Le rane di ko samui, di Paolo
Agaraff, peQuod edizioni, pp. 64, € 6.
recensione di Roberto Sturm
Il
fantasy, probabilmente più di altre narrative di genere, è forse uno dei
rami letterari in cui gli autori si prendono più sul serio. E’ anche per questo
che non ho mai amato troppo questo tipo di letteratura, oltre a causa delle sue peculirità che la rendono
sempre molto distante dalla realtà e dalla quotidianità. La disputa tra
fantascienza e fantasy è sempre stata molto forte, anche in Italia,
ed ha assunto connotazioni che sono andate al di là dell’ambito letterario.
Molti lettori di Intercom ne saranno a conoscenza, e non mi pare – tra l’altro –
questa la sede adatta per ripercorrere polemiche che di frequente hanno assunto
dimensioni gigantesche.
Le rane di ko samui, volumetto
edito dalla peQuod di Ancona, e scritto da tre autori (Roberto Fogliardi,
Alessandro Papini e Gabriele Falcioni) con lo pseudonimo di Paolo Agaraff, per
fortuna esce dagli schemi tradizionali del fantasy classico.
Come afferma Valerio Evangelisti
nella prefazione al romanzo, i tre autori sono riusciti nel non semplice intento
di trasformare un tema lovecraftiano in un racconto esilarante. E qui comincio
già a sentire i primi mugugni dei puristi del genere.
Ma, come già sperimentato da altri
più noti autori, Evangelisti in testa, la narrativa di genere si trasforma oggi,
spesso, in letteratura di confine, dove non esiste più linea di demarcazione tra
un genere e un altro, tra mainstream e genere stesso. Ed è il
mainstream stesso, oggi, ad essere sempre più contaminato dai generi.
Che la fantasy potesse passare
attraverso l’umorismo, con frequenti incursioni verso il grottesco e
soprattutto l’horror forse lo si sapeva, ma (quasi) nessuno ci aveva mai
provato. Forse per paura di sfatare un tabù.
Il risultato ottenuto da Agaraff è
senza dubbio positivo. Ottimi conoscitori del genere, i tre autori sono riusciti
ad ottenere un testo molto compatto sia sotto il profilo stilistico che
strutturale, partendo da un punto di riferimento importante come Lovecraft
e riuscendo a riversare i temi di questo autore ai giorni nostri. Anzi, per
l’esattezza, in un immediato futuro, senza stravolgerli e con una immediatezza
e una freschezza sorprendenti.
La storia in realtà è molto semplice,
forse per questo riuscita. Tre pensionati che se ne vanno in Tailandia per
godersela e che invece si trovano invischiati (soprattutto in senso materiale)
in faccende più grandi di loro.
Alcuni passaggi sono veramente
esilaranti. Difficilmente il lettore riuscirà ad astenersi dal sorridere.
Perché, citando ancora la prefazione di Evangelisti, la comicità condivide
con la pornografia un effetto negato al resto della narrativa: provoca nel
lettore visibili reazioni fisiche, che nello specifico si concretizzano
nell’atto del ridere (gli effetti secondari della pornografia li tralascio).
Tutto questo con buona pace dei
puristi del fantasy e dell’horror.
Roberto Sturm