LO ZAR NON E' MORTO - IL GRUPPO DEI DIECI
Data: Giovedì 16 febbraio 2006 Argomento: Interviste
"Il Gruppo dei Dieci" riscoperto da Giulio Mozzi
di e a cura di Giuseppe Iannozzi
Lo Zar non è morto
da Il Gruppo dei Dieci
- romanzo d’avventure scritto nel ’29 da dieci fascisti -
di
Giuseppe Iannozzi
Diciamolo da subito, senza ipocrisia, “Lo Zar non è morto” è una grande avventura, è letteratura, è scrittura collettiva, è opera de Il Gruppo dei Dieci. La prima pubblicazione fu nel lontano 1929, cioè ben prima che nascessero Wu Ming e Babette Factory, due collettivi (di scrittori). E diciamolo da subito che Il Gruppo dei Dieci
è un collettivo fascista, di scrittori, ossia: Filippo Tommaso
Marinetti, Massimo Bontempelli, Antonio Beltramelli, Lucio D’Ambra,
Alessandro De Stefani, Fausto Maria Martini, Guido Milanesi ,
Alessandro Varaldo, Cesare Viola, Luciano Zuccoli. Dall’introduzione a “Lo Zar non è morto”, scritta dallo stesso Marinetti per l’edizione del 1929: “Soltanto
alcuni scopi di patriottismo artistico (non raggiungibile in altro
modo) hanno avvicinato e solidarizzato questi dieci scrittori italiani
che appartengono alle più tipiche e opposte tendenze della letteratura
contemporanea (futurismo, intimismo, ecc.). Questi sono e rimarranno
inconfondibili, dato che miliardi di chilometri dividono per esempio la
sensibilità futurista di Marinetti dalla sensibilità nostalgica di F.M.
Martini. Per offrire al pubblico lo spettacolo divertente di quei
miliardi di chilometri, eccezionalmente, i Dieci hanno scritto i
capitoli del romanzo: «Lo Zar non è morto». Questa eterogenea
collaborazione, una volta tanto, ad un romanzo di avventure non vuol
dare nessuna direttiva artistica.”
Tra finzione e realtà, possiamo immaginarci la faccia di Giulio Mozzi, forse estasiato, con in mano una copia del romanzo de Il Gruppo dei Dieci.
Si dice che tutto ebbe inizio in un pomeriggio di quasi due anni fa,
presso la libreria Minerva di Padova. Tra i tanti titoli esposti sui
bancali, tra le mani gliene passa uno che lo cattura, “Lo Zar non è morto”:
il libro era abbandonato su di un tavolo, le pagine gialle e
mangiucchiate ai bordi, tenute insieme solo da un po’ di nastro
adesivo. Mozzi non resiste alla tentazione e prende a sfogliarlo
incontrando i nomi di personaggi esotici “che si chiamavano Orcoff, Zelenin, Karandik, Oceania World”.
E poi, un nome su tutti, quello di Oceania World. Forse Giulio
strabuzzò gli occhi, forse sorrise fra sé e sé. Pensò d’aver fra le
mani un piccolo tesoro? Chi può dirlo con sicurezza! Però fatto sta che “Lo Zar non è morto”
non gli rimase indifferente, e tosto – lo possiamo immaginare – si
piantona davanti alla faccia del proprietario della libreria, un certo
Signor Vincenzo: chiede il prezzo, cento Euro, cerca d’aggiustare per
non farsi spennare, e il Signor Vincenzo gli viene incontro, e Giulio
se ne va soddisfatto: “Avevo tra le mani un romanzo di
fantapolitica. Un romanzo scritto nel 1929, nel quale si immagina che
venga scovato, in Manciuria, (in Manciuria!), un uomo che somiglia in
tutto e per tutto allo Zar Nicola. E forse lo è. O forse non lo è. Lo
Zar Nicola è stato ucciso, come tutta la famiglia, a Ekaterinenburg. O
forse non è stato ucciso. Come Elvis Presley. Come Jim Morrison. Lo Zar
è vivo e lotta insieme a noi. Un romanzo di fantapolitica.” Si è detto che “Lo Zar non è morto”,
indubbiamente, è un lavoro a venti mani, è scrittura collettiva, ma è
anche opera proveniente da mani fasciste; e, nell’introduzione scritta
dallo stesso Filippo T. Marinetti, possiamo leggere: “La
grande Italia fascista deve non soltanto realizzarsi politicamente,
militarmente, industrialmente, commercialmente e colonialmente, come
sta facendo sotto l’occhio vigile del Duce, ma deve anche esprimersi.
Perché l’Italia abbia la sua alta luminosa espressione nel mondo
occidentale occorre mettere in primo piano la letteratura come il più
abile e dinamico ambasciatore che l’Italia fascista possa avere
all’estero.” Dunque, “Lo Zar non è morto” dovremmo considerarlo al pari di un libro pericoloso? Giulio Mozzi ci avverte: “Lo
‘Zar’ è una parodia nel senso che vi si usano consapevolmente, ed
esageratamente e parossisticamente, tutti gli elementi del ‘romanzo
d'avventura’ e del ‘romanzo sensuale borghese’: due generi assai in
auge all’epoca. Certo: non è una parodia ‘contro’. E’ una parodia per
puro divertimento. Già il fatto che Marinetti si metta insieme a Fausto
Maria Martini è parodistico.” Essenzialmente “Lo Zar non è morto”
è una catena di avventure dove spicca incontrastato il personaggio di
Oceania World. Una catena di avventure sì, che confluiscono in una
tensione narrativa che è impossibile non riconoscere per quel che è in
realtà: fantapolitica. E’ fantapolitica però di quella innocua, oggi
come oggi, essendo che è sì un romanzo fascista ma ne è anche la sua
più completa e compiuta parodia. Leggendo “Lo Zar non è morto”
subito ci si scontra con idee littorie, che sono ben chiare. E
qualsiasi lettore non fatica a riconoscerle come tali; e però ci si
ride sopra, perché sono di una ingenuità disarmante, sono (di) parodia.
E’ come trovarsi davanti a dei bambini in vena di scherzi con in mano
delle pistole ad acqua, che sparano per divertirsi, per fare uno
scherzo agli adulti che si credono grandi. Questo spirito è, per certi
versi, nella scrittura dei Dieci: una avventura, un mix fantapolitico, un sapiente miscuglio di luoghi comuni, per dar corpo a un libro in stile Indiana Jones. Solo che Indiana Jones ne lo “Zar” è Oceania World ed è al soldo del Fascio: una eroina, una femme fatale, un mistero (perché la sua vita, tutta la sua vita è un mistero di cui pochi sanno qualche cosa), ma anche una wonder woman
che suo malgrado scopre d’avere un cuore per amare un uomo, anche se si
tratta di un fascista. Ma l’amore - lo si sa – è cieco, ed è ancor più
cieco quando coinvolge una femme fatale e un fascista, talmente
cieco da diventare perfettamente romantico e mieloso, anticipando i
finali strappalacrime in Technicolor, made in Hollywood. Forse ieri,
sotto il Duce, sotto il fascismo, un romanzo così dato in pasto alle
masse avrebbe potuto dar vita a dei nuovi fascisti; ma oggi un romanzo
così - per di più scritto da dieci fascisti - che viene dato in pasto
al pubblico non può che far divertire tutti. Chissà se Marinetti aveva previsto che a distanza di settanta e passa anni Il Gruppo dei Dieci
avrebbe demolito, o perlomeno ridicolizzato alla grande, le idee e gli
ideali tutti del fascismo! C’è da immaginare che in questo momento
Marinetti si starà rivoltando nella tomba, essendo che è stato proprio
lui a scavare una ben disonorevole fogna-tomba a tutto sfavore degli
ideali fascisti. Però rimane che “Lo Zar non è morto”
è una gran bella avventura, dove per scherzo, per la sola necessità di
vivere con gl’occhi dell’immaginazione, il lettore non può fare a meno
di lasciarsi sedurre da Oceania World, da questa eroina misteriosa che
con gli occhi è capace di mettere al tappeto il più misogino degli
uomini, qualunque sia il loro credo politico e religioso. Siamo di
fronte ad una ucronia che è stata scritta a venti mani da ben dieci
scrittori, tutti coi loro pregi e difetti, umani e artistici: il
risultato è appunto una ucronia, ovvero e se i fascisti avessero costretto l’URSS ai loro piedi, come sarebbe oggi il mondo?
La fine dei Romanov fu per la Russia un colpo, un colpo tremendo che
fece fuori ogni zarista, ogni vecchio ideale russo. I vecchi ideali
furono annichiliti e sostituiti dal lenismo e poi dal più ferale
stalinismo – quest’ultimo non troppo diverso dal nazismo e dal
fascismo. Ne lo “Zar” si ipotizza che lo Zar Nicola II, in realtà, sia
riuscito a sopravvivere allo sterminio della sua famiglia. Per i
fascisti si tratta di provare che lo Zar non è morto e cambiare così
l’assetto politico e sociale del mondo. Siamo di fronte a una avventura
di “avventure”, ad una ucronia, a una storia che potremmo dire di
fantafascismo, nonché ad un bell’esempio di scrittura collettiva prima
che questa diventasse moda (spesse volte forzata e dettata da sole
esigenze commerciali, o di mancanza di idee) nel tempo presente, dopo
il meritato successo dei Luther Blissett poi Wu Ming. Ma come giustamente ci ricorda Wu Ming 1, la scrittura collettiva è esistita ben prima dei Wu Ming e dei Dieci: sintetizzando e semplificando, la scrittura collettiva è da quando l’uomo iniziò a narrare.
Sulle colonne de l’Espresso, in data 9 febbraio 2006, Carla Benedetti scrive: “[…]La
scrittura collettiva, che oggi viene spesso presentata come la
frontiera più avanzata della narrativa, è in realtà un livellatore di
differenze che piega le voci di ognuno verso uno standard comune, e
quindi reprime ogni forma di insubordinazione allo spirito del tempo.
Perciò piace alle dittature d’ogni stagione, compresa l’odierna
‘dittatura del mercato’. Piacque al Duce il collettivo di scrittura
formato nel ‘29 da Marinetti, Bontempelli, Varaldo, e altri sette
all’epoca celebri e oggi dimenticati. Sovvenzionati dal governo, i
Dieci composero a 20 mani un romanzo d’avventura, Lo Zar non è morto,
che ora Sironi ripubblica con la prefazione di Giulio Mozzi.[…] Per
l’industria dell’intrattenimento va molto bene se chi scrive è un
artigiano della narrazione disposto a spogliarsi della propria
diversità espressiva e di pensiero.[…]” Interviene anche Wu Ming 1, firmando un articolo su Il riformista in data 26 novembre 2005: “[…]
Dopo la riscoperta di Lo zar non è morto del Gruppo dei Dieci, qualcuno
si sorprende del fatto che la scrittura collettiva non sia poi così
‘nuova’ e ‘prometeica’ come sembrava. Bizzarro: da anni noi Wu Ming
ripetiamo che non vi è nulla di nuovo. La scrittura collettiva è sempre
esistita, per non dire della narrazione, del raccontare, atto che è
collettivo sempre, e sempre lo fu. […]I poemi epici dell’antichità sono
‘sintesi’ di episodi e leggende plasmate e rifinite di generazione in
generazione. Stessa cosa può dirsi di chansons de gestes e ballate
medievali, la cui attribuzione autoriale è per definizione incerta e su
cui misero le mani miriadi di trovatori e menestrelli (si dice
"tradizionale" o «popolare», per intendere senza autore, scritto dal
popolo). […]” C’è una bella differenza qualitativa fra i Wu Ming e i Babette Factory e Il Gruppo dei Dieci: i primi due danno vita a romanzi pieni, completi, ma insufficienti comunque allo stile, che è invece presente ne Il Gruppo dei Dieci. Per dirla piana, i Dieci,
seppur coi cliché di rito, sono assai più avanti e vicini a uno stile
letterario che non la scrittura collettiva di oggi. E aggiungo: se
liquidiamo così Il Gruppo dei Dieci, allora uguale trattamento meriterebbero tutti i libri di Emilio Salgari,
che in quanto a cliché è quell’autore che più di tutti ne ha fatto la
sua precipua qualità, la stessa che ancora oggi lo tiene in vita in
tutto il mondo. Mi sembra piuttosto ingenuo definire la scrittura dei Dieci
come un qualcosa per la sola industria dell’intrattenimento; è anche
per una forma di intrattenimento, ma è, in primo luogo, una lezione di
stile, di cliché narrativi pienamente popolari che sono radicati nell’immaginario popolare. Volenti o nolenti, il novanta per cento di ciò che oggi leggiamo è basato sull’immaginario popolare;
e non dico solo per la scrittura contemporanea. La letteratura classica
non ha forse i suoi riconosciuti cliché? Se non li avesse, non avrebbe
identità, e nessuna la comprenderebbe; persino le avanguardie
letterarie o paraletterarie devono prendere spunto da dei cliché per
tentare un “divenire” perfetto o imperfetto o nullo addirittura. Così
anche la scrittura dei collettivi di oggi si basa su dei cliché, come
ogni forma d’arte: è poi l’arrangiamento - dei cliché e la cernita
operata sui medesimi - la forma ultima, quella che viene loro data
dagli scrittori, a far della scrittura un libro leggibile e
comprensibile. La forza che contraddistingue “Lo Zar non è morto” è
una sapiente scelta di cliché, di situazioni, di personaggi, che
rimangono bene impressi nella memoria del lettore: l’originalità de “Lo Zar non è morto” sta proprio nel fatto che i Dieci
hanno saputo operare una scelta oculata, affinché il romanzo fosse
un’avventura continua di colpi di scena, immaginabili, commestibili a
tutti. “Lo Zar non è morto” de Il Gruppo dei Dieci
è lavoro indubbiamente di Destra, ma a mio avviso nettamente superiore
ai lavori collettivi di Wu Ming e Babette Factory. Siamo di fronte a
una storia pienamente coinvolgente, che non rifiuta né il dionisiaco né
l’apollineo, ma che soprattutto non lascia il tempo di respirare al
lettore, troppo (pre)occupato di scivolare dentro alla storia: ritmo
veloce, colpi di scena a ripetizione, linguaggio spedito, fanno de lo
“Zar” un romanzo più che mai attuale, nonché una lezione di stile per
scrivere una storia adatta ad esser commercializzata e venduta in un
package letterario. Un romanzo adatto al lettore comune affamato di
avventure, ma di uguale interesse per gli intellettuali con un po’ di
tanta puzza sotto al naso. Una gran bella riscoperta; e, anche, un
grande atto di coraggio editoriale, senza pregiudizi, riproporre il
lavoro dei Dieci al pubblico e alla critica.
Lo Zar non è morto – il Gruppo dei Dieci – Collana: Questo e altri mondi – Sironi Editore – 442 pp. – 17 Euro
Tutti gli articoli citati in questo pezzo sono compulsabili qui, gli articoli su Lo Zar non è morto
Qualche domanda su "Lo Zar non è Morto"
a Giulio Mozzi
a cura di
Giuseppe Iannozzi
1. Ma: se è un "polpettone", anzi un "meat loaf", perché l'hai
pubblicato con un bel battage non urlato ma nemmeno passato sotto
silenzio?
Io ho proposto a Sironi di ripubblicarlo perché
mi sembrava un libro interessante e divertente. Ovviamente mi
immaginavo che avrebbe potuto suscitare l’interesse di qualche
giornalista o di qualche critico. Noi non abbiamo organizzato
nessun “battage”. Abbiamo fatto vedere il libro a chi, secondo noi,
poteva trovarlo interessante e divertente. Punto. Non abbiamo fatto
pressioni su nessuno. Non abbiamo comperato spazi pubblicitari. Non
abbiamo fatto accordi di scambio.
2. Il polpettone
che sono riusciti a tirar fuori il collettivo Babette Factory è pure
esso di cliché, però mischiati male. Ne "Lo Zar non è morto" invece i
Dieci sono riusciti a metter insieme i cliché più collaudati - e di
maggior impatto per l'immaginario del popolo -, consegnandoci una
storia fantapolitica che funziona ancora oggi. Però con un messaggio
politico di Destra.
Di più: con un messaggio politico
fascista. Che, peraltro, si vede benissimo: non è certo un libro di
propaganda *subliminale*... Mi pare che dal fascismo di questo libro ci
si possa difendere senza difficoltà. E’ più difficile difendersi
(faccio un paragone sproporzionato, lo so) dal nazismo di Céline:
perché il nazismo di Céline va a toccare un fondo antropologico vero.
3.
Che cosa è una "parodia", e perché? A tuo avviso, "Lo Zar non è morto"
può esser considerato anche una parodia? verso chi, verso che cosa o
quali idee o istituzioni?
Lo “Zar” è una parodia nel senso
che vi si usano consapevolmente, ed esageratamente e parossisticamente,
tutti gli elementi del “romanzo d'avventura” e del “romanzo sensuale
borghese”: due generi assai in auge all'epoca. Certo: non è una
parodia “contro”. E’ una parodia per puro divertimento. Già il fatto
che Marinetti si metta insieme a Fausto Maria Martini è parodistico.
4.
La scrittura collettiva: meglio quella dei Dieci o quella che si sta
tentando oggi (vedi Wu Ming e Babette Factory, ad esempio)? Per quali
motivi?
Secondo me, lo “Zar” è una scrittura collettiva
sostanzialmente più facile, proprio in quanto si appoggia su
un’operazione parodistica. Credo che “Q” sia un brutto romanzo, che
“54” sia un bel romanzo, che “2005” sia un libro del tutto inutile: ma
per ragioni che non c’entrano niente con la collettività della
scrittura.
5. Scrive Carla Benedetti: "Non è un
romanzo memorabile, e nessuno se ne ricordava più. Mozzi e alcuni
recensori entusiasti lo considerano un libro ‘assolutamente d'oggi’. Io
direi che si tratta di un libro assolutamente normale oggi."
Normale? Tutto è normale oggi: è questo il problema. Ogni frase che si
scrive è assolutamente normale. Gli scrittori rifuggono l'impegno
sociale e politico: finiti i tempi di Beppe Fenoglio, di Cesare Pavese,
di Pier Paolo Pasolini, e di George Orwell. Oggi, chi scrive, sta ben
attento a non schierarsi né a Destra né a Sinistra. Eppure, quasi ogni
giorno, qualcuno grida l'allarme che "siamo di fronte a un nuovo
Pasolini!" A tuo avviso, è normale tutto ciò? E c'è occulto - non so
bene dove né in chi o che cosa - il seme per qualche cosa di memorabile
come sembrerebbe auspicare Carla Benedetti?
Allora: il fatto che un libro sia stato dimenticato non è un buon argomento per sostenere che quel libro andava dimenticato. Che
“oggi, chi scrive, sta bene attento a non schierarsi né a Destra né a
Sinistra” è un'opinione tua, Giuseppe: a me non pare che sia così.
6. Meglio l'industria dell'intrattenimento o l'illusione speranzosa che oggi possa nascere un nuovo Proust o un nuovo Pasolini?
Rifiuto
la domanda. E rispondo con una specie di domanda: ho il sospetto che
per alcuni critici, oggi, il *piacere della lettura* non sia più un
valore.
Leggi tutta l'introduzione scritta da Giulio Mozzi per il romanzo collettivo Lo Zar non è morto
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