di Robert J. Sawyer
Accade ogni volta: incontro qualcuno, si informano su ciò che faccio per vivere, dico loro che scrivo romanzi di fantascienza e mi chiedono se ce n'è qualcuno che è stato trasformato in film.
Questa domanda nasconde due malintesi, uno ingenuo e l'altro seccante.
Il malinteso ingenuo è che molti romanzi, o almeno una buona parte, siano trasformati in film. La verità è che è molto difficile che qualcuno ce la faccia. Infatti perfino i romanzi più importanti non vengono prodotti per lo schermo. Si considerino i vincitori del premio Nebula, l'Academy Award del mondo della fantascienza. Sono trentasei i romanzi che hanno ottenuto il trofero (compreso il mio The Terminal Experiment, che ha vinto nel 1995). Di questi 36, quanti pensate che siano stati trasposti?
Solo due... e come spesso accade, i primi due: Dune di Frank Herbert (che vinse il Nebula nel 1965) e Flowers for Algernon di Daniel Keyes (che lo vinse nel 1966 e fu filmato col titolo di Charly). Tutti gli altri, inclusi classici del calibro di The Gods Themselves di Isaac Asimov , Ender's Game di Orson Scott Card, Rendezvous with Rama di Arthur C. Clarke, Neuromancer di William Gibson, The Left Hand of Darkness di Ursula K. Le Guin, The Forever War di Joe Haldeman, Ringworld di Larry Niven e Red Mars di Kim Stanley Robinson, rimangono lontani dallo schermo.
E se dei libri di questa statura non vengono trasformati in film, si consideri quanto sia improbabile che un romanzo di valore medio di uno scrittore normale venga filmato. Di fatto solo pochissimi romanzi di SF sono stati trasposti per il grande schermo e nella maggior parte dei casi i i prodotti che ne sono scaturiti sono stati atroci. The Postman di David Brin e The Puppet Masters di Robert A. Heinlein sono dei grandi libri, ma gli adattamenti puzzano. (Probabilmente il miglior film che sia mai stato tratto da un romanzo di SF è stato il libero adattamento del 1968 di La Planète des singes di Pierre Boulle, che uscì 33 anni fa col titolo Planet of the Apes, quello originale.)
Di recente ero a pranzo con degli amici e, come spesso ci accade a noi gente appena arrivata alla mezza età, venne fuori l'argomento di un possibile ritiro dal lavoro. Una delle mie amichi obiettò che io non avevo nulla di cui preoccuparmi: mi bastava semplicemente che un paio di libri venissero trasformati in film e sarei stato a posto. Le risposi che era proprio come progettare di vincere la lotteria, le probabilità erano all'incirca le stesse.
Infatti la maggior parte degli autori non arricchisce anche se viene fatto un film da un loro romanzo. La cifra per un'opzione (quello che i produttori ti pagano per non vendere a nessun altro per un anno i diritti a filmare) partono da circa 5.000 dollari per un anno: certo una bella spinta, ma dicerto non è qualcosa che ti cambi la vita. E il compenso per un autore allorchè viene realizzato un film da un suo romanzo va da 150.000 a 300.000 dollari: un pagamento unico e forfettario che fa si che gli agenti delle tasse se ne portino via il 50%. E' vero che anche dopo che il governo ti si è portato via la sua parte rimane un bel mucchio di soldi, ma è ancora solo un decimo di di quanto una persona media abbia bisogno per andare in pensione con uno stipendio da classe media.
E ora il malinteso seccante? Sta nella convinzione che un libro sia una forma d'espressione di seconda categoria. A meno che la storia non venga usata per un film, siamo portati a credere che il libro sia un insuccesso.
Fesserie. Nonostante la perniciosa scuola d'autore dei registi (che diffonde la bugia che il regista sia l'unico creatore del film) il cinema è una cosa collaborativa in modo enorme e, per questo, è un esercizio di compromessi. Un romanzo, d'altra parte, è una visione pura e non inquinata di una persona sola: è esattamente ciò che intendeva l'artista, senza concessioni o restrizioni economiche.
(Non sto facendo il discorso della volpe e l'uva: i miei romanzi Golden Fleece, The Terminal Experiment e Illegal Alien sono stati tutti opzionati e al momento sembra che Illegal Alien possa proprio venir filmato il prossimo anno; un'eccellente sceneggiatura è stata scritta da Michael Lennick e David Coatsworth e il produttore esecutivo di The Sixth Day di Arnold Schwarzenegger si è proposto di produrlo.)
La gente capisce questa cosa solo in riferimento ad altre arti. Nessuno ha mai detto a Michelangelo dopo aver terminato a scolpire il David che, be', sì, certo è una statua proprio bella, ma vedi finchè non ci fanno un programma a che può servire? Eppure lo stesso principio si dovrebbe ovviamente applicare ai libri nei confronti dei film: la versione definitiva di Dune è il romanzo di Frank Herbert, non il film o la recente miniserie prodotta da Sci-Fi Channel. E il mio romanzo preferito di tutti i tempi, Gateway di Frederik Pohl, non potrà migliorare di nulla se un giorno qualcuno ne trarrà un film. I libri sono un fine per se stessi, non delle proposte indirizzate ad Hollywood; se il libro è un successo o un fallimento non ha nulla a che vedere col fatto se la Fabbrica dei Sogni se ne interessi o no.
E allora, la prossima volta che vi metterete a parlare con un autore, se sono mai stati tratti dei film dai suoi libri. Al contrario, chiedetegli dove potete acquistare una copia dell'autentica, completa e definitiva opera d'arte: il mondo originale del sognatore su carta stampata.
Dopotutto, come sa ogni persona, il libro è sempre meglio del film.
Copyright © 2001 Robert J. Sawyer All Rights Reserved
Questo articolo è apparso su Parsec Magazine nell'uscita Spring/Summer del 2001
[Tit. Orig. Books and Movies, © 2001 - 2003 Robert J. Sawyer, tr. it. Danilo Santoni]