Eugenio Miccini
Data: Venerdì 13 luglio 2007
Argomento: Autori


di Vittorio Baccelli

Si è appena acquietata l’eco della scomparsa di Luciano Ori, che la poesia visiva ha perso a Firenze il suo creatore: Eugenio Miccini. Ho conosciuto Miccini di persona, proprio qui a Lucca, nel gennaio del 2005 dopo una sua conferenza alla Fondazione Ragghianti. Ma le nostre opere erano già state assieme più volte in varie parti del mondo. Parlo dei miei collage e delle sue poesie visive, perché Miccini, come molti altri poeti visuali, spesso partecipava a collettive di mail art, l’arte postale codificata da Ray Johnson. E fu proprio il mailartista viareggino Vittore Baroni a farlo venire alla Ragghianti. Si è spento dunque nella sua Firenze, a 82 anni, il padre della poesia visiva. Erano gli anni del boom economico quando con Ori, Sarenco, Pignotti e altri, deturnando la pubblicità eruppe nel mondo artistico con le poesie visive, ritagliandosi subito uno spazio all’interno delle indisciplinate discipline interdisciplinari.
Sì, erano gli anni del boom economico in Italia e della rapida ascesa dei mezzi di comunicazione di massa: Umberto Eco esaltava i mass media in letteratura, nelle arti figurative dominava la pop art americana e da noi Schifano e Rotella tenevano alta la bandiera e si parlava di “semantica”, in poesia si disquisiva di “strutturalismo” e si stampava “Lotta poetica”. L’intellettuale cessava d’essere l’aedo di una rivoluzione, mancata e impossibile, mentre Miccini pubblicava “Tre poemetti” su “Il Menabò” di Vittorini. Iniziava il periodo felice della contaminazione tra voce e suono, tra immagine e scrittura, s’avveravano infine le profezie del futurista Marinetti e si prefigurava ciò che a breve con l’internet multimediale sarebbe realmente successo. Fluxus imperversava con le sue performance; i situazionisti Cesarano, Collu, ecc. vivisezionavano la politica; Debord erompeva nei saggi, come Max Capa nel fumetto. Ed ecco la poesia visiva come affermazione del fatto artistico al di là delle istanze tradizionali, ma perfettamente integrata nella comunicazione contemporanea, poiché da essa partorita. Miccini nelle sue poetiche e nei suoi collage, ricerca sempre accordi profondi e indissolubili, tra l’immaginario, il disatteso e il rimosso della contemporaneità e, i suoi nuovi modelli di riferimento. Un crinale difficile su cui porre l’equilibrio della mera sperimentazione estetico-ideologica, eppure assai fertile, a giudicare dall’influenza esercitata sul teatro e sui primi cortometraggi d’artista, antesignani sia della video-art che degli attuali “corti”. Ma con il passar degli anni, la poesia visiva ha anche espresso il disagio, il disagio del poeta che si è riflesso nel disagio provocato ove la poesia visiva si mostra. Anche qui, il testo un pre-testo per l’artista ad esporsi, ma sembra che ogni luogo, ogni ambiente, ogni medium sia inadatto all’esporre questo genere: dai libri ai quaderni, dalle antologie alle gallerie, dai concorsi ai meeting poetici.
Una forma d’arte poetica che si trova a disagio ovunque, una forma d’arte povera che predilige gli angoli più vissuti e reali, quelli più incongrui per le manifestazioni dell’arte. Miccini, con le sue opere è stato partecipe di tutte le principali mostre internazionali di arti figurative e dei meeting poetici più noti e prestigiosi. Autore di moltissimi libri, presente in varie antologie, oggi dirigeva con Albero Cappi una prestigiosa collana di poesia contemporanea.






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