Il Leone e l’Oyarsa: i mondi di C. S. Lewis
Data: Venerdì 16 settembre 2005
Argomento: Saggistica


un saggio di Massimo Pietroselli

Il bene diventa sempre migliore e il male peggiore:
le possibilità di una neutralità anche solo apparente continuano a diminuire.
C. S. Lewis, Quell’orribile forza

L’ombra dei Teo-Con su Narnia?

Clive Staples Lewis, “Jack” per gli amici, nasce a Belfast nel 1898. E’ Fellow and Tutor d’Inglese al Magdalen College di Oxford dal 1925 al 1954 e professore di Inglese Medievale e Rinascimentale a Cambridge dal 1954. Muoree a Cambridge dal 1954. Morì nel 1963, lo stesso giorno dell’assassinio di John Kennedy.

Sostanzialmente ateo da giovane, dopo un lungo travaglio diventa cattolico e scrive diversi romanzi e saggi apologetici. Tra i romanzi, oltre a quelli di Narnia e della Trilogia Cosmica, ricordo il divertente Le Lettere di Berlicche, nel quale un demonio “senior”, Berlicche appunto, tenta di insegnare al giovane e inesperto nipote Malacoda l’arte di dannare gli uomini, attraverso uno scambio epistolare nel quale virtù e peccato sono visti da una prospettiva davvero “diabolica”.

La sua particolare storia d’amore con Joy Davidman, che sarà per pochi anni sua moglie prima di morire di cancro nel 1960, è raccontata nel bio-pic Viaggio in Inghilterra (Shadowsland, regia di Richard Attenborough), nel quale Anthony Hopkins rende Lewis più affascinante e smielato di quanto non sia stato. Più interessante, per capire l’uomo Lewis, è il suo libretto Diario di un dolore, documento in morte della moglie dove cerca di collocare l’avvenimento all’interno del suo credo religioso. Un libro senza pietà né autocensure, attraverso il quale può valutarsi la forza intellettuale di quest’uomo, che scriveva ad esempio: “Parlatemi della verità della religione e ascolterò con gioia. Parlatemi del dovere della religione e ascolterò con umiltà. Ma non venite a parlarmi delle consolazioni della religione, o sospetterò che non capite.”

Un cristiano duro, tagliente come un rasoio ma anche acuto umorista, rigoroso con sé come con gli altri (cosa che lo distingue dai tanti moralisti che si nascondono dietro una fede e dai teo-con di oggi, che difendono, ad esempio, il diritto alla vita dell’embrione, ma non quello degli iracheni), del quale si possono non condividere alcune opinioni o il suo energico modo di esporle, ma al quale va riconosciuto che non razzolò male, che non espresse mai idee banali e che, soprattutto, seppe creare un’originale epopea di fantascienza teologica e una saga fantasy considerata un classico nei paesi di lingua inglese (pare che Gorge Lucas si sia ispirato al Leone Aslan per il personaggio di Chewbacca). E comunque, solo i lettori dilettanti cercano nei libri le conferme alle loro opinioni: come scrive lo stesso Lewis in Sorpreso dalla Gioia, “ero ormai un lettore abbastanza esperto per distinguere l’apprezzamento dal consenso”.

Accade ora che, sull’onda del successo di film fantasy come il Signore degli Anelli e Harry Potter, Hollywood si sia ricordata del vecchio amico di J. R. R. Tolkien e del suo ciclo di Narnia, e stia per invadere gli schermi natalizi con il primo film della saga, di cui su Internet già circolano foto trailer e anticipazioni varie.

Il film nasce all’ombra dei teo-con. Philip Anschutz, uno degli uomini più ricchi e potenti d'America nonché un cristiano di culto presbiteriano, conservatore sia sul piano religioso che su quello politico, decide infatti di ampliare i suoi interessi, che vanno dal petrolio allo sport, investendo 150 milioni di dollari sul primo film tratto dalle Cronache di Narnia,  The lion, the witch and the wardrobe. Ora, poiché i teo-con maneggiano le raffinatezze intellettuali senza alcun imbarazzo, ovvero non hanno alcun imbarazzo nel non saperle maneggiare affatto, e da parte sua Hollywood ha recentemente prodotto film in cui la tematica religiosa è affrontata con finezza non proprio tomistica (The Passion), c’è da chiedersi quanto del Lewis letterario rimarrà nel film.

Prima che il solito merchandising bombardi con chirurgica precisione il nostro immaginario con una certa idea di Narnia, forse sarebbe meglio tornare alle fonti, che sono godibilissime, indipendentemente dal credo religioso di ognuno; e riscoprire, già che ci siamo, anche la teo-SF del nostro (Narnia è reperibile negli Oscar Mondadori e la Trilogia Cosmica è stata ristampata da Adelphi).

Personalmente, nel leggere Lewis sono sempre stato accompagnato dalla piacevole sensazione che il vecchio Jack, nonostante il suo conservatorismo, si troverebbe un po’ stretto in compagnia dei moderni teo-con e dell’Occidente che vanno modellando da tempo; sensazione condivisa, tra gli altri, anche da Franco Ferrucci, per il quale ”Lewis è di certo un (illuminatissimo) conservatore” - dove quell’ “illuminatissimo”, messo così tra parentesi, sembra quasi scusare il seguente “conservatore”.

D’altronde, dubbi sul completo allineamento di Lewis alle moderni correnti di pensiero occidentale vengono anche da ambienti impensabili. A titolo di esempio, A. N. Wilson nel suo C. S. Lewis - A biography, riporta che gli editori statunitensi stanno cercando di rimuovere dai libri di Lewis i riferimenti ad alcool e tabacco (Jack amava la birra e la pipa, da bravo hobbit ad honorem): non tanto, scrive Wilson, perché essi disapprovino i gusti di Lewis, ma perché hanno bisogno (a fini di marketing) di un Lewis “non fumatore e bevitore di limonate”.

Ma basta coi preamboli: anzi, no. E’ infatti necessaria una breve digressione su quel che Lewis, Tolkien e gli altri inklings pensavano a proposito della letteratura.

“Un’invenzione a proposito della verità”

All’inizio, come sempre, sta il linguaggio. In questo caso, il linguaggio della mitologia.

Owen Barfield, amico di Lewis e di Tolkien, nel saggio Poetic Diction sostiene che, nei tempi antichi, la gente usava le parole senza distinguere il loro senso “letterale” da quello “metaforico”. Le sottili distinzioni, i vocabolari, la retorica e i sofismi, i paradossi e così via fino ai linguaggi formali e artificiali, sarebbero tutti venuti dopo. Ma un tempo, quando le parole erano giovani, intorno a loro c’era un alone di magica imprecisione. Accadeva che una stessa parola significasse molte cose: ad esempio, spiritus significava “spirito” ma anche “respiro” e “vento”.  Il vento soffiava ed era il respiro della divinità, così come il nostro spirito era il respiro della vita: il mondo animato e inanimato si confondevano.

Che storie nascevano, da un linguaggio del genere? Ovviamente, storie in cui ogni Elemento aveva il proprio spirito, in cui le piante erano vive e gli Dei abitavano tra noi e amavano e odiavano come noi. Le storie della mitologia, insomma, di cui Salustio diceva che “non avvennero mai, ma sono sempre.”

Barfield giunge così alla conclusione che la mitologia, lungi dall’essere una malattia del linguaggio (Tolkien dirà che, semmai, “le lingue sono una malattia della mitologia”), è strettamente associata all’origine della letteratura.

Ora, Lewis amava la mitologia. Quest’amore ebbe una parte notevole nella sua conversione religiosa, ed è la chiave per comprendere la sua opera, in particolare fantasy e fantascientifica: che parte dal presupposto che la parola non possa descriverci la Verità, compito che spetta solo all’Arte. “Le parole sono vaghe” scrive in Perelandra (secondo volume della Trilogia Cosmica). “La ragione per cui questo argomento [Dio] non si può esprimere è perché è troppo definito per le parole.”

Durante l'adolescenza, Lewis si era dichiarato agnostico, passando poi a credere al "mito" cristiano, ma flebilmente, senza comprenderne davvero il significato; in questo stato d’animo, sospeso per così dire, nella notte del 19 settembre 1931 (H. Carpenter, Gli Inklings), durante una passeggiata postprandiale, Tolkien fornisce all’amico una suggestione fondamentale per poter accettare pienamente il Cristianesimo, ricorrendo proprio all’amore dell’amico per la mitologia e alle teorie di Barfield.

Tolkien chiese a Lewis se, godendo di tanti miti che parlavano di morte e resurrezione di antichi Dei, si fosse mai posto la domanda del loro “significato”. Naturalmente no, si limitava ad appassionarsi a quelle storie e ne ricavava intuitivamente qualcosa che i più astrusi ragionamenti teologici non avrebbero mai potuto dargli. Perché, allora, non poteva considerare la storia del Cristo come un racconto che si fa vero? Così come parlare è un'invenzione riguardante  oggetti e idee, sosteneva Tolkien, il mito è un'invenzione a proposito della verità.

“Veniamo da Dio, e, inevitabilmente, i miti da noi tessuti, pur  contenendo errori, rifletteranno anche una scintilla della luce vera:  la verità eterna che è con Dio. Infatti, solo creando miti, solo  diventando un sub-creatore di storie l'uomo può aspirare a tornare allo stato di perfezione che conobbe prima della caduta. I nostri  miti possono essere male indirizzati, ma, anche se vacillano, fanno rotta verso il vero porto…”

Praticando la mitopoiesi e popolando il mondo di elfi, draghi, streghe e maghi, il narratore o sub-creatore riflette così un frammento minuscolo della vera luce. I miti pagani, perciò, non sono mai semplici bugie: in loro vi è sempre qualcosa di vero. I miti erano ispirati da Dio, che è il Supremo Mitopoieta, quando il linguaggio dell’uomo non misurava il mondo, ma era piuttosto l’evocazione del suo spirito vitale, come diceva Barfield. E nel momento dell’Incarnazione, cardine della Storia e di tutte le storie, non è logico che il Supremo Maieuta abbia utilizzato carne, ossa e sangue reali per creare un Mito che fosse la summa di tutti i Miti, il Mito Perfetto?

Che nella narrazione della vita e morte di Cristo ricorrano temi di precedenti miti è fatto noto, e usualmente utilizzato per ridurre a favola l’Incarnazione. Ad esempio, Odifreddi nel suo articolo E venne un mito chiamato Gesù ci ricorda che: “…Certamente [Gesù] non nacque il 25 dicembre, che è la festa pagana di Mitra e della resurrezione del Sole, tre giorni dopo la sua morte al solstizio d'inverno: come dice infatti il nome stesso, prima di riprendere la sua salita il Sole sembra fermarsi nel cielo. Il legame del cristianesimo col Sole non è certamente casuale. Ad esempio, il 25 giugno, in cui si verifica l'analogo fenomeno relativo al solstizio d'estate, la Chiesa festeggia Giovanni Battista, e il 25 marzo, similmente collegato all'equinozio di primavera, l'annunciazione e il concepimento della Madonna. I dodici apostoli, cosí come i patriarchi e le tribù di Israele, costituiscono un ovvio riferimento alle costellazioni celesti. L'ostensorio mantiene i raggi ma sostituisce l'ostia al disco solare innalzato nel rito di Mitra (dal quale prende anche il nome il copricapo dei vescovi). E la domenica è ancor oggi "Sunday", "giorno del Sole''. Più generalmente, non sono casuali neppure i molti legami dei miti evangelici su Gesù con una serie di simili miti su altri eroi e divinità antiche: dall’Osiride egiziano al Krishna indiano, dal Mitra persiano all'Ercole greco. Si tratta, più precisamente, di tutte le supposte singolarità del personaggio: la verginità della madre ("prima, durante e dopo il parto''), la strage degli innocenti, il "blackout" tra infanzia e maturità, l'esecuzione di miracoli e prodigi (dalla moltiplicazione dei pani alla camminata sulle acque), l'eucarestia (presente dal culto di Osiride ai misteri eleusini), la crocifissione (si veda il classico "I sedici salvatori crocifissi del mondo" di Kersey Graves) e la resurrezione (altrui e propria). Queste storie, dunque, stanno in piedi o cascano tutte assieme, e sarebbe provinciale voler credere a una sola tradizione (ovviamente, la propria) ma non alle altre.”

In breve, le suggestioni mitico-religiose di Tolkien colpiscono il segno e Lewis si converte alla stessa religione dell’amico e alla stessa visione della letteratura come riflesso mitologico della Verità. La loro visione del Cristianesimo, facendo dell’Incarnazione e della Passione il Mito dei Miti e di Dio il Supremo Mitopoieta, affida alla narrazione mitologica il compito di suggerire quelle Verità che sono troppo definite per essere esposte, o peggio dimostrate, dalla vaghezza del linguaggio ordinario.

Nel corso degli anni, nel ristretto circolo degli Inklings, i due e altri colleghi scrittori fumeranno pipe e berranno pinte di birra fino a tarda notte, discutendo di argomenti filosofici e letterari e, soprattutto, leggendo brani dei rispettivi romanzi.

Nel corso degli anni ci saranno dispute, critiche, apprezzamenti reciproci, finché il tempo non indebolirà i legami tra gli Inklings; ma nel corso di quelle riunioni ci saranno anche letture di testi in divenire come Il Signore degli Anelli, la Trilogia Cosmica e le Cronache di Narnia, tra le migliori opere SF e Fantasy prodotte dalla fantasia inglese del XX secolo, e da quel crogiuolo ognuno attinse qualcosa, anche se Tolkien, il più “purista” di tutti, fu forse il più tetragono alle influenze esterne.

Non così Lewis, che anzi costellò i suoi libri di rimandi agli Inklings. Ad esempio, il protagonista della Trilogia Cosmica, il filologo Elwin Ransom, sembra ispirato fortemente dalla figura di Tolkien. Se ne accorse la stessa figlia, Priscilla Tolkien; lo fece presente al padre, che rispose: “In quanto filologo, è probabile che in lui ci sia una parte di me, e riconosco in lui alcune delle mie opinioni e idee, ma lewisificate”. Anche diversi nomi coniati da Lewis debbono molto a Tolkien: Tor e Tinidril, ad esempio, l’Adamo e Eva di Perelandra. E in Quell’orribile forza ci sono precisi riferimenti a Numenor (che diventa Numinor) e alla Terra di Mezzo.

Ma, al di là di citazioni e rimandi, è il concetto di letteratura ad essere il vero comun denominatore degli Inklings, ed in particolare di Tolkien e Lewis: letteratura come narrazione mitica di verità religiose, come pratica mitopoietica, come riflesso terreno della creazione divina.

“La Musa è una realtà. Un debole soffio, come dice Virgilio, raggiunge anche le ultime generazioni. La nostra mitologia è basata su una realtà più solida di quanto non crediamo: ma è anche a una distanza infinita dalla base… [Ransom] capì perché la mitologia sia così com’è: raggi di forza e di bellezza celestiali che cadono su una giungla di sporcizia e di imbecillità” scrive Lewis nel secondo volume della Trilogia Cosmica, Perelandra.

Lewis cercherà di risvegliare questa realtà nascosta usando diversi registri: nella Trilogia Cosmica lo stile è un melange tra Stapledon e la medievale Cosmographia di Bernardus Silvestris; in Narnia, tra Stevenson e l’apparente semplicità delle parabole evangeliche.  La leggibilità è sempre alta, unita a spunti di riflessione che vengono da fonti diversissime, dalla mitologia greca alla filosofia medievale.

Il rischio di una simile concezione della letteratura è ridurre la narrazione ad allegoria, ma Lewis riesce quasi sempre ad evitarlo. In particolare questo è vero per il ciclo di Narnia, scritto in stato di grazia, mentre diverse parti della Trilogia Cosmica sono affette da un simbolismo che appesantisce il racconto. Ma, in generale, la narrazione è affascinante di per sé; una narrazione i cui personaggi vivono e non simboleggiano solo qualcosa, che vibra continuamente di rimandi ad Altro, come in Carroll, come un velo che nasconde qualcosa di cui possiamo solo intuire la forma. Come se la storia, insomma, non fosse tutta lì, eppure, per un altro verso, fosse proprio tutta lì. Perché, come diceva Lewis, “Una storia - o per lo meno una grande storia del tipo mitico - ci fa sperimentare qualcosa non visto come astrazione, ma come realtà concreta. Noi non “comprendiamo il significato” quando leggiamo un mito: noi ci troviamo effettivamente di fronte alla cosa stessa.”

Interessanti le caratterizzazioni psicologiche, che consentono a Lewis alcuni spunti umoristici alla Chesterton: come il seguente, tratto da Quell’orribile forza.

“La difficoltà basilare nella collaborazione tra i sessi è che le donne parlano un linguaggio senza sostantivi. Se due uomini fanno un lavoretto insieme, l’uno dice all’altro: “Metti questa ciotola dentro quella più grande che sta sul ripiano in alto dell’armadio verde”. Il corrispettivo femminile è: “Mettila nell’altra là dentro”. Se poi uno chiede: “Dentro dove?”, le donne dicono: “ dentro, naturalmente”. Ne deriva quindi una capacità di comunicare ridotta all’osso.”

IL CONFINE DI NARNIA

La Caduta vista da Fuori: “la Trilogia Cosmica”

“Lavoro adesso ai platonisti del XII secolo e incidentalmente ho scoperto che scrivono un latino terribilmente difficile. In uno di essi, Bernardus Silvestris, ho trovato una parola sulla quale desidererei il suo parere, la parola Oyarses. Questa parola si presenta nella descrizione di un viaggio attraverso i cieli, e un Oyarses pare essere l’ “intelligenza” o il nume tutelare di una sfera celeste, o meglio, nella nostra lingua, di un pianeta…”

Siamo alle battute finali di Lontano dal Pianeta Silenzioso. Abbiamo scoperto che per gli Oyarses (pronuncia: ousiarch) che abitano il Campo di Arbol, cioè il nostro sistema solare, il “Pianeta Silenzioso” (Thulcandra) è la Terra. Da vecchi abitatori rassegnati al rumore e al caos, non lo avremmo mai creduto: eppure, poiché nello spazio nessuno può sentirti urlare, è logico che dalla Terra nessun urlo o esplosione o canzonetta possa uscirne.

Ma, per Lewis, il Silenzio del nostro pianeta non ha causa fisica, bensì etica. Il Silenzio è conseguenza della Caduta. La Caduta riguarda solo il nostro pianeta, solo gli uomini sono macchiati del Peccato Originale: questa è l’idea del ciclo. L’oyarsa della Terra divenne malvagio, avvelenò il pianeta di cui doveva essere nume tutelare e progettò di espandersi negli altri mondi. Maleldil lo combatté confinandolo sulla Terra: “Lì, senza dubbio, egli vive adesso, sicché nulla più sappiamo di quel pianeta: è silenzioso. Crediamo che Maleldil non vorrà lasciarlo totalmente al Maligno, e fra di noi circola la storia che egli ha preso strane deliberazioni…” dice enigmatico l’oyarsa di Malacandra, cioè di Marte.

Una cappa malvagia ha dunque escluso la Terra dal consesso degli Oyarses, facendola diventare un Buco Nero spirituale. Il Male progetta di fuggire dalla gabbia con ogni mezzo; gli Oyarses combattono questi progetti e profetizzano di una guerra finale che si profila all’orizzonte (la Seconda Guerra Mondiale si avvicinava).

Temi e profezia del conflitto prossimo venturo sono impostati nel primo romanzo, Lontano dal Pianeta Silenzioso (1938), insieme ai protagonisti del ciclo, il professor Elwin Ransom e gli scienziati Richard Devine e Edward Weston. Ransom, alla fine di una lovecratiana passeggiata notturna nel bosco, penetra in una casa per scoprire che i due scienziati stanno preparando un viaggio su Marte, che sanno abitato da forme di vita intelligenti e d'aspetto repellente, e viene rapito con il proposito di essere offerto in sacrificio. Weston spera di poter impiantare colonie umane su Marte, per espandere la razza umana oltre i limiti terrestri; Devine, più prosaicamente, è attratto dai metalli preziosi del pianeta. Arrivati su Marte, Ransom fugge, entra in contatto con l’Oyarsa del pianeta e apprende così l’organizzazione spirituale del sistema solare, la lotta sul pianeta silenzioso e le prossime battaglie; dal canto suo, Ransom informa l’Oyarsa che, sulla Terra, Maleldil si è incarnato e sacrificato per la salvezza dell’umanità. I tre tornano infine sulla Terra.

Nel romanzo si annuncia la prossima resa dei conti: «Io ti lascio anche un ordine» dice l’Oyarsa a Ransom al momento del ritorno dei tre sul Pianeta Silenzioso. «Dovrai vigilare Weston e Devine. Essi possono fare ancora molto male nel tuo mondo e anche al di là… Può darsi che l’assedio di Thulcandra sia alla fine. Ci sono grandi novità in marcia. Salvo che Maleldil non me lo proibisca, io non mi terrò lontano da esse. Ed ora, addio.»

In Perelandra (1943) Ransom torna a viaggiare nello spazio, precisamente su Venere, appunto Perelandra. Stavolta non viene rapito, ma trasportato tra i cieli in modo sovrannaturale dagli stessi Oyarses per sconfiggere una minaccia che grava sul pianeta, dove la vita è da poco sbocciata. L’ambiente è paradisiaco e gli abitanti belli e di sembiante umano: ciò stupisce il professore, che ricorda bene l’aspetto del tutto alieno degli abitanti marziani. Il motivo è, naturalmente, teologico. Come spiega a Ransom la Signora, una sorta di Eva venusiana: «Da quando il nostro Beneamato divenne uomo, come potrebbe la Ragione assumere altra forma in un altro mondo qualsiasi? Non capisci? Quello è tutto finito. Nei tempi c’è un tempo che gira a una svolta e tutto dall’altra parte è nuovo. I tempi non vanno all’indietro.»

«Dopo questo» commenta Ransom «tutto sarà umano.»

Insomma, tutte le forme di vita intelligenti che nascono nel cono spaziotemporale che ha per vertice l'evento dell'Incarnazione sulla Terra e che contiene tutti gli eventi tra loro correlabili, per dirla con la relatività, sono per Lewis necessariamente antropomorfe: questa ipotesi, per inciso, dovrebbe tuttavia sottendere quella del creazionismo, visto che altrimenti il momento esatto della "nascita" rimane di difficile definizione.

Ma qual è la minaccia che il professore deve sventare? La Tentazione, ovviamente, che sta per ripetersi su Perelandra; e il demonio stavolta abita non la pelle d’un serpente ma il corpo di Weston, giunto sul pianeta a bordo di un’astronave. Malacandra non aveva conosciuto la Caduta (e dunque i marziani nulla sapevano di Gesù), Perelandra potrebbe invece diventare un secondo Pianeta Silenzioso. Quindi, Perelandra costituisce sia una rilettura mitologica della Verità della Caduta, sia un’occasione per descrivere le nuove maschere che il Maligno potrebbe indossare. E mentre l’allegoria mitologia è forse la cosa più pesante dell’intero ciclo, il demonio che anima Weston è deliziosamente sottile, un vero Berlicche.

Il professor Weston è l’incarnazione di tutto quello che Lewis detestava. Ecco come parla nel Pianeta Silenzioso, rivolto ai pacifici abitanti di Marte: “Io porto sulle spalle il destino della razza umana. La vostra vita da tribù, le vostre armi dell’età della pietra, le vostre capanne simili ad alveari, le vostre piroghe primitive e la vostra elementare struttura sociale non hanno niente di paragonabile alla nostra civiltà fondata sulla scienza, sulla legge, sulla medicina, alle nostre armi, alla nostra architettura, al nostro commercio e al nostro sistema di trasporti che sta rapidamente annullando lo spazio e il tempo. Il nostro diritto di sopravvivervi è il diritto del più forte sul più debole.”

Conoscenza senza etica, tecnologia senza spiritualità, darwinismo sociale, Progresso al posto dello Sviluppo, il Mito delle Macchine… e, naturalmente, l’ombra del Nazismo che incombe su tutta la Trilogia, scritta appunto tra il 1938 e il 1945. Il peggior nemico dell’umanità, insomma, è l’uomo di cultura che ha perduto il senso etico della sua ricerca, il tecnocrate che si sradica dalle tradizioni e procede avanti, avanti, avanti (…si può spingere di più, come cantava Gaber).

“La cosa verso cui avanziamo è ciò che chiamate Dio” sostiene Weston-Diavolo, subdolo e dialetticamente irresistibile, a Ransom in Perelandra. “Il tendere in avanti, il dinamismo, è ciò che gente come lei chiama sempre il Diavolo. Le persone come me, che tendono in avanti, sono sempre martiri… Il mondo progredisce attraverso grandi uomini e la grandezza trascende il semplice moralismo.”

Lo scientista che Lewis descrive non nega affatto Dio: modificando leggermente la semantica, lo ingloba anzi nella sua visione del mondo, e così facendo trasforma i suoi detrattori in amici del Diavolo. Un cambiamento prospettivo davvero sottile: e tuttavia, leggendo il romanzo pensavo che oggi sta succedendo esattamente l’opposto. Dopotutto, ai primi dello scorso agosto il presidente Bush si è espresso favorevolmente all’insegnamento nelle scuole della dottrina del “disegno intelligente” quale alternativa alla spiegazione della nascita della vita offerta dalla teoria dell’evoluzione. Ora, questo è un grande successo di quell’inquietante istituzione che è il Discovery Institute, creata intorno al 1990 per sostenere appunto il “disegno intelligente” ma anche teorie sullo stato, la riforma delle leggi, la difesa, la tecnologia; il tutto con generosi finanziamenti di fondamentalisti cristiani come il nababbo Howard Ahmanson Jr e la Fondazione Maclellan. E questo successo è dovuto alla stessa sottigliezza adoperata da Weston: si sostituisce “Dio” con “Disegno Intelligente”, per non urtare i laici; si parla poi di “alternativa” e di “completezza di informazione”, riuscendo così ad affiancare ad una teoria scientifica una dottrina filosofica. Berlicche non avrebbe saputo far di meglio.

Ma torniamo a Weston. Dio si identifica con il Progresso, e coloro che negano questa eguaglianza sono i soliti reazionari che invece vedono sempre il Diavolo nelle novità (è anche vero che lo stesso Lewis scrive in una delle lettere di Berlicche, in qualche modo confermando il pregiudizio: “quasi tutti i vizi sono radicati nel futuro. La gratitudine guarda al passato e l’amore al presente; il timore, l’avarizia, la lussuria e l’ambizione guardano avanti”) . Ma proprio non capisce, Ransom, che Bene e Male sono solo dicotomie illusorie, partorite da un primitivo antropomorfismo religioso, che tutto è Uno, puro Spirito? Esiste una sola Forza, dice ancora Weston (o è Darth Vader?), “una grande impenetrabile Forza, che si precipita dentro di noi dalle oscure basi dell’essere”, una Forza che guida e ispira gente come Weston verso un grande progetto. “Ecco quello di cui sto parlando: spirito, intelligenza, libertà, spontaneità. Ecco la meta verso cui si sta muovendo l’intero processo cosmico. L’affermazione finale di questa libertà, di questa spiritualità, è il lavoro al quale dedico la mia vita e la vita dell’umanità. La meta, Ransom, la meta: ci pensi! Puro spirito: il vortice finale dell’attività auto-pensante e auto-producente.”

Il progetto della Forza è dunque rivelato: un transumanesimo folle di cui Lewis, alla fine degli anni Trenta, anticipa il tipico linguaggio in bilico tra scienza, modelli auto-organizzanti alla Prigogine e spiritualità New Age alla Capra.

E’ nel terzo romanzo del Ciclo, Quell’orribile forza (1945), che il progetto appena accennato su Perelandra prende vita sul Pianeta Silenzioso. Il cerchio si chiude: nel primo romanzo gli uomini salivano dagli Oyarses, nell’ultimo sono gli Oyarses a scendere sulla Terra.

L’orribile Forza, confinata sulla Terra, persegue l’obiettivo di abolire l’uomo attraverso un gruppo di scienziati e intellettuali della NICE (National Institute for Coordinated Experiments), una potente organizzazione socio-scientifica che, attraverso i suoi agganci politici e la disponibilità economica, acquisisce subdolamente il controllo completo di una tranquilla cittadina universitaria, Edgestow.

(Proprio non posso farne a meno: quando penso alla NICE, il cervello si trasla per analogia alla sua opposta realizzazione sulla Terra, il Discovery Institute!)

E’ solo il primo passo per il dominio del Pianeta Silenzioso, la testa di ponte per l’attacco finale. Ma perché proprio Edgestow? Qui la fantascienza si fonde nel fantasy: perché qui dorme - in una tomba segreta - Merlino, il mago che deve essere risvegliato per assicurarsi i suoi servigi ed essere certi della vittoria finale.

Merlino rappresenta “l’ultimo vestigio di un vecchio ordine nel quale la materia e lo spirito erano confusi, secondo il nostro punto di vista moderno… Dopo di lui è arrivato l’uomo moderno per il quale la Natura è qualcosa di morto - una macchina che si deve far funzionare e che si deve smontare se non funziona come si vuole”. Rappresenta insomma l’uomo di cui parlava Owen Barfield, l’uomo dell’unità semantica, della lingua ispirata. (Lewis si diverte a contaminare le mitologie: ad un certo punto, Merlino risorto dice che “in quelle terre c’era la sapienza - una cerchia orientale e una saggezza che giunsero in Occidente da Numinor”.)

Gli uomini della NICE ricevono ordini dalla Forza attraverso il risultato di un esperimento abominevole: la testa di un condannato a morte collegata ad apparecchi elettronici, una sorta di colui che sussurrava nelle tenebre, un burattino di carne e bit attraverso cui parla la Forza. La caccia alla tomba di Merlino è ostacolata dalle forze del bene, un gruppetto di persone ed animali parlanti (eh sì, fantasy) capitanate da Elwin Ransom. La lotta è senza esclusione di colpi e solo l’intervento diretto degli Oyarses degli altri pianeti (un deus ex machina in senso letterale) permetterà di risolvere il conflitto.

Dei tre, questo è il romanzo più cupo, nonostante Lewis sottotitoli che è una favola per adulti (ma quando mai le favole non sono cupe, dopotutto?): e l’ovvia vittoria delle forze del Bene non è certo definitiva. L’obiettivo del Male è l’abolizione dell’uomo (titolo di un saggio di Lewis), la separazione tra conoscenza ed etica, la vittoria delle Macchine: come dice la NICE, la costruzione di un uomo nuovo, l’Uomo Tecnocratico e Obiettivo, che riduce il mondo a misura e perde così le verità del mito.

“In noi la vita organica ha prodotto la Mente. Ha fatto un buon lavoro, ma adesso non ne abbiamo più bisogno. Non vogliamo più un mondo incrostato di vita organica. Dobbiamo liberarci di tutto ciò. Impareremo a mantenere in vita il cervello con sempre meno corpo: impareremo a nutrire il corpo direttamente con sostanze chimiche, senza doverlo più rimpinzare di animali morti e di erbacce. Impareremo a riprodurci senza la copula… Il mondo cui io tendo è il mondo della perfetta purezza. Mente pura e minerali puri. Quali sono le cose che offendono maggiormente la dignità dell’uomo? Sono la nascita, la procreazione e la morte. E se stessimo per scoprire che l’uomo può vivere senza queste cose?”

Nel 1945, Lewis così fantasticava che il Male potesse esprimersi un giorno.

LO STARGATE DI NARNIA

Il Cristianesimo in un Universo Parallelo: “Le Cronache di Narnia”

Nei libri di Narnia, non troverete mappe dettagliate, genealogie ramificate, sintassi di lingue inesistenti, annotazioni sugli usi e costumi di popolazioni bizzarre, calendari di altri tempi: a differenza della Terra di Mezzo, Narnia è un mondo abbozzato quel tanto che basta all’autore per i suoi scopi. Per questo Tolkien non sopportava Narnia (mentre aveva apprezzato la Trilogia, soprattutto i primi due romanzi): per lui, la mancanza di esattezza nella costruzione del mondo immaginario significava prendere alla leggera il compito della sub-creazione. Ma Lewis aveva altre mappe in mente a guidarlo nel suo mondo: i “miti“ cristiani.

Queste mappe lo guideranno per sette romanzi, che da tempo vengono raccolti nell’ordine che segue, secondo le indicazioni del figlio adottivo di Lewis, benché scritti e pubblicati in un altro:

1.    Il nipote del mago (1955)
2.    Il Leone, la Strega e il Guardaroba (1950)
3.    Il cavallo e il suo ragazzo (1954)
4.    Il principe Caspian (1951)
5.    Il viaggio del veliero (1952)
6.    La sedia d’argento (1953)
7.    L’ultima battaglia (1956)

Da cosa nasce l'idea di Narnia? Come per la Trilogia Cosmica, da un "what if?" di natura teologica. Lì l’autore si chiedeva come il resto dell'Universo avrebbe visto la Caduta e l'Incarnazione di Cristo sul pianeta Terra; qui, come dice lo stesso Lewis: “Che aspetto potrebbe avere Cristo se ci fosse davvero un mondo come Narnia ed Egli decidesse di incarnarsi, morire e risorgere di nuovo in quel mondo, come ha fatto nel nostro?”

Ne Il nipote del mago assistiamo alla nascita di questo mondo parallelo, dove due bambini, Digory e Polly, si ritrovano per magia e assistono al fiat lux pronunciato dal grande Leone Aslan, emissario dell'Imperatore d'Oltremare: «Narnia, Narnia, Narnia, svegliati. Ama. Pensa. Parla. Che gli alberi camminino. Che gli animali parlino. Che le acque siano sacre.»

Ma, parallelo a cosa? Difatti, è persino difficile rispondere dove vivessero i due bambini, visto che all'inizio del romanzo Lewis precisa che "a quei tempi, Sherlock Holmes abitava ancora in Baker Street e la banda dei Bastables [personaggi creati dalla scrittrice per ragazzi Edith Nesbit, molto popolari nell'Inghilterra vittoriana] complottava per impadronirsi di qualche tesoro". Pare dunque che già l’Inghilterra dei romanzi sia parallela alla “nostra”; per cui, Narnia impallidisce all’orizzonte, evapora come il Castello d’Atlante. No, per la collocazione toponomastica di Narnia dobbiamo accontentarci di quel che dice il fauno Tumnus a Lucy: «Tutto quanto il territorio che partendo da questo lampione arriva fino a Cair Paravel, il castello che sorge sulle rive dell'Oceano Orientale… tutto questo è Narnia.»

Nel corso dei sette romanzi, si sviluppa la storia di questo universo, dalla creazione alla fine. I quattro bambini protagonisti di diversi dei romanzi, Peter, Susan, Edmund e Lucy, giungono a Narnia attraverso un guardaroba magico, in sostanza uno Stargate steampunk (in altri casi sarà un gorgo in un quadro, il richiamo di un corno magico, un anello magico), e combattono la Strega Bianca che ha gettato il paese in un perenne inverno, diventando i primi, mitici Re e Regine di Narnia. Vivono qui per anni prima di tornare nel loro mondo, mentre nella terra di Aslan si sviluppa su di loro un mito sul modello di Camelot, e una volta a casa scoprono che sono passati solo pochi minuti da quando sono entrati nel guardaroba. Torneranno a Narnia diverse volte, per aiutare il legittimo Principe Caspian a salire al trono e ripristinare le sacre leggi del Leone, per intraprendere un viaggio per mare fino ai confini del mondo… e alcuni incontreranno il loro destino nell’ultimo romanzo del ciclo.

Ogni libro costituisce una storia a sé, mentre la trama orizzontale è, appunto, la cronaca di un mondo in cui accadono di nuovo i principali eventi del cristianesimo, anche se in una luce diversa, reinterpretati piuttosto che trasformati in allegoria. E' probabile che i bambini siano incantati soprattutto dalle avventure e magie, mentre gli adulti possono divertirsi a decifrare il palinsesto che Lewis ordisce come un monaco medievale.

Potente è la mitologia in questo ciclo. Lewis pesca a piene mani, oltre che dalle Sacre Scritture, dall'immaginario del nostro passato nordico, greco, latino; nei romanzi compaiono via via fauni delle foreste, giganti, draghi, esseri delle paludi, alberi che camminano, gnomi, fate, naiadi e driadi, centauri: persino Babbo Natale, sebbene descritto (forse perché i libri sono diretti a un pubblico giovanile) come quello disegnato dai pubblicitari della Coca-Cola. Questa contaminazione mitologica è un altro aspetto del ciclo che Tolkien non riusciva a digerire: per il rigido professore, cesellatore paziente della sua Terra di Mezzo, la contemporanea presenza nello stesso universo narrativo di Babbo Natale e di un fauno faceva crollare ogni sospensione dell'incredulità. Eppure la contaminazione funziona, aiuta Lewis a rendere il suo mondo magico e nello stesso tempo lieve, come un sogno in cui tutto accade senza bisogno di spiegazioni: e difatti in Narnia c'è così poco bisogno di spiegare cose e dispiegare mappe, di inventare lingue e disegnare alberi genealogici! Dopotutto, non è forse sorretta dalle verità celate sotto i miti?

E l'intento "didattico" di Lewis non appesantisce la lettura, come invece capita nella Trilogia Cosmica, quasi che il professore raggiunga i migliori risultati stilistici rivolgendosi a un pubblico giovane, lui che per tutta la vita ha dovuto insegnare ai giovanotti del college ostica letteratura medievale.

Un esempio di questa leggerezza è la rilettura della Resurrezione: ne Il Leone, la Strega e il Guardaroba accade che uno dei ragazzini capitati a Narnia si macchi di tradimento verso Aslan e i suoi stessi fratelli. La Strega Bianca si appella davanti ad Aslan alle Leggi della Grande Magia scritte sulla Tavola di Pietra dall'Imperatore d'Oltremare, perché le sia consegnato il ragazzo. «Sai bene che ogni traditore mi appartiene, è mio per legge. Ogni tradimento mi dà diritto a un'uccisione! Se non avrò il sangue di quel traditore, Narnia sarà distrutta dall'acqua e dal fuoco! Questo dice la Grande Magia!»

Mentre il ragazzo pentito batte i denti e i fratelli sono in ansia per lui, Aslan si incammina con la Strega; i due discutono a lungo e, quando torna, il Leone annuncia che la Strega ("aveva sul volto un'espressione di gioia feroce") ha accettato che sia Aslan stesso a sacrificarsi al posto del traditore! Grande costernazione e dolore, ma la decisione è presa.

Avviene l'esecuzione, Aslan muore (Lewis ha cura di precisare questo punto: non è un trucco del Leone; Aslan muore davvero). Ma il giorno dopo la Tavola di Pietra, dove era stato lasciato legato, è spezzata. Di Aslan non c'è traccia. Susan, una delle sorelle del traditore salvato dal sacrificio del Leone, infine lo vede e, dopo le inevitabili feste, gli chiede la ragione di tutto quel che è successo.

«La Strega Bianca conosce la Grande Magia, ma ce n'è un'altra, più grande ancora, che lei  non conosce...» risponde il Leone. «Quando al posto di un traditore viene immolata una vittima innocente e volontaria, la Tavola di Pietra si spezza e al sorgere del sole la morte stessa torna indietro!»

Questa non è allegoria. Questo è un esempio di narrazione mitopoietica, ri-creazione fantastica. Di simili momenti, in cui la narrazione si fa trasparente rivelandoci quel che di antico c'è sotto, eppure in modo tale che sia nuovo e perfettamente inserito nel contesto di un romanzo d’avventure, è costellato tutto il ciclo: persino l’Anticristo compare  nella figura inquietante di Shift lo scimmione, insieme all’eresia propagata dai nemici di Narnia che Aslan e Satana siano la stessa cosa (nel romanzo che chiude la serie, L’ultima battaglia, dove la storia del mondo di Narnia trova la sua conclusione e le ultime frasi del libro creeranno una piccola controversia, a causa del colpo di scena del tutto inaspettato, soprattutto in un romanzo per ragazzi).

La verità del Mito alita dunque leggera e nuova in queste pagine, nonostante - o forse, graziwe - alla mancanza della coerenza ferrea invocata da Tolkien. Senza considerare che le diverse figure mitologiche che affollano Narnia, non “paganizzano” affatto i romanzi, visto che già l'abate Montfaucon de Villars sosteneva nel suo Conte di Gabalis: "Tali creature, finché Dio trascurò la salvezza del mondo a causa del peccato originale, prendevano piacere a spiegare agli uomini, negli Oracoli, ciò che essere sapevano di Dio e insegnavano loro a vivere moralmente. Dopo la venuta di Cristo, con Dio stesso divenuto guida del mondo, quei piccoli Maestri si ritirarono. E vi fu il silenzio degli Oracoli." Ecco, in poche parole Narnia è un mondo in cui gli Oracoli non sono silenziosi e i Piccoli Maestri vivono ancora accanto ad Aslan: questo è il suo fascino.

Nel ciclo di Narnia tornano, naturalmente, i temi cari al Lewis polemista, soprattutto la critica allo scientismo. Così, ad esempio il Mago dice: «Gli uomini come me, detentori del sapere più arcano e della saggezza, non possono seguire le regole comuni che guidano il mondo… il nostro è un destino superiore e solitario», e la Strega rincara: «Devi capire, bambino, che ciò che per te o per la gente comune è sbagliato, altrettanto non lo è per una grande regina come me. Vedi, il peso del mondo grava sulle nostre spalle, ed è per questo che non possiamo sottostare a nessuna regola. Il nostro è un destino superiore e solitario.» Weston e la Testa senza corpo della NICE (oltre che diverse figure della nostra Storia) si esprimevano allo stesso modo.

Lewis contrappone la magia malvagia degli uomini a quella del Leone Aslan, una magia quest'ultima che non ha bisogno di "ricorrere a noiosi anelli magici [si riferisce a uno dei sortilegi del Mago, grazie al quale si apre la porta tra il mondo di Holmes e dei Bastables e quello di Narnia], ma così, semplicemente, dolcemente, come un uccello che raggiunge il suo nido". Ecco che qui ritorna il tema della Macchina, dell'Artificio umano che scimmiotta la natura, la altera, la manipola, la usa; la Macchina, l'Idolo di Ransom e della NICE, quella che per Tolkien rappresentava "l'uso di progetti e strumenti esterni invece dello sviluppo di poteri e talenti interiori… le macchine per risparmiare fatica creano soltanto fatiche peggiori e senza fine. La Caduta fa sì che questi espedienti non soltanto falliscano il loro scopo, ma si volgano verso nuove e orribili malvagità." Alla Macchina Lewis contrappone il "semplicemente, dolcemente" di Dio-Aslan e del suo strumento, la Natura.

(Ad ogni modo, Lewis e Tolkien e gli altri inklings non hanno mai negato l'importanza delle scoperte scientifiche. Semmai, avversavano il radicarsi dell'opinione che sviluppo e progresso siano sinonimi, che l'uomo sia incamminato in un radioso futuro evolutivo grazie soltanto all'aumentare della sua conoscenza e del suo dominio sulla materia. Dice Lewis: "Facciamo sempre notare come la locomotiva di oggi discende dal Rocket, ma non ci rammentiamo altrettanto bene del fatto che il Rocket non proviene da  una qualche forma più rudimentale di motore, ma da qualcosa di molto più perfetto e complesso – un uomo di genio.")


Mi piace riassumere l’essenza del pensiero di Lewis ricorrendo a Fritz Leiber (che per inciso apprezzò molto la Trilogia Cosmica), che scrisse un racconto per certi versi lewisiano, Il Leone e l'Agnello (sempre leoni!); alla fine del quale Firamthoth, il capo dei ribelli che hanno rifiutato le macchine, dice: “Mi piacerebbe vedere se il leone meccanico può giacere accanto all'agnello mistico. Ma altre menti si devono preoccupare di questo. Io ho fatto la mia scelta.”

Anche Lewis, come Firamthoth, fece la sua e la difese strenuamente: sperando forse in una possibile convivenza.

Personalmente, non saprei dire se il leone meccanico potrà mai giacere accanto all’agnello mistico: forse sì, anche se l’agnello non dormirà sonni tranquilli, per dirla con Woody Allen.

Ma, al momento, sembra piuttosto che sia l’agnello mistico a mostrare i denti: come al solito, la realtà è lo scrittore di fantascienza più immaginoso. Basta darle tempo.







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