intervista di Giuseppe Iannozzi

Difficile incontrare romanzi importanti, ben scritti, che non siano il solito
libro usa & getta. Aycelin il templare di Roberto Querzola non è
semplicemente un romanzo ben scritto, è un Capolavoro di contenuti e stile: al
rigore storico, che fa da sfondo alla storia di Aycelin, si accompagna un
linguaggio estremamente corretto, uno stile impeccabile. Rarissimamente mi
capita d’incontrare un romanzo che sia pienamente un capolavoro con la C
maiuscola: nell’opera di Querzola non c’è mai traccia di banalità o di
elementi superflui. Era dai tempi de Il nome della Rosa di U. Eco
che non leggevo romanzo tanto appassionante, rigoroso, ma sempre avvincente
anche nei momenti più drammatici che sono nella trama. Il rigore storico è
validamente supportato da personaggi tratteggiati con naturale icasticità: è
così possibile agli occhi del lettore aver di fronte - nell’immaginazione - un
perfetto quadro storico-avventuroso che si dipana come pellicola d’un film. Non
mancano neanche momenti di assoluto lirismo che fanno di Aycelin un personaggio
capace di evadere dalla prigione che è la mera narrazione: in realtà, siamo a
contatto con una capacità affabulatoria rara che solo una grande penna come
quella di Roberto Querzola poteva metter in piedi senza stonature.
Aycelin, il protagonista di questo romanzo, è dapprima un giovane, forte e
valoroso, forse troppo facile agli ardori giovanili; ma sarà l’amicizia con
Rainolfo a portarlo alla maturità, molto presto. Aycelin, generoso e di belle
speranze, guarda al mondo con occhi incantati quasi: colto, intelligente, onesto
e leale, il mondo lo sa brutto ma solo perché così gli è stato descritto
attraverso le pagine dei libri. E’ l’incontro con Rainolfo a far maturare
Aycelin: eventi tragici si presentano presto sulla strada dei due, dividendoli.
Ma non è del tutto vero, perché Rainolfo continuerà, per tutta la vita, ad
essere l’angelo custode - e forse, anche un po’ la coscienza - di Aycelin.
Aycelin, dopo aver perso la donna amata e Rainolfo, dopo aver vagolato nelle
latebre del suo io sempre cacciandosi nei più remoti e sordidi angoli della
terra, finalmente incontrerà sé stesso: diventa un Templare. E risorge a nuova
vita, emergendo da quelle viziose latebre che l’avevano assorbito - è l’età
della maturità. Il dolore per la perdita degli affetti non scompare mai del
tutto, ma adesso Aycelin è un Templare. Insieme al Gran Maestro Giacomo di Molay,
Aycelin dovrà prestare il suo braccio e il suo cuore all’onestà; e lo farà con
tutto sé stesso sempre ricusando ogni forma di ipocrisia e connivenza. Filippo
il Bello perseguita l’Ordine dei Templari e mira a conculcare Papa Clemente V:
il Papa è un debole, rappresenta l’estremo fallimento d’una Chiesa oscurantista
e sottomessa al potere della “politica”. Aycelin riuscirà a rimanere fedele alla
giustizia e all’onestà, nonostante le congiure ordite contro l’Ordine dei
Templari. In un’epoca barbara, Aycelin sarà Templare fra i templari senza mai
abiurare il più grande sentimento che è della vita, quello dell’amicizia;
Rainolfo è sempre nel suo cuore, e veglia su di lui spiritualmente ma anche in
maniera concreta. Dopo anni di separazione, durante i quali Aycelin aveva
creduto l’amico morto, i due amici si ritroveranno in un abbraccio reale (ideale),
quello di due fratelli. E Rainolfo racconta all’amico quella porzione di vita,
del suo passato, che Aycelin non sa: la donna che ha amato, seppur per pochi
giorni perché subito divisi, gli ha fatto dono di una figlia. Nell’età della
vecchiaia, Aycelin verrà tradotto insieme al Gran Maestro Giacomo di Molay in
sordide celle: l’accusa è quella di eresia. Saranno anni di torture e di
svilimento per i Templari: dopo inenarrabili supplizi operati nell’anima così
come nella carne, molti confesseranno crimini di cui non sono assolutamente
colpevoli. E’ in questa ultima e terza fase della vita di Aycelin che il non più
giovane templare darà prova di tutta la sua forza di carattere, della sua onestà,
fino alla ferale conseguenza che farà di Aycelin uno spirito libero nulla
affatto compromesso con quel potere politico che l’avrebbe voluto piegato e
sottomesso.
Tra i tanti romanzi dedicati ai templari, al medioevo, agli ordini cavallereschi,
che impazzano in libreria e che si fanno leggere portando solamente noia,
Aycelin il templare di Roberto Querzola invece incolla il lettore
alle pagine del libro, perché l’Autore osa sfidare la banalità per tradurla in
originalità assolutamente godibile. Non un semplice romanzo, ma un Capolavoro
che merita la piena attenzione dell’attuale critica - troppe volte disattenta -
e l’affetto dei lettori.
Aycelin Il Templare - Roberto Querzola - Aliberti Editore - Collana tre -
€ 14,00 - 308 p. - ISBN 88-7424-015-5
AYCELIN IL TEMPLARE
Intervista a ROBERTO QUERZOLA
a cura di Giuseppe Iannozzi
1. Innanzitutto, Roberto Querzola, chi è? Lo scrittore e l’uomo.
Certo che inizi con una domanda che ha un bello spessore, di quelle che
incutono soggezione. Con il facile rischio, per chi deve rispondere, di
lasciarsi andare ad un cumulo di banalità. Semplificherò la risposta per tentare
di contenere al minimo il rischio di cui sopra. Sono un uomo che ha oltrepassato
da alcuni anni il capo della quarantina, mentre sono scrittore da poco meno di
sei anni. Il lungo rodaggio come uomo mi ha portato a corredarmi di tutto il
sacrosanto bagaglio (e a volte fardello) di esperienze. di passioni, di
entusiasmi, di errori e di illusioni. La mia giovane età come scrittore mi fa da
schermo contro le disillusioni e le apatie e mi consente ancora di librarmi in
quei meravigliosi territori, mai abbastanza esplorati, che si chiamano fantasia
e creatività.
2. Come hai iniziato a scrivere? Per quale esigenza?
Come ti ho detto, non sono passati tanti anni da quando ho iniziato a
scrivere. Perlomeno, a fare sul serio. A dire il vero, anch'io, come tanti,
scrivevo quando ero poco più che ragazzino. Poi i casi della vita mi hanno
portato verso altri lidi che non contemplavano affatto la scrittura. Qualche
anno fa ho cominciato a scrivere degli articoli giornalistici per un quotidiano
della mia città - Forlì - e, poco tempo dopo, ho partecipato ad un corso di
scrittura creativa. Lì ho preso l'abbrivio. Ho ricevuto una specie di
folgorazione, ho scoperto la potenza espressiva della parola scritta
(naturalmente stando, per la prima volta, dalla parte dell'autore) in uno con la
mia vena di narratore. E' così che ho cominciato ed ho deciso di mettermi alla
prova in questo difficile, difficilissimo, eppur così affascinante, cimento. Ho
scritto il mio primo romanzo (Uno stregone alla corte dell'anno mille) e, sulle
ali di un sempre più montante entusiasmo, il secondo, Aycelin il templare.
3. Quali gli autori che hai maggiormente amato e che ancor oggi - forse -
t’ispirano nel tracciare le trame dei tuoi romanzi?
A questa domanda potrei dedicare molte pagine perché davvero sconfinata è la
mia passione per la lettura. Paradossalmente ancora più forte di quella per la
scrittura. Non volendo, però, tediare il lettore, mi limiterò a citare (e non
tutti) solo quegli autori le cui opere hanno lasciato in me una traccia
importante, in alcuni casi indelebile. Comincerò da quando ero un ragazzino.
Avevo nove o dieci anni e mi abbeveravo alla superba capacità evocativa dei
mirabolanti racconti di Emilio Salgari. Credo proprio di aver attinto da lui la
passione per i romanzi d'avventura. Anche perché mi sa tanto di aver letto tutta
la sua produzione, una novantina di romanzi o giù di lì. Altri romanzi che
apprezzavo a quell'epoca erano quelli di Calvino. Il mio preferito era il Barone
rampante. Crescendo, ho preso ad appassionarmi agli scritti dei grandi della
letteratura russa e francese del settecento e dell'ottocento. Dostoevskij,
Tolstoj, Puskin, Zola, Flaubert, Maupassant, Dumas, Gautier. Insomma, in tema di
letture, sono stato legatissimo, in tutti quegli anni che sono soliti essere
definiti quelli della formazione, ai grandi autori classici ai quali ritengo di
essere debitore, nella mia novella veste di scrittore, di un tributo
elevatissimo. Naturalmente, scorrendo le primavere, i miei orizzonti di letture
si sono notevolmente ampliati e posso dire che oggi mi ritengo un lettore,
scientemente e felicemente, onnivoro. Anche se devo aggiungere che per
"deformazione professionale" un occhio di riguardo lo devo riservare, per ovvi
motivi, agli autori di romanzi storici. E sono felice di constatare che un
sempre maggior numero di autori si sta cimentando in questo genere letterario
che, dopo anni di (per me) incomprensibile abbandono, sta vivendo un esaltante
momento di rinascita. Per concludere la risposta, ti cito soltanto due autori ai
quali debbo molto e verso i quali la mia ispirazione è debitrice. Il primo è il
grande Manzoni. Punto fermo per tutti coloro che scrivono romanzi storici, con
il suo Promessi sposi, sintesi mirabile e originale di un'ideologia e di una
concezione della vita e del mondo. E poi l'autore che, in assoluto, ho amato di
più: Victor Hugo. Un unico aggettivo: grandissimo.
4. “Aycelin Il Templare” è la tua seconda Opera pubblicata. Perché
scrivere di un Templare e non di un aviatore, ad esempio?
Perché nel Medio evo non c'erano ancora gli aviatori. Poi perché del mondo
degli aviatori, ti confesso, conosco ben poco. Però mi hai dato un'idea. Anche
perché dalle mie parti (precisamente a Lugo di Ravenna) è vissuto un famoso
"comandante dell'aria" che ha compiuto celeberrime imprese nel corso della I
guerra mondiale. Il suo nome era Francesco Baracca. Vedrò di documentarmi.
5. Il tuo romanzo è un concentrato di passione e rigore storico, di
ricerca del Sé, di avventura: chi è (stato) Aycelin?
Aycelin è un bel tipo. Così, almeno, spero di averlo dipinto. Da queste e
dalle prossime parole si capirà quanta (insana) passione io provi per lui. Il
libro Aycelin il templare tra le varie categorie alle quali può essere
ricondotto credo possa annoverare quella del romanzo di formazione. E Aycelin è,
appunto, uno che cerca se stesso, la propria strada. E' un personaggio che, ad
un certo punto della sua vita, si perde e non sa più che pesci pigliare. Poi la
fortuna comincia a girare dalla sua parte ed è così che gli accade di incontrare
la salvezza tra le braccia del Tempio. Solo in questo modo, infatti, egli
riuscirà a coniugare quell'istinto di indomito combattente che da sempre avverte
dentro di sé e la forte tensione spirituale che viene, a mano a mano,
delineandosi e cementandosi sempre più nella sua anima. Riuscirà cioè a riunire,
in una mirabile sintesi, la fortitudo del guerriero alla mansuetudo del monaco.
Affascinante, non credi?
6. Gli ultimi vent’anni - giusto per non spingerci troppo indietro nel
tempo - hanno visto il ritorno dei templari all’interno di parecchi romanzi -
ahimé usa e getta -, generando un quasi disgusto presso gli ambienti critici e
non. Ma il tuo “Aycelin Il Templare” è romanzo scritto talmente bene, con verve
assolutamente originale, che si lascia letteralmente divorare sino all’ultima
pagina. Si avverte chiaramente che è Opera che ha richiesto non poca passione e
seria ricerca. Potresti dirci come hai maturato e “cesellato” il personaggio
Aycelin, quali difficoltà hai incontrato?
Per rispondere alla tua domanda, permettimi di esordire compiendo una, spero
veniale, professione di immodestia. Giustamente, come tu dici, negli ultimi
tempi i templari e il loro mondo sono stati "presi a prestito" e finanche
"saccheggiati" dalla letteratura e dalla cinematografia. Sotto molteplici
aspetti: quello storico, che io prediligo in assoluto, e quello misterico o
mitologico, ovvero, per dirla in una sola parola, il c.d. templarismo. Quello
che mi rende soddisfatto (e per certi versi un po' contrariato) è il constatare
che ben pochi, per non dire nessuno, di questi romanzi od opere cinematografiche
ha avuto l'umiltà o semplicemente l'interesse di calarsi all'interno di quel
mondo a 360 gradi come spero di aver fatto io con il mio romanzo. Quello che mi
interessava era penetrare la realtà di quei famosi monaci-guerrieri, immergermi
fin in fondo alle loro ideologie, ai loro costumi di vita, alle loro lotte, alle
dispute interne e alle loro corruzioni, ai loro pregi ma anche ai loro difetti.
Soprattutto in questi ultimi tempi mi pare, invece, che l'apparente attenzione
di molti autori verso i templari celi nient'altro che un mero intento
commerciale senza che alla base vi sia un reale interesse verso quel mondo,
verso quella fantastica epopea che merita, al contrario, tutto il nostro
rispetto e la nostra attenzione. Insomma, non mi sembra edificante che per
compiere una mera operazione commerciale si usi il "marchio" templare e tutto
quello a cui ci si limita è creare qualche inconsistente personaggio (il più
delle volte il templare, secondo l'iconografia classica, è visto né più né meno
come l'incarnazione del male) e qualche situazione storica che ha in qualche
modo superficiale a che vedere con quel mondo. Per quanto riguarda il
personaggio Aycelin, posso dirti che non ho avuto particolari difficoltà a
crearlo. Anche perché, fin dall'inizio, ho inteso "cesellarlo" come un templare
"medio". Mi sono chiesto come doveva essere, a quei tempi, la condizione di un
nobile cadetto destinato, per tradizione, alla carriera ecclesiastica e,
tuttavia, animato da uno spirito indomito e ribelle proprio di molti altri
giovani come lui. E mi sono detto che, probabilmente, non vi poteva essere nulla
di più allettante che varcare le soglie di un ambiente, in quel caso una
confraternita, che gli permettesse di esprimere al massimo grado quelle due
anime che, per censo e per temperamento, gli erano più congeniali. Ecco com'è
nata, in maniera de l tutto semplice, l'idea di quel personaggio.
7. Quanto è importante l’amicizia per Aycelin? E più martire o eroe del
suo tempo?
Direi che è fondamentale. Come immagino avrai notato, in "Aycelin il
templare" il sentimento che la fa da padrone, ancor più dell'amore, è proprio
l'amicizia. Sì, mi sembra proprio che il rapporto che si instaura, si sviluppa e
si cementa, pur tra mille peripezie, tra Aycelin e Rainolfo possa essere
considerato davvero un'intensa e toccante storia d'amicizia. Peccato (spero
converrai) non poter dire di più su queste pagine per non togliere, com'è ovvio,
il piacere della lettura. Alla seconda domanda posso rispondere che Aycelin non
credo sia né l'uno né l'altro. Egli è piuttosto l'archetipo, se così posso
esprimermi, degli istinti primordiali, delle tensioni emotive e dei dubbi
esistenziali che sono propri di buona parte del genere umano, indipendentemente
dalle varie epoche storiche. Affatto peculiare è, piuttosto, il contesto nel
quale egli è chiamato a vivere le sue vicende e a prendere determinate
decisioni. Mi è caro pensare che molti di noi, al suo posto, si sarebbero
comportati più o meno alla stessa maniera. Con tutti i limiti propri della
natura umana, ma anche con gli insopprimibili slanci e ardori che solo ideali
"forti" riescono a regalare all'uomo.
8. In “Aycelin Il Templare” ci sono idealmente tre tempi: quello della
giovinezza, quello della maturità ed infine quello della vetustà. Potresti dirci
come mai tre tempi, un’ideale trinità per disegnare la vita d’un uomo, dei suoi
ideali, delle sue paure?
Può essere che con la tripartizione dei tempi del romanzo io abbia voluto
evidenziare l'ideale trinità che tu dici. Una prima parte nella quale la vita
del giovane uomo è caratterizzata dal continuo porsi dei quesiti e dal
tentativo, non sempre fruttuoso, di darvi delle risposte; una seconda dove la
maturità conferisce certezze e ausilio all'attuazione dei propri ideali di vita;
una terza nella quale, con la vecchiaia, giunge il redde rationem e l'uomo
interroga a fondo, sperando di trovarvi conforto, la propria coscienza.
9. “Aycelin Il Templare” non è una semplice - o semplicistica - avventura,
è anche, e soprattutto, un romanzo storico dove la religione e la fede hanno un
loro specifico ruolo: potresti introdurci dentro questo ruolo e nella sua
importanza?
Quando ho iniziato a scrivere Aycelin, non avevo ben chiaro in mente che la
religione e la fede avrebbero avuto quel ruolo di rilievo che poi hanno,
effettivamente, avuto. Diciamo che, a grado a grado, mi sono fatto prendere la
mano. Concordo con te. Nel romanzo, la fede (ancor più della religione) assume
un suo ruolo quasi autonomo, concreto. E' la fede, infatti, che muove buona
parte delle vicende dei personaggi (e non solo i principali ma anche la schiera
dei comprimari), che ha la forza di determinare passioni ed epiche lotte. Nel
contesto religioso in cui ho ambientato la mia storia (quello del secolare
scontro tra cristiani e mussulmani), naturalmente, il mio non è un punto di
vista neutrale. E come potrebbe esserlo? Spero, comunque, di aver lanciato un
messaggio di tolleranza e aver lasciato intendere, a ben leggere tra le pieghe
delle pagine, che la verità non è mai completamente da una parte sola e che c'è,
in ogni caso, molto da imparare anche da coloro che, per cultura, tradizione,
orientamenti politici e religiosi, consideriamo nemici. Ecco cosa giunge a dire
un'anima (divenuta) pia come quella di Aycelin: "Il Tempio mi ha insegnato tante
cose veramente degne di nota, ad esempio che si può anche combattere un popolo
che ci è nemico, che professa un'idea religiosa diversa dalla nostra, che è
portatore di aspirazioni e di interessi pure radicalmente diversi dai nostri, ma
che, nondimeno, si può giungere ad apprezzarlo e, in certi casi, fino ad
ammirarlo. E dai miei correligionari, dai miei fratelli nella Chiesa, cosa ho
invece imparato? Quale dunque l'ammaestramento che debbo trarre da questa
infausta vicenda?...
10. A mio avviso, nel tuo romanzo c’è un po’ di quella magia che fu di
Hermann Hesse… la magia di romanzi quali “Narciso e Boccadoro”, “Il giuoco delle
perle di vetro”, “Siddharta”, ma anche la grazia e la forza espressiva di un
lavoro come “Il Nome della Rosa” di Umberto Eco. Come sei riuscito ad ottenere
un simile risultato così tanto ben equilibrato? Non nego che leggendo il tuo
romanzo ho pensato - e qui lo dico a chiare lettere - che era dai tempi de “Il
Nome della Rosa” che non leggevo un’opera così forte e ben scritta.
Forse perché l'equilibrio albergava in me in grande copia? A parte gli
scherzi, il tuo è un giudizio che mi onora. Un'elementare regola attinente il
pudore vuole che, in tali casi, il diretto interessato si goda il lusinghiero
complimento e non profferisca parola.
11. Oltre all’amicizia, quali altri valori introduce (consolida) “Aycelin
Il Templare”?
Della fede religiosa abbiamo già detto. Altri valori che vengono fuori, credo
in maniera molto forte, dalle pagine del libro sono quelli della dignità e
dell'onore. Che si ritrovano nel mantenimento della parola data, nel ben
comportarsi in battaglia, nel non venir mai meno agli ideali per i quali si è
combattuto. Penso che Aycelin, uomo d'onore nel senso più nobile del termine,
ritenga questi valori irrinunciabili per sé.
12. In merito al tuo stile: rarissimamente mi capita d’incontrare
scrittura tanto perfetta. Questa è più una dovuta lode che non una domanda; ma
se hai qualcosa da dire in proposito, dì pure.
Ti ringrazio per il complimento. Quello che posso dirti è che per essere
scrittore, secondo il mio parere, occorre un naturale istinto affabulatorio,
un'innata capacità di evocare, ovvero tradurre in un linguaggio compreso da
(quasi) tutti quanto è possibile trarre dalla fantasia e il talento di destare
interesse e curiosità con le storie che si raccontano, tutte caratteristiche che
non si acquisiscono. Ma insieme a queste, nel mestiere dello scrittore, vi è
tutta una serie di "strumenti" che possono essere affinati con l'impegno e il
sacrificio. La dimestichezza con la sintassi e la grammatica, per esempio, o lo
studio delle regole dei vari linguaggi e delle diverse tecniche creative.
Insomma, se non si hanno le doti naturali a cui facevo cenno, non si riesce
neppure ad iniziare a scrivere una storia, ma se non vi è un impegno costante
volto ad "esercitarsi" al mestiere di scrivere, si corre il rischio di cadere in
quelle che possono essere considerate le "trappole" più pericolose per uno
scrittore: la piattezza narrativa e la trascuratezza stilistica. Ecco perché io,
proprio per evitare di commettere quegli errori, cerco di affinare e di
padroneggiare sempre di più quegli strumenti.
13. E’ possibile guardare a “Aycelin Il Templare” anche come ad opera
fantasy, e se sì, perché?
Non credo che il mio romanzo possa essere guardato come ad opera fantasy.
Piuttosto è probabile che questa chiave di lettura possa attagliarsi all'altro
mio romanzo, Uno stregone alla corte dell'anno mille. In Aycelin non mi pare che
vi siano le caratteristiche, anche solo marginali, che possano farlo rientrare
in quella categoria. Romanzo storico, opera di formazione, libro d'avventura, ma
non, dunque, opera fantasy.
14. Credi che ci sia una netta differenza fra il fantasy e il romanzo
storico?
Non credo ci debba essere necessariamente una netta differenza; spesso, i due
generi sconfinano l'uno nell'altro. Dico solo che nel mio Aycelin mancano
completamente gli elementi propri del genere fantasy. E non solo perché il mio
romanzo non è popolato da maghi, troll, elfi, nani e draghi, ma perché, sebbene
il mondo dei templari possa essere considerato un mondo fantastico, le vicende
che io descrivo non hanno nulla di propriamente fantastico. Piuttosto - così,
almeno, io spero - di attraente, di avventuroso, di misterioso. Questo sì. Ma
non di fantastico. Riassumendo: è fantastica la cornice che fa da contorno alla
mia storia ma non le vicende che in essa traggono origine e nelle quali non v'è
spazio per l'occulto o il soprannaturale (tranne Dio), né per utopiche
allegorie. Insomma, io credo di aver preso in considerazione e parlato dei
templari in quanto uomini e non in quanto miti.
15. Nel tuo “Aycelin” si parla anche di inquisitori il cui volto è
tremendo, ma in alcuni casi umano. Perché l’inquisizione e la disfatta
dell’Ordine dei templari?
Semplicemente perché l'inquisizione e la disfatta dell'Ordine dei templari
sono parte integrante e sostanziale di quella fantastica epopea. Ho pensato che
se non avessi fatto tappa, nel mio excursus storico, verso quei drammatici e
fondamentali momenti, il mio proposito di penetrare, fin nei recessi, l'anima
templare sarebbe risultato, in qualche misura, incompleto. E poi, per dirla
tutta, vuoi mettere la potenza drammaturgica di quelle straconosciute pagine
della storia? La ghiotta opportunità di trasferire tutto il relativo pathos
sulla pagina scritta?
16. Quali i tuoi progetti per il futuro? Stai già lavorando al prossimo
romanzo, e se sì, potresti darci qualche ghiotta o timida anticipazione?
Sto lavorando, ormai da alcuni mesi, sulla scalettatura e sull'intreccio
narrativo di quello che, se mai vedrà la luce, sarà il mio prossimo romanzo.
Dovrebbe intitolarsi "Il condottiero boemo". Narra delle vicende di uno dei più
grandi generali della storia: Albrecht Wallenstein. Il celeberrimo comandante
delle armate imperiali durante la prima fase della guerra dei trent'anni. Figura
inquietante e affascinante al contempo. Diciamo che incarna un po' la figura
dell'eroe negativo. A pensarci bene, l'esatta antitesi di Aycelin. Di
Wallenstein parla il Manzoni nei Promessi sposi quando cita la calata delle sue
truppe in Italia (i famosi lanzichenecchi) che si conclude con la presa di
Mantova. A suo riguardo è molto conosciuta la trilogia teatrale che ha composto
Schiller. E', del resto, su quelle pagine che mi sono innamorato del
personaggio, della sua grandezza, nel bene e nel male. Del suo sogno (o delirio)
di grandezza e onnipotenza e, quale parabola della vita, della sua tragica fine.
Delle sue contorte macchinazioni politiche (in buona parte, ancor oggi,
incomprese nella loro reale portata dagli studiosi), della sua consapevolezza di
uomo che si sente chiamato ad una missione superiore (la pacificazione tra i
popoli e le diverse istanze religiose) e che accetta - tutto sommato, con
dignità - la sorte che ne consegue ineluttabilmente. Va da sé che attorno a lui
ruoterà tutta una serie di personaggi minori, fittizi e reali, ma non per questo
meno importanti. Tra quest'ultimi un posto di rilievo sarà occupato dal grande
astronomo nonché astrologo Giovanni Keplero che, nell'ultima parte della sua
vita, incrocerà il suo cammino con quello di Wallenstein. E questo quale
conseguenza della nota passione del generale boemo per tutto quanto avesse a che
fare con gli astri e con la loro (presunta) facoltà di influenzare i destini
umani.
17. Domanda ormai d’obbligo, un mio marchio temo: se Roberto Querzola dovesse
rivolgere una domanda a sé stesso, che cosa gli chiederebbe? E quale risposta si
darebbe?
La prima che mi viene in mente. Cosa mi aspetto da questa mia nuova e
serissima avventura. E la risposta è un concentrato di amorevoli illusioni e di
amaro disincanto. L'ottimismo mi deriva dalla circostanza che credo fermamente
in quello che faccio, vi profondo tutto l'entusiasmo di cui sono capace e il
gradimento espressomi da un buon numero dei miei lettori ne è un corroborante
alimento. Il pessimismo deriva invece da alcune semplici riflessioni. Quando
entro in una grande libreria sono, immancabilmente, colto da stati d'animo di
disagio, sconforto, perplessità. Al giorno d'oggi si pubblica una marea di libri.
Una buona percentuale di questi è rappresentata da quelli che potremmo definire
instant-book o anche fast-book, cioè libri di pronto consumo e altrettanto
pronto oblio. E' evidente (e, forse, inevitabile) che siano destinati al
naufragio i libri buoni e, in certa misura, utili e stimolanti. Non è novità dei
nostri giorni l'enorme successo commerciale di alcuni cosiddetti best-seller
internazionali. Ciò che oggi, sempre più, avvilisce e rende preoccupati è il
disinteresse quasi totale dei quotidiani e dei periodici per quel compito
doveroso e importante che sono le recensioni. Le recensioni, oltre ad essere
diventate rare, non mostrano più né attenzione alle opere destinate a una
vendita limitata, né interesse alla scoperta di libri interessanti e di qualità,
perché essi non costituiscono un "evento", che è ormai una condizione necessaria,
e non rientrano nell'assistenza alla produzione delle grosse case editrici e
quindi dei premi letterari ad esse riservati.
18. Assai probabile che fra le tante domande ne abbia dimenticata una
importante, ragion per cui ti lascio libero di parlare a ruota libera di Aycelin,
e di te anche.
Mi hai fatto così tante domande (alle quali ho risposto con estremo piacere)
che non riesco proprio a trovarne altre. L'unica cosa che, a questo punto
conclusivo, posso aggiungere è un invito, a chi ne volesse sapere di più su di
me e, soprattutto, sulle mie opere, ad andare a visitare il mio sito:
http://www.robertoquerzola.com
19. Grazie Roberto, sei stato gentilissimo e d’una pazienza infinita.
“Aycelin Il Templare” è un Capolavoro, con la C maiuscola. E sono certo sin da
ora che il prossimo tuo lavoro non gli sarà da meno. Con sincera stima ed
amicizia.
Sono io a dover ringraziare te per la tua squisita cortesia e per le tue
domande stimolanti e intelligenti. Naturalmente contraccambio la professione di
stima e amicizia.