Una Padania made in Usa
di Maurizio Porro
È probabile che Joe Dante, regista di gloriosi «B movie» horror, non sapesse, non sappia, non saprà mai cosa sono Bossi e la Lega ma, senza sospettarlo, con «The Second Civil War» ha prodotto per la rete americana HBO il più attuale film italiano. Nonostante il titolo; «La seconda guerra civile americana» - pur raccontando di un governatore dell'Idaho, impegnato in una relazione sentimentale con una reporter tv, che decide di chiudere le «sue» frontiere innescando un perverso gioco massmediologico e politico - parla della situazione italiana, tale e quale. Parla di come uno degli United States, che sono United ma che sono soprattutto States indipendenti, decida, di fronte ai pakistani che premono ai confini dopo Lo scoppio di una bomba indiana, di fregarsene, di bloccare la frontiera: fatti loro. Consigliato da James Coburn che teorizza la vendita del «fumo» come prima regola per il successo elettorale (se non è attualità questa ... ), il presidente americano, uno dei tanti che il cinema ha messo in campo di recente, gli dà 67 ore e mezzo di ultimatum (non 72, per non far coincidere il messaggio televisivo con la soap opera di successo «All my children»). Ma intanto tutte le minoranze si ribellano: gli indiani, i musulmani, gli irlandesi, perfino i cinesi...
Da qui in poi l’irresistibile film di Dante, preceduto dall’iscrizione libertaria apparsa nel 1883 sulla Statua della libertà, che a tempo debito crollerà, si fa strada nel grottesco puro, arrivando alla smitizzazione di Davy Crockett. Ironizza al vetriolo sul basso tasso di intelligenza della politica (la parola successione viene presa per secessione, come la polemica tra «sbancare» e «sbiancare») e sul basso tasso morale dei mezzi di informazione, mentre gioca con la spasmodica attesa di una seconda, annunciatissima, guerra civile, per cui l'esercito, istituzione non risparmiata dalla satira, è già stato allertato. «Se le stesse cose fossero successe nel 1850», spiega l'autore, «ci sarebbero voluti mesi per diffondere la notizia, oggi invece tutto avviene in tempo reale e se un Paese chiude le frontiere gli altri lo seguono immediatamente».
Un pamphlet sulle camicie verdi dell'Idaho, cioè del Nord-est all'americano, finalmente non «politically correct», pieno di intuizioni geniali sul farsesco American and Italian way of life contemporaneo. Anche perché è spiritoso il copione di Martyn Burke, sono spiritosi gli attori (tra cui Beau Bridges, Joanna Cassidy, Phil Hartman), è spiritoso Joe Dante che privilegia il discorso dell'immigrazione, sepolto dal perbenismo della politica, anche clintoniana. «Non c'era giorno, mentre giravamo .il film, che non trovassimo sui giornali una notizia che sembrava uscita dalla nostra sceneggiatura». Potremmo sottoscrivere: per questo speriamo che in Italia «La seconda guerra civile americana» aiuti ad aprire gli occhi sulla secessione nostrana. Si parla della meschinità degli ideali, dell'interesse privato (affettivo) in pubblico; ma anche dei mezzi di comunicazione che, sostiene Dante, «disinformano» affinché passi la verità concordata. Il tutto senza far la voce grossa (ma alla fine la faccenda si fa seria) con una serie di battute folgoranti, di situazioni comiche e con un gioco, a perfetto incastro di mortali equivoci. Doveva essere solo un film tv e invece dalla Mostra di Venezia l'eco si è sentita tanto da spingere la Mikado ad acquistarlo per le sale (in tv se l'era già assicurato Raidue).
Produce, tra gli altri, il regista Barry Levinson, che ha appena finito un film (con Dustin Huffman) molto polemico: destinatario il presidente Usa.
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