe potuto farti male sul
serio, se avesse voluto.”
Non potevo che darle ragione. Arrivammo fino a casa sua. Mi aiutò a scendere e
poi ad entrare nel suo appartamento.
“Mettiti comodo.” mi disse per poi sparire in cucina.
Tornò con del ghiaccio che servì a ridurre il gonfiore e a fermare la
fuoriuscita di sangue. Mi sentii subito meglio anche perché ero incredibilmente
vicino a lei. Più di quanto avessi sperato per quella sera.
Fu lei a prendere l’iniziativa. Mi baciò e poi facemmo l’amore. Se fosse stato
per lei saremmo andati avanti tutta la notte, ma io era solo un uomo.
Al mattino ci svegliammo ancora abbracciati.
“Devi andartene ora.” mi disse
“Perché mai?”
“George sta per arrivare.”
“Abita con te?”
“E’ mio marito, te l’ho detto.”
“Non ho intenzione di scappare come se avessi fatto qualcosa di male.”
“Andiamo, per favore!”
Mi rivestii, ancora dell’idea di riprendere il discorso. Ma lei mi dissuase
spingendomi delicatamente ma con decisione verso l’ingresso, dove mi salutò con
un bacio.
Quando aprii la porta me lo trovai davanti.
“Ancora tu.” disse George con calma
“Si ancora io. Se non sbaglio io e te abbiamo un piccolo conto in sospeso.”
“Ti sbagli, l’abbiamo chiuso ieri sera.”
“Ok amico.” dissi tirandomi su le maniche “E’ ora di risolvere la questione.”
“Sono d’accordo, perciò sparisci e non farti più vedere. Questa è casa mia.”
“Ora basta. Questo è il mio appartamento.” intervenne Sara con gli occhi rosso
fuoco “Quindi ora ve ne andate entrambi.”
Mi sentivo infuocare dalla gelosia al pensiero che quell’individuo girasse
ancora intorno a lei. Scesi le scale e lui mi seguì a pochi passi di distanza.
Una volta fuori dall’edificio lo fermai.
“Ora ascoltami bene amico. Ho intenzione di continuare a vederla e non voglio
che tu ti metta di mezzo.”
“Non sei nella condizione di dare ordini. Sono io il marito.”
“Si, ma a quanto pare lei non ha più molta voglia di averti intorno.”
“Questo lascialo decidere a lei.”
“Credo l’abbia già fatto… questa notte.”
“Non ritengo abbia importanza.”
“Va bene, se non vuoi convincerti con le buone, userò le cattive.”
Mi lanciai contro di lui senza preavviso, ma questo non mi aiutò ad avere la
meglio.
Ora sono qui in questa camera d’ospedale, ma come vi dicevo non sono grave. Mi
dimettono oggi. Devo passare all’accettazione per firmare il foglio d’uscita.
Oggi di turno c’è Rosy.
“Ecco fatto.” dico restituendo il foglio
“Grazie Alan.”
“Tienimi da parte la stanza per domani. Credo che ce ne sarà bisogno.”