a cura di Giuseppe Iannozzi
Intervista a Remo Bassini
Lo scommettitore
a cura di
Giuseppe Iannozzi
Remo Bassini
Sono nato a Cortona, tra Arezzo e il Trasimeno quindi, il
23 settembre 1956. Era una domenica sera. L’infermiera, appena mia madre
partorì, disse: Brava, che faccio in tempo ad andare al cinema.
Erano mezzadri i miei genitori. Che nel 1958 si trasferirono a Vercelli. Mio
padre venne assunto in fabbrica; mia madre, per concorrere al magro bilancio
familiare, e far sì che ai figli (io, Silvia, che ha 10 anni meno di me, e
Moreno, il più piccolo, che dall’agosto del 2005 non c’è più) non mancasse
nulla, fece la donna delle pulizie per anni. E la portinaia, anche.
(Tempo fa ebbi una discussione telefonica, piuttosto accesa, con un generale
in pensione dell’esercito. A un certo punto sento una voce: la moglie del
generale. Che dice: Non perdere tempo col figlio di una portinaia).
Ho una figlia, splendida e distante; si chiama Sonia, è nata il primo maggio
1980, studia medicina.
Scrivo.
Ho fatto tante cose: il cameriere, l’operaio, il disoccupato,
lo studente (lettere a Torino) lavoratore (portiere di notte),
l’attore dilettante, il volontario in un carcere,
il correttore di bozze, il giornalista professionista.
Dal 1986 lavoro al giornale
La Sesia.
Pubblicista dal 1988, sono diventato giornalista professionista nel 2003.
Ho scritto anche su Stadio e su L’Indipendente (direzione di Daniele
Vimercati).
E su Fernandel.
«La sua scrittura antiretorica, per nulla moralistica, ci svela il "dietro
le quinte" della politica e degli affari, smascherando la parte "oscena" del
potere»
1. A bruciapelo, quali autori hanno influenzato la tua scrittura,
stilisticamente parlando, e quali invece hanno contribuito a dar forza a
quelle idee sociali politiche artistiche che oggi sono tue? Perché?
Una sera mi hanno fatto questa stessa domanda. Mi veniva mal di testa,
pensavo a Saramago, ma poi chi aveva il coraggio di dire che io mi ispiro a
Saramago, a Izzo, pensavo agli autori che ho amato quando avevo vent'anni:
Erich Maria Remarque e John Steinbeck. E invece ho detto Melenia Klein,
Luigi Pirandello. Osborne. Per farla breve: quando scrivo sento più
l'influenza della psicanalisi e del teatro. Questo nella creazione dei
personaggi e nel raccontarmi. Le idee invece: don Lorenzo Milani, qualche
brandello di Che Guevara e di Ghandi e Saramago. Che è un narratore di idee.
2. “Lo scommettitore”, questo l’ultimo tuo romanzo uscito per i tipi
Fernandel. Chi è lo Scommettitore e che rapporto d’amore e odio ha con te,
Remo Bassini, che l’hai disegnato?
Mi piace scommettere, mi piace la fuga, quando hai le palle piene di tutto.
Così ho pensato per mesi e mesi a questo personaggio al quale, e lo dico qui
per la prima volta, ho prestato, più che ad altri, qualcosa di me. Qualcosa
in termini di pensieri ed esperienze: se ho scritto di zingari è perché io
ne ho conosciuti, per davvero. Se ho scritto di un vecchio tiro a segno è
perché io, quando andavo (male) a scuola, in un tiro a segno dove mi davano
1000 lire l'ora ci ho lavorato. Poi lo scommettitore ha altri due aspetti:
quello dello spione-investigatore, e qui ho impiegato mesi e mesi per
informarmi, studiare, e quello del consulente politico. Qui mi sono
divertito. Ne ho conosciuti tanti e tanti di politici, in vent'anni di
giornalismo. Finalmente, ho potuto dire cosa penso di loro, e cioè che la
politica intesa come servizio è una barzelletta.
3. Il personaggio dello Scommettitore assomiglia un po’ tanto a un
santo bevitore à la Joseph Roth, o
forse è vero soltanto che lo scommettitore è un gran figlio di puttana con
un cuore però e la puzza sotto al naso?
E' un figlio di puttana con la puzza sotto il naso. Ha il terrore di fare la
fine del Santo bevitore. Sogna donne, bistecche, sigari di marca. Però è in
crisi: non sa che fine farà.
4. Perché ad un certo punto lo Scommettitore decide di dare un
taglio netto al cordone ombelicale che lo teneva legato a una vita agiata
che solo lo portava a scommettere, a esser direttore del suo proprio destino
e di quello di chi gli stava accanto?
Perché vuole mettersi alla prova. Un conto è fuggire da una moglie che ti
tradisce, dai creditori, un conto è fuggire da te stesso. La scommessa più
difficile. Impossibile da vincere. Ma forse, lui, questo lo sa.
5. Nel romanzo descrivi un paesaggio desolante quanto impietoso, un
microcosmo che accoglie i tanti vizi dell’Italia e i pochissimi sconvenienti
buonismi che il nostro paese sbandiera senza vergogna alcuna. Si ha netta la
sensazione che tu abbia fatto la fotografia, un’istantanea nuda e cruda, di
quell’Italia berlusconiana che iniziò a far danni negli anni Novanta per
continuare poi l’opera di distruzione e asservimento del popolo nel Duemila.
Lo Scommettitore non riesce a fare eleggere sindaco Carmen, una donna
ingenua ma onesta, in un piccolo paese di provincia: vince invece un
pagliaccio - che si vocifera abbia un tatuaggio Falce e Martello
sul braccio e che tiene ben nascosto – che ha fatto apparizioni in tv, che
ha sempre la battuta pronta in bocca. Che messaggio sociale o politico vuoi
lanciare attraverso la ricostruzione della campagna elettorale che è in “Lo
scommettitore”? Si tratta solo di satira fine a sé stessa o è invece una
accusa in stile, per così dire, corsaro?
Il rampatismo e l'arroganza del centro destra non mi piacciono, ma non mi
piace nemmeno l'ipocrisia del centro sinistra. Ho cercato di puntare
l'indice sul potere. Per dirla alla De André “siete tutti coglioni da non
riuscire più a capire che non esistono poteri buoni".
6. Quanto c’è di te, Remo Bassini, nelle inquietudini e nella
ricerca di sé dello Scommettitore (perché quest’uomo che un passato ce l’ha
l’abbandona, se lo lascia alle spalle, perlomeno ci prova, per cercare sé
stesso - come un novello siddharta)?
Sono un inquieto. E faccio collezione di casini. Può darsi che io faccia la
fine dello scommettitore. Fuggire, inseguito dai fantasmi del mio passato.
Torno alla psicanalisi, a Melania Klein. Sosteneva che per capire il disagio
psichico bisogna averlo provato quel disagio. Penso che sia così con la
scrittura. I fantasmi aiutano a scrivere. Poi: se uno scrive bene o male è
un altro paio di maniche.
7. E’ possibile inquadrare “Lo scommettitore” in un genere specifico, e se
sì, perché?
Il romanzo politico, forse. O una sorta di giallo politico, va a sapere.
Dicono che io scriva come un giallista, dicono.
8. Ce l’ha un nome lo Scommettitore? In tutto il romanzo è lui il
protagonista principale, però un nome non ce l’ha né per chi lo incontra
sulla sua strada né per quel passato che gli è proprio alle spalle quasi
fosse una pistola carica e puntata sulla sua persona. E’ un personaggio
senza anima forse ma non senza un’ombra: per quanto faccia – questa la mia
impressione – la sua ombra lo segue pedissequamente e nel tempo passato e in
quello presente. Non se ne può liberare anche se (forse) lo vorrebbe.
Hai ragione. La sua ombra è il suo cruccio. Non riesce a liberarsene. Se
vuoi, questo è l'aspetto stupido del mio personaggio. Volutamente stupido.
Pensa che la stupidità sia "cosa nostra", di tutti noi. Siamo intelligenti e
stupidi, un po' dell'uno e un po' dell'altro, con percentuali differenti.
9. Lo Scommettitore trova una stanza in affitto per una modica cifra da
Ornella, una donna già un po’ avanti con l’età ma ancora appetibile: ma lo
Scommettitore non ci prova mai con lei… quasi avesse paura di assumersi la
responsabilità dell’amore o solo di una relazione più o meno duratura.
Ornella ha un figlio epilettico che ama moltissimo, e anche lo Scommettitore
si affeziona al ragazzo eppure ne ha paura, spesse volte lo evita: per la
sua malattia? Quali sono e da dove vengono le paure dello Scommettitore?
La paura a relazionarsi con gli altri. Lo scommettitore fugge da sua madre,
che è malconcia, in una casa di riposo. Si vive meglio, così. Senza moglie e
senza figli hai meno preoccupazioni e più solitudine. Che è il prezzo della
sua vigliaccheria.
10. Le donne ritratte ne “Lo scommettitore”, perlomeno questa la mia
impressione, sono tutte infelici, incapaci di rapportarsi con gli altri, con
il sesso maschile; più specificatamente sono “abbozzate” in sé stesse, quasi
non volessero scoprirsi e dare una direzione alla loro vita. Come mai?
Penso che la felicità sia un optional, sia per gli uomini che per le donne.
Ornella, certo, è una donna abbandonata: il marito ha preferito andare con
la giovane avvenente segretaria. Ma - anche se non c'è scritto - il marito,
dopo cento scopate, come sta? Vive coi sensi di colpa. Magari sbaglio, ma
l'infelicità ci circonda.
11. Giuseppe Cardoni, un vecchio giornalista settantaduenne, ad un certo
punto viene (ri)chiamato a dirigere il giornale locale che sta letteralmente
rischiando il collasso causa le poche vendite. Cardoni, coriaceo, solo
oramai dopo la morte della moglie, si getta anima e corpo nell’avventura di
risanare le sorti del giornale. E’ un tipo vecchio stampo che sa il suo
mestiere, che sa come impacchettare le notizie senza falsarle ma che non sa
assolutamente usare le tre www (world wide web) né sa che cosa sia il
protocollo http:// Tu che sei giornalista, come lo vedi Cardoni, quali vizi
e virtù indicheresti in questo personaggio?
Mi sono ispirato a Indro Montanelli, che non sopportavo prima di conoscere
Marco Travaglio. A parte questo: per me Cardoni è l'esempio del vero
giornalista. Che se ne frega del consiglio di amministrazione e anche della
sua redazione, ma che ha in mente sempre due cose, che in un giornalista
faticano a convivere ma che debbono convivere, e cioè i lettori e la propria
coscienza.
12. Credi che esista una letteratura alta e una invece più squisitamente
popolare? Credi sia giusto fare un netto distinguo fra Letteratura e
narrativa?
Tanto per capirci: a mio avviso, c’è un abisso non colmabile fra i
contenuti e lo stile di Giovanni Verga ed Emilio Salgari.
Come lettore, rivendico il diritto alla percezione. E' letteratura alta ciò
che mi arriva, mi tocca, mi penetra nelle viscere. Come scrittore mi sento e
voglio essere un autore di romanzi popolari. Faccio questa distinzione, io:
ci sono i narratori che scimmiottano, che invece di scrivere la vita (e
penso tu sia d'accordo) scrivono cose viste in tivù oppure lette oppure
imparate in qualche corso di scrittura creativa, poi ci sono i narratori che
oltre a leggere qualche libro "leggono la vita", e qui spero di esserci io,
e poi ci sono i grandi scrittori. Gli artisti. Come Verga, appunto. E poi
c'è il mio amico don Luisito Bianchi: il livello più alto della narrazione,
che sconfina nell'arte.
13. Qualche progetto per il futuro? Sicuramente sì: puoi darcene
qualche accenno?
Scrivere ma, credimi, non per pubblicare. Perché scrivendo io viaggio. Senza
bagagli, come diceva Salgari.
14. Promuovi – anche sfacciatamente – “Lo scommettitore”: perché la
gente dovrebbe leggere un romanzo che parla dei vizi dell’Italia quando nei
Tg, ogni giorno, i mezzobusto non mancano di ricordarci che viviamo in una
terra dei cachi per poi cancellare le loro stesse parole con un colpo di
spugna e un sorriso di silicone?
Ti ringrazio della domanda. Ma ti rispondo come ho risposto a una mail, di
una persona che mi chiedeva, senza giri di parole, perché dovrei leggere il
tuo scommettitore? Gli ho risposto che deve prendere il libro, sfogliarlo,
leggere le prime righe, poi a caso andare a metà, poi magari annusarlo. E
decidere, infine, a occhi chiusi. Le scelte migliori, io, le faccio così:
d'istinto.
15. Grazie Remo: sei stato gentilissimo, come sempre del resto.
Sono io che ringrazio te. Per questa intervista. Per il mio scommettitore
del quale, ora, i visitatori del suo sito sapranno qualcosa di più.
Remo Bassini – Lo scommettitore – Note: postfazione di Marco Travaglio –
1a ediz. maggio 2006 –
Fernandel – 192 pp. – ISBN: 88-87433-68-2 – 13 Euro