Morte di un sogno
Data: Giovedì 09 febbraio 2006
Argomento: Narrativa


un racconto di Andrea Aroldi

La cabriolet correva sulla strada tra i palmizi e il profumo di salsedine che lento saliva dal mare calmo.

I due giovani erano contenti, felici di una vita che potevano e sapevano assaporare pienamente. Il vento della corsa agitava i lunghi capelli della ragazza che socchiudeva gli occhi e si passava le mani sul volto raggiante. Il ragazzo non aveva occhi che per le lunghe gambe che uscivano dalla gonna indecorosamente corta. Avrebbe voluto posare una mano su di esse, ma aveva lanciato l’auto a velocità tale che non voleva ammazzarsi prima del tempo.

La strada scendeva alla spiaggia con numerosi tornanti e i fari proiettavano la loro luce nelle tenebre dello strapiombo che si stava via via riducendo.

Dopo un’ennesima curva la strada sboccò sul lungomare disabitato e i due giovani gridarono ancor più la loro gioia.

Senza decelerare il giovane lanciò l’auto lungo la stradina che conduceva alla spiaggia.

Dopo averla fermata con una brusca e giocosa frenata, raggiunsero di corsa una barca che qualche pescatore aveva tirato in secca.

Il mare calmo attendeva i loro corpi.

Distesi in un abbraccio che non voleva terminare, assaporavano il calore del sole da tempo scomparso. La sabbia riscaldava i corpi nudi, disegnando sotto di essi territori mai esistiti, mondi immaginari.

I glutei della ragazza premevano pesantemente, il peso di lui assommato a quello di lei, lasciando un disegno preciso, il disegno che avevano da tempo desiderato.

Erano stanchi, da quando s’erano incontrati quasi di nascosto avevano fatto tutto di corsa, bruciando tappe, assaporando la vita in fretta, intensamente.

Amore e Trasgressione, questa semplice ricetta era il loro stile, il loro credo.

La brezza della notte era si faceva sentire più fermamente, ma i corpi si riscaldavano a vicenda.

I glutei di lei, così ben torniti, avevano lasciato piccole onde di sabbia create dai colpi di lui dentro la casa accogliente di lei. Le piccole dune, inizialmente separate, s’erano fatte vicinissime, quasi una risacca brevissima le avesse disegnate.

Le loro bocche s’erano cercate fameliche, assaporando tutto quello che si poteva assaporare.

I capezzoli sporgevano dritti, il ragazzo li sentiva come degli aculei che lo volessero graffiare sul torace. Ben presto avrebbero lasciato il loro segno appaiato sulla sabbia accogliente.

Sopra di loro il cielo limpidissimo ammiccava.

La Natura riproponeva lo stesso mantello luminoso che dall’inizio dei tempi aveva incantato l’uomo.

- Guarda! Le stelle sono più belle questa sera –

- Tutto è più bello –

Il giovane la strinse, ma lei svicolò teneramente e gli puntò le braccia sul petto per tenerlo lontano, mostrandosi nella luce crepuscolare come una strega accogliente che ammaliava il pastorello, donandosi per poi respingerlo.

- Sai, quelle stelle sono così lontane –

- Certo, certo –

Provò ancora a tirarla a se, ma lei non era il tipo che si lasciava smontare facilmente.

- Sai, milioni di anni luce… -

“Che palle, lasciamola sfogare, basta che non le occorra tutta la notte” pensò rassegnato, pensando a quando l’avrebbe voltata per intraprendere la scoperta approfondita di quel sedere che lo aveva stregato la prima volta che l’aveva incontrata.

- L’ho letto anch’io da qualche parte. La luce che vediamo brillare è stata generata milioni di anni fa. Vediamo, in sostanza, uno spettacolo antico proiettato in prima visione –

Si rotolarono sulla sabbia trascinati dalla magra battuta, ogni nuova cosa era perfetta quella sera. Le gambe affusolate si sistemarono ai lati del corpo del giovane disegnando un solco allungato che sarebbe rimasto a ricordo di quella notte.

Si sistemò meglio sopra di lui, accogliendolo ancora dentro la casa umida dalla visita precedente, si raddrizzò e cominciò a ondeggiare, strusciando i glutei e penetrandosi con voluttà. Il ragazzo era in estasi. I seni sodi che terminavano con i capezzoli tornati rigidi e acuminati monopolizzavano il suo sguardo, correndo da essi al viso di quella ragazza dall’incarnato pallido che, quasi come una dea, aveva preso possesso del suo membro dentro di lei e che ne stava conducendo l’amplesso.

La ragazza si fermò come un animale che percepisce un pericolo ignoto.

- Che hai? –

- Non… -

la voce gli morì in gola, alzò gli occhi e la giovane seguì il suo sguardo.

Lassù, senza chiasso, le stelle si spensero.

Prima lentamente, poi sempre più velocemente, sino a che il mantello siderale brillò di quei pochi pianeti che riflettevano la luce di quel piccolo astro, ormai signore incontrastato.

La ragazza guardò il giovane con gli occhi pieni di sorpresa.

- … -

La sua muta domanda non superò lo sbarramento che le ostruiva la gola, mentre il panico prendeva possesso della sua epidermide.

- Lo spettacolo è terminato, ora siamo veramente soli –

Presala tra le braccia la strinse forte.

Il sogno era finito, il Motore del Progresso e della Filosofia rotto, l’estrema Frontiera morta, silenziosamente, ineluttabilmente.

L’Uomo che da irsuto animale aveva alzato lo sguardo al cielo e ne aveva avuto paura, ora aveva perso il suo scopo: la Ricerca del Chi Siamo, da Dove Veniamo e Dove Andiamo era morta per sempre.

Ora quello sguardo si sarebbe finalmente abbassato a contemplare il suo trascurato pianeta.

Riuscirà a vincere il caos che aveva creato?







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