QUANDO C'ERA IL MARE…
Data: Domenica 01 marzo 2009
Argomento: Narrativa


racconto di Franco Ricciardiello e Roberto Sturm

Schizzando fuori dalle anguste pareti ghiacciate del canale, il vascello a slitta rimase sospeso come un grosso uccello di legno e tela nell'aria della depressione equatoriale, le vele gonfiate dal vento sempre violento della rete dei canali; Mnemone sentì l'aria mancargli dai polmoni e lo stomaco rovesciarglisi fuori dall'esofago.
Il grosso veicolo rimase incerto per alcuni secondi, non più protetto dalle pareti foderate di ghiaccio del canale: Mnemone, che si trovava proprio sul ponte, vide l'orizzonte abbassarsi bruscamente e allargarsi. Come se il tempo si fosse fermato per alcuni secondi d'immobilità, dovuti al bilanciarsi della forza di gravità contro l'elevata velocità del vascello nella rete dei canali, la nave ristette mentre un raggio di sole, perforando la nebbia sui ghiacci occidentali, fece capolino attraverso i piedritti della balaustra del ponte abbagliando per un attimo Mnemone...
... quindi il vascello precipitò verso il fondale di roccia della depressione, alzando i capelli in testa al capitano e all'equipaggio, e lo stesso Mnemone provò ciò che mai più in vita sua avrebbe scordato: il sollevarsi dei capelli sulla nuca mentre il vascello precipitava come un proiettile di legno e ferro per i cinquanta metri di dislivello fra il canale ghiacciato e la depressione, con equipaggio e passeggeri a bordo.
* * *
Mnemone sognava di camminare a piedi scalzi sul ghiaccio del pack, l'immensa distesa abbacinante che si estendeva fra gli insediamenti settentrionali e il polo nord del pianeta; nel sogno il ghiaccio si faceva sempre più caldo e molle, finché i suoi piedi non affondarono in alcuni centimetri di neve che gli scottava la pianta e le dita costringendolo a correre incespicando e urlando di dolore, tenendosi una mano sul viso ustionato dal sole a picco.
Ritornò quasi bruscamente allo stato di coscienza, accorgendosi d'avere le mani strette sul viso. Le ritrasse macchiate di sangue rappreso, e rabbrividì nel tastare un grosso ematoma dall'occhio sinistro sino al collo. Si mise a sedere, sentendo martelli di emicrania al capo e fitte di coltello alle giunture. Intravide con la coda dell'occhio un movimento e voltandosi scorse, seduta alla meno peggio contro il sartiame sfasciato del vascello slitta, la vecchia cartomante che occupava con la nipote una cabina accanto alla sua. La donna, esageratamente grassa, giaceva con espressione d'attesa contemplando la propria dotazione di steli di millefoglie.
Mnemone le si accostò, sollevandosi in piedi per cercare di chiarirsi la situazione. Non si trovavano più nel canale dalle pareti ricoperte di ghiaccio in cui il vascello aveva veleggiato per alcuni giorni a velocità massima. In qualche punto il comandante doveva aver sbagliato rotta, imboccando un canale troppo orientale che li aveva condotti all'ampia depressione marina in prossimità dell'equatore del pianeta. L'imbocco del canale infatti si trovava almeno cinquanta metri più in alto dell'antico fondo marino; Mnemone rabbrividì nel constatare l'altezza della caduta del vascello slitta scaraventato a tutta velocità nella depressione: la nave si era completamente sfasciata, implodendo su se stessa finché il fasciame spezzato non era schizzato fuori dal telaio di ferro, scaraventato in alto a pezzi, impalando passeggeri ed equipaggio. Corpi scomposti giacevano sia fra i legni che sul terreno intorno al relitto.
"Prova a vedere se è rimasto qualcuno vivo" si lamentò la vecchia Iuliasta, l'indovina "ho udito rumori poco fa."
Mnemone camminò malsicuro, continuando a tenere le mani premute contro lo zigomo incrinato; scavalcò barricate di legno e sartiame, rivoltando più di venti corpi martoriati. L'aria era più calda che nella rete dei canali perché il sole batteva a picco sulla depressione equatoriale; si sfilò pelliccia e calzoni di pelle, facendo il conto degli ematomi sul torace e sugli arti, quindi finalmente udì un suono ritmico dal relitto del vascello.
Lo seguì, inerpicandosi sul cassero frantumato, chiamando a gran voce.
"Sono qui" rispose una voce femminile da una cabina ancora miracolosamente intatta. Mnemone si coricò sul fasciame, poggiando un ginocchio sullo stipite della porta e strattonando la maniglia con tutta la forza che poteva, stringendo i denti e imprecando e continuando a tirare finché la porta si socchiuse. Introducendosi con una spalla nell'apertura fece leva con il proprio corpo allargandola ulteriormente, afferrando il polso che si tendeva verso di lui, poi le braccia di una ragazza che conosceva di vista e viaggiava con il fratello minore verso la capitale. Quando l'ebbe tirata fuori completamente, aiutandola a sedersi sul legno schiantato del cassero, rimase colpito dall'aria letteralmente terrorizzata della ragazza, che si ravviò i capelli, si ispezionò la cucitura dei calzoni foderati di pelliccia, lo guardò di rimando. "Cos'è accaduto?" balbettò con occhi dilatati.
Sul momento Mnemone era troppo scosso per badare ai particolari. La condusse con sé giù dal cassero, dopo aver scorto nell'apertura della cabina il corpo esangue del fratello, e tornò con lei dalla vecchia. "Pare non ci sia nessun altro" gemette, lasciandosi cadere sulla terra grassa. Solo allora si accorse che entrambe le gambe di Iuliasta erano fratturate sotto il ginocchio, dove l'osso sporgeva dopo aver lacerato la pelle. La stanchezza e l'impressione lo fecero svenire.
* * *
Ritornò alla coscienza ai gridi degli uccelli in cielo. Era sdraiato sulla schiena, e vedeva i sentieri aerei dei volatili che dall'altipiano si gettavano nella corrente fredda che fuoriusciva dal canale per planare sul fondo della depressione, forse alla ricerca delle tane di piccoli animali fra gli arbusti. Si alzò a sedere, cercando Iuliasta e la ragazza con lo sguardo. La vecchia stava leggendo gli steli di millefoglie gettandoli in terra accanto al punto in cui giaceva. Mnemone andò da lei, raccogliendo la propria camicia perché la temperatura cominciava a calare, verso sera.
"Come posso aiutarti?" domandò;
"Cresia mi ha dato una mano" rispose la vecchia, indicando le due grossolane fasciature sporche di sangue che tenevano strette le sue tibie con stecche di legno. "Dov'è ora?" domandò Mnemone.
"Bisognerebbe dare sepoltura a tutta questa gente" replicò Iuliasta con un gesto del braccio, senza rispondergli. Mnemone passeggiò tutto intorno al luogo del disastro per una nuova ricognizione alla ricerca di scampati, e anche per cercare Cresia.
Trovò invece una frattura del terreno, coperta su due lati da rocce. Provò a trasportarvi un corpo, deponendolo al fresco muschiato della fossa. Con alcuni giri vi trasferì tutti i cadaveri meno martoriati; per gli altri non aveva il coraggio. Si lavò il viso con un lembo della camicia a una piccola risorgiva, fasciandosi poi un panno di tela bagnata alle tempie per tenere ferma una benda intorno alla fronte e sull'occhio. Tornando al relitto trovò finalmente Cresia che curiosava fra le macerie, con una borsa di tela a tracolla da cui fuoriuscivano stoffe variegate.
Le andò incontro. "Dovresti aiutarmi a portare i corpi laggiù, prima che il calore li decomponga" le disse. Cresia gli sorrise ingenuamente e gli mostrò ciò che aveva raccolto nella borsa; Mnemone comprese che la ragazza non era del tutto in sé, ma non seppe stabilire se a causa della tragedia o meno.
"Ti piacciono?" gli domandò sorridendo soddisfatta, mostrandogli uno dopo l'altro camicie e pantaloni, vestiti di seta e di sangallo, uno scialle di lana, sciarpe di seta, un gilet e un ombrellino di stoffa.
"Dove li hai presi...?" domandò Mnemone colto da un sospetto, "li hai sfilati..."
"E' pieno di valigie da aprire" rispose Cresia con un gesto circolare del braccio, stringendosi nelle spalle.
Mnemone sospirò di sollievo. "Vieni ora" disse prendendola per mano, "dobbiamo portare Iuliasta al coperto per la notte."
* * *
Sotto il sole caldo del mattino seguente la sciagura, Mnemone gettò in aria le monete lasciandole ricadere in terra su un pagliericcio sventrato. La vecchia non gli aveva prestato i suoi steli di millefoglio.
"Sette" disse con la voce arrocchita dal dolore, sommando con un'occhiata i valori delle due facce delle monete.
Non essendo abituato a una temperatura più alta dei dieci, dodici gradi estivi della comunità subpolare, Mnemone si trovava a disagio nella tiepida mattina tropicale; sedeva a gambe incrociate, con un paio di calzoni leggerissimi e una camicia di lino, mantenendosi sul viso offeso un impacco di erbe bagnate stretto da una pezzuola.
"Sei" disse Iuliasta contando il secondo tiro. Cresia non si vedeva sino dall'alba. Era probabilmente partita con la sua borsa di tela rigonfia di indumenti per esplorare le pendici dell'altipiano da cui il vascello era precipitato. Quella un tempo, pensò Mnemone, era certamente la riva del mare; quaggiù era tutto sommerso, i pesci e le alghe regnavano e nessuno si sarebbe aspettato di veder prosciugare un giorno tutta l'acqua. Poi le ere geologiche erano passate, su quel pianeta come sulla terra dove il genere umano aveva avuto origine, e il mare era rifluito verso altre pianure lasciando dietro di sé una depressione erosa dal sale di milioni di anni prima.
Mnemone tirò di nuovo le monete.
"Otto" lesse la vecchia "trigramma del Tuono, una linea mutante."
La testa di Mnemone ronzava. Pensò alle probabilità di essere rinvenuti da un altro vascello, praticamente nulle poiché l'antica depressione era ben distante da qualsiasi rotta di canali. Pensò poi alla probabilità che le monete della vecchia potessero suggerire la via giusta per scampare alla morte certa, come lei pretendeva: "Tira ancora" lo esortò Iuliasta.
Sospirando, Mnemone lanciò le monete.
"Sette".
Si ravviò i capelli con una mano. Pensò a sua sorella che lo attendeva a Desiapolis, al termine della rete dei canali, quasi al tropico, parecchi chilometri a ovest da dove avevano fatto naufragio. In un attimo di sconforto, disperò di vederla mai più.
Toccò a Iuliasta di sospirare. "Tira" lo esortò.
Mnemone lanciò per la quinta volta le monete.
"Otto" lesse la vecchia "l'esagramma potrebbe essere solo Frantumare o Il nascente."
Il comandante era stato certamente portato fuori rotta dalla tempesta di nebbia incontrata la seconda notte di navigazione nei canali: aveva deciso di sfruttarla sino in fondo per guadagnare tempo, lanciando il vascello sui pattini in ardite manovre contro il ghiaccio. E a pagare erano stati tutti, con la vita. In certi punti la rete di canali ghiacciati passava troppo rasente alla grande depressione: era plausibile che il timoniere avesse imboccato una via sbagliata, confuso dalla nebbia, e il disastro ne era stato la conseguenza.
Gettò l'ultima volta le monete.
"Sette. Frantumare." La vecchia sospirò, se di pena o di sconforto per il responso, Mnemone non riuscì a interpretare.
"Difficoltà all'inizio. Occorre frantumare un ostacolo per giungere all'armonia. Le azioni devono essere vigorose ma non affrettate o arbitrarie; occorre consultare attentamente tutte le circostanze."
Mnemone mugugnò al giudizio sibillino. Si domandò dove fosse in quel momento Cresia, e volse intorno lo sguardo per cercarla.
"Una linea mutante al secondo posto indica che si farà un torto. In caso di rabbia per una malvagità considerata evidente, una reazione eccessiva sarà il risultato."
Mnemone si riparò gli occhi dai raggi del sole, rintracciando finalmente la figura della ragazza sotto l'ombra del costone roccioso; pensò che era necessario trasportare gli ultimi corpi alla fossa per seppellirli.
"La linea mutante trasforma l'esagramma in Neutralità e disunione. Conflitto. In una situazione stagnante, ci sono elementi opposti che possono, se insieme, essere creativi; vi sono tuttavia ostacoli pratici. La persona saggia non dovrebbe farsi sopraffare da un umore prevalente."
Mnemone si passò una mano sugli occhi. "Ho molto da fare, ora" disse "parleremo più tardi del responso."
"Abbiamo già parlato" disse Iuliasta a voce appena percettibile "sta a te interpretarlo".
Mnemone si diresse verso il relitto pensando al modo di comporre i cadaveri e di migliorare la struttura della baracca di legno che aveva montato come protezione per la notte. Quando fu fuori vista della vecchia, si sporse da dietro un albero schiantato con tutto il suo sartiame per osservare Cresia.
La vide avvicinarsi con qualcosa di bianco in testa, e immaginò un cappello a larga tesa; ripensò al viso della ragazza, troppo giovane e ingenua per risultare attraente, senza un filo di trucco e con i capelli sciolti sulla nuca e sulle orecchie. Il pensiero gli andò naturalmente alla moglie, andata via di casa da anni per vivere a Sestilia, ai piedi dei monti Neveterni, rifiutando di avere mai più a che fare con lui.
Attese l'arrivo di Cresia appostato dietro la vela stracciata del pennone; ciò che pensava fosse un cappello si rivelò come l'ombrellino di stoffa che gli aveva mostrato il giorno prima. Evitando di farsi vedere, osservò con curiosità che si era tolta i calzoni pesanti, e aveva indossato una camicia con gilet da uomo, particolare che lo infastidì, e una sottoveste o gonna leggera; da quella distanza non poteva capire. Finse di essere occupato con il pennone spezzato mentre la ragazza si avvicinava: quando fu vicina lei lo vide e gli andò incontro, ruotando civettuola l'ombrellino con il solito sorriso ebete che gli increspava le labbra.
"Dove sei stata?" disse lui facendo la voce dura "ti cerco da stamattina per una mano con..." concluse con un gesto vago. Cresia accettò allora di aiutarlo, chiudendo accuratamente l'ombrellino. Mnemone riuscì a portare tre corpi aiutato dalla ragazza, raccogliendo tutto il suo coraggio, ma per i più devastati non poté far niente. Tenne d'occhio Cresia; benché non riuscisse a provare simpatia per quella povera debole di mente, non poté trattenersi dall'ammirarla mentre si muoveva, assorta o forse svanita; ma scacciò quel pensiero con fastidio, pensando alla sua condizione, e si concentrò sui suoi molteplici difetti: innanzitutto le labbra troppo pallide, senza un filo di rossetto, poi i capelli davanti agli occhi, le unghie spezzettate e sporche, i piedi scalzi e sudici, la testa costantemente fra le nuvole.
* * *
"L'attesa. Se sei verace hai luce e riuscita. Perseveranza reca salute. Propizio è attraversare la grande acqua."
La voce di Iuliasta, ogni giorno che passava, diveniva sempre più flebile e il suo viso più pallido. Mnemone guardò verso l'alto senza capire, fissando quel cielo che mai come allora gli era sembrato presagio di libertà. Sperava che sua sorella o i parenti delle vittime, non vedendoli arrivare, organizzassero una spedizione di ricerca. Ma anche così, si chiese, quante speranze avrebbero avuto di essere ritrovati? Pensò anche, con un velo d'amarezza mista a rimpianto, che sua moglie non avrebbe di certo notato la sua mancanza.
"Sei al quarto posto significa: attendere nel sangue. Fuori da questa buca" l'indovina sorrise scrutando gli steli di millefoglie. "E' proprio vero, non mentono mai" e riportò lo sguardo verso Mnemone che cercava qualcosa per coprirsi mentre la luce si stava ritirando.
Scosse la testa infilandosi il giubbotto imbottito. "Ma quand'è che potrò risalire? Chiedilo al tuo I Ching" ringhiò. Era appena tornato da un'ennesima ricognizione per valutare quale fosse il punto migliore per tentare la risalita, ma inutilmente: le pareti sembravano inattaccabili.
La vecchia non si mosse, apparentemente insensibile allo scatto d'ira di Mnemone. "Fino a quando non comprenderai che l'I Ching può suggerirti soltanto il comportamento da tenere per avere più possibilità di riuscire, non ti servirà a niente. A me non ha indicato come guarire dalle fratture, ma ha suggerito calma. La mia situazione è grave, si tratta di vita o di morte" Iuliasta alzò lo sguardo sospirando. "C'è da aspettarsi da un momento all'altro uno spargimento di sangue. Non si può andare né avanti né indietro. Si è tagliati fuori, come in una buca. Bisogna semplicemente resistere e affrontare la propria sorte. Non è la verità, questa?" lo fissò socchiudendo gli occhi " ma ora portami dentro la baracca, sono stanca. E non chiedermi più di un responso per la stessa domanda: con l'I Ching è inutile!"
Quando uscì, dopo aver coricato Iuliasta sul pagliericcio, Mnemone intravide la ragazza volteggiare nell'ultimo tenue pallore del giorno verso il loro accampamento, l'ombrellino aperto. Cresia aveva dimostrato di possedere più virtù di quante non potesse attribuirgliene: aveva dimostrato più praticità di lui raccogliendo tutte le provviste che i viaggiatori portavano nei bagagli personali e i cibi in scatola nella stiva, prodotti che si sarebbero conservati per parecchio e che gli avrebbero risparmiato di mangiare tutti i giorni le insipide bacche che si trovavano nella depressione. Aveva dimostrato anche più coraggio del previsto - o meno sensibilità, come si ostinava a pensare Mnemone -, riuscendo a comporre anche i cadaveri più martoriati e a trasportarli, con una specie di barella artigianale, in quella che si poteva considerare una fossa comune.
"Dove sei stata?" le chiese Mnemone osservando il sorriso perennemente presente.
Cresia fece un cenno dietro di sé, rimanendo sul vago come al solito. Con le labbra più rosse, i capelli sistemati con fermagli e le unghie pulite e curate, risultato di un beauty-case ritrovato in una delle cabine del vascello, sembrava un'altra persona.
"Hai già mangiato?"
"No," gli rispose Cresia con voce monocorde "ho soltanto passeggiato." E fissò con ostentazione le lucidissime scarpe nere che indossava, trovate chissà dove. Passeggiare era l'unica sua occupazione; sembrava aver trovato nella depressione una dimensione a lei congeniale e Mnemone non aveva mai avuto il coraggio di chiederle se desiderasse tornare alla civiltà per paura della risposta.
Senza dire niente altro, Cresia si avviò verso la zona dove tenevano le provviste, aprì due scatolette, ne porse una a Mnemone e cominciò a mangiare accostandosi alla piccola lampada a gas che tenevano nella baracca. Mnemone si avvicinò, accese la lampada che aveva il vetro di protezione rotto e cominciò a mangiare, anche lui in silenzio.
A fine cena si avvicinò a Cresia, e prendendole la mano le disse: "Andiamo a passeggio, sù".
La ragazza afferrò al volo la lampada.
* * *
Mnemone ripensò più volte, il giorno successivo, a ciò che era accaduto la sera precedente, dopo cena. Le immagini sfilavano nella sua mente, come la pellicola di un film visto di recente: si erano allontanati dall'accampamento mano nella mano, e più il buio s'infittiva più Cresia, come una bambina impaurita, stringeva la sua mano. Improvvisamente il contatto con quella pelle delicata e fragile lo aveva eccitato: lasciando la mano di Cresia le aveva circondato la vita con il braccio, assecondato dalla remissione della ragazza. Più avanti le aveva circondato le spalle, avvicinando le labbra alle orecchie della ragazza. Cresia era rimasta in silenzio, apparentemente imperturbabile, con lo sguardo perso nel buio che li precedeva e la lampada ben stretta in mano, e Mnemone non aveva potuto fare a meno di interpretare quel comportamento come un tacito consenso ai suoi approcci: da quando la moglie lo aveva lasciato cinque anni prima non aveva avuto più rapporti fisici con una donna.
Arrivati nei pressi dei resti del vascello, ormai impotente relitto abbandonato, Mnemone aveva spinto Cresia verso la zona dove era ammassata la maggior parte dei resti del fasciame, al culmine dell'eccitazione, come accresciuta dalla prossimità del disastro. Cresia lo aveva fissato indifferente, come se la cosa non la riguardasse: solo quando si era slacciato i pantaloni, abbassandoli, Mnemone aveva realizzato che fino a quel momento Cresia non aveva intuito le sue intenzioni: sgranando gli occhi, la ragazza aveva espresso tutto il suo disgusto e la sua repulsione con una spinta poderosa a Mnemone per liberarsi della sua presenza. "Maiale! Allontanati, bestia. Che vuoi da me?" il suo viso era arrossto a causa della violenta crisi "Voi uomini siete tutti uguali, pensate solo a..." si era fermata un attimo, come sforzandosi di raccogliere le idee "Aveva ragione Fedra, siete delle bestie, e noi dobbiamo essere sempre unite, esserci fedeli. Io non la tradirò mai, e un giorno o l'altro la incontrerò di nuovo..."
Era scappata infine verso il buio, via da Mnemone, ma senza abbandonare la lampada.
* * *
Iuliasta se ne andò in silenzio, senza disturbare troppo, così com'era vissuta nei giorni dopo il naufragio. Non sentendola chiamare per farsi trasportare fuori dalla baracca, Mnemone alla fine s'insospettì; e se non fosse stato per la mancanza di qualsiasi movimento respiratorio, avrebbe giurato che la vecchia donna stesse dormendo: Iuliasta era coricata ancora calda nel suo pagliericcio, l'espressione finalmente serena. La morte doveva essere giunta come una liberazione poco tempo prima. Sul momento Mnemone non ebbe alcun tipo di reazione emotiva, come si trovasse di fronte a qualcosa di ineluttabile, ma pian piano lo assalì un senso di impotenza, rafforzato dalla convinzione di non aver fatto il possibile per salvare la vecchia e che ormai c'era ben poco da fare per risolvere la sua situazione. Le continue esplorazioni della depressione non avevano infatti dato alcun esito: "Ci fosse ancora il mare, sarebbe stato diverso..." si ritrovò a rimpiangere Mnemone. Ma tutto era diverso, quando c'era il mare...
S'immalinconì a questi pensieri, e la visione di Iuliasta morta davanti a lui non fece altro che accrescere quel suo stato d'animo. Scuotendosi, uscì dalla baracca chiamando Cresia a gran voce: dalla sera in cui l'aveva visto seminudo la ragazza si era mostrata più diffidente nei suoi confronti, e Mnemone si era accorto di trattarla con più gentilezza del solito: temeva di essere respinto per sempre, e la paura di rimanere completamente solo, senza neanche la compagnia della ragazza, lo aveva spinto a mutare comportamento. Proprio come gli aveva consigliato l'I Ching, realizzò soltanto successivamente.
Dopo qualche secondo intravide Cresia che si stava avvicinando vestita di nuovi colori sgargianti. "Iuliasta è morta" le disse in un soffio. Si sentiva stanco e vecchio, il peso di tutti gli anni sulle spalle. Cresia non cambiò espressione, ma chiuse l'ombrellino e entrò risoluta nella baracca. Dopo qualche minuto ne uscì trascinando sulla barella di fortuna la vecchia verso la fossa comune dove avevano composto tutte le altre vittime.
* * *
Oltre che a controllare il riassorbimento dell'ematoma che si era procurato nell'incidente, Mnemone passò i giorni successivi alla testarda ricerca di un punto ideale per la risalita. Ogni tanto, durante le sue ricognizioni, incontrava Cresia a passeggio con il suo inseparabile ombrellino aperto. Sempre ben curata, continuava a mostrare un evidente risentimento nei suoi confronti. Mostrandosi gentile, le sorrideva cercando di riconquistare la fiducia della ragazza, il cui sorriso vuoto era stato ultimamente sostituito da un'espressione più seria. Cresia dava l'impressione di essere completamente presa dalle sue passeggiate, e niente sembrava poterla distogliere da questa occupazione.
Convintosi ormai dell'impossibilità di risalire, Mnemone entrò nella baracca e notò l'I Ching di Iuliasta, la vecchia indovina. Decise di sedersi cercando di rilassarsi e lanciò senza convinzione le monete, sommandone fiaccamente i valori. Sfogliando il Libro dei Mutamenti e cercando il suo esagramma fra i sessantaquattro possibili, realizzò di avere ottenuto l'esagramma quattro, "stoltezza giovanile". "Non io ricerco il giovane stolto, il giovane stolto ricerca me. Consultato la prima volta dò responso" lesse ad alta voce sul libro, "se egli interroga due, tre volte, questo è importunare. Se egli importuna non dò responso. Propizia è perseveranza."
Scoraggiato dal responso, Mnemone si mise a piangere, disperato per la propria sorte. "No, non è possibile, non voglio..." mormorò a se stesso ancor più convinto di dover passare il resto della propria vita nella depressione.
Ad un tratto, tra i singhiozzi, sentì una presenza alle sue spalle: si voltò di scatto e vide Cresia sull'uscio della baracca. "Eccola, la donna senza cuore" le urlò in preda ad un attacco d'ira "colei che non ha speso né una lacrima né una parola neanche per la morte del fratello. Lo hai seppellito come gli altri, e niente di più..." finì scagliando l'I Ching verso di lei.
Alzando lo sguardo, Mnemone intravide una lacrima scendere dagli occhi di Cresia a rompere l'apparente imperturbabilità di sentimenti e di espressione della ragazza. "Scusa," le disse avvicinandosi, assalito dal rimorso "non è vero che non t'importa niente di nessuno" e le passò una mano sul viso, per asciugare la lacrima. D'impulso Cresia si allontanò, come per evitare un eventuale contatto che non era sicura di riuscire a sostenere.
"Stai tranquilla, non hai nulla da temere" la rassicurò Mnemone riavvicinandosi "dovremo abituarci a vivere quaggiù, noi due" le disse stringendosi a lei. Lacrime di disperazione continuavano a bagnargli il viso. "Ci fosse ancora il mare sarebbe diverso, non sarebbe accaduto..."
Anche Cresia si strinse a lui, finalmente rilassata, il viso rasserenato da un sorriso: "Quando c'era il mare..."
Gli uccelli, in cielo, gridarono.






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