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Dick Philip K. - Il paradiso maoista

(Gather Yourselves Toghether, ‘49), "Edizione speciale per il 25º anniversario" n. 25, ed. Fanucci, 2007, 368 pagg., 16,00 €; edizione originale: (WCS Books (Box 968, Herndon VA 22070), ’94: 40.00 $, 291 pagg.)

Il primo romanzo che Dick, con molta probabilità, portò a termine (di "Return to Lilliput" (’40-’41) e "The Earthshaker" (’48-’50), andati perduti, pare ne avesse scritto solamente qualche capitolo), fra il ’49 e il ’50, è un mainstream.
Dick, come forse saprete, all’inizio della sua carriera, aspirava a diventare uno scrittore, appunto, mainstream, ma poi si rese conto che, ciò che aveva da dire, lo riusciva a dire molto meglio con l’S.f..
E, per quanto, come hanno notato in molti, con alcune lacune stilistiche dovute all’inesperienza, come un eccessivo ripetere uno stesso concetto appena espresso, a me è sembrato decisamente buono.
La lunghezza dei flash back, che alcuni hanno incluso fra di essi, a me non lo è sembrato. Del tutto inerenti allo svolgimento della trama, risultano fra le parti più interessanti, anche perché si capisce che saranno basilari per capire ciò che avverrà nella trama principale.
La Rivoluzione Culturale cinese di Mao spazza tutte le compagnie commerciali occidentali, che vengono privatizzate. Tre impiegati di una di esse devono rimanere a guardia del paradiso di beni abbandonato, aspettando che i nuovi proprietari vengano a reclamarlo.
Due di loro, anni addietro, avevano avuto una relazione: lui, molto più anziano, aveva preso la verginità di lei minorene (per gli States, 20 anni), offertagli con una facilità di cui poi si pentirà.
I flash back sono proprio su questa loro storia, vista dal punto di vista ora dell’uno ora dell’altro, anticipando quella che sarà una delle caratteristiche del suo scrivere della maturità.
Quando il destino li porta a trovarsi in quella situazione, debbono affrontare il problema; hanno da trascorrere una settimana, senza aver nulla da fare.
All’inizio sembra prevalere un distaccato rispetto reciproco, nella consapevolezza che, quei quattro anni, li hanno cambiati entrambi, e soprattutto lei, che non è certo più la ragazzetta ingenua dei tempi, ma poi il non sapere come passare il tempo spinge lei a chiedergli di farlo.
E, qui, accade qualcosa: "Ricordi quel che mi hai detto… riguardo al momento della scelta (?)… è accaduto qualcosa… Non te ne sei accorto?... qualcosa di terribile. Si è insinuato in me. Come in un incubo. È scivolato dentro come nebbia gelida… Qualcosa lì in attesa, fredda e morta. Ed è… scivolata dentro…. È una sorta di condanna. Una maledizione. Come se fossimo… predestinati." (pagg. 208-209).
L’ineluttabilità del proprio agire sentita come una gabbia dalla quale è impossibile fuggire.
"Siamo ripartiti da dove eravamo rimasti quattro anni fa. È uno sbaglio. Non si può tornare indietro, e noi l’abbiamo fatto…. Si è trattato di un’esperienza completamente negativa… Un rigurgito di sangue. Un atto meccanico, senza alcun sentimento. Senza costrutto." (pag. 210).
"Non si può tornare indietro": vedremo come, questa frase, tornerà nei momenti chiave.
Lo sbaglio, però, potrà essere riparato, agendo correttamente, e con l’aiuto di una persona dall’animo puro: "Bè, spezzeremo l’incantesimo. Esiste sempre una via d’uscita… La maledizione è scongiurata quando si fa la cosa giusta." (pag. 212), riferendosi ad "…antiche leggende…": "Sigfrido li redime. O quasi. Per lo meno, quello è il suo ruolo…. Il giovane innocente, vergine e completamente puro." (idem).
Guarda caso, il terzo impiegato là con loro è un giovane, ingenuo ed innocente, così che, quando dicono: "… non abbiamo a disposizione un Sigfrido pronto a redimerci e a salvarci." (pag. 213), ecco che Carl, il giovane, si avvicina.
Egli è "…alto e giovane, molto giovane." e "Biondo, radioso e pieno di vita." (pag. 228), un "…ragazzone alto, con gli occhi azzurri, lo sguardo puro, i biondi capelli, un novello Sigfrido… il giovane innocente venuto a redimere e salvare…" (pag. 230).
Verne, l’uomo anziano, arriverà poi a dare la sua benedizione a quanto Barbara ha in mente di fare, di redimersi "…tramite lui…": "Così potrai lavare i tuoi peccati nel sangue dell’agnello." (pag. 262).
La relazione fra lei e… Sigfrido, comincia con un loro andare nei boschi fuori dal perimetro della Compagnia, a leggere un trattato filosofico scritto da lui.
Ma, poi, Barbara si fa prendere da un impeto quasi panteistico, e si immerge nuda nella piscina che c’è al centro della Compagnia, e Carl è là, a guardarla, preso anch’egli da un sentimento quasi mistico: "Era la prima volta che vedeva una donna nuda. Era un’esperienza unica, un po’ come assistere a una nascita, a una morte, a un matrimonio o a una festa di compleanno per la maggiore età. Un momento di particolare importanza. Forse unico." (pag. 284).
Nel capitolo che vede la, ancora, stessa scena vista dal punto di vista di lei, leggiamo: "Era nata dall’acqua, dal sole e dalla terra, come una miscela primordiale. Ma, una volta in vita, non poteva percorrere il processo inverso…. Era impossibile tornare indietro… avrebbe seguito la sorte (di) quel mondo… destinato… ad arrugginire e a marcire… travolti e distrutti dal futuro…" (pagg. 375-6); "Era il destino di ogni essere generato dall’umida terra, dal lurido fango e dal suolo." (pag. 280).
"Il tema del romanzo era la morte." (pag. 93), dice un altro personaggio in uno del flash back iniziali, in uno dei tanti, per alcuni troppi, sfoggi di cultura.
E sembra subito significativo.
L’ineluttabilità del destino del decadimento, della morte.
Il disfacimento di tutte le cose, il moto entropico dell’universo, al quale non ci è dato di poterci sottrarre.
È proprio questo, il tema del romanzo.
E, nel finale, Barbara praticamente strapperà via da Sigfrido la verginità, in una vera e propria violenza al contrario, dopo che lui stava per cedere alla tentazione mentre lei era addormentata: "…quella volontà non si poteva più domare ne ignorare…. Non era più possibile tornare indietro. Si trovava in suo potere. Agiva per suo tramite. Si sentiva come una marionetta. (pagg. 326-7).
Dunque anche l’eros è una forza che non riusciamo a controllare, e che sconquassa le nostre vite senza che noi si riesca ad averne un effettivo controllo.
Questo, basilarmente.
Poi, quando arrivano i cinesi, c’è un colloquio fra Verne ed il graduato colto che ha studiato in occidente venuto in avanscoperta, nel quale si dicono molte cose interessanti.
Che partono da un parallelismo fra l’epoca nella quale è ambientato e quella "…della civiltà romana, intorno alla nascita di Gesù. O… quando l’impero cominciò a decadere…" (pag. 293).
Parallelismo per il quale i maoisti sarebbero "…i primi cristiani", che, come la Chiesa, danno "…un senso alla sua (dell’Uomo) esistenza.".
Così come "I primi cristiani erano disposti a morire per la loro Chiesa, per la loro fede.", anche i maoisti, e "…anche i nuovi cristiani sono i portatori di parole vuote.", ma che "…per noi hanno un significato, proprio come accadeva per i primi cristiani.". (pagg. 293-5)
La consapevolezza dell’uomo colto che quanto è necessario per un minimale ordinamento della società si basa su mezze verità che sconfinano nella frottola, che la verità è che sappiamo ben poco, del Mondo che ci circonda: "Cosa c’è di meraviglioso nel mondo reale? Gli atomi e il vuoto… Nella nostra società esiste una legge che proibisce a noi adulti di distruggere i sogni della gioventù. In effetti siamo noi a creare le favole in cui essa crede." (pagg. 297-8); "…sappiamo bene che ciò che raccontiamo sono favole. Chimere… io non infrangerò i loro sogni… È per il loro bene. Atomi e vuoto… Ammantiamo l’arte e la scienza di miti, saggi miti.… Non sono autentici, ma sono saggi. Sono dotati di significato." (pagg. 298-9).
Da notarsi come il richiamo alla prima cristianità unisca idealmente questo, primo, romanzo dickiano col suo ultimo, "La trasmigrazione di Timothy Archer".
Dunque un sentire il nichilismo come qualcosa che permea tutta la realtà, che è "vuoto e atomi", qualcosa che ci sfugge quasi del tutto, e la necessarietà che, gnosticamente, una elite di persone colte, e consapevoli, crei dei miti, delle favole, che possano far si che la gente comune riesca ad accettare, la vita.
Miti e leggende che, percui, divengono buoni, perché necessari alla vita.
Quasi un discorso teologico.
Ma, subito, ci sono i dubbi sull’eticità di ciò: "Una nuova chiesa con a capo un nuovo papa, che regna sul popolo con una clava, una dittatura che stabilisce cosa pensare, fare, credere?" (pag. 298).
Che verrà ribadito molto più marcatamente nell’epilogo, nel quale l’idealista Carl, che in qualche modo rappresenta l’autore stesso, ha una discussione, o, meglio, praticamente un monologo, con un soldato maoista che ha una consapevolezza più limitata del suo superiore dello stato delle cose, e crede fermamente a ciò che gli si racconta: "…voi credete in questo genere di cose, la forza, la violenza. Ma sono principi giusti?... Voi fate uso della forza. Un uso spietato, con cui riuscite a ottenere quel che vi proponete…. Eliminate chiunque si interponga fra voi e i vostri obiettivi…. Come fate a essere così sicuri? Ve lo siete mai chiesto?" (pagg. 261-2).
Vi si può dunque leggere, anche, il nucleo concettuale dal quale verranno poi tutte le varie contraffazioni, del Reale, da parte del Potere, così come, appunto, quel sentimento di scoramento di fronte all’entropia, all’accumularsi di putrio, di scarti che il tempo si lascia indietro, deteriorandosi.
Quel dire plausibile, credibile, di un uso della conoscenza per creare realtà umanamente accettabili penso che, poi, anche, si rifletterà nel palesarsi, nei potenti, manipolatori della Realtà, di positività, praticamente sempre, nelle sue opere della maturità, in quell’incertezza totale, diciamo, che le permeerà tutte.
Il titolo originale si potrebbe tradurre come "Ricomponetevi" o "Radunatevi assieme"; che potrebbe avere un duplice significato: contro l’entropia inesorabile, all’Uomo non rimane che l’empatia, lo stare uniti, ad affrontare il Mondo. E "State uniti"; non "Stati uniti": in realtà, il Potere contro il quale Dick si stà scagliando non è il maoismo, ma proprio gli States, che pensano che sia giusto usare la violenza per una buona causa, come la difesa della Libertà.

Altri contributi critici: ""Atomi e vuoto": la nascita dell'universo dickiano", introduzione di Carlo Pagetti, pag. 7; "Quando il giovane Philp Dick aveva paura di Mao", di Carlo Formenti, "Corriere della sera" del 18/2/2007, con un estratto, "Così i cinesi avrebbero conquistato la fabbrica"; "Philip K. Dick-i giorni e le opere", di Domenico Gallo, in "Philip K. Dick-la macchina della paranoia", ed. Agenzia X, 2006, pag. 27 e scheda di Umberto Rossi, idem, pag. 257

Aggiunto: July 10th 2007
Recensore: Marcello Bonati
Voto:
Link correlati: Philip Kindred Dick
Hits: 1164
Lingua: italian

  

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