Un saggio di Marcello Bonati
Nato nel '35 in Gran Bretagna,
ha trascorso l'infanzia a Hull nello Yorkshire, e ha studiato matematica al St.
John’s College di Cambridge; laureato in matematica e fisica, ha fatto la
carriera dello scienziato, fino ad abbandonarla per seguire, unicamente, quella
letteraria.
In campo professionale ha pubblicato più di cinquanta saggi di ricerca e alcuni
libri, fra i quali “Algebraically Special Space Times in Problems of General
Relativity and Gravitation”, '64, e “Algebraically Special Space Times in
Relativity, Black Holes and Pulsar Models”, in collaborazione con Ron Adler,
'73. In Gran Bretagna si è sposato la prima volta, con certa Sarah, matrimonio
dal quale ha avuto due figli, Ann e Kit, e ha poi vissuto per due anni a Blaby,
vicino a Leicester; e vi ha lavorato nel campo della ricerca di risorse
terrestri per mezzo di immagini dallo spazio.
Poi, poiché negli States c'era
un linguaggio di programmazione che gli sarebbe stato utile al suo lavoro di
fisico, che, all'epoca, era volto alla soluzione di un difficile problema nel
trasporto del neutrone, andò a New York, pensando di restarci un paio d'anni al
massimo.
Ma la sua specializzazione, che si affinò proprio là, lo portò a trovarsi a far
parte del programma spaziale, e decise di rimanere là; nell'86 si occupava dei
problemi teorici connessi all'utilizzazione e alla sperimentazione dei satelliti
ed era direttore di un gruppo speciale di ricerca della Earth Satellite
Corporation; la madre e la sorella vivono a Darlington, nell'Inghilterra del
nord.
Nel '76 alla moglie Sarah viene diagnosticato un cancro al colon; morirà nel
giugno '77; se nei primi anni '70 l'Autore aveva viaggiato molto, in Europa,
Iran e sulla costa occidentale, smise; e, la sera, cominciò a scrivere: “Le
storie che scrissi allora non erano buone, ma non dovevano esserlo. Erano solo
un modo per tenere la mente lontana da una realtà spiacevole.”
Nel '78 si iscrive allo SFWA, di cui, nell'84, diviene vice presidente, e,
nell'85, presidente.
Da un secondo matrimonio con certa Linda, fallito per la fine dell'89, ha altri
due figli, uno nell'83.
Nel '91 ha tenuto un discorso ad una conferenza della World Peace Academy a
Seul.
Il 10 gennaio '98 si risposa, con Nancy Kress, a Bethesda, Antigue e Barbuda,
col la quale andò subito dopo al Chattacon. Ha esordito nel '77, col racconto
“What Song the Sirens Sang”, pubblicato su “Galaxy”. Ha fatto il toastmaster
alla WorldCon '98, e pubblicato vari saggi scientifici. Alcuni racconti su
“Analog” li ha pubblicati sotto lo pseudonimo di James Kirkwood; la Kirkwood
Research era la società tramite la quale gestiva la sua attività.
È morto durante la stesura di
questo saggio, la mattina di sabato 2 novembre 2002, nella sua casa di
Rockville, nel Maryland, a 67 anni, per il cancro al cervello di cui già da
tempo soffriva.
Il funerale si è tenuto sabato
16, a Silver Spring. (vedi il trafiletto “Addio al 'duro' Sheffield”, “Corriere
della sera” del 7 novembre 2002, e “Locus” vol. 49:6, n. 503, dicembre 2002:
“Appreciation of Charles Sheffield”, di Jack McDevitt, “Obituary: Sheffield,
Charles”, “Remembering Charles Sheffield”, di Yoji Kondo e “Sheffield Tribute”,
di Andy Duncan).
Sheffield è considerato una
delle migliori espressioni della rinnovata ondata di Space Opera classica che ha
inondato il mercato degli States verso la fine degli anni Settanta; che,
appunto, non era più, classica, ma che andava a rinnovarsi, seguendo il mutare
dei gusti, per diventare qualcosa di totalmente nuovo.
Fenomeno che crebbe attorno
alla rivista “Analog”, allora diretta da Ben Bova e Stanley Schmidt; gli altri
autori che, allora, esplosero, furono Gregory Benford, Greg Bear, Roger MacBride
e Allen Steele.
Nicolazzini, nella
“Presentazione” a “Progetto Proteo” dice, fra l'altro, che, in Sheffield, vi è
un “…convinto razionalismo e la fiducia nelle illimitate possibilità del
progresso scientifico.” (pag.II); cosa indubitabilmente vera, e che si esplica,
come vedremo, in una fiducia sulla possibilità dell'Uomo di “fuggire dalla barca
che affonda”, la Terra, per mezzo del viaggio spaziale; chi, se non uno
scienziato della N.A.S.A., poteva dire di queste cose?
Altre caratteristiche
essenziale della sua opera, come dice, ancora, il Nicolazzini, la possiamo
individuare nella loro struttura: “…la struttura preferita è il rompicapo,
l'enigma… un universo dove enigmi esterni e illogicità interne vengono alla fine
ricondotte a un principio di ordine e razionalità. (Cosa che) È anche lo schema
della detective story e del mystery, non a caso due generi assai vicini alla
sensibilità di Sheffield.” (Idem).
Cosa, ancora, verissima; non
troveremo infatti mai traccia, nelle sue opere, di finali aperti, o che,
comunque, lascino dello spazio a soluzioni che, in qualche modo, possano lasciar
filtrare qualcosa dall'esterno, dall'inconosciuto, fuori, appunto, dal
razionale, dal razionalizzabile.
Ma andiamo a vedere ad una ad una le
(poche) opere che abbiamo a disposizione in traduzione.
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