Un'odissea nel medioevo prossimo venturo. Mick Jagger cacciatore alla Blade Runner
di Maurizio Porro
È la risposta newyorkese a «Blade Runner», scritta da Ron Shusett, sceneggiatore di "Alien" e "Atto di forza". Siamo nel 2009 (tra soli 17 anni), la metropoli è quella orrenda del Medioevo prossimo venturo: divisa per bande, degradata, fangosa, futuristica, tecnologica e classisticamente divisa tra poveri e ricchi.
Ma si fanno miracoli col computer: per esempio inserire, in un corpo vecchio, una "mens sana" presa un attimo prima di morire.
Si diventa così freejack. È quel che accade al giovane Alex (stesso nome di "Arancia meccanica"), corridore d'auto moribondo in incidente che si risveglia nel futuro, scopre la nuova "civiltà", ma non intende regalare il proprio corpo alla mente bacata di McCandless, boss dell'unica grande industria in cui fa carriera anche la sua ex ragazza.
Fuggitivo per vocazione, Alex scappa da tutto, schizza su auto dal design a guscio, nuota nelle fogne, senza riconoscere il mondo esterno, i vecchi amici, le piccole, amate cose del 1991: è questa la parte migliore di un film pasticciato e datato ma talvolta coinvolgente per la fantasia scenografica (Joe Alves).
Peccato che il messaggio sociale. molto didascalico, si annacqui strada facendo, quando da kolossal fantastico la storia diventa un fantaromanzo in interni da incubo.
Perché lei (la ex modella Rene Russo) e lui, saldati i debiti con la tecnologia e inseguiti dal "cacciatore" Mick Jagger, si ricongiungono, ma resta il capo, in attesa del commutatore spirituale.
Qualcosa accadrà, ma un po' di umanità è all'angolo di un improbabile happy end un po' pirandelliano che non nasconde il pessimismo fantascientifico di un soggetto che mescola i generi dello spettacolo.
Nella prima parte "Freejack, in fuga nel futuro" del neozelandese Geoff Murphy, maniaco del montaggio alternato, cattura la nostra attenzione, pur restando sotto il modello di Scott. La cinepresa spazia in soggettive, esplora il malanimo metropolitano in cui si riverbera la cattiva coscienza di fine secolo, inventa gadget del domani, svende l'ecologia: tutto pronto per un mondo che non «sentirà» nulla.
Il cast è ricco e talvolta efficiente, la rock star Mick Jagger ha un volto devastato, futuribile già ora; Emilio Estevez ha la faccia del bravo ragazzo (figlio di Martin e fratello di Charlie Sheen) che non capisce cosa accade: Anthony Hopkins, Oscar '92, è distratto ma offre qualche saldo del suo genio. Poche parole e una battuta da collezione: "L'immaginazione è più impaziente della conoscenza".
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