di Andrea Aroldi
John Freeman si agitò nel letto.
Silenziose bestemmie venivano formulate nella sua mente ancora assonnata che si rifiutava di svegliarsi. Come ultimo rifugio contro il suono stridente – ma poteva essere diverso? – della sveglia, mise il capo sotto il cuscino.
Niente da fare, il suono arrivava anche lì!
Peccato! Con un gesto eroico scalciò e le coperte scivolarono a lato, lasciandolo completamente scoperto, ma con ancora la testa sotto il cuscino. Rifiutava di abbandonare quel luogo buio, sebbene parzialmente, e ancora caldo.
Ma il rumore continuava! Allungò il braccio e la sveglia smise di suonare. Perché non farlo subito allora? Perché non voleva considerare quel suono come reale, ma partorito dalla sua fantasia. Spegnendola, accettava la realtà della presenza materiale dell’oggetto e, soprattutto, era cosciente che era mattina.
Il sole entrava con i suoi raggi dalla finestra e rendeva meno pesante il risveglio. Fuori, al di là del vetro, un paesaggio riposante: un piccolo prato verde, circondato da una selva di pini adulti, bellissime vette all’orizzonte e il cielo azzurro solcato da nubi cumuliformi, come sbuffi di panna montata che un gelataio celeste aveva smarrito sbadatamente.
John osservò il paesaggio ormai famigliare e storse il naso.
Lo odiava: odiava il verde, gli alberi, le montagne lo avevano sempre impaurito per la loro altezza e rudezza. Ma erano sempre meglio della verità.
Si avvicinò al telepag e indugiò per un attimo con il comando dei paesaggi inseriti nell’apparecchio. Scrollò il capo e spense. Vide scomparire in una lenta dissolvenza quel paesaggio poco amato, ma in fondo, preferito.
Il vetro rivelò il panorama reale e non certo abituale. Non era più sul prato ma al 175° piano di un grattacielo enorme, nell’attico, e non era più in montagna ma nel centro di Londra.
Si avvicinò e osservò con attenzione quella vista mozzafiato: a perdita d’occhio grattacieli enormi sfioravano il cielo, enormi scatole di metallo, veri alveari umani.
Guardò in basso e ringraziò Iddio di avergli dato sufficiente denaro per poter avere quel attico, un po’ troppo grande per la verità.
Quantomeno poteva vedere ancora il cielo.
“Bene, è ora di vestirsi” mormorò e lo doveva fare con vestiti pesanti, poiché fuori non c’era il caldo sole della radura fra i monti, ma un freddo eccezionale e neve dappertutto.
In fondo era dicembre.
Rabbrividendo, non per il freddo dovuto alla sua nudità, ma alla temperatura polare che doveva esserci all’esterno, corse nel bagno a immergersi nell’acqua calda della vasca, calda e tonificante. Tutto passò dolcemente: il freddo, la sbornia di due sere precedenti, le contusioni di una rissa e altro ancora. Ogni cosa tornò al suo posto primitivo, dolcemente.
Con un grido smorzato John si scosse da quel torpore e uscì da sott’acqua. Con il cuore che andava a cento all’ora e il respiro rapido sputò l’acqua che aveva ingoiato. Per precauzione ridimensionò un poco la temperatura della vasca, portandola a un valore non troppo elevato. Non voleva rischiare di addormentarsi e finire di nuovo sott’acqua!
Con movimenti rapidi si lavò e terminò in mezz’ora la sua toeletta quotidiana. Mentre si aggiustava il foulard guardò l’orario: erano le 10.39, ora di Greenwich.
Beh, era ancora abbastanza presto, ma voleva uscire un po’ prima del suo solito, in modo da vedere la città ancora addormentata.
Senza affrettarsi troppo attraversò il lungo salone e uscì dall’appartamento. Come sempre la porta si sigillò alle sue spalle e solo la sua voce e le sue impronte digitali l’avrebbero potuta riaprire.
L’ascensore era stranamente vuoto e di questo fu molto felice.
“Ma che stupido che sono!” pensò “E’ ancora presto”.
Il tragitto verso il basso fu molto rapido e John si fermò al 100° piano, la Zona dei Negozi, meglio conosciuta come la Passeggiata.
Uscì e raggiunse l’aria aperta.
Si volse e osservò la parete del grattacielo, su, verso la cima.
In un certo senso quella parete liscia gli piaceva, così lucente per tutte quelle vetrate. Ripensò al paesaggio alpino e non gli sembrò strano il perché non gli piacevano le montagne.
La giornata era fredda, ma un sole pallido faceva capolino tra le nubi e si rifletteva sulla neve fresca della nevicata notturna. John si strinse nel cappotto e mosse i piedi negli scarponi per sentire se esistevano zone fredde, preludi di perdita di impermeabilità. L’ispezione risultò positiva e si incamminò per i viali illuminati. Tutte le strade erano addobbate a festa. Migliaia di lampadine creavano insegne stupende e molto artistiche. Più semplice sarebbe stato usare una variante del telepag, con effetti più sofisticati, ma quel anno ritornava di moda l’arcaico, sebbene non così tanto lontano.
Pochi passanti erano in giro a quell’ora; in fondo la gente “per bene” era ancora a letto e doveva affrontare la consueta lotta mattutina con la sveglia. I lavoratori erano da tempo al lavoro, ma poiché occupavano la zona Primaria, il pianterreno del grattacielo, o la Zona dei Magazzini, cinquanta piani più sotto, non venivano presi in considerazione.
Addobbi festivi decoravano i bassi edifici, un piano al massimo, del viale alberato. Ogni angolo, panchina o ramo, aveva il suo addobbo, la sua insegna che ispirava allegria e comunicava lo stesso messaggio a luce intermittente rossa-gialla-azzurra: 2000!
Eh sì, quel giorno era proprio il 31 dicembre 1999, un giorno a cavallo di un’epoca. Per quella sera si prevedevano feste sfrenate, orge immense e lazzi più o meno piacevoli.
Non si poteva perdere l’occasione di dare l’addio a un secolo e salutarne uno nuovo. Le preoccupazioni del momento erano molto frivole, del tipo: quale sarà il primo vestito che indosserò nel nuovo secolo? Chi vedrò per primo? La prima cene, la prima donna, la prima sigaretta… tutta roba poco seria, non adatta per John Freeman, scrittore-eremita in quel giorno da pazzi.
I giornali, i mass media in genere, davano solo statistiche confrontate con i secoli precedenti. Una valanga di dati che non interessavano a nessuno, ma che i giornalisti si sentivano in dovere di trasmettere alla popolazione, quale cultura illuminante.
Porcheria, ecco quello che ne pensava John.
Avevano elencato tutto, dai delitti ai pannolini consumati.
Dati, dati, dati, solo dati che annoiavano. Accendere la televisione era come compiere un suicidio mentale. Avete mai pensato quante cose diverse vi sono al mondo? Fatelo e la cosa vi spaventerà. Ora provate a immaginare di vedere una scheda gigantesca di tutto quello che avete pensato, ma sappiate che le cose, gli oggetti, sono molti di più di quanto avete immaginato. Erano mesi che i giornali elencavano cose, cose, cose, cose con i loro relativi numeri, numeri, numeri, numeri.
John scacciò dalla mente quella visione che si stava tramutando in un incubo algebrico.
Come se si fossero dato appuntamento, frotte di gente cominciarono proprio allora a uscire dagli ascensori e si dirigevano a grandi passi affrettati in direzione dei negozi a orario continuato, anche la notte. Quel giorno avrebbero chiuso però alle 19.oo.
In quei giorni le sartorie, i negozi di abbigliamento in genere, avevano fatto affari d’oro, soprattutto le sartorie di lusso, che si vedevano commissionati migliaia di vestiti, i più pazzi immaginabili e che sarebbero stati usati per una sola nottata, la notte più lunga del secolo.
Sempre con più rapidità il viale si riempì di gente e John cominciò a infastidirsi.
In fondo aveva ragione. S’era alzato due ore prima del suo solito, lui così ligio alle buone abitudini, per vedere la Passeggiata deserta o quasi, e ora se la ritrovava affollata come non mai!
“Era meglio se dormivo ancora un po’” fu il suo primo pensiero, ma poi si dedicò a un suo passatempo, l’osservazione del comportamento umano, cosa che mediò la sua scontentezza.
Tutte persone per bene erano quelle, eppure sulle loro facce si vedeva che stavano per compiere qualche cosa di strano, di diverso dai loro canoni di rispettabilità.
Con vivacità si avvicinavano alle vetrine e restavano a osservare la merce esposta e a pensare alla loro megafesta della sera, facendo piani su cosa conveniva di più acquistare.
I vestiti esposti erano molto numerosi e davano molto risalto agli indumenti femminili, esaltandone gli attributi in varie maniere, tutte però molto raffinate. Accanto a esse, vestiti maschili molto pazzi e ricchi di raso e paiettes, non erano disgiunti da sobri abiti classici e, com’era di moda negli anni passati, casuals.
Poi, quelle persone rispettabili, uscivano cariche di pacchi, pacchetti e pacchettini che sis stringevano al petto con morbosità un poco barocca. Poi via, verso gli ascensori e su, nei loro appartamenti in tutta fretta, vergognandosi di aver ceduto e di essere usciti dalle loro caste abitudini.
Però c’era una piccola minoranza, tutti giovani in effetti, che con non curanza camminava per i viali con sottobraccio l’articolo acquistato ancora nella sua scatola e addirittura senza di essa.
Pura pubblicità, per annunciare il tipo di festa che intendevano organizzare, all’insegna del buon gusto o della più sfrenata follia, a piacere.
Con suo disappunto questa minoranza aumentò e già vedeva persone ritenute integerrime discutere con l’acquisto fatto sotto il braccio sul tipo di orgia organizzata e che invitavano tutti coloro che volevano a partecipare “…basta sborsare la modica cifra di…”
Osceno!
Ben presto John Freeman si stufò di quella ressa e se ne tornò nel suo appartamento rimasto silenzioso.
Quando finalmente si chiuse la porta alle spalle, tirò un sospiro di sollievo e poté pensare un po’ con calma. Si levò gli scarponi e li buttò in un angolo, seguiti dal cappotto e dagli altri indumenti.
Indossò un paio di calzoncini corti e una maglietta, per poi buttarsi sul divano al centro di quel salone troppo grande, ma che non aveva voglia di riempire con una festa. Voleva restare solo e in silenzio.
- Maledizz… - gli sfuggì quando la suoneria del visofono cominciò a squillare.
Stancamente si alzò e prese la comunicazione senza però inserire il video.
- John? Sono Betty. Che c’è, hai il visofono guasto? –
- No Betty, funziona benissimo, ma non voglio vedere nessuno –
- Va bene, ma spero che per questa sera ti sarà passata. Eh sì, perché ti aspetto questa sera alle otto –
- Va bene, forse mi farò vivo – rispose stancamente, senza avere intenzione di andarci.
- Come forse?! E’ un occasione unica, diamo l’addio al secolo! Quindi è un crimine starsene rinchiusi in casa, soli, quando gli altri… -
- Ok! Ho capito! Alle otto sarò da te –
- Ben, a stasera – e chiuse la comunicazione.
- John se ne tornò sul divano, ma prima si portò vicino una bottiglia di ottimo whisky, un bicchiere, del ghiaccio e accese lo splendido impianto stereo computerizzato che poteva funzionare in continuazione, giorno e notte. John era un patito della musica, senza di essa non sarebbe riuscito neanche a lavarsi i denti!
- Con un grugnito si stravaccò sul divano e ben presto si addormentò, cullato dall’aere musicale.
Quando si svegliò era sera. L’orologio da parete segnava le 20.25 ora di Greenwich.
Si alzò e si stirò rumorosamente la pelle. Tutto scattante raggiunse la cucina automatica e ordinò un pranzo molto ricco di calorie. Pochi minuti e la stupenda apparecchiatura glielo servì caldo e fumante. Passò tutto su di un vassoio e tornò in sala. Molto delicatamente si sedette ai piedi del divano e si allungò sulla moquette. Prima di iniziare a mangiare, accese il televisore che occupava quasi tutta la parete e abbassò il volume della musica fino a un tiepido sottofondo. Immediatamente apparvero le tanto odiate schede. Cambiò canale e continuò a farlo finché non ne trovò uno che non trasmettesse quella robaccia.
L’annunciatore in perfetto abito blu illustrava le pazze cose che già qualcuno aveva iniziato a fare e il suo sguardo era chiaramente invidioso, senz’ombra di dubbio. Buona parte del programma fu dedicato alla politica interna, anche se di politica sapeva poco.
John spense e andò a farsi una doccia rinfrescante. Non voleva andare alla festa di Betty, ma non aveva intenzione neanche di cadere lì, assonnato, prima della mezzanotte.
Mentre ancora sgocciolava riaccese il televisore e si sedette per terminare il pasto interrotto.
L’orologio da parete segnava le 23.30 ora di Greenwich.
L’annunciatore era in quel momento passato alla politica estera quando gli venne passato un foglio e dall’urgenza con cui lo scorse prima di enunciarlo ai telespettatori sembrava molto importante. Un pallore grigiastro comparve sul suo viso e i modi disimpegnati che lo avevano caratterizzato fino a quel momento scomparvero del tutto.
- Telespettatori, ho una notizia sconvolgente da darvi e mi spiace che sarete in pochi a sentirla –
Inaspettatamente stava dimostrando un volto stranamente sensibile.
- Due minuti fa un missile nucleare è partito dalla base di Norfolk diretto a est, su Mosca. Capite bene le conseguenze che questo atto comporterà per tutto il nostro pianeta. Non si conoscono le ragioni di questo gesto insano, ma alcune ipotesi… -
John spense, non gli interessavano le ipotesi.
Si alzò e portò con se la bottiglia di liquore quando raggiunse la finestra.
Ore 23.55 ora di Greenwich.
Il cielo stellato rivelava una nottata splendida, limpidissima.
In tutto il mondo le mani di persone sbronze indugiavano sui tappi delle bottiglie di spumante. In tutto il mondo…
John si versò un altro bicchiere e lo vuotò tutto d’un fiato.
Come previsto alle 00.00 esatte i fuochi di artificio iniziarono e furono magnifici. Cascate multicolori e fontane cangianti.
Poi, tutto a d’un tratto, scoppiarono piccoli soli atomici.
Furono molti e illuminarono a giorno la città ebbra di alcool.
La gente li osservò entusiasta.
Anche coloro che avevano preparato lo spettacolo pirotecnico li osservarono stupiti, ma di tipo diverso, assoluto!
John stette ancora un po’ alla finestra, ma non ci furono più fuori scena. La prima fase era terminata. L’attacco era stato compiuto, i russi avevano parato e subito iniziato la rappresaglia subito neutralizzata.
Quale sarebbe stata la prossima mossa?
John andò a letto con la convinzione di essere uno dei pochi a conoscere la triste verità.
Un pensiero gli restò appiccicato prima di cadere addormentato:
“Mai vi saranno fuochi artificiali così magnifici. Abbiamo omaggiato degnamente un secolo di tensioni battagliere, ora comincerà un secolo di distruzione?”
- Ottimi, veramente ottimi – mormorò e sprofondò nel sonno.