Algis Budrys
Data: Giovedì 22 marzo 2007
Argomento: Saggistica


di Marcello Bonati

Di nome di battesimo Algirdas Jonas, nato il 9 gennaio '31 a Koenigsberg, nella Prussia orientale, l'attuale Lituania, dove il padre era diplomatico lituano dal ‘27, che la famiglia dovette lasciare nel ’36 a seguito dell’invasione nazista, rifugiandosi negli States, nel New Jersey, dove il padre divenne console generale del governo lituano in esilio, ed egli adottò il nome di Budrys, che in lituano vuol dire sentinella.

Diplomato in lettere, ha studiato alle Università di Miami e di California.

Esordisce nel '52 col racconto “The High Purpose”, apparso in “Astounding”.

Ha avuto molte attività in campo editoriale, nel ’50 l'impiegato dell'American Express, nel ’52 il vicecuratore della Gnome Press, dove iniziò a scrivere, il redattore capo della Regency Books, il direttore del settore librario della Playboy Press, e il titolare delle rubriche di recensioni di “Galaxy”, dal ’66 al ’72, poi racconte nel volume “Benchmarks” (Southern Illinois University Press, ’85), e “The Magazine of Fantasy & Sf”, dal ’76 al ’94 e “Sun-Times” di Chicago, dal ‘79.

Ha curato, a partire dall’’85, la serie “L. Ron Hubbard Presents Writers of the Future”, cosa che ha fatto sorgere qualche dubbio: “…nella comunità fantascientifica negli anni ’80 quando la presenza di Budrys come “garante” del programma per giovani scrittori ispirato da L. Ron Hubbard aveva fatto pensare a un suo avvicinamento alle tesi della Dianetica. Ma Budrys ha svolto il suo lavoro con inappuntabile indipendenza…” (“Nel labirinto del mare”, “Nova Sf*” n. 35, ed. Perseo libri, ’99, pag. 162).

Da prima del ’68, “…gestisce in privato una piccola agenzia di attività promozionali, producendo testi commerciali e pubblicitari di ogni genere.” (G. Montanari, “Sentinella senza volto”, “Classici Urania” n. 135, ed. Mondadori, ’88, pagg. 5-6).

Dal ’93 edita la semiprozine “Tomorrow Speculative Fiction”, ora passata all’edizione in Internet: http://www.tomorrowsf.com/, pluripremiata: nomination Hugo ’94, ’95 e ‘96, Below Cutoff ’96, ‘97, miglior semiprozine, finalista (8°, 9°,13°), Locus ’94, ’95, ‘96, migliore rivista.

Sposato, con quattro figli.

Altri premi, oltre a quelli alle singole opere: finalista (3°) Locus ’76 e ‘77, miglior critico (old), 10°, 9°, 11°, Locus ’94, ’95, ’96, miglior curatore, menzione d’onore all’Hugo ’94, nomination Below Cutoff Hugo ’95, ’97, 2002, miglior curatore professionale.

Figura decisamente unica, non inquadrabile in una qualche corrente (“Come Sturgeon, egli è unico…” (S. Pergameno, “Presentazione” a “Progetto Terra”, pag. I)), la carriera di Budrys si può dividere, direi, in tre fasi: la prima, gli anni ’50, nei quali scrisse gran parte dei suoi racconti, la seconda, a partire dagli anni ’60, nella quale divenne, prevalentemente, un saggista, curando le rubriche di recensioni delle migliori riviste, “…all’epoca in cui la fantascienza subiva una trasformazione legata all’arrivo i nuovi autori, come gli inglesi Ballard, Aldiss, Moorcock e gli americani Ellison, Delany, Spinrad…” (B. Bova, presentazione a “Luna maledetta”, pag. 579), e la terza, quando, verso la metà degli anni ’70 riprese a produrre narrativa, anche se, sempre col contagocce: “La sua produzione non è mai stata copiosa, ma sempre di elevatissimo livello letterario.” (U. Malaguti (?), “Nel labirinto del mare”).

Per il Montanari ciò lo ha reso “…un fenomeno a dir poco irritante nel campo della fantascienza moderna…”, e sarebbe dovuto ad una sua “…convinzione ben radicata che soltanto le idee veramente buone finiscono con l’essere davvero scritte e pubblicate da un autore, mentre se le cose vanno in modo diverso è meglio lasciasr perdere.” (Sentinella senza volto”, pag. 5).

E, nel complesso, “…è stato una delle maggiori figure della fantascienza per più di trent’anni.” (M.H. Greenberg, presentazione a “Nessuno infastidisca Gus”).

“…ammirazione e rispetto hanno circondato il lavoro di Budrys per oltre quarant’anni, facendone una voce autorevole e ascoltata sia nella comunità fantascientifica, sia nel mondo americano delle lettere.” (“Nel labirinto del mare”).

Le opere che abbiamo a disposizione in traduzione sono, proporzionalmente, molto poche, anche se abbiamo praticamente tutti i suoi romanzi.


La produzione del Nostro, non è certo scevra di opere decisamente scarse, se non peggio.

Ma che, in molti casi, sono di un certo rilievo: “…spiccano nettamente fra la produzione fantascientifica di quegli anni per vigore e freschezza tematica, per la capacità di assestare poderose unghiate al contesto sociale speculato, e ancora oggi conservano intatta la loro carica di dolente umanità.” (Gianni Montanari, “Sentinella senza volto”, “Classici Urania” n. 135, pag. 6), leggiamo a proposito del suo primo periodo.

Anche lui, come molti altri, fra i migliori autori Sf, ha preso gli stilermi classici, del genere, per utilizzarli a modo suo; la sua peculiarità, nel fare ciò, abbiamo visto essere quella di intesservi delle trame il più delle volte fortemente improntate al mainstream.

Ma, il tema che abbiamo visto spiccare maggiormente è senz’altro quello del “non mollare mai”. L’umana capacità di tentare ostinatamente di andare avanti anche quando tutto quanto sembrerebbe esserci contro.

Che, abbiamo detto, è un’espressione della sua personale modalità di superamento del nichilismo; un’accettazione della condizione umana derivante dalla constatazione, semplice, che ogni uomo è uomo quanto me. E che, quindi, ha sicuramente esperienzializzato il mio stesso smarrimento, all’essersi trovato dinnanzi al vuoto delle disillusioni dell’infanzia: “…tutti sono come me!” (La torcia cadente).

E che, questa conoscenza, può consentire di muoversi meglio, nel mondo, dando una consapevolezza profonda dell’animo umano.

Accettazione che, ovviamente, deve passare da una non-paura, di ciò. E della donna. Che, si è capito, può consentire infinite morti, e rinascite, a vite sempre differenti.

“L’accettazione della condizione umana come normale; senza dover necessariamente trovare un modo di… combatterla. Opporglivisi. Averne paura: “Quel pensiero non lo spaventò.”.” (dal commento a “La torcia cadente”); “dall’esperienza della morte, psicologica, del superamento di un proprio stadio di coscienza, solamente può venire un reale accrescimento: “Ho delle difficoltà con le donne.”-“Forse hai semplicemente paura di morire.”…“Si…è vero.” (pagg. 150-1)” (dal commento a “Il satellite proibito”).

Quella sindrome dell’esule (“…ha conservato, forse inconsciamente, la mentalità di una persona lontana dalla sua patria, distaccata dalla sua cultura d’origine, nostalgica di un paese di cui ha soltano sentito parlare, abituata a lottare per sopravvivere e per mantenere la propria identità originaria.” (G. de Turris, “Non solo macchine”, presentazione a “Il satellite proibito”, “Classici Urania” n. 174, pag. 9); “Legato fortemente alla sua terra d’origine, con le paure e i tormenti di quella gente orgogliosa e sfortunata…” (U. Malaguti (?), “Nel labirinto del mare”)), ha, ovviamente, la sua importanza, per ciò: l’evidente difficoltà ad inserirsi in una società avvertita come arretrata, rispetto a quella dalla quale si proviene, culturalmente, ed intrisa di un capitalismo sfrenato, disumanizzante, hanno motivato molte delle sue opere. Ed è stata il motivo del suo dover “imparare a muoversi” (“…schivo, e mi giro, e avanzo, e scatto…” (idem), anche a rischio di gravi riscontri negativi, fino a capire quali erano i modi migliori, di fare: “…la ricerca dell’identità individuale in un mondo che ha ormai perduto la propria identità collettiva…. ciò che veramente conta, fra il crollo di tutti i valori e delle realtà fittizie che ci attorniano, non è tanto trovare una risposta che possa servire da placebo o da surrogato esistenziale, bensì voler cercare a ogni costo, non voler mai rinunciare fra ostacoli di qualsiasi genere.” (Gianni Montanari, “Sentinella senza volto”, op. cit., pagg. 6-7).

Questa critica al capitalismo pervade tutta la sua opera, da “Sogno di vittoria”, con quegli androidi “buttati via” quando hanno assolto al loro compito, a “Primo: servire”, con l’interesse economico che prevale su quello della ricerca, da “Reazione a catena”, con quegli umani schiavisti, a “Il limite del mare” (“Dio santo… sto facendo tutto questo per i soldi? No…”); e “Morte dell'utopia”, in cui abbiamo trovato quel “…nessuno considera un altro come un potenziale fornitore o consumatore di beni e servizi.” (pag. 95).

Fino a “Progetto Terra”, in cui abbiamo visto il prodotto più significativo, della cultura americana, lo show buisness, arrivare addirittura a sostituirsi alla realtà.

In molte sue opere, poi, abbiamo visto personaggi alle prese col dilemma di come potersi meglio comportare, essendo alle prese con una civiltà meno progredita della loro.

Io penso che, in ultima analisi, Budrys avesse, abbia, un’autostima piuttosto alta, o che, quantomeno, il suo subconscio gli abbia bisbigliato di poter… civilizzare, in una qualche maniera, quella cultura che gli sembrava così arretrata.

E che l’abbia trovata nello scrivere: ““… vai un po’ in giro. Impara quel che più ti piace.” (pag. 122)…. se Budrys è poi riuscito ad adattarsi alla società americana, è stato dovuto alla sua capacità di esprimersi, che lo ha fatto restare ciò che è, ma accettato: “…imparare a esprimerti. Esprimere te stesso… avere fiducia in te stesso, in ciò che sei, se sei sicuro di quel che sei… puoi tirare diritto e fare tutto quello che fanno gli altri, pur continuando a esprimere te stesso… far parte del gruppo e continuare a essere te stesso.” (pag. 125).” (Dal commento a “Morte dell’utopia).

Quei racconti, sono una sorta di sublimazione, di ciò.

C’è poi quella questione del doppio, dei personaggi contrapposti, “sanguigni” e “razionali”, la compensazione dei quali è vincente.

A proposito di ciò, Ben Bova scrive: “I temi preferiti da Budrys si collegano profondamente al tema dell’identità e della morte; in questo senso, egli è sempre attratto da…l problema (del)lo sdoppiamento e (del)la rinascita.…”; e, a proposito di “Who?”: “…l’identità può essere certa soltanto quando l’uomo è presente in tutta la sua integrità, e i soli ricordi non sono sufficenti. Budrys riporta il problema dell’identità al tradizionale problema di provare scientificamente l’esistenza dell’anima, e altrettanto tradizionalmente non ottiene risposta.” (presentazione a “Luna maledetta”, “I figli dello spazio”, pag. 579).

Oltre a quanto abbiamo detto, penso che potrebbe rappresentare la necessaria compensazione delle basilari caratteristiche umane, ancora come in Shepard, l’“animalità” e “l’umanità”, data da quel riuscire a non uccidere totalmente il bambino che è in noi: “Bisogna non aver perso la capacità di stupirsi, né l’esuberanza dell’avventura.” (Sturgeon).


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