VITA IN LETTERE - Agosto 2010
Data: Martedì 14 settembre 2010
Argomento: Saggistica


di Roberto Sturm

Libri acquistati: Il peso della farfalla (E. De Luca), Punto Omega (D. DeLillo)
Libri letti: Il sangue è randagio (J. Ellroy), Il peso della farfalla (E. De Luca), Pasto nudo (William S. Burroghs)

C’è poco da dire, di nuovo, di questo Maestro del noir. Tutti i suoi romanzi, alcuni più altri un po’ meno, sono macigni sulla storia degli Stati Uniti riscritta sotto il suo occhio truce. Violenza, donne, droghe, criminalità, illegalità della legalità, (ri)sentimento, odio, amore, politicamente scorretto.
Ellroy non risparmia nessuno, e la sua è una lucida analisi della storia americana dal 1964 al 1972. Dopo gli assassini di JFK e Martin Luther King.
Protagonisti neri, bianchi, pervertiti, criminali, politici ci portano a leggere le quasi 900 pagine del libro tutto d’un fiato. O quasi. Con una narrazione così veloce che scandisce i tempi delle efferatezze che si compiono in questa storia come la punteggiatura che usa l’autore. Cruenti e indecifrabili delitti che solo apparentemente sembrano senza una logica. Ma è l’uomo l’essere più insondabile, ma solo fino a quando non deve sfoderare il suo istinto di sopravvivenza e non deve alimentare la sua sete di potere.
Un romanzo dove Ellroy “racconta tutto”, come dice la quarta di copertina.
Buona lettura.

Bel racconto lungo, questo Il peso della farfalla di De Luca. Non avevo mai letto niente di suo, ma questo racconto ha veramente un’atmosfera magica. La montagna, il mio amore giovanile da tempo soppiantato dal mare, un re dei camosci e un bracconiere in una storia che è favola, metafora, racconto e, tutto sommato, una specie di resoconto di una parte consistente di vita.
E che può essere letto su diversi piani di lettura, dal più semplice al più approfondito.
Una prosa ricca ma mai barocca, una storia semplice, complice gli spazi più reconditi delle montagne, due protagonisti, il camoscio e il bracconiere, solitari. Particolari ognuno per le proprie caratteristiche. In un finale non proprio sorprendente, ma del resto era l’unico finale che una storia come questa poteva avere, si chiude il cerchio su venti anni di vita dei protagonisti. Ambiziosi, in un certo senso, unici, fieri e consci delle proprie sorti.
Una bella escursione davvero, e non solo per gli amanti della montagna.

Credo che Punto Omega sia uno dei punti più alti toccati dalla letteratura in questo inizio di terzo millennio. Come di consueto, DeLillo riesce a sorprenderci con una trama che, sebbene per la maggior parte a due voci, sembra essere più un’opera sinfonica che una canzone. Mi si perdoni il paragone musicale, ma con molta (apparente) semplicità, l’autore americano snoda una storia dalle mille sfaccettature, dalle mille interpretazioni. Una sorta di riflessione sulla vita, su cosa è il vivere visto da due punti di vista apparentemente inconciliabili. Richard Elster è un anziano che ha fatto la sua parte, dalla parte strategica, nella guerra scatenata in Iraq dall’America. L’altro, Jim Finley, è un giovane regista – meglio dire aspirante tale – che contatta l’anziano per girare un film documentario su di lui. E’ il periodo in cui Elster si ritira in una casa isolata del deserto, dove – dopo parecchie insistenze – invita il regista. Ma non per girare ma per avere, forse, una compagnia.
Jim Finley finisce presto per “perdersi” nelle abitudini e nelle parole dell’anziano, tra l’altro molto colto, e “dimentica” il progetto del film per adattarsi alla vita di Elster.
A un certo punto irrompe la figlia di Elster, Jessie, e la storia prende un’altra piega.
Scritto in maniera impeccabile (e come poteva essere altrimenti), DeLillo indaga sulla vita, sul destino di ognuno di noi, lanciando qua è là allusioni che potrebbero dare al lettore un occasione di (ri)pensare (all)la propria vita.
Non è di certo un consuntivo di DeLillo, ormai settantaquattrenne ma apparentemente ancora attivo e vivo e vegeto. E che, speriamo, ci regalerà ancora tante stupende chicche come questo romanzo.

La curiosità mi ha spinto a leggere (buona parte di) Pasto nudo, uno dei romanzi preferiti di Ballard a cui Burroughs a fatto la prefazione ad una edizione de La mostra delle atrocità.
Pasto nudo è senz’altro un pugno nello stomaco, un testo totalmente eversivo, uno scritto che, considerato anche l’anno in cui è stato scritto, il 1959, ha senz’altro provocato diverse conflagrazioni nella società perbenista, nelle persone puritane che inorridiscono facilmente.
La mia curiosità è stata alimentata dal film di Cronenberg ispirato al testo di Burroughs. Un film che mi è piaciuto davvero molto, ma che è diverso dal libro. Non era facile, per non dire impossibile, portare sullo schermo questo romanzo, ma la visionarietà del regista canadese (un esempio su tutti: Crash) è riuscito a carpire il senso del Pasto nudo. Dove droga, sesso, perversioni la fanno da padrone, in una narrazione (volutamente) caotica e vertiginosa dove il caos, appunto, non mi ricordo di chi sia la citazione, è solo un ordine da ricostruire.
Immagini forti, personaggi a tinte fosche, ambientazioni al limite dell’allucinazione formano una miscela esplosiva che lascia sicuramente una sensazione particolare al lettore.





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