I segni fuori
Data: Lunedì 28 novembre 2005
Argomento: Narrativa


un racconto di Mirko Tavosanis

Aldrwyn stava accompagnando il suo Mastro verso le scale della Sede Maestosa quando sentì un balbettio familiare uscire da una delle stanze degli studenti del primo anno. Si fermò all’istante, perché intuì subito che si trattava di qualcosa che non avrebbe dovuto essere recitato lì. Il Maestro si voltò a guardarlo, incuriosito.

            “... ahthe yormyal, ather ussernir...”

            Qualcuno stava evocando il Fuoco. Senza protezioni? Nella zona residenziale? E la voce aveva qualcosa che non andava. Sembrava un borbottìo assonnato.

            A quel punto anche il Maestro la sentì, e sulla faccia gli comparve un’espressione terrorizzata. “Sta succedendo di nuovo... Aldrwyn, fermalo!” urlò.

            Lui provò ad aprire la porta da cui usciva la voce. Era chiusa a chiave. E, se quello era l’incantesimo completo, gli rimanevano solo pochi istanti. La testa gli si svuotò. Indietreggiò di qualche passo nel corridoio, prese la rincorsa e si gettò di spalla contro il battente. Troppo tardi. Un attimo prima dell’urto sentì le sillabe della Conclusione:

            “... arakhas, ather nyyur!”

            Il chiavistello si schiantò. Aldrwyn entrò nella stanza, trascinato dal suo stesso slancio, e in una frazione di secondo vide tutto: le imposte chiuse, una minuscola lucerna posata su un tavolo ingombro di panni sporchi, un pendolo evocatore che vibrava al massimo della velocità... e un ragazzo afflosciato su una sedia a braccioli da due soldi. Il ragazzo – uno studente del primo anno, che Aldrwyn conosceva di vista – sussultò al rumore dello schianto e sollevò la testa, come se fosse stato svegliato di colpo. Ebbe appena il tempo di sgranare gli occhi e di guardarsi intorno con aria smarrita.

            Un attimo più tardi, la stanza si riempì di fiamme.

Più tardi, a incendio domato, il Maestro gli diede qualche informazione in più. “Sembra incredibile, ma è già la seconda volta che succede, quest’anno,” disse.

            “La seconda, Maestro?” chiese Aldrwyn. Lui non aveva saputo nulla della prima.

            “Perdere apprendisti in questo modo...” proseguì il Maestro, come se non l’avesse sentito. “Sono tempi terribili, è vero. Con questa guerra...” Rimase in silenzio e lo sguardo gli si perse nel vuoto.

            Aldrwyn si aggiustò l’impacco sul braccio sinistro. Era fuggito di corsa dalla stanza in fiamme, ma la manica della sua veste aveva preso fuoco lo stesso. D’altra parte, visto quello che era capitato allo sfortunato studente, non sembrava appropriato lamentarsi per quella scottatura o per i capelli strinati.

            “Parlare nel sonno,” disse ancora il Maestro. “Recitare i riti più segreti senza neanche accorgersene... Chi avrebbe pensato che saremmo caduti così in basso?”

            “La guerra finirà presto, Maestro,” disse umilmente Aldrwyn. “E torneremo a studiare come una volta.”

            “Ah!” Il Maestro si alzò dalla sedia e prese a passeggiare nervosamente avanti e indietro lungo la terrazza della Sede Maestosa. Teneva lo sguardo fisso sui tetti della città al di sotto. “Troppo tardi per noi, troppo tardi.” Si fermò a guardare l’orizzonte, in silenzio, con le mani intrecciate dietro la schiena. Poi si voltò verso Aldrwyn.

            “Il Rettore mi ha chiesto di trovare un modo per evitare altri incidenti di questo genere,” disse. “Non esiste un modo, naturalmente, Aldrwyn. Ma è bene mostrare che ci siamo dati da fare.”

            Aldrwyn sentì una sgradevole sensazione alla bocca dello stomaco. Però riuscì lo stesso a dire: “Capisco, Maestro.”

            “Io non ho modo di occuparmene adesso, lo sai.”

            “Ma certo, Maestro.”

            “Potresti occupartene tu? Non credo che un incarico del genere porti via molto tempo.”

            Aldrwyn imprecò tra sé. “Ma certo, Maestro,” disse. “Con entusiasmo.”

In effetti, Aldrwyn impiegò ben poco tempo a inquadrare il problema. Da quando era iniziata l’offensiva di Lamarc, il Re aveva richiesto un flusso continuo di maghi addestrati al combattimento per tenere il confine orientale. Di conseguenza, la Sede Maestosa era stata obbligata a ripiegare su un apprendistato prima di tre anni, poi di due, e infine di dodici mesi, invece dei cinque anni classici. I Maestri cercavano di insegnare in fretta e furia i due o tre incantesimi più utili sul campo di battaglia, senza che ci fosse tempo di assimilarli secondo le vecchie regole, e le conseguenze erano evidenti.

            Aldrwyn andò anche a informarsi dal segretario del Rettore, che con riluttanza gli fornì qualche altro dato. “Due vittime l’estate scorsa. Provavano l’Incantesimo di Fumo nelle cantine... Uno studente morto in modo orribile all’inizio dell’autunno, e non sappiamo perché. Quello che ha evocato il fuoco in camerata, borbottando nel sonno. E subito dopo il Maestro Errin e buona parte della sua classe...”

            Quell’incidente Aldrwyn lo ricordava bene.

            “... e il tuo compagno di ieri. È un proprio un brutto periodo per noi.”

            “Però forse c’è un margine d’intervento,” disse Aldrwyn senza troppa convinzione.

            “Lo vorremmo tutti,” sospirò il segretario. “Ma temo che non sia così.”

            Dopo un paio di giorni spesi a riflettere sul problema Aldrwyn dovette dichiararsi d’accordo. Imparare a memoria una formula era facile solo per una sparuta minoranza di studenti... quelli che di solito puntavano già da giovani a diventare Rettori. Il restante novantanove per certo poteva arrivare al risultato, proprio come Aldrwyn, solo ripetendo Parole e Incantesimi fino all’ossessione. E più erano sotto pressione, più sbagliavano, nonostante gli Incantesimi di Ricordo.

            Aldrwyn si informò anche sugli Incantesimi di Dimenticanza, ma saltò fuori solo la conferma di ciò che già sapeva: non era possibile far scordare gli incantesimi in modo selettivo, tra una lezione e l’altra. La Dimenticanza, quando veniva applicata, cancellava tutto e rendeva necessario ricominciare da zero. Parlò con un paio di Maestri specializzati e ottenne solo conferme negative.

            A quel punto si prese una sera libera e andò a passarla alla Taverna dell’Orso, vicino alle mura della città. Più che per la birra, ci andava perché sapeva che era di passaggio la carovana per Lund; e assieme alla carovana c’era Karia, che di solito passava lì le serate in cui non doveva tenere in ordine i conti.

            La trovò, infatti, circondata dal solito gruppetto di ammiratori. Karia fu così gentile da fargli un cenno di saluto, e Aldrwyn andò a sedersi in un tavolo d’angolo con un boccale di birra. Dopo un po’ lei si mise a sedere sulla panca di fronte.

            “Ti vedo stanco,” gli disse come prima cosa. “Non sapevo che recitare qualche formula fosse così faticoso.”

            Aldrwyn sorrise. “E rovina anche i capelli.” Si passò una mano sui punti in cui c’erano ancora tracce di ustioni. Karia lo prendeva sempre in giro ma trovava sempre il modo di fermarsi a fare due chiacchiere. Lui non aveva ancora capito perché, ma non si lamentava.

            Al secondo boccale le raccontò in dettaglio il problema delle formule. Karia non sembrò particolarmente impressionata.

            “Ma perché non le scrivete?” chiese alla fine.

            Aldrwyn sorrise. “Ci hanno già provato in tanti,” disse. “Ma nella lingua degli incantesimi non ci sono parole che corrispondono alle nostre – o ai nostri ideogrammi. E le parole di quella lingua sono troppe. Trecento migliaia in tutto, sembra. Nella pratica, è più semplice imparare un incantesimo a memoria che provare a collegarlo a mille ideogrammi inventati, anche se ogni tanto qualcuno tiene appunti in questo modo.”

            “E non potete scriverle in un altro modo?”

            Aldrwyn scosse la testa. “Nessuno c’è mai riuscito. È quasi come trascrivere la musica, o il canto degli uccelli... non si può fare.”

            Karia gli sorrise. “Però tu sei sveglio. E troverai una soluzione, vero?” Si alzò in piedi e gli batté una mano sulla spalla, prima di andarsene. “Ma se non trovi nulla puoi mollare tutti quei vecchietti e venire a lavorare con me. Nella carovana c’è ancora posto, lo sai.”

Nei giorni seguenti Aldrwyn ripensò spesso a quel colloquio. Più che altro, in effetti, per ragioni che non avevano nulla a che fare con il suo problema e che lo facevano arrossire. Ma gli tornò in mente anche il discorso sulla registrazione delle parole magiche. Era chiaro da tempo che trascriverle in ideogrammi era inutile per lo studio... ma forse nella lingua magica c’era qualcosa di più semplice delle parole?

            L’intuizione gli venne mentre faceva ripetere un pezzo di Incantesimo del Ghiaccio a una classe del secondo semestre, all’interno di un robusto cerchio protettivo.

            “No, no!” disse a un apprendista con le guance coperte di brufoli. “Arara-klat, non arara-klet! Guarda la mia bocca! A...”

            E in quel momento l’idea lo folgorò e lo lasciò a bocca aperta. Perché le parole della lingua magica erano infinite, ma i suoni che le componevano, probabilmente, no. Altrimenti, come avrebbero potuto insegnarli?

            Abbassò immediatamente le protezioni del cerchio e corse verso l’uscita della sala. Sulla porta si fermò solo un attimo per urlare agli studenti attoniti: “Oggi finiamo prima!”

Nei due giorni successivi passò tutto il tempo disponibile a tracciare segni sulla carta e a borbottare pezzi di incantesimi. Il terzo giorno, stravolto, andò nella stanza del Maestro e chiese di essere esentato dalle lezioni.

            “Ma non c’è nessuno che possa sostituirti, Aldrwyn,” gli rispose il Maestro con aria infastidita. “Sai quanto siamo a corto.”

            “Per favore,” ripeté lui. Barba lunga, occhiaie: sapeva che non doveva fare un’ottima impressione. Se Karia l’avesse visto in quello stato... “Due giorni soli!” disse. “Recupererò!”

            Il Maestro non rispose subito e lui decise di correre il rischio. “Grazie, Maestro!” disse. “Finirò sicuramente in tempo!” E, prima che l’altro potesse replicare, sparì nel corridoio.

Una settimana più tardi Aldrwyn si presentò alla Mensa dei Maestri con un fascio di carte in mano. Si era sciacquato la faccia, ma per il resto il suo aspetto non corrispondeva a quello richiesto dai regolamenti.

            Quasi tutti i presenti erano ancora in piedi, in attesa che venisse servita la cena, e avevano calici di vino in mano. Aldrwyn andò direttamente incontro al suo Maestro, che lo accolse con evidente imbarazzo.

            “Aldrwyn...”

            “Credo di aver trovato la soluzione, Maestro!” disse lui. “Ho inventato un sistema per scrivere gli incantesimi!”

            Uno dei Maestri anziani tossicchiò ostentatamente.

            “Maestro, organizziamo una prova!” disse Aldrwyn. “Subito! Funziona!”

            Il suo Maestro si guardò intorno con aria impacciata. “Beh, ma certo, Aldrwyn. Possiamo vederci domattina e organizzare tutto, va bene?”

            “Domattina?” Aldrwyn si riscosse. Si guardò le mani, chiazzate di inchiostro fino ai polsi. “Ah, ma certo, certo. Se volete scusarmi...” Arretrò verso la porta.

            Appena fuori sentì il suo Maestro lanciarsi in quella che sembrava un’imbarazzata spiegazione. Difficile dargli torto, comunque, pensò. Diede un’occhiata ai fogli che aveva in mano, sorrise. Si ripulì un po’ meglio e andò all’Orso.

“Domattina parto di nuovo,” gli spiegò Karia. “Ma sei tu, quello che sembra rientrato da un brutto viaggio, sai?”

            “Credo di aver trovato la soluzione al mio problema,” disse Ardwyn. “Un modo esiste... basta creare segni per i suoni.”

            “I suoni?”

            “La lingua degli incantesimi è come la nostra! O come quella dei barbari del nord. Viene pronunciata dalle nostre bocche, dalle labbra, dai denti, eccetera!”

            Karia sorrise. “Penso che qualcuno si sia già accordo della cosa,” disse.

            “Ma nessuno ha pensato che questi suoni sono in numero finito. E neanche tanto alto... La a è diversa dalla e, la p di parkah è diversa dalla b di barkah... Noi non prestiamo attenzione a queste cose, ma ci sono parecchie parole negli incantesimi che sono diverse una dall’altra grazie a una di queste coppie di suoni.”

            “Ah, sì?” disse educatamente Karia.

            “Ho studiato l’Incantesimo della Luce... il primo insegnato nella Sede Maestosa,” continuò Aldrwyn. “Alla fine, ho contato settantasette suoni ben distinti e ho inventato un segno per ognuno. E li ho segnati qui su un registro. Alcuni corrispondono a suoni della lingua comune, altri no.” Sfogliò le sue carte. “A: il suono con cui inizia arraval, o arra nella lingua comune.”

            “Ma sei sicuro che sia lo stesso suono?”

            “Eccellente osservazione. Ma, sì: ho controllato allo specchio. Le mie rozze labbra e la mia lingua si mettono nella stessa posizione, quando pronuncio queste parole. E forse anche la tua splendida bocca fa lo stesso. Oh, c’è ancora tantissimo da studiare. Ma le possibilità sono innumerevoli...”

Il giorno dopo Aldrwyn ripeté la spiegazione davanti al suo Maestro. Quello ci pensò un po’ su e poi organizzò nel pomeriggio un incontro formale con altri due anziani.

            “Sembra complicato,” disse uno di loro. “Occorre ricordare il segno, e la parola a cui corrisponde. E se uno non ha mai studiato incantesimi?”

            “Beh, è chiaro che bisogna imparare almeno un incantesimo, per capire come si pronunciano tutti i suoni che non ci sono nella lingua comune. E bisogna diventare svelti a leggere i segni fatti in questo modo. Ma sicuramente ci si può riuscire in pochi mesi. Io ci ho messo pochi giorni, in fondo.”

            “Sono tanti segni...” obiettò il Maestro di Aldrwyn.

            “Solo settantasette! E i bambini delle scuole imparano almeno mille ideogrammi in tre anni. Di sicuro anche i nostri studenti ci possono riuscire.”

            “Ma tu hai scritto solo l’Incantesimo della Luce,” disse il primo Maestro. “E lì non ci sono certo tutti i suoni della lingua magica. Per esempio, nell’Incantesimo delle Nebbie si dice avtjl, e nell’Incantesimo della Luce non c’è nessun suono come j.”

            Aldrwyn abbassò un po’ le spalle. “Alcuni suoni andranno sicuramente aggiunti, quando faremo le trascrizioni complete. Ma non credo che andremo oltre i cento. La maggioranza dei suoni della lingua secondo me è già nell’Incantesimo della Luce.”

            Il Maestro scosse la testa. “Non sono convinto che sia così.”

            “Facciamo una prova!” disse entusiasticamente Aldrwyn. “Prendiamo un incantesimo innocuo, di quelli dei livelli superiori. Io ci metterei almeno una settimana a impararlo per bene... Ma se un Maestro me lo vuole ripetere, sono convinto di poterlo trascrivere e leggere correttamente in una mattina.”

            A quel punto il terzo Maestro batté leggermente sul tavolo con un dito. I suoi colleghi si irrigidirono. Graub non era ancora diventato Rettore, ma tutti sapevano che era solo questione di aspettare che quello attuale si ritirasse.

            “Proviamo,” disse. “Vediamoci domattina qui. Sceglierò io l’incantesimo.”

            “La ringrazio, Maestro Graub,” disse Aldrwyn. “Sono convinto che il mio sistema possa rivoluzionare il modo in cui funziona la Sede Maestosa.”

            “È proprio quello che mi interessa sapere, giovanotto.”

Il giorno dopo Aldrwyn si piazzò con carta, penna e inchiostro all’interno di un cerchio protettivo. Il Maestro Graub gli si sedette di fronte e, con pazienza, ripeté diverse volte un incantesimo senza nome. Aldrwyn si mise a trascrivere. Trovò un suono che non aveva mai sentito prima, lo aggiunse diligentemente alla sua lista e gli assegnò un simbolo nuovo. Lo ripeté diverse volte finché il Maestro non fu soddisfatto della pronuncia. E poi riguardò le carte.

            La trascrizione dell’Incantesimo occupava un intero foglio e la recitazione completa richiedeva un paio di minuti; alla fine il Maestro abbassò le protezioni e fece leggere ad Aldrwyn l’intera sequenza.

            Lui eseguì diligentemente. Gli accoppiamenti tra i suoni e i suoi simboli non erano facili neanche per lui. Sudava, e non riusciva a staccare gli occhi dal foglio, dove teneva il segno con un dito. Ma arrivò senza inciampi alla formula di chiusura: “... odesan, odeyy!”

            Alzò gli occhi. Nel mezzo della stanza era comparso un piccolo fulmine azzurro, immobile e luminoso. Simile a un alberello rinsecchito, si contorceva debolmente ed emetteva un lieve sfrigolìo. Aldrwyn rimase senza parole, con la bocca secca.

            Il Maestro Graub si avvicinò al fulmine e lo esaminò con cautela. “Notevole, Aldrwyn,” disse alla fine. “Io stesso avevo impiegato due giorni per impararlo.”

            “La... la ringrazio, Maestro,” balbettò lui.

            “Le altre volte non sarà necessario ripetere queste operazioni, vero?”

            “Oh, no, no, Maestro! È difficile trascrivere per la prima volta, ma poi, leggere... Se uno conosce i simboli dei suoni e ha fatto pratica nella lettura, secondo me può recitare correttamente un incantesimo anche se lo legge per la prima volta.”

            Il Maestro batté le mani tre volte e il fulmine scomparve, lasciandosi dietro un forte odore di ozono. “Bene, Aldrwyn,” disse. “Adesso dovrò parlarne con il Rettore. Ti faremo sapere qualcosa nei prossimi giorni.”

Aldrwyn si buttò a produrre una guida pratica al suo sistema. Copiò ordinatamente la lista di simboli, aggiunse appunti sulle differenze tra i suoni, aggiunse perfino qualche esercizio di lettura.

            All’inizio accolse con sollievo il silenzio da parte dei Maestri, perché aveva bisogno di un po’ di tempo per fare pratica ed eliminare i difetti più vistosi. Poi, però, terminato il documento principale, si accorse che erano passate due settimane e nessuno si era fatto vivo.

A quel punto si informò con il suo Maestro. Ottenne risposte evasive e la cosa non gli piacque. Anzi, gli fece venire un sospetto terribile: i Maestri avevano deciso di rubargli l’idea. Passò una notte a rigirarsi nel letto. Possibile che qualcuno esaminasse le sue carte mentre lui non c’era? Esaminò con cura i fogli alla luce di una candela, senza trovare segni di manomissione. Ma non si sentì rassicurato

Quella sera stessa radunò gli appunti principali e li portò all’oste dell’Orso, chiedendogli di consegnarli a Karia. Poi distrusse sistematicamente tutte le altre carte. E il giorno dopo andò a chiedere un incontro a Graub.

            Sulla porta della stanza del Maestro quasi si azzuffò con il suo assistente, che non voleva farlo entrare. Alla fine, però, Graub emerse dallo studio, richiamato dal rumore.

            “Sì, Aldrwyn?” chiese.







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