un saggio di Davide Occhicone, apparso originalmente in
lospaziobianco.it
Frank Miller sostiene che
il fumetto è arte e mezzo
di comunicazione al
tempo stesso. Svezzato
e cresciuto a pane e…
Batman (indicativo il suo
racconto della lettura del
primo albo di Batman
verso i sei anni, che lo
lasciò letteralmente
impressionato
dall’atmosfera dark
abilmente creata
dall’autore del fumetto),
ha avuto la possibilità e
le capacità di riscrivere con The Dark
Knight Returns canoni e significati di uno
dei più famosi character americani. Questo
dopo esser passato attraverso la
redifinizione di un altro supereroe,
Daredevil. In tutti e due i casi appena
accennati “fumetto supereroistico” è una
definizione limitata e banalmente pacchiana
per indicare il suo lavoro.
Se i primi schizzi realizzati da piccolo erano
disegni di uomini massicci con impermeabili
ed automobili squadrate, i primi commenti
ai suoi lavori gli fecero capire che per
disegnare fumetti era necessario imparare
a disegnare i “muscoli” dei personaggi
coperti dagli impermeabili. Non è un caso
che il (permaloso?) Miller odierno si lamenti
così tanto del fumetto supereroistico
sostenendo che anche i muscoli dei
supereroi oggi hanno… i muscoli.
Il medium fumetto, dopo avergli dato
notorietà, ed un minimo di stabilità
economica, inizia ad essere utilizzato come
tale (i.e. mezzo di espressione a tutto
tondo), e così i progetti partoriti dal Nostro
si allontanano sempre più dal genere
“calzamaglia e mantello”. Dopo il bianco e
nero stimolante dal punto di vista
realizzativo ed artistico del (più che)
durissimo noir Sin City, FM si è dedicato a
piccoli progetti non disdegnando brevi
puntate “cameo” su testate prettamente
supereoistiche. Sin City resta però un
progetto autonomo e continuativo, orgoglio
e successo di Frank
Miller: forzato dal forfait di
Lynn Varley (che a quel
tempo non voleva
dedicarsi alla
colorazione), realizzò le
prime storie di Sin City (e
poi anche quelle a venire)
in bianco e nero,
riuscendo nel suo intento
primario di incatenare il
lettore alle pagine
nonostante la mancanza
degli effetti cromatici del
colore che ne catturino l’attenzione. Ogni
tavola, ogni personaggio (ed ogni ombra) è,
in Sin City, una continua sfida alla “china”
per riuscire ad offrire nuovi giochi di
alternanza bianco/nero e soprattutto
scoprire effetti di luce/ombra. Non è un
caso se spesso le ombre (addirittura) in Sin
City siano le uniche parti dettagliate della
tavola in uno sfondo totalmente bianco (o
nero). Rinfrancato da successo di critica e
di pubblico (comunque di nicchia) l’autore
mette in cantiere alcuni lavori che gli stanno
particolarmente a cuore.
Il “progetto” 300 ha genesi lontane nel
cuore e nell’arte di Frank Miller. E’
pubblicato in cinque albi mensili dal maggio
del 1998 ed è l’ennesimo (ottimo)
matrimonio fra le sue inquadrature tipiche e
le sue chine (così sovente crude e spesse)
e la tavolozza magica della colorista Lynn
Varley (compagna di lavoro ma anche nella
vita). 300 diventa la migliore dimostrazione
dell’idea che una storia (qualunque essa
sia) può essere raccontata attraverso il
“mezzo” fumetto, che diventa “solo” il tipo di
voce attraverso la quale gli autori ci
parlano. D’altronde lo stesso autore non si
era mai limitato o censurato nell’esprimere
le sue idee attraverso i disegni e i baloon
delle sue opere, riuscendo più volte a far
filtrare (in maniera spesso drasticamente
diretta) anche e soprattutto il suo giudizio
"politico" sull’attuale status dell’Impero
americano.