Un racconto di Claudio Tanari
L’insegna del bar
usciva fuori a fatica dalla nebbia. Aveva seguito per mezz’ora il bordo della
strada e adesso sterzava verso quell’insegna sbiadita dalla foschia fitta. Sceso
dall’autocab entrò nel bar: c’era qualche camionista oltre al barista e alla
cassiera; si avvicinò al bancone ordinando un panino e una birra.
- Ué, Piero, Ma l’hai
vista la Flavia? - gridò uno dei camionisti appoggiato al bancone - Oggi sta un
po’ sulle sue, eh?
- Bella cassiera,
t’ha piantato il moroso? Vieni su con me che ti porto a fare un giro!
- Dacci un taglio,
Piero - rispose gelida la ragazza.
Era seduta alla
cassa: si voltò a guardarla, sorpreso dalla durezza di quella voce.
- Dai, Flavia, Piero
scherzava - si scusò il primo camionista - Non è vero, Piero?
- Sono cinque e
cinquanta - rispose Flavia.
- Vabbè, Gianni, Oggi
non è giornata: - fece Piero ironico, - la signorina ci ha la luna di
traverso... Ci vediamo!
Masticava lentamente
il suo panino, guardando le mani della cassiera, le dita svelte con le unghie
dipinte di rosso
- Flavia, io esco:
pensa tu al bar, va bene? - disse il barista.
- Va bene, ciao -
fece svogliata la ragazza accendendo la radio.
Aveva finito la
birra. - Un bel nebbione, eh? - disse accennando alla vetrata dell’ingresso.
- Già - rispose lei
senza alzare gli occhi.
- Vengo per quel
guasto...
- Andiamo là, dietro
quella porta indicò la ragazza bruscamente.
Entrarono in uno
stanzino, occupato da scope e stracci per pavimenti, odore di detersivo e di
fumo. Una poltrona lisa al centro.
- E’ stata dura
trovarvi, con questa nebbia - disse l’uomo togliendosi il giubbotto.
Tirò fuori da una
valigetta gli attrezzi del mestiere: chiavi, pinze, misuratori di tensione, cavi
elettrici, un saldatore. Restarono in piedi senza parlare qualche istante di
troppo, lei si torse le mani, tradendo qualche imbarazzo.
- Allra, che c’è che
non va? - chiese lui alla fine.
- E che ne so? Ti ha
chiamato il padrone, no? – Fece Flavia asciutta, sedendosi sulla poltrona.
- Vediamo - si
concentrò lui senza scoraggiarsi. La toccò con delicatezza sulla scapola:
Flavia, dopo un leggero fremito rimase immobile, lo sguardo attonito e
improvvisamente spento.
Le innestò
l’elettrodiagnostica nella porta alla base del cranio, scostando appena i
capelli biondi, ne aspirò il profumo mentre li sfiorava.
- Roba da poco, disse
riattivandole le funzioni vocali.
Le sollevò il golfino
leggero: il portello della CPU si trovava appena sotto i seni morbidi e caldi:
(sapeva che non era possibile ma) la pelle sembrò tendersi al suo tocco.
- L’hai messo a posto
per bene, quel Piero – riprese riattivandole le funzioni vocali.
Flavia si scosse: -
Nessuno ti aveva chiesto un parere!
- Guarda che io
facevo il tifo per te...
- Me la cavo da sola.
- E il lavoro? -
Riattaccò lui dopo un po’, cambiando discorso.
- Benissimo! Alla
cassa dalla mattina alla sera, le battute dei clienti. E il padrone che fa il
padrone… – concluse con una smorfia di disgusto.
- Beh, scappa no? –
sorrise debolmente lui.
- Certo, con un
principe azzurro, magari travestito da riparatore di biomecca.
L’intervento era
terminato. Le guardò gli occhi grigi, dai riflessi metallici, le labbra amare…
Raccolse i suoi
arnesi, riavviandole il sistema motorio centrale.
- Domattina ripasso
di qui, per vedere se tutto va bene… – le disse.
- Certo. Ci vediamo.
– rispose lei meccanicamente.
La mattina dopo era
davvero lì ma lei non c’era.
Il riparatore chiese
al barista: Flavia era fuori per il controllo dei protocolli visivi, dal
costruttore, avrebbe ripreso il lavoro domani.
Seduto ad un tavolo
un vecchio camionista lo guardava. Lui chiuse la lampo del giubbotto, si rialzò
il bavero, fece per uscire. Incrociò lo sguardo del camionista e gli sorrise
appena; quello gli restituì il sorriso.
Fuori c’erano la
nebbia e l’autocab che l’aspettavano.