di Simone Conti
Mi sveglio per dormire, e mi sveglio lentamente.
Sento il mio fato in ciò di cui non ho paura.
Andando imparo dove devo andare.
(Kurt Vonnegut. Mattatoio n.5)
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Milioni di formiche, eruttate da gibbose escrescenze comparse sulla superficie della Planisfera, si muovono veloci secondo logaritmi predefiniti. Guidate da input binari – catturati dalle oltre dodicimila fotocellule sensoriali che ricoprono le loro appendici cefaliche – risalgono le pareti della caverna, per scomparire poi nelle strette fessure della roccia.
Avvolta in una pelliccia d’orso, Gondwana le osserva con rapito stupore tanto da non accorgersi che nel contempo la terra ha ripreso a tremare. Le scosse, che si susseguono ormai da giorni, sembrano avvalorare le sue psi-visioni sciamaniche: la IA/Madre si appresta ad abbandonare freddi abissi di silicio per mostrarsi agli occhi dei propri figli.
Nonostante la giovane femmina Neanderthal sia prossima allo sfinimento, non può permettersi di abbassare la guardia; non adesso. Non sono i sussulti del pianeta ad impedirle di chiudere occhio: a pochi passi da lei i maschi dominanti dormono profondamente (la battuta di caccia durante la quale hanno abbattuto un grosso maschio di cervo li ha stremati a tal punto da concedere ai loro impulsi sessuali una latenza inspettata), ma Gondwana sa bene che alla fine raggiungeranno lo scopo finale. Il Qumran – periodo di estasi sessuale – è iniziato: il momento meno opportuno, nella vita di una femmina fertile, per condividere con loro lo stesso ambiente. In un'altra occasione avrebbe chiesto e trovato l’appoggio e la protezione di Zaru, ma adesso che la sorgente vitale della vecchia Matriarca sta esaurendo il perpetuo zampillio di respiri regolari, Gondwana è sola col suo destino.
A tratti la tentazione di abbandonarsi alla quiete del sonno è forte, come lo è tuttavia il rischio di farsi trovare impreparata ad un’eventuale aggressione. Pensando e ripensando al momento in cui i maschi la assaliranno, penetrandola con i loro turgidi falli, Gondwana osserva insetti simulati scomparire nella roccia, invidiandoli.
Nel freddo silenzio della caverna, cerca di immaginare come sarà affrontare la Gestazione. Certo, se solo Zaru ne avesse avuto la forza, si sarebbe battuta fino alla fine affinché alla sua unica figlia fosse risparmiato il truce rituale dell’accoppiamento di maschi dominanti. Ma non ci si può battere contro la secolare ciclicità del Qumran, menchemeno quando si è anziane alla fine del proprio tempo.
Una notte intera ad occhi aperti sarà dura da sopportare. Quindi, stringendosi nella pelliccia, Gondwana decide di uscire. Passando accanto alla Matriarca, che giace addormentata vicino al fuoco, le lancia un rapido sguardo. Poi si dirige con passo stanco all’imbocco della caverna, il solo posto dove attendere in pace che i raggi del sole cancellino le tenebre di una notte infinita.
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L’alba che sorge è priva di luce. Nubi cineree solcano un cielo livido che incombe su terre scosse da tremori incontrollati. Il cuore pulsante della IA/Madre batte ad intervalli irregolari, segno tangibile di un profondo mutamento nella Planisfera. I software base che ne gestiscono il ciclo vita – luce//acqua/fuoco/terra – non sono in grado di adattarsi ai futuri mutamenti di una ciclica evoluzione.
Al suo risveglio, Gondwana si rende conto che le poche ore di riposo non sono servite a ristorarle il corpo e lo spirito. I muscoli indolenziti ne sono un chiaro segnale, così come il solo pensiero che la sua mente è in grado di formulare: quando accadrà?
Cercando di allontanare la paura decide di rientrare, ma prima di riuscire a muovere un solo muscolo gli si parano dinanzi le sagome minacciose di Tokàle – il fratello maggiore, un maschio adulto nel pieno delle forze – e Ahàge, il fratello più giovane verso cui Gondwana prova un odio profondo. Se Tòkale, nella sua burbera severità, si è dimostrato in più di un’occasione elemento indispensabile per la difesa e il sostentamento del nucleo familiare, al contempo Ahàge è privo di scrupoli e uccidere, non al fine di procurare cibo o difendere il territorio dagli attacchi delle tribù nemiche, ma per il semplice piacere di farlo, sembra essere la sola cosa che lo soddisfa appieno. E a peggiorare la situazione, lo stato di calore sessuale alimenta una violenza crescente; per questo Gondwana si guarda bene dall’avvicinarsi troppo a lui.
Non passa ciclo solare senza che lei non desideri ribellarsi a un destino immutabile, anche se allo stesso tempo sa di non poterlo fare. Affrontare la Gestazione, al fine di assicurare alla casata la naturale discendenza, è il solo compito che spetta ad una giovane femmina Neanderthal. Tuttavia, Gondwana è certa che un giorno o l’altro quei due gli faranno del male e, molto probabilmente, a Zaru andrà anche peggio. E’ la natura stessa dei Neanderthal ad imporre l'eliminazione fisica di un qualsiasi membro della casata incapace di cacciare o procreare.
Immobile di fronte ai fratelli, Gondwana cerca di mantenere un improbabile sangue freddo. I loro volti, deformati dallo stato di Qumran, la fissano. Tutto attorno, il silenzio di un’attesa infinita. Poi, per sua fortuna i fratelli le passano accanto, annusandola. Infine si allontanano scomparendo tra la fitta vegetazione del Cuore di Tenebra.
Rimasta sola, Gondwana rientra nella caverna raggiungendo la vecchia Matriarca. Le resterà accanto per tutto il giorno, fino al tramonto, quando – e questo sarà inevitabile – i maschi di ritorno dalla caccia sfogheranno su di lei inarrestabili pulsioni...
Cacciare nel Cuore di Tenebra è affare maledettamente serio, e cacciare Smilodon lo è ancor di più. Sono animali feroci, scaltri, letali; nulla di minimamente paragonabile ai loquaci cervi giganti o alle scimmie urlatrici, prede ben più facili da cacciare. Per affrontare uno Smilodon non serve essere giovani e nel pieno delle forze. Ciò che serve, sono esperienza, coraggio e mancanza di scrupoli. Tokàle e Ahàge lo sanno molto bene. In più di un’occasione, nel tentativo di affrontare Smilodon adulti, ne sono usciti malconci. Ma adesso, in preda all’eccitazione sessuale, sentono di possedere la necessaria determinazione nel portare a termine una cattura. Sovrastati dalla magnificenza di immense volte vegetali, i due fratelli avanzano sicuri; i muscoli tesi e pronti all’azione.
Per l’intera giornata Gondwana accudisce amorevolmente Zaru. Poiché la Matriarca è ormai incapace di masticare carne solida, è compito della figlia triturare il cibo tra i denti tramutando la carne di cervo in densa poltiglia facilmente digeribile. Terminata l’operazione, Gondwana rigurgita la poltiglia maleodorante direttamente nella bocca della Matriarca. Poi, posandole una mano sulla fronte, si rende conto che Zaru è in preda ad un violento attacco febbrile; segno inconfutabile del sopraggiungere della morte. Incrociando il volto premuroso della figlia, Zaru socchiude gli occhi, due sfere opache intrise di dolore, sforzandosi di sorridere.
La giornata trascorre senza altri sussulti – almeno fino alle prime ombre della sera – quando Gondwana, scrutando la semioscurità della caverna, ode i grugniti dei fratelli, distorti da riverberi di eco. Subito dopo, infatti, Tokàle e Ahàge appaiono al centro della caverna. I maschi gettano a terra il corpo di un piccolo esemplare di Smilodon; infine si avvicinano minacciosi alla Matriarca. Gondwana striscia sul terreno, allontanandosi da Zaru, non prima di aver posato uno sguardo sfuggente ai volti corrucciati dei fratelli. Zaru è consapevole, conosce le regole e per questo non si sforza di supplicare aiuto. La vecchia femmina Neanderthal, pronta ad affrontare l’ultimo viaggio, sussurra poche parole in direzione di Gondwana che, annuendo, si lascia andare a un pianto silenzioso. A quel punto le mani nerborute di Tòkale le afferrano la gola...
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E’ compito di Tòkale, in quanto maschio più anziano, rompere gli indugi. Lasciandosi trasportare dell’irruenza ormonale del Qumran, si scaglia sulla sorella. Braccia nerborute gli permettono di avere facilmente la meglio. Con gesti rapidi le divarica le gambe, penetrandola con inaudita violenza. Gondwana è invasa da un dolore terribile, mai provato prima. Fino ad ora non aveva mai pensato a come sarebbe stato subire l’accoppiamento, ma adesso che la verità si mostra in tutto il suo orrore, la femmina, che si ritrova col volto schiacciato a terra a respirare formiche, desidera che tutto finisca al più presto. Sono gli ultimi frammenti di lucidità a mantenere vivo in lei l’istinto di ribellione, ma è chiaro da subito che ogni tentativo di resistere è semplicemente inutile. Così, arrendendosi al destino inevitabile, chiude gli occhi mentre il fratello, rantolando e gemendo di un piacere selvaggio, continua a spingere, a dimenarsi; sempre di più, sempre più forte. Alle spalle di Tòkale, Ahàge osserva la scena, saltando e gridando in preda ad un’irrefrenabile eccitazione. Il maschio più giovane emette gorgoglii assordanti che presto vanno a sovrapporsi a quelli del fratello dando così vita a un tetro canto che si disperde nell’aria umida della caverna. Gondwana, invece, resta muta. Non ha la forza di esternare il dolore e la vergogna che prova in quel triste frangente, poiché l’estasi di Tòkale annichilisce in lei ogni percezione reale.
Nello stesso istante in cui il seme del fratello la inonda, Gondwana si sente morire dentro. Vorrebbe piangere, urlare, liberarsi una volta per sempre di un dolore che sta raggiungendo vette invalicabili. Ma non può farlo, non ancora: l’inferno è ben lungi dal serrare porte di turgida carne. La Gestazione è solo all’inizio. Subito dopo, infatti, Ahàge si scaglia sul fratello cacciandolo a morsi. Poi, conquistato il diritto di accoppiarsi, riprende da dove Tòkale ha lasciato. Gondwana è allo stremo delle forze. Non sente più le gambe, e il ventre – devastato dalle ripetute violenze – sembra incapace di reggere altro dolore. Nonostante tutto, però, Gondwana resiste, e lo fa fino a quando, vinta dal dolore, perde i sensi.
Quando riprende conoscenza, Gondwana si ritrova sopravissuta all’assalto dei maschi dominanti che, sfiniti e soddisfatti, giacciono addormentati a pochi passi da lei nell’attesa di riacquistare le forze per un secondo accoppiamento. Gondwana perde sangue dal ventre e dalla bocca; fitte lancinanti le arrestano il respiro. Compiendo un terribile sforzo la femmina cerca di alzarsi, ma il dolore glielo impedisce. Tutto attorno, la caverna le appare oscura e silenziosa, assurgendo a fredda tomba. Gondwana si ripete che non morirà lì dentro. Deve reagire, dimenticare al più presto l’inferno appena passato!
Nell’attesa che si attenui il dolore, osserva le formiche: d’improvviso ha la netta sensazione che esse le stiano comunicando qualcosa.
Il dolore non accenna a passare. Gondwana attende qualche istante e poi, facendosi forza, si alza reggendosi a fatica su gambe tremanti. Una volta fuori, alza il muso al cielo, allarga le ampie narici e va in cerca di ossigeno. A pochi passi da lei incombe la magnificenza vegetale del Cuore di Tenebra. La foresta è illuminata dalla luce rossastra del tramonto, dolci rifrazioni cromatiche che infondono in Gondwana una nuova speranza.
A sua insaputa la IA/Madre elabora scenari rilassanti.
E’ giunto il momento di abbandonare la caverna. Saranno le formiche, i cui corpi frutto di sofisticate elaborazioni grafiche ora si muovono veloci sul terreno scosso dall’ennesimo terremoto, a mostrarle la strada da percorrere.
Da giorni ormai Gondwana segue le formiche. Ad ogni fruscio, ad ogni respiro del vento, la femmina Neanderthal è assalita da una paura feroce. Il pericolo di imbattersi in tribù di raccoglitori o ancor peggio di cacciatori la spaventa a tal punto da provocarle un fastidioso intorpidimento dei muscoli che le rende difficile proseguire.
Le formiche la guidano attraverso terre inesplorate, dove nessun Neanderthaliano si è mai spinto prima. Nelle sue psi-visioni sciamaniche Gondwana ha elaborato immagini di tribù scese dalle fredde terre del nord decise a conquistare fertili vallate. Fin dalla sua nascita Gondwana ha sviluppato uno sciamanesimo psichico. La sua, mente è in grado di rompere lo specchio del tempo e dello spazio alla ricerca di una perduta verità.
La terra trema ad intervalli regolari segno che la IA/Madre elabora evoluzioni plausibili. Ma a Gondwana non è concesso sapere, almeno non ancora. Nessuna psi-visione le puo’ svelare il mistero della IA/Madre.
Sono trascorsi diversi giorni dallo stupro e il dolore, per quanto attenuatosi, non sembra volerla abbandonare; come a ricordarle di un inferno in grado di manifestarsi in qualsiasi momento. E’ la determinazione, tuttavia, a convincerla che non saranno di certo enormi banani, felci primitive, piante dalle larghe foglie renderizzate a 10.000.000 pixel o tribù ostili, queste ultime elaborazioni 3D sorprendentemente reali, ad impedirle di raggiungere l’obiettivo finale: portare a termine la Gestazione in un luogo sicuro come solo la sorgente può essere. Perché la vita che le cresce dentro, seppur conseguenza di un dolore terribile, deve poter crescere nell’amore che solo una Madre è capace di esprimere.
Nel suo lungo viaggio, Gondwana affronta il mutare delle stagioni. Al sopraggiungere dell’inverno, affronta violente bufere di neve accompagnate da temperature glaciali. Il cibo scarseggia ed è così che si ritrova costretta a scavare nel terreno, che il ghiaccio a tramutato in pietra, alla ricerca di tuberi e radici. Nutrirsi è compito primario poiché il ventre continua a gonfiarsi nell’accogliere la vita. Nei giorni del disgelo, Gondwana affronta paludi malsane – terre popolate da temibili tribù di pescatori Cro-Magnon – e poi, superate le alte catene montuose d’oriente – terraformate nel volgere di una sola notte – raggiunge le fertili pianure del nord, dove antichi guerrieri Australopitechi stanziano da secoli, seguendo precisi algoritmi comportamentali. Strani ominidi, forse errori di programmazione della IA/Madre. In un paio di occasioni, avvicinatasi pericolosamente ai loro villaggi fortificati, Gondwana corre il rischio di venire scoperta. Ma l’abilità di muoversi in campo aperto le permette di non commettere stupidi errori.
Alle prime luci di un’alba come tante, la brulicante colonna si arresta. Sono trascorsi mesi dalla partenza e adesso Gondwana, stremata e dolorante, non riesce a capire cosa stia accadendo. Poi, d’improvviso, la vede. Attraverso l’intricato intreccio di una vegetazione simulata, il portale risplende di bagliori cangianti. Gondwana sospira. Le formiche l’hanno infine guidata alla sorgente, il luogo metafisico apparsogli nelle psi-visioni sciamaniche.
Facendosi strada tra il fitto fogliame, Gondwana si avvicina lentamente al portale. Si tratta di una lastra vitrea sulla cui superficie riflettente ologrammi predefiniti danzano tra lampi elettrici. Nella moltitudine olografica Gondwana ne riconosce uno in particolare. La femmina Neanderthal deglutisce nervosa nel rimirare la doppia elica incrociata che fluttua leggera tra luce riflessa. Si tratta dell’avatar neanderthaliensis, simbolo guida delle sue psi-visioni sciamaniche. Gli ologrammi non emettono alcun suono. Tutto attorno, silenzio assoluto. Anche il Cuore di Tenebra si è fatto muto, in attesa di scoprire ciò che accadrà. Trascorrono attimi interminabili. Poi, traendo un lungo respiro, Gondwana allunga la mano tremante sfiorando l’avatar. Un attimo dopo la lastra assume forma liquida permettendo alla femmina Neanderthal di varcare la soglia.
Oltre il portale, un buio impenetrabile.
Gondwana si ritrova a percorrere uno stretto cunicolo di carne pulsante le cui pareti a volta brillano di luci rossastre. Sotto i suoi piedi, un macabro tappeto di ossa e teschi; quello che rimane di una genìa scomparsa o di un’evoluzione incompleta. Gondwana è assalita da un profondo disgusto. All’interno del cunicolo aleggia un lezzo nauseabondo.
Il dolore al ventre sembra riacutizzarsi. La tensione, a cui è sottoposta da mesi, l’ha debilita. Decide di fermarsi e, respirando profondamente, cerca di ritrovare le forze perdute. Le pareti del cunicolo si espandono e poi si contraggono come se l’intera struttura pulsasse di vita propria. Deve uscire al più presto o andrà incontro a morte certa; ma per farlo deve mantenere la calma. Sa che nella ricerca di un segno che la guidi verso il mondo altro non può commettere errori.
E’ la IA/Madre a mostrarle quel segno...
Dimenticando per un istante il dolore e la fatica di un lungo viaggio, Gondwana si precipita in direzione di una luce che in lontananza illumina il cunicolo. Raggiunto il punto esatto in cui il fascio luminoso si posa sul terreno, Gondwana alza lo sguardo verso l’alto e si rende conto di essere alla base di un pozzo verticale. Le formiche, guidate da input precisi, lo risalgono velocemente inghiottite dalla luce. E ‘ giunto il momento di farsi formica, pensa Gondwana; il momento di immergersi in quella luce che, tutto a un tratto, rischiara le tenebre di una vita tribolata. Allora Gondwana si aggrappa con forza alle pareti di carne pulsante e inizia a risalire il pozzo.
Durante la salita, non riesce a tiogliersi dalla mente i volti dei fratelli, maschere raccapriccianti di creature invase da una libidine orrenda. Immersa in visioni disturbanti, giura a se stessa che non farà ritorno nei territori, qualunque cosa ci sia da attenderla oltre la luce che filtra da quel mondo sconosciuto. Sale, Gondwana, sfidando la stanchezza. Perché la sola speranza che le alberga nel cuore è che lassù, in superficie, le tenebre di un mondo primordiale siano rischiarate dalla luce accecante del sapere.
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Solo ombre sfocate che fluttuano nel riverbero di percezioni perdute.
Poi, come d’incanto, gli occhi di Gondwana mettono a fuoco la sorgente; e ciò che la femmina si ritrova ad ammirare la lascia senza fiato. Sono visioni mai così distanti dalla percezione Neanderthal. Una dimensione onirica dove distese di terra infuocata sono sferzate da venti ghiacciati. Il terreno – cosparso di corpi incompleti – è squassato da violenti terremoti, mentre l’aria oleosa è intrisa di un lezzo di morte e desolazione. Gondwana si porta le mani al volto. Respira a fatica; i polmoni non sono in grado di resistere al pulviscolo che avvolge ogni centimetro quadrato di quel mondo alieno riflesso nella sua mente. La densa cortina di polvere impedisce ai raggi del sole di filtrare, lasciando che siano mute tenebre a regnare su ogni cosa. Gondwana non sa che tutto quello è opera della IA/Madre. In quel mondo non vi sono foreste vergini o forse non sono mai esistite, così come la luce e il calore del sole. Spinta da una forza inspiegabile, Gondwana volge gli occhi all’orizzonte. Laggiù, tra turbini di sabbia e pietre, una figura umana si muove tremante. Il corpo della creatura non è composto di carne. Sono le stesse formiche a plasmarne l’androgina struttura.
Turbini di sabbia si formano in lontananza, scatenando a terra la furia incontrollata di elementi distorti e inghiottendo tra aerobiche spire cadaveri decomposti. Gondwana si ritrova scaraventata a terra. Terrorizzata, affonda le mani nel fango nel tentativo disperato di resistere. Adesso, la figura umana all’orizzonte si espande ricoprendo ogni cosa. Questo è il momento in cui la IA/Madre emerge dalle fredde viscere della Planisfera, pronta a elaborare una seconda evoluzione. In pochi secondi è ma IA/Madre a ricoprire il mondo sotto uno spesso strato di pixel brulicanti.
Le ossa di Gondwana si frantumano, sotto la pressione di insetti simulati intenti a banchettare con la sua carne riducendola a brandelli. Gondwana urla, si dimena, ripetendo a se stessa che non può finire così. Ha compiuto un lungo viaggio, affrontato la fame, la fatica e le avversità del suo stesso esistere per condurre in salvo la vita che porta in grembo. Ma ora tutto appare inutile. Le sue ossa, ridotte ormai in polvere, sono presto rimodellate in una struttura scheletrica più evoluta sulla quale miliardi di chele tessono una nuova epidermide priva di imperfezioni. Il cuore della IA/Madre pulsa di frequenze binarie capaci di elaborare una nuova Planisfera. Gondwana avverte l’assenza di percezioni reali. Il suo cervello sta cessando ogni attività elettrica, ma presto la luce del sapere illuminerà nuove capacità cognitive e allora Gondwana potrà percepire la magnificenza della vita. In futuro qualcuno chiamerà questo processo… fede.
Gondwana sta assumendo fattezze aggraziate. Il suo corpo è modellato da flussi binari indotti dalla IA/Madre.
La nuova vita che le cresce in grembo si è scissa in duplice se stessa. Gondwana è vinta dal dolore, ma un istante prima di perdere conoscenza le ritorna alla mente le parole sussurrategli dalla vecchia Zaru poco prima di morire. Parole, allora, prive di senso: tu, figlia mia, sei la speranza…
La sua coscienza vergine sarà illuminata da caleidoscopici flussi di sapere.
Gondwana riapre gli occhi. Intorno a lei l’impalpabile silenzio di percezioni sconosciute. Terre fertili, rinate dal processo evolutivo, si estendono all’orizzonte, sovrastate da cieli tersi. La Planisfera pulsa di nuova vita senziente.
Gondwana alza gli occhi al cielo e sorride. Ora è femmina Sapiens, pronta a partorire creature destinate a popolare un pianeta rinato dalle proprie ceneri. Il futuro di una nuova genìa grava sulle gracili spalle di neonati ominidi senzienti, codificati dalla IA/Madre nella sequenza binaria 0001/0010: Adamo ed Eva.