Nata sotto la Luna piena
Data: Domenica 22 luglio 2007 Argomento: Narrativa
un racconto horror di Giuseppe Iannozzi
- (c) Bloody Night è Opera di Chatterly
She knew all the right people, she went to Le Jardin
She danced with Picasso's illegitimate mistress
And wore Kenneth Lane jewels - it's trash -
But - Sally can't dance no more, she can't get off of the floor
Sally can't dance no more, Sally can't dance
Sally cant’ dance (1974) – Lou Reed
Sentiva le fiamme dentro.
Tirò giù la cerniera del giubbotto.
Oramai non c’era altro da fare né si poteva.
Il cielo era scuro, di un buio impenetrabile, così nero che sembrava un’orrida
scenografia dipinta a mano, da quella del Diavolo, poco ma sicuro.
Afferrò la pala e cominciò con stanchezza a riversare sul feretro la terra.
Respirò.
L’aria era piombo e zolfo nei polmoni.
La fronte madida di sudore gli faceva male al ricordo.
Se la vedeva davanti ancora viva e vegeta, bella e impossibile.
La prima volta che la vide fu in un roseto: lei era lì, tra le rose canine,
bella come una fata, inafferrabile tanta era la bellezza che sprigionava. Teneva
il capo dolcemente reclinato per odorare delle rose il profumo estatico.
D’improvviso sollevò il capo e il suo sguardo incontrò il suo.
“Chi siete, Monsieur?”
Quale voce celestiale, di violino!
“Anthony”, balbettò il becchino. “Sono il becchino del cimitero…”
“Oh! Così giovane e castigato a un lavoro tanto triste.”
Anthony deglutì a fatica: “Ci si fa l’abitudine, Mademoiselle.”
“Charlotte”, precisò lei, con una punta di civetteria.
“Mademoiselle Charlotte, è un onore.” E fece di baciarle la mano, ma solo il
gesto perché i due erano separati dalle spine del roseto e da un alto cancello
di sbarre acuminate in ferro battuto.
Le occasioni non mancarono per incontrare Charlotte, o meglio Anthony fece in
modo che non passasse giorno senza che non l’avesse sfiorata almeno una volta
collo sguardo. Gli ci volle poco per scoprirsi innamorato e turbato da quella
creatura sì divina, inafferrabile, più bella d’ogni Luna e stella dell’empireo.
Charlotte dal canto suo non dimostrava antipatia per il giovane, anche se di
umili origini: certo è che se l’avesse saputo il padre subito avrebbe troncato
quella relazione d’amicizia giudicandola sconveniente per una ragazza del suo
lignaggio. Nei suoi sogni libertini s’immaginava preda e vittima del giovane
Anthony, sognava d’essere deflorata dalla sua verga su di un letto di petali di
rose canine. Era un sogno che l’eccitava ma che, nella sua testolina, sapeva fin
troppo bene che mai si sarebbe realizzato. Però nei precordi del suo cuore s’era
accesa la fiamma della passione e non riusciva sempre a celare l’idea romantica
che il giovane la rapisse per farla sua. Da qualche giorno i genitori avevano
notato un cambiamento nella figlia, era più allegra del solito, le gote le
s’imporporavano d’improvviso e qualche volta sorrideva anche se non c’era nulla
di visibile che potesse arrecarle una scintilla di felicità. Paventarono che
stesse perdendo completamente l’ingenuità in quell’età così difficile, di
passaggio dai giochi dell’adolescenza alle responsabilità della maturità, perché
sì, Charlotte non era più una bambina: era oramai un donna bell’e fatta,
raggiante, anche il padre, sempre colla testa fra le nuvole, se n’era accorto. A
Madame B., madre di Charlotte, dava fastidio il marito: non sopportava che
guardasse la figlia, non con quegli occhietti porcini, tenendo ben aggiustato il
monocolo all’occhio, quasi volesse colla vista penetrare le carni di quello
ch’era anche il frutto del suo seme. Madame B. era più che mai convinta che
degli uomini non è possibile fidarsi mai in maniera totale. I suoi erano solo
sospetti, eppure l’idea fissa era radicata in lei: gli sguardi insistenti,
sdolcinati, di Monsieur B. le davano fastidio. Conosceva quello sguardo
particolare, era lo stesso che il marito le aveva rivolto quand’erano ancora
entrambi giovani e di belle speranze. Madame B. aveva comunque le mani legate:
il marito si limitava a delle occhiate, sgradevoli quanti si vuole, almeno per
lei che ne era la moglie, ma più in là non s’era spinto, quindi era fuori luogo
pensare a una sfuriata di gelosia. Non se ne parlava proprio di scandalizzare le
rispettive famiglie, di lei e di lui, tirando in ballo sospetti d’incesto. Per
Dio, certe cose non accadevano più da una lunga pezza: si era nel 1930
inoltrato, Benny Goodman si faceva sentire in giro con “Sing, Sing, Sing”; ma se
doveva dar retta a Freud, secondo questi la tendenza all’incesto è insita
nell’individuo. Lei ne capiva così poco di psicologia! A volte le pareva che si
stava facendo delle idee sbagliate, che tutto era a posto, che non c’era nulla
di poco casto fra il padre e la figlia Charlotte, ma in certe notti il sonno
tardava ad ottenebrarle i sensi ed allora la sua immaginazione galoppava a spron
battuto e si perdeva in congetture di tragedia greca. La poverina soprattutto
non capiva il motivo per cui Charlotte, così, di punto in bianco, sorridesse:
sul volto ingenuo le se disegnava un sorriso estatico. C’era sicuramente sotto
qualcosa, Charlotte non era mai stata una ragazza aperta. La sua educazione era
stata seguita da rigidi baccellieri e i coetanei non li aveva frequentati mai,
né lei nel corso degli anni aveva mai mostrato interesse di conoscere ragazze
delle sua età, così il problema non si era mai posto. Charlotte, la madre lo
sapeva bene, amava solo passeggiare in solitudine lungo il perimetro del roseto
ch’era poi anche il confine della proprietà della famiglia B. Il mondo al di là
del roseto e dell’alto cancello, Charlotte lo conosceva solo perché
gl’insegnanti gliene avevano accennato. La poverina era tormentata: avrebbe dato
qualunque cosa pur di sapere cosa nascondesse la figlia, però di chiederle non
s’azzardava. La figlia era così riservata, e poi non diceva mai una parola in
più o in meno: sempre educata, dalla sua bocca non usciva mai un se o un ma,
l’accenno d’una seppur vaga protesta. Il fatto che fosse così solinga le portava
un certo sentore d’inquietudine: ecco, non avrebbe mai potuto essere esplicita
con Charlotte.
Così, mentre Madame B. teneva il sospetto addosso alla figlia – accusando in
cuor suo il marito d’incesto -, Charlotte all’oscuro di tutto, come tutte le
ragazze giovani e illibate, solo pensava d’incontrare di nuovo il giovane
becchino e d’intrattenerci un sogno erotico e romantico. Come si è già detto,
Anthony non perse tempo e Charlotte gli diede corda: prima che potessero
rendersene conto a separarli c’era solamente il roseto e l’inferriata, difatti i
loro cuori battevano all’unisono. rrecarle una scintilla d'nche se non c' s' im
qualche giorno i genitori avevano notato un cambiamenteo re s'sì divi
Monsieur B. guardava sì la figlia ma solo per cercare di capire il motivo di
quel suo sorriso raggiante: era certo che un simile comportamento fosse da
imputare a qualcosa d’impudico, magari alla masturbazione di cui il pover’uomo
nutriva un terrore sacro. Se solo madre e padre si fossero seduti intorno a una
tazza fumante di thè, avrebbero scoperto che vivevano gli stessi timori nei
confronti della figlia; ma la loro era una di quelle coppie all’antica, una di
quelle che non parlava e quando sì, mai in maniera esplicita, solo con allusive
metafore. Insomma i due coniugi non comunicavano. L’uomo si dilaniava l’anima al
pensiero che la figlia potesse aver incontrato il Maligno proprio in casa,
quando avevano fatto così tanto per tenerla lontana dalle insidie del mondo; la
donna invece era tormentata dal sospetto che il marito potesse nutrire un
interesse carnale verso la loro prole. Entrambi temevano che Charlotte avesse
perso del tutto l’ingenuità. Se solo si fossero confidati, e invece rimasero
chiusi nel loro mutismo fatto di sospetti, di paure, di gelosie.
Finito che ebbe di riversare la terra sul feretro, finalmente si concesse di
piangere mute lacrime.
Nel profondo dell’anima Anthony lo sapeva che Charlotte sarebbe stato il primo e
l’ultimo amore.
Sì, era giovane e con tutta la vita davanti: tutti i suoi giorni sarebbero stati
un bagno di solitudine, così si tormentava l’anima. Aveva iniziato a fare il
becchino perché non si trovava altro lavoro. All’inizio si era detto che sarebbe
stato un impegno momentaneo, ma poi era rimasto: i cadaveri non gli facevano né
caldo né freddo, erano sconosciuti che avevano sol più bisogno d’essere inumati,
d’essere nascosti al mondo dei vivi come amava sentenziare Anthony, con voce
roca e con lieve mestizia, ai parenti piangenti dei morti.
Al funerale i coniugi B. tennero una postura rigida, quasi gl’avessero cacciato
nel rètto un manico di scopa. Anthony non riusciva a capire se il loro fosse
dolore sincero o cos’altro: Madame B. lanciava strani sorrisi, quasi si fosse
levato dal petto un peso, Monsieur B. era giù di corda ma non come un padre che
ha appena perso l’unica figlia: nella sua disperazione, Monsieur B. pareva
stesse modestamente bene, teneva infatti il capo alto e fiero e lo sguardo
immobile sul prevosto, gittando l’occhio sulla bara solo per un accenno di
affettata distrazione, quasi nutrisse vergogna di dover presenziare
all’inumazione.
Fu una cerimonia fin troppo semplice, pochi i partecipanti, poche le lacrime
sincere o di circostanza che fossero. La bara fu presto ricoperta da due metri
abbondanti di terra scura, e tutti sciamarono verso casa in silenzio. Solo
Anthony pensava a quanto fosse fragile la vita: in capo a tre mesi la sua
Charlotte, quella ragazza radiosa di vita e di passioni tutte da venire, era
morta di tubercolosi.
Non era stato un gran lavoro riesumarla; il difficile era stato doverla
abbandonare per sempre, ribattere i chiodi e ributtare la terra sul feretro.
Nonostante respirasse a pieni polmoni, l’aria lo riempiva troppo: si sentiva
bruciare dentro. E non era solo per il dolore d’aver perso l’amata. Qualcosa che
non sapeva spiegare gli stava accadendo. Cosa, non sapeva dirlo. Fece di non
pensarci e tornò colla mente al bacio. Sollevare il coperchio della bara e
vederla tra i cuscini, pallida e immobile: ma senz’ombra di dubbio era
Charlotte. Le tempie gli pulsavano: una eco gl’entrava dentro, “Portami via con
te”. Sospirò invano. Era sicuro che quella voce appartenesse a Charlotte, ma non
era possibile. Eppure qualcosa non lo convinceva. L’aveva baciata ch’era bell’e
morta. Sulle labbra rosse, ma il volto pallido, uguale a quello che assumono
tutti i corpi quando perdono l’anima e si fanno algidi. Una vertigine lo colse:
le ginocchia gli cedettero, come se un peso immane lo schiacciasse dal di dentro
per inchiodarlo alla terra. L’eco si ripeteva con sfogo ossessivo: “Portami via
con te, portami via con te, portami via…”
Cadde in ginocchio, chiuse gli occhi.
Quando fu di nuovo vigile, la terra era accanto a lui e la bara aspettava solo
d’essere schiodata: Selene aveva finalmente fatto capolino in quel cielo
altrimenti più nero del culo dell’inferno.
“E’ la solitudine eterna che vuoi?”
Era una voce. Quella di Charlotte. Adesso lo sapeva.
Ma sapeva che non era possibile che fosse realmente lei, la Charlotte che lui
amava.
“Vuoi la solitudine dunque? Si può sopportare tutto in vita, persino la morte,
ma non la solitudine.”
Erano parole folli, eppure tanto, tanto vere: Anthony riconosceva che non gli
veniva detto il falso. Il suo cuore comprendeva quello che la mente si ostinava
a ricusare.
Non ricordava d’aver scavato di nuovo, ma non aveva più importanza: il feretro
era davanti a lui e c’era solo bisogno che schiodasse il coperchio.
Doveva farlo. E se non fosse accaduto nulla, allora l’avrebbe baciata una
seconda volta: sarebbe stato un vero peccato essere arrivati tanto in fondo e
tirarsi indietro. La Luna gl’assicurava che l’alba era molto lontana, aveva
dunque tutto il tempo che gl’occorreva. Si adagiò sul feretro e a quel punto
avvertì chiaramente che l’aria non gl’era più pesante. Si affrettò a levare i
chiodi.
Doveva solo sollevare il coperchio.
La Luna era alta in cielo, splendente come non mai. D’una bellezza superba.
I coniugi B. rimasero di sasso di fronte al sacrilegio: ma nessuno dei due
diede in lacrime e tanto meno si strappò i capelli in preda all’isterismo. La
tomba di Charlotte era stata saccheggiata. La telefonata era arrivata di primo
mattino e i due genitori afflitti, per così dire, si erano recati sulla tomba
della figlia ma non prima d’una doverosa toilette. La bara era nuova di zecca:
Madame B. fra sé e sé pensava ch’era un vero peccato, che la si poteva riciclare
nel caso il corpo di Charlotte non fosse stato ritrovato. Monsieur B. esaminò il
feretro, con il suo monocolo, lo trovò a posto e sospirò: per un momento gli
s’era mostrato l’orribile pensiero che un necrofilo potesse aver abusato del
corpo di Charlotte, ma non c’erano segni, i cuscini non erano sporchi d’alcun
liquido umano né c’era l’ombra di altro. Semplicemente qualcuno aveva trafugato
il cadavere. Ed era negl’interessi dell’uomo non dar luogo a ricerche troppo
insistenti: se mai fosse stato ritrovato il corpo, Charlotte, anche da morta,
l’avrebbe messo in serio imbarazzo.
Entrambi i genitori tacquero di fronte al Responsabile del cimitero e alla
Polizia. Entrambi tennero il silenzio, che fu scambiato da tutti per indicibile
dolore, cosicché la Polizia si limitò a verbalizzare ch’era stato trafugato il
corpo di Charlotte B. Le ricerche, lo sapevano bene i poliziotti, non avrebbero
condotto a nulla. Troppi pochi indizi e c’erano affari ben più urgenti da
sbrigare: ritrovare un cadavere era un surplus di lavoro che sarebbe stato
rimandato d’ufficio, fino ad archiviazione della pratica. Ovvio che non dissero
nulla ai genitori. Strinsero loro la mano, con generosa forza che voleva
significare “Fidatevi di noi!”
Non passò inosservato il fatto che Anthony fosse scomparso. Un ometto tarchiato
arrivò a bussare fino a casa della famiglia B. per chiedere se sapevano d’un
certo Anthony. Non sapevano nulla, ma anche fossero stati a conoscenza d’una
seppur minima traccia, loro non avrebbero aperto becco, così l’ometto dovette
fare dietrofront e riferire. Nessuno se ne preoccupò più di tanto, anche se si
cominciò a vociferare che fosse stato proprio il becchino a trafugare il
cadavere di Charlotte. Si fecero delle indagini sommarie, giusto per salvare le
apparenze, e com’è prevedibile immaginare non furono trovate tracce attendibili:
Anthony sembrava scomparso nel nulla, anzi era come se mai in questa Valle di
Lacrime avesse mai dato il suo urlo di dolore natale.
“Staremo insieme per sempre.”
Era una constatazione, non un semplice desiderio.
Anthony accennò col capo ch’era proprio così.
Era ancora un po’ a soqquadro, non capiva bene cosa gl’era successo; però era
certo della felicità che provava. Sollevando il coperchio della bara, Charlotte
gl’aveva sorriso: “Sono nata sotto la Luna piena per Te!” Chiunque altro, come
minimo, si sarebbe terrorizzato fino a farsi venire i capelli bianchi, invece
Anthony aiutò la sua sposa ad alzarsi da quel tristo giaciglio. Insieme uscirono
dalla fossa e mano nella mano, benedetti da una Luna raggiante, s’incamminarono
lontano, in un mondo dove nessun umano avrebbe mai potuto torcergli un capello.
E in quel luogo non-luogo, che non è né del Paradiso né dell’Inferno, Charlotte
aveva perso la verginità per darla all’uomo che amava e che avrebbe amato per
sempre, perché così era scritto nel Libro del Destino. Anthony l’aveva deflorata
e amata con tutto sé stesso in un nido di petali di rose selvatiche, petali più
teneri del velluto, odorosi d’Indie mai toccate da sguardo umano. L’avevano
fatto l’amore nel nido degli Dèi, e un po’ lo erano diventati pure loro.
Naturalmente Anthony le aveva chiesto se lei lo sapeva dove si trovano, ma
Charlotte aveva chinato il capo sorridendo appena, allora lui aveva ripetuto la
domanda: “Tu lo sai dove siamo? Che cosa ci è successo?” Charlotte, presa sotto
l’insistenza gentile di Anthony, gl’aveva risposto con voce flebile, un po’
civettuola: “Ci è successo l’amore, non ti basta? E questa è la Luna.” Poi era
scoppiata a ridere, felice.
Anthony non le chiese più niente. Lei era bella e felice. Sospettava che lei
sapesse, ma era felice anche lui. Il resto, tutto il resto non contava.
Un corpo in avanzato stato di decomposizione venne alla luce durante una
notte di Luna piena: a fare la macabra scoperta un vecchio col vizio di fare
lunghe promenade in luoghi insoliti e alle ore meno convenienti. Il vecchio
denunciò la scoperta: il cadavere era messo davvero male. L’autopsia stabilì che
si trattava d’un giovane maschio bianco, ma non riuscì a stabilire la causa
della morte. Furono prese le impronte dentarie, ma nulla: non se ne venne a
capo, quel cadavere comparso dal nulla non ce l’aveva un’identità, almeno
all’apparenza. L’autopsia stabilì solo che non s’era trattata d’una morte
violenta. Morte naturale. Il caso fu sepolto, per la precisione accanto alla
vuota tomba di Charlotte.
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