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Le Guin Ursula K. - Su altri piani

(Changing Planes, 2003) “Narrativa” n. 218, ed. Nord, 2005 17,50 €, 312 pagg. traduzioni di Riccardo Valla edizione originale: (Harcourt)

La Le Guin, a riguardo dei suoi racconti, ha spesso parlato di “psicomiti”, volendo dire di un qualcosa tramite il quale tenta di dire delle cose che, spesso, non riescono ad essere dette con delle trame solite, lineari.
E, i racconti di questa sua ultima antologia, sono davvero molto particolari, decisamente fuori da ogni schema di racconto normale.
Innanzitutto c’è da dire che sono tutti legati da un filo conduttore, e che la protagonista è sempre la stessa, o quasi; dove non lo è, ne rimane, ancora “quasi” sempre, comunque la narratrice.
E che, questa protagonista, è decisamente molto autobiografica; una donna anziana molto tranquilla, che non ama per nulla il rischio, e dalle mille paure.
Il filo che li lega è “Il metodo Sita Dulip”; chè è ciò che l’immaginazione dell’autrice ha escogitato per aggirare quell’ormai impossibile andare per pianeti che la scienza moderna ha dimostrato essere tale; changing planes, infatti, è appena un po’ differente da Changing Planets, che, all’inizio penso molti abbiano pensato, per un’antologia di Sf.
Ed infatti, la protagonista, e molti altri terrestri, cambiano “piani”, non “pianeti”; universi paralleli, dimensioni dello spazio/tempo, che, invece, ora sappiamo esistere realmente; o, perlomeno, poter, esistere.
Questo metodo si immagina essere stato scoperto casualmente da questa Sita Dulip, stando in un aeroporto, quando la situazione aveva raggiunto un apice particolarmente acuto di disagio, di stanchezza, di nervosismo: “…grazie a una semplice torsione e un leggero scivolamento… poteva raggiungere qualsiasi luogo, trovarsi dovunque desiderava…” (pag. 14); l’inscientificità, di ciò, è evidente, ed evidentemente sottolinata dalla stessa autrice, che, con ciò, ci dice solamente del potere della lettura.
E, ciò, penso non possa non ricordare il film di Steven Spielberg “The Terminal”, soprattutto in questa frase: “Un nonluogo, dove il tempo non passa e nell’intervallo tra due aeroplani non è possibile accedere ad alcuna significativa esperienza di vita.” (pag. 13).
Questi piani sono popolati da esseri nella maggior parte dei casi antropomorfi, ma con qualche, più o meno lieve, differenza da noi; ma anche da veri e propri alieni, sostanzialmente diversi da noi.
E, fra i piani viaggiano anche persone provenienti da altri… mondi, che lo fanno con tecniche differenti.
I racconti, poi, hanno un po’ di quello filosofico ed allegorico, alla Swift dei “Viaggi di Gulliver”; ad esempio, in “Il semolino di Islac”, si dice, negativamente, della genetica, come possibile causa di disastri dovuti all’incapacità di giocare a Dio.
I racconti di questo tipo sono decisamente “in maggioranza”.
-“Come sentirsi a casa tra gli hennebet”, nel quale si dice di un piano che ha una forma di governo simile a quella di Anarres, e una religione non organizzata come in “The Telling”, che dice della difficoltà di capirsi fra genti molto… diverse.
Si, perché, quella gente, è… simile alla narratrice, nel carattere, cosa che dice, esplicitamente, il fatto che sia ricalcata su quello dell’autrice.
-“L’ira dei veksi”, su di un popolo la cui cultura è dominata dal litigio e dalla collera, ma che non hanno la guerra, ne desiderio di potere o di accumulare ricchezze, che sembrerebbe voler dire del potere della sublimazione nel quotidiano della rabbia.
-“Le stagioni degli ansar”, ambientato su di un pianeta dagli anni, e quindi dalle stagioni, lunghe, con un popolo che migra, al loro alternarsi, e che cambia totalmente abitudini di vita in uno e nell’altro continente nel quale va a vive.
La diversità, quindi, il descrivere esseri con una modalità di vita totalmente differente, dal nostro; e la difficoltà di riuscire a non doverlo far rientrare ad ogni costo in uno schema interpretativo del Mondo differente: viaggiatori da un altro piano, infatti, li avevano quasi convinti ad abbandonare totalmente la loro Via, perché non riuscivano a vederli che come arretrati, animaleschi, istintivi; ed il loro rendersi conto di stare sbagliandosi.
-“I reali di Hegn”, su di un piano nel quale sono… tutti nobili; quasi. Infatti, i pochissimi comuni, sono al centro delle chiacchiere degli annoiati e decadenti nobili. Forse il rovesciamento dell’interesse morboso per il gossip di sangue blu.
-“Grande Gioia”, sul capitalismo, dice della schiavizzazione e sfruttamento degli abitanti di un piano per americanate (parchi a tema!!) pacchiane sulle varie festività; per ironia, un popolo che, di feste, non ne aveva. A dire il vero il più debole.
-“Storie dolorose del piano di Mahigul”, in cui, dopo un’introduzione molto borgesiana sui piaceri delle biblioteche, si raccontano storie di guerre, dal denominatore comune dell’assurdità delle motivazioni. Miti di creazione, religiosità, ne sono parte rilevante.
-“L'edificio” (anche in “Millemondi estate 2005. Scorciatoie nello spaziotempo” (Year's Best Sf 7, 2002), a cura di David G. Hartwell, “Millemondi” n. 40, n.s., ed. Mondadori, 2005 (491 pagg., 5,10 €), nella traduzione di Roberto Marini, col titolo “Il palazzo”, pagg. 261-270), l’unico nel quale la protagonista non intervenga in alcun modo, tratto, tipicamente, da un “Viaggio” ad un piano di tal Thomas Atall, racconta di come uno dei suoi popoli, dopo che l’altro aveva avuto un periodo di espansione esplosiva di popolazione e tecnologia, nel quale quasi l’aveva estinto, decide di cominciare a costruire un palazzo, per poi continuarne la costruzione per quattro millenni. Che, sembrerebbe, sia per quell’altro, popolo.
Costruire, espandersi, avanzare in quanto a tecnologia, è un’assurdità, è questo che vogliono, forse inconsciamente, dir loro?
Vi si dice, per esemplificare l’insensatezza di ciò, della guerra.
-“I volatori di Gy”, ancora sulla diversità, e sulla difficoltà di accettarla; un popolo naturalmente dotato di piume, che, raramente, sviluppa vere e proprie ali, che permettono di volare.
Vi si dice, in un primo tempo, dei destini poco gradevoli che questi diversi subiscono secondo le varie tradizioni locali, ma, poi, si passa a raccontare come se, anche se con molte riserve, fossero qualtomeno tollerati; forse volendo suggerire che è possibile.
Ma ve ne sono anche che trattano i temi base della poetica dell’autrice.
Sul potere della parola:
-“Il silenzio degli asonu”, di un popolo che parla solamente da bambino, per poi non pronunciare che qualche sporadica parola; che gioca molto anche sulla presa ingiro di coloro che vogliono trovare un significato profondo anche dove proprio non ce n’è.
-“La lingua dei Nna Mmoy”, davvero ottimo; un piano nel quale una civiltà ha voluto modificare radicalmente l’ambiente nel quale viveva, riducendolo a qualcosa di piatto, uniforme, monotono, anche se assolutamente sicuro.
E nel quale la fantasia della gente è riuscita a salvarsi dalla monotonia inventando, appunto, un linguaggio multiforme, assolutamente impossibile da tradurre, e tantomeno da codificare: “…ciascun suo carattere… è una sillaba. Ogni sillaba è una parola, ma una parola senza un suo significato specifico, fisso: è solo un campo di possibili significati determinati dalle sillabe che la seguono, la precedono o le sono vicine.” (pagg. 211-2).
Ed il sogno:
-“Il sognare in comune dei Frinth”; un popolo che sogna i sogni dei propri simili che gli stanno attorno: “L’inconscio dei frinth, collettivo o individuale, non è una fonte cupa, profondamente sepolta sotto anni di evasioni e di negazioni, ma una sorta di grande lago illuminato, alle cui rive tutti accorrono per nuotare, nudi, ogni notte…. Per loro, il sogno è la comunione di tutte le creature del mondo.” (pag. 117).
-“L'isola della veglia”, che dice di un piano nel quale, per motivi bellici (!!), si è tentato di creare geneticamente persone intelligentissime privandole del sonno; col risultato di avere persone assolutamente incapaci di ogni attività sociale: “…conoscono il mondo in modo continuativo e immediato, senza alcun periodo di tempo vuoto, senza posto per il Sé. Non avendo sogni, non raccontano storie e non hanno necessità di un linguaggio. In questo modo non hanno futuro. Vivono nel “qui” e nell’“adesso”, perfettamente in contatto. Vivono del fatto puro.” (pag. 207).
In “L'isola degli immortali”, poi si cita “I viaggi di Gulliver”, l’episodio di Laputa, anch’esso con degli immortali; in un piano c’è un’isola sulla quale si dice vivano degli immortali; e la protagonista decide di andare a vedere. E, là, capirà che vi è una mosca che se punge infetta d’immortalità.
Un’immortalità senza alcuna poesia, dolorosa e terribile.
L’ultimo, “La confusione degli Uni”, riprende un po’ il tema portante, tornando a dire del metodo Sita Dulip più per esteso, e racconta dell’avventura virtuale della protagonista in una macchina guasta, che le fa vivere esperienze per così dire sbalzate l’una sull’altra, in una confusione che la manda… sull’orlo di una crisi di nervi.
Dunque, un tentativo direi riuscito di trovare un modo per poter raccontare di altri mondi restando nello scientificamente plausibile; l’implausibilità ostentata del metodo lo, per assurdo, enfatizza.
La lettura come metodo per fuggire da una realtà insopportabile può far pensare all’escapismo, ma, quando la lettura è intelligente, e magari può far balenare idee davvero positive, come in questo caso, allora di escapismo davvero non si può parlare.

Aggiunto: October 4th 2005
Recensore: Marcello Bonati
Voto:
Hits: 1784
Lingua: italian

  

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