di Marcello Bonati
Lucius Shepard è esploso
nella fantascienza per
la qualità delle sue
opere, che spiccava nel
quadro desolante di
quegli anni (e non
solo).
Qualità che deriva da
due fattori
fondamentali: quella
prettamente stilistica,
dovuta,
prevalentemente, alla
sua formazione
culturale: “…frasi
lunghe e complesse, ricche di similitudini e di
subordinate che si incastrano l’una nell’altra
in un fluire continuo.” (Gaetano L. Staffilano,
“Tradire Shepard?”, “Urania” n. 1107, pagg.
198-9), ma anche, e soprattutto, per il suo
“avere da dire una cosa”, che lo fa essere uno
scrittore vero, e non un mestierante da,
solamente, opere commerciali: “Sono pochi
gli scrittori (di Sf) che hanno seguito sempre
un loro tema durante tutta la carriera
artistica, per esempio Theodore Stourgeon, o
ancora Philip Dick, e come questi due principi
della Sf confermano, l’attaccamento ad un
motivo conduttore
principale non costituisce
assolutamente
impedimento ad un pieno
dispiegarsi delle
potenzialità dell’autore.”
(Stefano Carducci, “Dal
drago al ragno”, “Nova
Sf*” n. 10, pag. 209).