Una spia su Europa
Data: Martedì 26 luglio 2005
Argomento: Narrativa


un racconto di Alastair Reynolds

Marius Vargovic, agente di Gilgamesh Isis, assaporò un istante di caduta libera prima che i motori del flutter non scalciarono slanciandolo via dal Deucalion. Il pilota sparò lo scafo verso la luna che stava in basso, superando velocemente le altre navicelle che l'incrociatore marziano aveva eruttato. Europa sembrava che si stesse ingrandendo percettibilmente, un arco appiattito del colore della carta da parati macchiata di nicotina.

"Noioso, vero?"

Vargovic si rivoltò nel suo sedile, languidamente. "Avresti preferito che ci sparassero?"

"Be', che almeno facessero qualcosa."

"Allora sei proprio matto," disse Vargovic, unendo le dita per formare una tenda. "Sepolti in quel ghiaccio ci sono armamenti sufficienti a fare un'altra macchia rossa su Giove. Quello che potrebbero fare a noi è difficile anche da pensare."

"Era solo per fare un po' di conversazione."

"Non preoccuparti, il più delle volte è un'attività sopravvalutata."

"E va bene, Marius... ricevuto il messaggio. Di fatto l'ho intercettato, analizzato, filtrato, decriptato con l'appropriato tampone mono-uso e ci ho scritto uno stramaledetto rapporto di 200 pagine. Soddisfatto?"

"Non sono mai soddisfatto, Mishenka. Non fa parte della mia natura."

Ma Mishenka aveva ragione: Europa era un documento criptato, una complessità mascherata da una superficie di ghiaccio fratturato e gelato di nuovo. I suoi solchi superficiali erano come dei capillari in un bulbo oculare vetrificato, sbiaditi come la struttura in un'immagine di sorveglianza grezza. Ma una volta all'interno dei confini dell'areospazio della Demarchia Europica la direzione del traffico cooptò il flitter vettoriandolo all'interno di un corridoio d'attracco. Nel giro di tre giorni Mishenka sarebbe tornato, ma per allora avrebbe disabilitato gli avionici, baciando il ghiaccio per meno di dieci minuti.

"Non è ancora troppo tardi per mandare a monte," disse Mishenka, molto tempo dopo.

"Sei fuori dalla tua testolina?"

L'uomo più giovane dispensò un sorriso da Otticali Celati gelidi. "Lo abbiamo sentito tutti quello che la Demarchia fa alle spie, Marius."

"E' forse un rancore personale o sei semplicemente psicotico?"

"Lascio a te l'essere psicotico, Marius, ti viene tanto bene."

Vargovic annuì. Era la prima cosa sensata che Mishenka avsse detto in tutto l'arco della giornata.

 


 

Atterrarono un'ora dopo. Vargovic aggiustò il suo vestito da lavoro marziano, sintonizzando la sua finanziera intessuta olograficamente in modo che proiettasse tempeste di sabbia rosse, sollevando il collare in quella che aveva osservato nei passeggeri dell'incrociatore essere una moda marziana recente. Poi afferrò la sua valigetta (niente di compromettente là dentro, nè marchingegni o armi) ed uscì dal flittter, passando attraverso le guarnizioni delle chiusure. Un passaggio a sdrucciolo lo spinse in avanti, massaggiando le suole delle ciabatte. Era un nastro di cultura singolo in pelle di piovra, stimolato per fluttuare dallo sparo temporizzato dei cilindrassi di calamaro messi dentro.

Per andare ad Europa devi essere o stramaledettamente ricco o stramaledettamente povero. La copertura di Vargovic era la prima, una finzione che giustificava il flitter per un solo passeggero. Mentre il passaggio a sdrucciolo avanzava fu raggiunto da altri arrivi: persone d'affari come lui e dalla crema di gente proprio facoltosa. La maggior parte aveva fatto a meno degli olografici e proiettava invece degli entottici al di là del proprio spazio personale, allucinazioni generate meccanicamente che venivano decodificate dall'impianto che abbracciava il nervo ottico di Vargovic. Colibrì e serafini spopolavano. Altri erano circondati da profumi autonomi che alteravano in modo impercettibile gli umori di coloro che gli stavano attorno. Leggermente più in basso nella scala sociale, Vargovic osservò una cricca di turisti rumorosi, piccole pesti alterate da Circum-Giove. Poi c'era un salto discontinuo: rifugiati per il Maunder dall'aspetto squallido che dovevano aver accettato un contratto con la Demarchia. I rifugiati furono allontanati velocemente dagli immigrati più affluenti che si ritrovarono all'interno di un'immensa cupola geodesica che poggiava sul ghiaccio per mezzo di trampoli refrigerati. Le pareti della cupola risplendevano dei negozi del duty-free, delle boutique e dei bar. Il pavimento era concavo, passaggi a sdrucciolo e scale a spirale scendevano verso il nadir dove attendeva un quinconce di cilindri di marmo scanalati. Vargovic osservò che i nuovi arrivati si andavano accodando davanti agli ascensori che terminavano nei cilindri. Si unì ad una fila ed attese.

"La prima volta su Cadmus-Asterius?" gli chiese l'uomo con la barba davanti a lui, con delle iridofore nel giubbotto color prugna che proiettavano asserzioni boleane tratte da Etiche meccaniche di transilluminazione di Sirikit.

"La prima volta su Europa, in realtà. La prima volta su Circum-Giove, vuole tutta la storia?"

"Fuori sistema?"

"Marte."

L'uomo annuì gravemente. "Ho sentito dire che sia dura."

"Non c'è da scherzare." E non lo stava facendo. Da quando il sole si era affievolito (il secondo minimo di Maunder che ripeteva il comportamento che il sole aveva mostrato nel XVII secolo) si era alterato l'intera sistema di bilanciamento dei poteri nel Primo Sistema. Le economie dei mondi interni avevano trovato difficoltà ad adattarsi, agricoltura e generazione di potenza svantaggiate con concomitante rivolta sociale. Ma i pianeti esterni non avevano mai avuto il lusso dell'energia solare in primo piano. Ora Circum-Giove era il punto di riferimento del potere economico del Primo Sistema, con Circum-Saturno che rimaneva distaccato. Di conseguenza le due superpotenze principali di Circum-Giove, la Demarchia, che controllava Europa e Io, e Gilgamesh Isis, che controllava Ganimede e parte di Callisto, si stavao sfidando per il dominio.

L'uomo sorrise in modo acuto. "Qui per motivi speciali?"

"Chirurgia," fece Vargovic, sperando di interrompere la conversazione al più presto. "Chirurgia anatomica molto estensiva."


 

Non gli avevano detto molto.

"Il nome di lei è Cholok," aveva detto Controllo, dopo che Vargovic aveva dato un'occhiata ai dossier là nelle caverne che ospitavano la sezione Operazioni Coperte della sicurezza di Gilgamesh Isis, nella profondità di Ganimede. "L'abbiamo reclutata dieci anni fa, quand'era su Phobos."

"E ora è della Demarchia?"

Controllo aveva annuito. "Rientrava nella fuga di cervelli una volta che Maunder due aveva iniziato a mordere. I più furbi sono scappati appena hanno potuto. La Demarchia (e naturalmente anche noi) ha preso al volo i più svegli."

"E anche uno dei nostri Sleeper." Vargovic fissò il ritratto della donna, tagliato dalle linee video. Gli appariva incolore, con una espressione permanente di severità che arrivava fino all'osso.

"Non t'abbattere," disse Controllo. "Ti sto chiedendo di contattarla, non di andarci a letto."

"Sì, certo. Raccontami la sua storia."

"Biotech." Controllo annuì al dossier. "Su Phobos dirigeva uno dei gruppi che lavoravano alle opere di trasformazione acquatica: modificavano la forma umana per operazioni sottomarine."

Vargovic annuì diligentemente. "Continua."

"Phobos desiderava vendere le loro conoscenze ai marziani, prima che i loro oceani si gelassero. Naturalmente anche la Demarchia apprezzava il suo talento. Cholok ha portato il suo gruppo su Cadmus-Asterius, una delle loro città sospese."

"Mm." Vargovic incominciava a seguire il filo. "E per allora l'avevamo già arruolata."

"Esatto," fece Controllo, "tranne che non avevamo un uso chiaro per lei."

"E il perchè di questa conversazione?"

Controllo sorrise. Controllo sorrideva sempre quando Vergovic tirava l'involucro della subordinazione. "Ce l'abbiamo perchè il nostro sleeper non vuole coricarsi." Poi Controllo si allungò e toccò l'immagine di Cholok facendola parlare. Quello che Vargovic stava osservando era un'intercettazione, qualcosa che Gilgamesh aveva catturato, aggiustato con tagli e passaggi rapidi di inquadratura.

Appariva nel momento in cui stava spedendo un messaggio verbale a un vecchio amico ad Isis. Parlava con rapidità da una stanza bianca, con dietro dei servitori medici inerti. Gli scaffali mostravano boccette di medimacchinali codificati per colore. Un letto cruciforme assomigliava ad una tavola d'autopsia con condotti di drenaggio in ceramica.

"Cholok ci ha contattati un mese fa," disse Controllo. "La stanza fa parte della sua clinica."

"Sta usando fissa-frase tre," disse Vargovic ascoltando i suoi schemi di discorso, estraendo il contenuto da un apparente normale canasiano.

"L'ultimo codice che le abbiamo insegnato."

"Bene, qual'è il suo amo?"

Controllo scelse le parole, girando attorno all'informazione spurgata dal messaggio di Cholok. "Vuole darci qualcosa," disse. "Qualcosa di valore. L'ha ottenuta per caso. Qualcosa che deve far uscire di nascosto."

"Le lusinghe ti portano dappertutto, Controllo."


 

Una musica commerciale crebbe in un crescendo perfettamente sincronizzato mentre l'ascensore si immergeva nello strato finale di ghiaccio. La veduta intorno e sotto era letteralmente sorprendente, e Vargovic registrò esattamente l'esatta dose di soggezione che il suo costume marziano gli consentiva.

Naturalmente conosceva la storia della Demarchia, di come le città appese fossero iniziate come punti di ingresso nell'oceano, cupole di osservazione piene d'aria collegate alla superficie da stretti pozzi d'accesso sprofondati nel ghiaccio della crosta profondo chilometri. Gli scienziati avevano studiato l'insolita levigatezza della crosta, notando che i suoi schemi di frattura ricordavano quelle dei banchi di ghiaccio della Terra, il che comportava la presenza di un oceano di acqua. Europa era più lontana della Terra dal Sole, ma qualcosa di diverso dall'energia solare manteneva la fluidità dell'oceano. Infatti l'orbita della luna attorno a Giove creava delle tensioni che flettevano il nocciolo di silicato della luna col calore tettonico che si spandeva nell'oceano attraverso sfiati idrotermali.

Discendenere nella città era un po' come entrare in un anfiteatro, tranne che non c'era alcun palcoscenico, piuttosto una successione infinita di balconate più basse ripide e in successione. Convergevano verso un infinito pieno di luce, sette o otto chilometri più in basso, laddove la forma conica della città si stringeva a formare un punto. Il lato opposto era lontano un mezzo chilometro, con livelli che salivano come strati geologici. Un'ampia torre di vetro attraversava l'atrio da cima a fondo, radiosa per l'oceano verde fumo e per una massa di flora simile alle alghe, tenuta sotto cultura da nuotatori branchiati. Luci solari artifiacili bruciavano in mezzo alle alghe come lucette natalizie. Al di sopra la torre si ramificava, rifornimenti peristaltici che si allungavano nell'oceano vero e proprio. Uffici, negozi ristoranti e unità residenziali erano accatastati gli uni agli altri o si sporgevano nell'abisso su eleganti balconi, filati da fogli sfolgoranti di polimero di chitina espansa, il principale materiale di costruzione della Demarchia. Ponti a ragnatela si arcuavano al di sopra dello spazio dell'atrio, striscioni retrattili, proiezioni e grosse sculture traslucenti, plasmati da una variante setata dello stesso polimero di chitina. Ogni superficie visibile sovrabbondava di neon, olografica ed entoptica.

La gente era dovunque e in ogni faccia Vargovic ritrovava una leggera assenza, come se la loro mente non fosse interamente a fuoco sul qui e sull'adesso. Non c'era da meravigliarsi: tutti i cittadini avevano un impianto che li interrogava costantemente, ottenendo la loro opinione su ogni aspetto della vita della Demarchia, sia all'interno di Cadmus-Asterius che al di fuori. Alla fine, si diceva, la presenza assillante dell'impianto svaniva dalla coscienza fino a far diventare quasi involantario l'atto di partecipazione democratica.

Vargovic provava repulsione e allo stesso tempo ne era intrigato.


 

"Ovviamente," disse Controllo con deliberazione giudiziaria, "ciò che Cholok ha da offrire non è proprio una pepita, o ce l'avrebbe inviata tramite FF3."

Vargovic si sporse in avanti. "Non ve lo ha detto?"

"Solo che potrebbe mettere in pericolo le città appese."

"E le credete?"

Vargovic sentì arrivare una delle momentanee indiscrezioni di Controllo. "Sarà anche una sleeper, ma non è proprio inutile. Ci sono state delle defezioni a cui ha assistito... come l'affare Maunciple... lo ricordi quello?"

"Se lo chiami un successo forse è ora che sia io a fare una defezione."

"In realtà era stata un'informazione di Cholok a persuaderci a portar via Maunciple per la via dell'oceano piuttosto che dalla porta principale. Se la sicurezza della Demarchia avesse raggiunto vivo Maunciple sarebbero venuti a conoscenza di diecvi anni di affari."

"Laddove invece Maunciple s'è preso un arpione nella schiena."

"L'operazione aveva le sue crepe." Controllo si strinse nelle spalle. "Ma se pensi che tutto ciò indichi che Cholok è stata compromessa.. Naturalmente il pensiero ci ha sfiorato. Ma se Maunciple avesse agito diversamente sarebbe stato peggio." Controllo incrociò le braccia. "E, naturalmente, ce l'avrebbe potuta fare, nel qual caso anche tu avresti dovuto ammettere che Cholok è sicura."

"Fino a prova contraria."

Controllo s'illuminò. "Allora lo farai?"

"Come se avessi scelta."

"C'è sempre una scelta, Vargovic."

Sì, pensò Vargovic. C'era sempre una scelta... tra il fare tutto ciò che Gilgamesh Isis gli chiedeva... e l'essere deprogrammato, cyborgizzato e spedito a lavorare nei progetti sulfurei lungo i pendii di Ra Patera. Non è che fosse particolarmente allettante.

"Un'altra cosa..."

"Sì?"

"Quando ho ottenuto ciò che ha Cholok..."

Controllo fece un mezzo sorriso, tutti e due avevano una battuta privata che non aveva bisogno di spiegazione. "Sono certo che il solito sia sufficiente."


 

L'ascensore rallentò nell'avvicinarsi ad immigrazione.

Le guardie della Demarchia portavano grosse armi, ma nessuna si interessò a lui. La storia che proveniva da Marte era stata accettata; fu sottoposto soltanto alla solita gamma di procedure invasive: configurazione neurale e genetica scannate in cerca di patologie, corpo immeso in otto forme di radiazione esotica. La formalità finale consisteva nel bere un goccio di cioccolata. La bevanda era composta da miliardi di medimacchinali che si infiltravano nel suo corpo in cerca di droghe nascoste, armi e biomodificazioni illegali. Sapeva che non avrebbero trovato nulla, ma si sentì sollevato quando raggiunsero la sua vescica e chiesero di verir restituiti alla Demarchia attraverso l'urina.

L'intera procedura durò sei minuti. Fuori Vargovic seguì un passaggio a sdrucciolo verso lo zoo cittadino e poi si scontrò con folle di scolari fino a che non arrivò all'acquario dove Cholok avrebbe dovuto incontrarlo. Le esposizioni erano dedicate alla flora e alla fauna di Europa, la maggior parte dipendevano dalle nicchie biologiche degli sfiati idrotermali, qui riprodotti con cura. Non c'era niente di molto eccitante da guardare, dato che la maggior parte dei predatori europeiani apparivano leggermente meno feroci degli attacapanni a stelo o dei paralumi. I più comuni venivano chiamati sfiatanti, grossi animali strutturalmente semplici il cui metabolismo era imperniato sulla simbiosi. Erano dei sacchi carnosi e a imbuto, piantati su un tripode di trampoli arancioni che si muovevano con un tale torpore che Vargovic quasi si addormentò prima che Cholok gli arrivasse al fianco.

Indossava una giacca verde oliva e un paio di pantaloni smeraldo stretti e proietava una caligine di entoptica medicinale. La sua mascella serrata acentuava l'ostinazione che aveva raccolto dall'intercettazione.

Si baciarono.

"Sono contenta di vederti, Marius. Sono... da quanto?"

"Nove anni, all'incirca."

"Com'è Phobos in questi giorni?"

"Orbita ancora attorno a Marte." Mise in mostra un sorriso. "Ancora una bisca."

"Non sei cambiato."

"Neppure tu."

A corto di parole, Vargovic si scoprì con lo sguardo che tornava alle scritte informative che accompagnavano la mostra degli sfiatanti. Con una vaga attenzione lesse che gli sfiatanti, mobili nella fase giovanile, gradualmente diventavano sessili nell'età adulta, i trampoli che si ispessivano per via dello zolfo che si depositava fino a che non erano ancorati al terreno come stalagmiti. Una volta morti i corpi molli si disperdevano nell'oceano, ma i tripodi rimanevano, grappoli regolari di spine arancioni dall'aspetto misterioso che si concentravano attorno agli sfiati attivi.

"Nervoso, Marius?"

"Nelle tue mani? Non direi."

"E' lo spirito giusto."

Comprarono due boccali di mocha da un servitore poco distante e tornarono alla mostra degli sfiatanti, apparentemente chiacchierando di sciocchezze. Durante l'indottrinamento a Cholok era stato insegnato il fissa-frase tre. Il codice permetteva l'inserzione di informazione secondaria all'interno di una conversazione principale, con un impiego attendo dell'ordine delle parole, dell'esitazione e della struttura della frase.

"Che cosa hai ottenuto?" chiese Vargovic.

"Un campione," rispose Cholok, una delle parole facili, pre-confezionate che non avevano bisogno di essere convogliate laboriosamente. Ma ciò che seguì necessitò di quasi cinque minuti per passare, trasportato da ricordi sparsi degli anni di Phobos. "Una piccola scheggia di iperdiamante."

Vargovic annuì. Sapeva cos'era l'iperdiamante: un intreccio topologicamente complesso di fullerene tubolare; strutturalmente simile alla cellulosa o alla chitina espansa ma migliaia di volte più forte, la sua rigidità mantenuta artificialmente da qualche trucco piezoelettrico che Gilgamesh non conosceva.

"Interessante," disse Vargovic. "Ma. sfortunatamente, non interessante a sufficienza."

Lei ordinò un'altra mocha e la buttò giù mentre replicava. "Usa la tua immaginazione. Solo la Demarchia sa come sintetizzarlo."

"E' anche inutile come arma."

"Dipende. C'è un'applicazione che dovresti conoscere."

"Quale?"

"Mantenere questa città a galla... e non sto parlando di una disponibilità economica. Conosci Buckminster Fuller? E' vissuto circa 400 anni fa; credeva che con dei mezzi tecnologici si potesse raggiungere una democrazia assoluta."

"Un pazzo."

"Forse. Ma Fuller ha inventato la griglia geodesica che determina la struttura della molecola del C60, l'allotropo chiuso del fullerene. La città gli è debitrice sotto due aspetti."

"Risparmia la conferenza. Come entra in tutto questo l'iperdiamante?"

"Bolle di fluttuazione," disse. "Intorno all'esterno della città. Ognuna è una sfera di cento metri di iperdiamante che trattiene il vuoto. Una molecola dell'ampiezza di un centinaio di metri, di fatto, dato che ogni sfera è composta da un filo infinito di fullerene tubolare. Pensa alla cosa, Marius: una molecola al cui interno puoi parcheggiare una nave."

Mentre assorbiva tutto ciò un'altra parte della sua mente continuava a leggere la didascalia degli sfiatanti, sul come la loro biochimica presentasse molte similitudini con i vermi tubolari senza intestino che vivevano attorno agli sfiati oceanici della Terra. Gli sfiatanti bevevano il solfito di idrogeno attraverso i tubi di ventilazione mettendolo in circolo attraverso una forma modificata di emoglobina e facendolo passare attraverso un organo saturato di batteri nella parte bassa dei loro sacchi. I batteri spezzavano e ossigenavano il solfito di idrogeno, creando una molecola simile al glucosio. L'analogo del glucosio nutriva lo sfiatante, permettendogli di rimanere vivo e di fare occasionalmente qualche piccolo spostamento verso un'altra parte dello sfiato, o anche di nuotare tra gli sfiati, fino a che la fase adulta non lo radicava a terra. Vargovic lesse tutto ciò, e poi lo rilesse perché aveva ricordato qualcosa; un'intercettazione misteriosa passatagli alcuni mesi prima dall'analisi criptica; qualcosa sul fatto che la Demarchia avesse dei piani per incorporare la biochimica degli sfiatanti in un animale più grosso. Per un attimo fu tentato di chiedere della cosa direttamente a Cholok, ma decise di eliminare il soggetto dalla sua mente in attesa di un momento più adatto.

"Non c'è altra propaganda da mettere in comune?"

"Ci sono 200 di queste sfere. Si gonfiano e si sgonfiano come vesciche, mantenendo l'equilibrio di C-A. Non sono sicura sul come accada lo sgonfiamento, tranne che è qualcosa che ha a che fare con la corrente piezoelettrica nei tubi."

"Ancora non vedo il perché Gilgamesh ne abbia bisogno."

"Pensaci. Se potessi portarne un campione su Ganimede, potrebbero riuscire a trovare un modo di attaccarlo. Tutto ciò che occorrerebbe sarebbe un agente molecolare capace di aprire gli spazi tra le maglie del fullerene in modo che possa infiltrarsi una molecola d'acqua, o qualsiasi altra cosa che ostacoli la forza piezoelettrica."

In maniera distratta Vargovic osservò un predatore a forma di totano mordicchiare un pezzo della sacca di uno sfiatante. Il sangue del totano scorreva denso con due forme di emoglobina; una che portava l'ossigeno, una adatta al solfito d'idrogeno. Usavano delle glicoproteine per mantenere fluido il sangue e cambiavano metabolismo quando passavano da un'acqua a dominio d'ossigeno ad una a dominio di solfito.

Riportò l'attenzione su Cholok. "Non posso credere di aver fatto tutta questa strada per... cosa? Carbonio?" Scosse la testa, inserendo il gesto nel filone primario della loro conversazione. "Come l'hai ottenuta."

"Un incidente, con un lamellato."

"Continua."

"Un'esplosione vicino ad una bolla. Ero il chirurgo assegnato al lamellato, ho dovuto togliergli un sacco di iperdiamante. Non è stato difficile mettere da parte qualche scheggia."

"Un pensiero previdente, da parte tua."

"Il difficile è stati persuadere Gilgamesh a mandare te, soprattutto dopo che Maunciple..."

"Oh, non perdere il sonno per lui," disse Vargovic mentre consultava il proprio caffè. "Era un grasso bastardo che non riusciva a nuotare in modo abbastanza veloce."


 

L'operazione chirurgica ebbe luogo il giorno successivo. Vargovic si risvegliò con la bocca secca come una fornace.

Si sentiva... strano. Lo avevano avvertito di questa cosa. Aveva anche parlato con soggetti che si erano sottoposti a procedure analoghe nei laboratori sperimentali di Gilgamesh. Gli avevano detto che si sarebbe sentito fragile, come se la testa non fosse più adeguatamente accoppiata al corpo. Le vampate di freddo periodiche attorno al collo sarebbero servite solo ad aumentare quella sensazione.

"Puoi parlare," disse Cholok, sporgendosi su di lui vestita del bianco della chirurgia. "Ma le modifiche cardiovascolari, e l'ampiezza del rimodellamento che abbiamo fatto all'area laringea, renderanno la tua voce un po' strana. Alcuni lamellati si sentano a proprio agio solo quando parlano con gente della loro specie."

Si tenne una mano davanti agli occhi per esaminare la ragnatela traslucida che si stendeva ora tra le sue dita. C'era una macchia scura nel tessuto pallido del palmo: il campione incassato di Cholok. L'altra mano ne aveva un altro.

"E' riuscita, non è vero?" La voce suonava acuta. "Posso respirare acqua."

"E aria," disse Cholok. "Anche se quello che scoprirai ora è che un esercizio che appare estenuante sarà naturale una volta immerso."

"Posso muovermi?"

"Naturalmente," disse. "Prova a sollevarti. Sei più forte di quanto ti sembri."

Fece come le aveva suggerito, usando quel momento per sistemare i suoi dintorni. Un monitor neurale stava sopra la sua corona. Era nudo, in una stanza di rianimazione illuminata in modo brillante; un lato era formato da una parete in vetro che si affacciava sull'oceano esterno. Era da qui che Cholok aveva contattato la prima volta Gilgamesh.

"Questo luogo è sicuro, no?"

"Sicuro?" chiese, come se fosse una cosa oscena. "Sì, suppongo che lo sia."

"Parlami dei Denizen."

"Di chi?"

"La parola in codice della Demarchia. La criptanalisi l'ha intercettata di recente... si suppone che sia un esperimento in biomodificazioni radicali. Me ne sono ricordato nell'acquario." Vargovic passò le dita sulle lamelle del collo. "Qualcosa che farebbe apparire questo come chirurgia estetica. Abbiamo sentito dire che la Demarchia ha confezionato il metabolismo a base di solfuro degli sfiatanti per l'uso umano."

Fece un fischio. "Dovrebbe essere un giochetto."

"Ma utile, comunque, soprattutto se si vuole una forza lavoro che possa tollerare gli ambienti anocsici attorno agli sfiati, dove si da il caso che la Demarchia abbia qualche interesse minerario."

"Forse." Cholok fece una pausa. "Ma i cambiamenti richiesti andrebbero ben oltre la chirurgia. Si dovrebbero inscrivere al livello di sviluppo. E anche allora... Non sono sicura che ciò che otterrai sia poi ancora umano." Era come se tremasse, anche se era Vargovic quello che sentiva freddo, ancora in piedi nudo accanto al tavolo di rianimazione. "Tutto ciò che posso dire è che, anche se è successo, nessuno me lo ha detto."

"Pensavo di dovertelo chiedere, nient'altro."

"Bene." Brandiva uno scanner medico bianco. "Posso fare qualche altro test? Dobbiamo seguire la procedura."

Cholok aveva ragione, a parte il fatto che l'operazione di Vargovic era completamente reale (e per questo suscettibile di complicazioni che dovevano essere ricercate e monitorate) qualsiasi deviazione dalla pratica normale era indesiderata.

All'incirca dopo la prima ora la estraneità reale della sua trasformazione lo colpì in pieno. Fino ad allora lo aveva lasciato spensieratamente senza conseguenze, ma quando si vide in uno specchio per tutta la lunghezza, in un angolo della stanza di rianimazione di Cholok, capì che non c'era ritorno.

Comunque, non certo con facilità. I chirurghi di Gilgamesh gli avevano promesso che avrebbero potuto disfare il lavoro, ma non ci aveva creduto. Dopotutto la Demarchia era avanti a Ganimede nelle bioscienze e anche Cholok gli aveva detto che le ritrasformazioni erano spinose. Aveva accettato la missione in ogni caso: la paga lo aveva allettato, la prospettiva dei progetti sulfurei molto meno.

Cholok passò gran parte della giornata con lui, interrompendo solo per parlare con altri clienti o per conferire con la sua squadra. Gli esercizi di respirazione occuparono gran parte di quel tempo: periodi prolungati passati sott'acqua per annullare la risposta di annegamento del cervello. Spiacevole, ma Vargovic aveva fatto cose peggiori durante l'istruzione. Fecero delle nuotate completamente sommersi, usando i suoi polmoni per regolare la sua spinta idrostatica, seguite dall'istruzione sul come mantenere pulite le aperture delle lamelle, quelle che Cholok chiamava opercula, il che voleva dire assicurare la salute delle colonie di batteri commestibili che si infilavano nelle aperture e nuotavano fino ai piccoli lembi secondari delle sue lamellæ. Aveva letto il depliant: ciò che aveva fatto era di scolpire chirurgicamente la sua anatomia per portarlo ad uno stato che si trovava a metà tra l'umano e il pesce che respira aria: incorporando lezioni biochimiche dal pescepolmone e dal pescegatto che cammina. Il pesce respira acqua dalla bocca e la rimanda al mare attraverso le lamelle, ma erano le lamelle nel collo di Vargovic che svolgevano la funzione di una bocca. La sue vere lamelle si trovavano sotto una cavità toracica, squarci a forma di mezzaluna sotto le costole.

"Se confrontate alle dimensioni del tuo corpo," gli disse, "queste aperture lamellari non riusciranno mai a darti quell'efficienza respiratoria che avresti se ti sottoponessi a cambiamenti più drammatici..."

"Come un Denizen?"

"Te l'ho detto, non ne so niente."

"Non ha importanza." Appiattì i lembi delle lamelle lamelle, osservando (con soltanto una leggera nausea) come si aggrinzissero ad ogni esalazione. "Abbiamo finito?"

"Solo degli ulrimi esami del sangue," disse. "Per essere sicuri che funzioni ancora tutto. Poi puoi andartene a nuotare coi pesci."

Mentre era occupata ad una delle console, circondata da entottici falsa-colori della sue gola, le chiese: "Hai l'arma?"
Cholok annuì in maniera assente e aprì un cassetto estraendo un laser medico a mano. "Non è un gran che," disse. "Ho disabilitato il soppressore di gettito, ma lo devi dirigere contro gli occhi di qualcuno per far più danno."

Vargovic soppesò il laser, scrutinando i controlli nell'impugnatura profilata. Poi afferrò la testa di Cholok e la fece girare, bagnandole il viso col raggio blu actinia del laser. Ci furono due scoppi consecutivi quando le evaporarono gli occhi.

"Be', così?"


 

I bisturi convenzionali fecero il resto.

Risciacquò il sangue, si vestì e lasciò da solo il centro medico, viaggiando per chilometri nel profondo della città, fino a dove Cadmus-Asterius si restringeva ad un punto. Anche se c'erano molti lamellati che si spostavano liberamente per la città (in complesso erano volontari con pieni diritti della Demarchia) non si fece vedere per molto in pubblico. Nel giro di pochi minuti fu al sicuro in un labirinto di tunnel di servizio dalle pareti di collagene, frequentati solo da tecnici, servitori o da altri lavoratori lamellati. La povera Cholok aveva ragione, respirare aria ora era più difficile, la sentiva troppo fine.

"Avviso di sicurezza della Demarchia," disse la voce piatta di una macchina che emanava da una parete. "Un assassinio è avvenuto nel settore medico. Il sospetto può essere un operaio lamellato armato. Avvicinatevi con estrema cautela."

Avevano scoperto Cholok. Rischioso l'ucciderla. Ma Gilgamesh preferiva bruciarsi i ponti, rimuovere la possibilità che uno sleeper si trasformasse in un traditore una volta terminata la sua utilità. In futuro, rimuginò Vargovic, potrebbe essere meglio usare una tossina, piuttosto che l'uccisione immediata. Si fece una nota mentale di inserirlo nel rapporto.

Entrò nel tunnel finale, non lontano dalla presa d'acqua che era stata la sua destinazione. All'altro capo del tunnel un tecnico sedeva su una cassa e ascoltava con uno stetoscopio qualcosa che accadeva dietro ad un pannello di accesso. Per un momento Vargovic pensò di superare l'uomo sperando che fosse troppo preso dal suo lavoro. Iniziò ad avvicinarsi a lui, camminando coi piedi palmati nudi, che facevano molto meno rumore delle scarpe che si era tolto. Poi l'uomo annuì a se stesso, staccandosi dal posto di ascolto e sbattè il portello. Afferrando la cassa si sollevò e si accorse di Vargovic.

"Non dovresti stare qui," disse. Poi, in modo abbastanza lamentoso si offrì: "Posso aiutarti? Ti sei operato da poco, vero? Li riconosco quelli come te, sempre un po' rossi attorno alle lamelle. "Vargovic sollevò in alto il colletto, ma poi lo allentò perché rendeva più difficile la respirazione. "Resta dove sei," disse. "Metti giù la cassa e stai immobile."

"Cristo, sei tu, non è vero?... quell'avviso?" fece l'uomo.

Vargovic sollevò il laser. Accecato, l'uomo annaspò contro la parete, lasciando cadere la cassa. Fece un gemito pietoso. Vargovic strisciò più vicino, l'uomo incontrò il bisturi. Non certo il modo più pulito per uccidere, ma non aveva importanza.

Vargovic era sicuro che la Demarchia entro breve avrebbe chiuso gli accessi all'oceano, specialmente quando sarebbe venuto alla luce il suo ultimo assassinio. Per ora, comunque, le porte erano accessibili. Si spostò nella camera ad aria, i polmoni che bruciavano in cerca d'acqua. Dei getti ad alta pressione riempirono la camera e lui passò velocemente passò alla respirazione acquatica sentendo che gli si schiarivano i pensieri. La porta secondaria si aprì silenziosamente rivelando l'oceano. Si trovava chilometri al di sotto del ghiaccio e l'acqua qui era ad una temperatura raggelante e ad una pressione che stritolava... ma sembrava normale, pressione e freddo che si rivelavano come qualità astratte dell'ambiente. Ora il suo sangue era stato inoculato di glicoproteine, molecole che avrebbero abbassato il punto di gelo al di sotto di quello dell'acqua.

La povera Cholok aveva fatto un buon lavoro.

Vargovic stava per lasciare la città quando un secondo operaio lamellato apparve sulla porta, di ritorno alla città dopo aver completato un turno. L'uccise in modo efficiente ed ebbe in eredità una muta tessuta termicamente per poter lavorare nelle parti più fredde dell'oceano. La muta aveva un'ascendenza da piovra e quando scivolò attorno a lui lasciò lo spazio per le aperture lamellari. Indossava una maschera con capacità infrarossa e sonar e portava un rimorchio a mano. La cosa sembrava il cuore ancora battente di un animale vivisezionato coi suoi componenti traslucidi che sporgevano con vene scure e gangli. Ma era facile da usare: Vargovic mise la pompa al massimo e partì verso i livelli più bassi di C-A.


 

Anche nell'acqua relativamente incontaminata dell'oceano europeano la visibilità era bassa, non sarebbe stato capace di vedere niente se la città non fosse abbondantemente illuminata su tutti i livelli. Anche così, non vedeva oltre mezzo chilometro, le parti più alte di C-A perse in una foschia dorata e poi l'oscurità profonda. Sebbene la sua simmetria fosse scombussolata da protuberanze e accrescimenti, la forma base a cono della città era evidente, assottigliandosi gradualmente nel punto più lontano ad una bocca d'entrata che ingeriva l'oceano. Il cono era circondato da una confusione di bolle fluttuanti, nere come caviale. Si ricordò dei pezzi di iperdiamante nelle mani. Se Cholok aveva ragione, gli amici di Vargovic sarebbero riusciti a trovare un modo per renderlo permeabile all'acqua, aprendo la trama del fullerene quel tanto che bastava a distruggere le proprietà di galleggiamento delle sfere. L'agente necessario si sarebbe potuto introdurre nell'oceano per mezzo di missili perfora ghiacci. Qualche tempo dopo (Vargovic non era interessato dai dettagli) le città della Demarchia avrebbero iniziato a scricchiolare sotto il loro peso. Se l'arma avesse funzionato in modo abbastanza veloce non ci sarebbe stato neppure il tempo di contrastarla. Le città sarebbero crollate dal ghiaccio sprofondando attraverso i chilometri oscuri dell'oceano sotto di loro.

Avanzò nuotando.

Vicino a C-A l'interno roccioso di Europa salì verso l'alto per andargli incontro. Aveva viaggiato per tre o quattro chilometri verso nord e stava comparando la topografia visibile (illuminata da luci di servizio istallate dagli operai lamellati della Demarchia) con le sue mappe mentali dell'area. Alla fine trovò un affioramento di roccia silicea. Sotto lo strapiombo c'era una sporgenza stretta su cui era caduta circa una dozzina di piccoli massi. Uno era più rosso degli altri. Vargovic si ancorò alla sporgenza e soppesò la roccia rossa, il calore delle dita ne attivò i biocircuiti latenti. Nella roccia apparve uno schermo riempiendosi col viso di Mishenka.

"Sono puntuale," disse Vargovic, la voce che suonava ancor più irriconoscibile attraverso il l'acqua che distorceva. "Presumo tu sia pronto."

"Un problema," disse Mishenka. "Uno stramaledetto grosso problema."

"Cosa?"

"La zona per l'estrazione è compromessa." Mishenka, o piuttosto la simulazione di Mishenka che agiva nella roccia, anticipò la domanda successiva di Vargovic: "Qualche ora fa la Demarchia ha inviato una squadra di superficie sul ghiaccio, apparentemente per riparare un transponder. Ma la zona che coprono è proprio dove avevamo programmato di tirati fuori." Fece una pausa. "Tu hai... hum... ucciso Cholok, non è vero? Voglio dire non è che l'hai ferita gravemente?"

"Stai parlando con un professionista."

La roccia dette un'impressione accettabile di Mishenka che appariva impaurito. "Allora la Demarchia era arrivata a lei."

Vargovic fece un gesto con la mano davanti alla roccia. "Ho quello per cui sono venuto, no?"

"Hai qualcosa."

"Se non è quello che Cholok diceva che fosse, allora lei non ha ottenuto altro che la sua morte."

"Eppure..." Mishenka sembrò per un attimo che seguisse un pensiero brevemente, prima di abbandonarlo. "Ascolta abbiamo sempre un punto alternativo di estrazione, Vargovic. E' meglio che ci porti il tuo culo." Fece un ghigno. "Spero tu sappia nuotare più veloce di Munciple."

 


 

Era 30 chilometri a sud.

Superò qualche operaio lamellato lungo la strada, ma lo ignorarono e una volta che fu oltre cinque chilometri da C-A c'erano sempre meno tracce di presenze umane. C'era un display nella maschera. Vargovic fece qualche prova nel modo di lettura prima di richiamare una mappa dell'intera area. Mostrava la sua posizione e anche tre macchie che lo seguivano da C-A.

Era inseguito dalla sicurezza della Demarchia.

Si trovavano almeno a tre chilometri da lui, ma procedevano accorciando la distanza. Con una fredda sensazione che gli afferrava lo stomaco fu chiaro a Vargovic che non c'era modo di arrivare al punto di estrazione prima che lo raggiungesse la Demarchia.

Di fronte notò una macchia calda termale, col calore che usciva ribollendo da livello relativamente poco profondo del piano della roccia. Gli operatori della sicurezza probabilmente lo stavano seguendo per via dell'equipaggiamento da operaio lamellato. Ma una volta accanto allo sfiato lo poteva mollare, lì l'acqua era più calda, non gli sarebbe occorsa la muta e il calore con la luce e la turbolenza associata avrebbe confuso qualsiasi altro sistema di inseguimento. Poteva starsene dietro ad una roccia adatta, seguendoli di nascosto mentre erano preoccupati col segnale di ritorno.

A Vargovic apparve come un buon piano.

Attraversò velocemente la distanza verso lo sfiato sentendo l'acqua calda che lo circondava e notando come cambiasse il gusto, facendosi salmastra. Lo sfiato era una fiera fontana rossa circondata da rocce incrostate di batteri e dall'equivalente europeano del corallo incolore. Gli sfiatanti erano dappertutto, con le loro sacche polpose che giravano come mutava la corrente. I più piccoli erano mobili e si spostavano ambiando sui trampoli come cornamuse animate, navigando attorno ai residui triadici dei parenti morti.

Vargovic si nascose in una grotta dopo aver piazzato l'equipaggiamento da operaio lamellato vicino ad un'altra grotta nel lato opposto dello sfiato, sperando che gli operatori alla sicurezza avrebbero guardato là per primo. Mentre sarebbero stati occupati lui sarebbe riuscito ad ucciderne almeno uno, forse due. Una volta in possesso delle loro armi, prendersi cura del terzo sarebbe stata una pura formalità.

Qualcosa lo toccò da dietro.


 

Quello che Vargovic vide nel voltarsi fu qualcosa di troppo repulsivo anche per un incubo. Era così sbagliato che per un attimo di incertezza non riuscì neppure ad assimilare cos'era che stava guardando, quasi che la cosa fosse uno di quei test di percezione tridimensionali, una forma che si rifiutava di stabilizzarsi nella sua testa. La ragione per cui non riusciva a mantenerla ferma era perché parte di lui si rifiutava di credere che questa cosa avesse una qualche connessione con l'umanità. Ma le tracce residue di ascendenza umana erano troppo evidente per ignorarle.

Vargovic sapeva, al di là di ogni ragionevole dubbio, che ciò che stava osservando era un Denizen. Altri si sporgevano dalle profondità della grotta. Ce n'era altri cinque, tutti piuttosto simili, tutti che splendevano di una pallida bioluminescenza, tutti che lo osservano con scuri occhi intelligenti. Vargovic aveva visto immagini di sirene nei libri da bambino, ciò che ora stava osservando era una macabra corruzione di quelle illustrazioni innocenti. Queste cose erano la stessa fusione di uomo e pesce come in quelle immagini... ma ogni dettaglio era stato spinto verso la bruttezza e il vero orrore della cosa era che quella fusione era totale, non si trattava semplicemente del fatto che un corpo umano era stato innestato ad una coda di pesce, ma che il montaggio era avvenuto (era ovvio) al livello genetico, cosicché in ogni aspetto della creatura c'era qualcosa di simultaneamente e grottescamente ittico. Il viso era la cosa peggiore; bisezionato dal taglio di una bocca rivolta verso il basso e senza labbra, quasi come quello di uno squalo. Non c'era naso, nemmeno un paio di narici, solo una superficie di pelle di pesce piatta e giallastra. Gli occhi si volgevano sul davanti, ogni espressione compattata nelle profondità oscure. La creatura lo aveva toccato con una delle sue braccia che terminavano in una mano oscenamente umana. E poi, per aggravare l'orrore, parlò, la voce perfettamente chiara e calma, nonostante l'acqua.

"Vi stavamo aspettando, Vargovic."

Gli altri di dietro mormorarono, riecheggiando il sentimento.

"Cosa?"

"E' un piacere che siate riuscito a completare la missione." Vargovic iniziò a sentire la presa. Si allungò per allontanare la mano del Denizen dalla spalla. "Non siete voi il motivo per cui sono qui," disse, sforzandosi a mettere autorità nella voce, attaccandosi ad ogni stilla dell'allenamento di Gilgamesh per sopprimere i suoi nervi. "Volevo sapere di voi... nient'altro..."

"No," disse il Denizen principale, aprendo la bocca per esporre una fila allarmante di denti. "Non avete capito bene. Venire qui è sempre stata la vostra missione. Ci avete portato qualcosa che desideravamo moltissimo. E' sempre stato il vostro scopo."
"Portato qualcosa?" La sua mente ora stava barcollando.

"Nascosta dentro di voi." Il Denizen annuì, un gesto umano che serviva soltanto a magnificare l'orrore di ciò che era. "I mezzi per poter colpire la Demarchia, i mezzi per poter prendere l'oceano."

Pensò alle schegge nelle mani. "Penso di capire," disse lentamente. "Era diretta sempre a voi, è questo che volete dire?"

"Sempre."

Dunque i suoi superiori gli avevano mentito, o comunque avevano semplificato drasticamente la questione. Riempì lui stesso i vuoti, facendo i salti mentali necessari: evidentemente Gilgamesh era già in contatto coi Denizen (per quanto possa apparire bizzarro) e le schegge di iperdiamante erano indirizzate ai Denizen, non alla sua gente. Presumibilmente (anche se non riusciva a capire come potesse essere possibile) i Denizen avevano i mezzi per esaminare i frammenti e fabbricare l'agente che avrebbe sfilacciato la tessitura dell'iperdiamante. Avrebbero agito per Gilgamesh, risparmiandogli di preoccuparsi di sporcarsi le mani nell'attacco. Poteva vedere il perché la cosa piacesse a Controllo. Ma in questo caso... perché mai Gilgamesh aveva mostrato di ignorare i Denizen?

Non aveva senso. Ma d'altra parte non poteva elaborare una teoria migliore per rimpiazzarla.

"Ho quello che vi serve," disse, dopo la dovuta considerazione. "Cholok ha detto che sarebbe stata semplice la rimozione."

"Cholok è sempre affidabile," disse il Denizen.

"Voi la conoscevate... la conoscete, allora?"

"Ci ha fatto quello che siamo adesso."

"La odiate, allora?"

"No, la amiamo." Il Denizen mostrò di nuovo il sorriso da squalo e a Vargovic sembrò che nel cambiare del suo stato emotivo cambiasse anche la colorazione della sua bioluminescenza. Ora era scarlatta, non più la sfumatura verde-blu che aveva mostrato alla sua prima apparizione. "Ha preso l'abominio che eravamo e ci ha resi qualcosa di migliore. Ci trovavamo nel dolore, una volta. Sempre nel dolore. Ma Cholok ce lo ha tolto, ci ha resi forti. Per questo l'hanno punita ed anche noi."

"Se odiate la Demarchia," chiese Vargovic, "allora perché avete atteso fino ad ora per attaccarla?"

"Perché non possiamo uscire," disse uno degli altri Denizen, il tono della voce che tradiva una certa femminilità. "La Demarchia odiava ciò che Cholok ci aveva fatto. Lei ha portato alla ribalta la nostra umanità, ha reso impossibile che venissimo trattati da animali. Pensavamo che ci avrebbero ucciso, piuttosto che rischiare che la nostra esistenza venisse resa nota a tutto il resto di Circum-Giove. Invece ci hanno esiliati qui."

"Pensavano che saremmo tornati utili," disse un'altra delle creature che si annidava sul fondo.

Proprio in quel momento un altro Denizen entrò nella grotta provenendo dal mare aperto.

"Lo hanno seguito degli agenti della Demarchia," disse, la sua colorazione era rosso sangue, tinta d'arancio e pulsava vivacemente. "Saranno qua in un minuto."

"Dovete proteggermi," disse Vargovic.

"E' naturale," il Denizen capo disse. "Sei il nostro salvatore."

Vargovic annuì vigorosamente, non più tanto convinto di riuscire ad affrontare da solo i tre operatori. Da quando era giunto alla grotta aveva sentito la sua energia scemare, come se stesse soccombendo ad un lento avvelenamento. Un pensiero premeva nel fondo della sua mente e per un momento quasi gli prestò attenzione, considerò quasi seriamente la possibilità che lo stessero avvelenando. Ma ciò che accadeva fuori della grotta lo distraeva troppo. Vide i tre agenti della Demarchia che si avvicinavano, spinti in avanti dai propulsori che tenevano davanti a sé. Ogni avente portava una fiocina leggera, armata con una punta minacciosa.

Non ebbero alcuna possibilità.

I Denizen si spostavano troppo velocemente, slanciandosi dalle ombre, tagliando attraverso l'acqua. Le creature si muovevano più velocemente degli agenti della Demarchia, anche se avevano solo i loro muscoli e la loro anatomia a dare loro la spinta. Ma era più che sufficiente. Non avevano nemmeno armi, nessun arpione. Ma delle rocce affilate erano più che sufficienti, quelle dei loro denti.

Vargovic era impressionato dai loro denti.


 

Poi i Denizen tornarono alla grotta per unirsi ai loro cugini. Ora si muovevano in modo più intorpidito, come se la furia della lotta li avesse prosciugati. Per alcuni attimi rimasero silenziosi, e curiosamente la loro luminescenza si era attenuata. Lentamente, comunque, Vargovic vide che il loro colorito stava tornando.

"E' stato meglio che non vi abbiano ucciso," disse il capo.

"Maledettamente giusto," disse Vargovic. "Non si sarebbero limitati ad uccidermi, lo sapete." Aprì i pugni esponendo il palmo della mano. "Si sarebbero assicurati che non arrivassero mai a voi."

I Denizen, tutti quanti, guardarono momentaneamente alle sue mani aperte, come se ci fosse dovuto essere qualcosa.

"Non sono sicuro che voi abbiate capito," disse alla fine il capo.

"Capito cosa?"

"La natura della vostra missione."

Lottando contro la stanchezza, era una chiazza nera che avvolgeva la sua coscienza, Vargovic disse: "Comprendo perfettamente. Ho i campionei di iperdiamante, nelle mie mani..."

"Non è quello che vogliamo."

Questo non gli piaceva, per niente. Era il modo in cui i Denizen stavano lentamente scivolando attorno a lui, sgusciando furtivamente attorno a lui per ostruire l'uscita dalla grotta.

"E cos'è allora?"

"Ci avete chiesto perché non li abbiamo attaccati prima," disse il capo, con un fascino pauroso. "La risposta è semplice. Non possiamo lasciare lo sfiato."

"Non potete?"

"La nostra emoglobina. Non è come la vostra." Di nuovo quel sorriso da squalo, e ora era ben cosciente di ciò che quei denti potevano fare, date le giuste circostanze. "Era stato confezionato per permetterci di lavorare qui."

"Copiato dagli sfiatanti?"

"Adattato, sì. In seguito è diventato il mezzo per imprigionarci. Il DNA nel nostro midollo osseo era stato manipolato per limitare la produzione della normale emoglobina, un mezzo semplice per sopprimere alcuni geni beta-globini mantenendo le variante che codificano l'emoglobina degli sfiatanti. Il solfuro d'idrogeno è velenoso per voi, Vargovic, Forse vi sentite già debole. Ma noi non possiamo sopravvivere senza di esso. L'ossigeno ci uccide."

"Se lasciate lo sfiato..."

"Moriamo, nel giro di poche ore. C'è dell'altro, comunque. Qui l'acqua è calda, così calda che non abbiamo bisogno delle glicoproteine. Abbiamo le istruzioni genetiche per sintetizzarle, ma sono state bloccate anch'esse. Ma senza le glicoproteine non possiamo nuotare nell'acqua più fredda, In sangue ci si gelerebbe."

Ora era circondato, demoni acquatici incombenti, che emanavano un'ombra florida color carminio. E si stavano facendo sempre più vicini.

"Ma cosa vi aspettate che ci faccia io?"

"Voi non dovete farci niente, Vargovic." Il capo aprì del tutto le sua mascelle abissali, come se stesse assaggiando l'acqua. Per prima cosa era un miracolo che un organo come quello fosse capace del linguaggio.

"No?"

"No." E con ciò il capo si sporse in avanti accostandolo, mentre allo stesso tempo fu spinto da dietro da un'altra creatura.

"E' stato il compito di Cholok," continuò il capo. "Il suo ultimo regalo per noi. Maunciple è stato il suo primo tentativo di arrivare a noi, ma Maunciple non ce l'ha fatta mai."

"Era troppo grasso."

"Tutti i traditori hanno fallito... è che non hanno la tenuta per arrivare così lontano dalla città. E' per questo che Cholok ha reclutato voi, un esterno."

"Cholok ha reclutato me?"

"Sapeva che l'avreste uccisa (naturalmente l'avete fatto) ma questo non l'ha fermata. La sua vita contava di meno di ciò che stava per donarci. E' stata Cholok a fare una soffiata alla Demarchia sul luogo principale della vostra estrazione per costringervi a venire da noi."

Si dimenò, ma era inutile. Tutto ciò che poté fare fu un flebile, "Non capisco..."

"No," disse il Denizen. "Forse non ci siamo mai aspettati che lo faceste. Se aveste capito forse non avreste accettato tanto volentieri di seguire il piano di Cholok."

"Cholok non ha mai lavorato per noi?"

"Una volta, forse. Ma i suoi ultimi clienti siamo stati noi."

"E ora?"

"Ci prendiamo il vostro sangue Vargovic." La presa su di lui si rafforzò. Usò le sue ultime riserve d'energia che andavano scemando per cercare di liberarsi, ma fu inutile.

"Il mio sangue?"

"Cholok ci ha messo qualcosa dentro. Un retrovirus... molto resistente, capace di sopravvivere nel vostro sangue. Serve a riattivare i geni che sono stati soppressi dalla Demarchia. Immediatamente saremo capaci di produrre emoglobina portatrice di ossigeno. Il nostro sangue si riempirà di glicoproteine. Non sarà un grande sforzo: tutto il macchinario cellulare per produrre queste molecole è già presente, serve solo che venga slegato."

"Dunque vi occorre... che cosa? Un campione del mio sangue?"

"No," disse il Denizen con un dispiacere genuino. "Temo che ne occorra di più di un campione. Molto di più."

E poi, con magistrale lentezza, la creatura gli morse il braccio e come il sangue iniziò a fluire il Denizen bevve. Per un attimo gli altri attesero, ma poi anche loro si fecero avanti per mordere e per unirsi al furore del pasto.

Tutto attorno a Vargovic l'acqua si stava colorando di rosso.


© Alastair Reynolds tit. orig. A Spy in Europa
apparso originalmente in Interzone, June, 1997
ristampato in Gardner Dozois (a cura di), The Year's Best Science Fiction, Fifteenth Annual Collection
trad. ital. Santoni Danilo

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