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Il grande arazzo di Bergman


di Leonardo Autera


Mentre non è ancora esaurito lo sfruttamento commerciale dell’edizione ridotta per il grande schermo del maestoso film-testamento di Ingmar Bergman Fanny e Alexander in programmazione appena dal dicembre scorso, già arriva sul video domestico, nella sua completezza che ne accentua il fascino immenso, quest'opera capitale del grande maestro svedese, di fronte alla quale si è inchinata persino l’«Accademia» di Hollywood mettendo una volta tanto da parte i compromessi e gratificandola di ben quattro Oscar. Fanny e Alexander viene infatti messo in onda da Raidue alle 20.30 suddiviso in quattro parti (stasera e domani le prime due, giovedì della settimana prossima le rimanenti) corrispondenti ai quattro tempi in cui il film integrale è stato concepito e articolato per la destinazione televisiva.

Chi ha visto la versione cinematografica, di tre ore e cinque minuti, non rinuncerà all'intero arazzo di cinque ore e nove minuti che segnò il maggiore evento artistico all'ultima Mostra del cinema di Venezia. Perché si accorgerà di quanto contino i 124 minuti in più ai fini dell'armoniosa struttura drammaturgica di quello che a tutt'oggi è forse "il più grande spettacolo della vita" mai restituito dall'esperienza e dalla fantasia di un autore di cinema.

Dopo quanto è stato detto e scritto su Fanny e Alexander non occorrerebbe ripetere che esso costituisce la «summa» dei quarant'anni di cinema di Bergman, la cui tematica, spesso arrovellata in interrogativi sul trascendente e sui destini dell'uomo. passata ora al setaccio della matura saggezza si acquieta nella rinuncia alla risposta per affermare la supremazia dell'immaginario.

Al tempo stesso l'artista modella su se stesso la propria creazione, proiettandosi nel piccolo protagonista, l'introverso Alexander di 10 anni, e su di lui trasferendo perplessità e scoperte, paure e illuminazioni che hanno contribuito ad alimentare tanto le sue reali ossessioni quanto il suo universo fantastico di cui, in definitiva, egli esalta il valore primario.

L'intera azione del film, ambientata ad Uppsala, città natale del regista, abbraccia due anni e mezzo, a partire dal 1907, vale a dire undici anni prima della nascita di Bergman. Perché Bergman trasfigura con la magia dell’ispirazione il banale dato autobiografico e assegna di conseguenza ad Alexander un padre di sogno, l'attore Oscar Ekdahl, mentre è al cupo e coercitivo vescovo Vergerus, patrigno acquisito dal bambino dopo la morte del genitore durante una recita dell'"Amleto", che il regista trasferisce in certo qual modo l'immagine del proprio padre, pastore luterano.

Così si stabiliscono nel film i due primi capitoli di opposta risonanza: quello di grande gioia in casa Ekdahl durante la celebrazione del Natale, tutta luce ed incanti per Alexander e la sorellina Fanny, e quello di crudele austerità, tutta gelo e disciplina imposti ai bambini, assieme alla madre Emilie, nella nuda casa cellario del patrigno (dove regna quel silenzio di Dio che avrebbe dettato al regista, oltre vent'anni prima, in piena crisi esistenziale. Come in uno specchio e Luci d’inverno).

Poi una nuova, ma più sottile e inquietante apertura nel meraviglioso e nell'onirico allorché Isak, l'antiquario ebreo vecchio amico della famiglia Ekdahl, viene a prelevare di nascosto i due bambini, e quella stessa notte Alexander, nella nuova abitazione piena di echi misteriosi, s'imbatte in Ismael, il nipote di Isak, ragazzo dai sorprendenti poteri medianici, tanto da riuscire, almeno agli occhi del bambino, a provocare a distanza la morte di Vergerus nel rogo della sua casa. Da qui l'epilogo felice che completa la saga familiare in perfetta ed armonica unita espressiva: Emilie e i figli sono nuovamente a casa, nel calore rinnovato dell'inizio, per partecipare ad una nuova festa che questa volta si celebra in occasione di due battesimi: quello del figlio che lo zio Gustav Adolf, simpatico filosofo edonista, ha avuto dalla balia Maj e quello del fratellino neonato di Fanny e Alexander.

E il suggello è dato da un passo de Il sogno l'opera che August Strindberg ha appena dato alle stampe e che la nonna Helena (lei pure cara vecchia attrice) viene invitata da Emilie a recitare: "Tutto può succedere, tutto è possibile e verosimile. Tempo e spazio non esistono. Su una realtà fluttuante la fantasia vola via e tesse nuove trame ..."

Ecco il testamento che anche Bergman ha voluto preordinare con questa sua opera eccelsa che scioglie, nella maniera più limpida e semplice, nel nome della verità dell'immaginario toccato dalla grazia dell'arte, tutti i nodi della sua annosa e sofferta problematica dell'esistere.

Superfluo aggiungere, o ripetere, con quale e quanta appassionata partecipazione si lascia seguire, da ogni genere di pubblico, la stupenda evocazione del maestro svedese, a quali e quanto dense aperture in tutti i tasti della commedia e del dramma, dell'onirico e dell'arcano, si affidino la vena e l'estro inesauribili di Bergman giustappunto in questa versione televisiva di Fanny e Alexander esaltata da un'inimitabile classica geometria di tempi e di ritmi.

Come sono difficilmente uguagliabili il suo splendore fotografico, la sua magnificenza scenografica, l'apporto incantatore di tutti i suoi interpreti.






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