Una Disneyland "marina" per lo Squalo
di Leonardo Autera
Segno di crisi a Hollywood e non trova di meglio che riesumare il vecchio «3-D», il sistema tridimensionale col fastidio degli occhiali polarizzati già tentato senza fortuna negli anni Cinquanta per stornare il pubblico dalla nascente televisione di massa. Se l'espediente non funzionò allora, quando era una novità, non si capisce perché debba funzionare adesso, visti gli scarsi perfezionamenti tecnici. Inoltre il sistema è stato applicato (e non poteva essere altrimenti) ad produzione di serie che pretende di richiamarsi al successo de Lo squalo n. 1, senza però avere nulla da spartire con la diabolica abilità di Steven Spielberg nel dosare gli effetti di un incubo reale e immanente nel dominio del quotidiano.
Eppure, per questo Squalo 3 (Jaws 3-D), qualcosa lasciavano sperare i nomi degli sceneggiatori, Richard Matheson e Cari Gottlieb, già efficienti collaboratori di Spielberg (il primo come autore del geniale soggetto di Duel, il secondo come compilatore unico proprio della sceneggiatura dello Squalo basata sul romanzo di Peter Benchley). Può darsi che il loro lavoro sia stato accurato anche in questo caso, ma risulta comunque cancellato da una confezione alquanto trasandata da parte dell'esordiente regista Joe Alves, che pure era stato prestigioso scenografo di quasi tutti i film dello stesso Spielberg, compreso Incontri ravvicinati del terzo tino.
La storia è ambientata nella «Sea World» della Florida, sorta di Disneyland acquatica costruita in una laguna artificiale collegata al mare aperto.
Già alla vigilia dell’inaugurazione del grande complesso cominciano i guai: un addetto ai lavori scompare misteriosamente dopo essersi tuffato in quelle acque e dopo altri incidenti si scopre la presenza di un micidiale squalo bianco infiltratosi oltre i cancelli della laguna. Alcuni ardimentosi riescono a catturarlo e il giorno dell'inaugurazione l'esemplare viene esibito al pubblico in una vasca come una delle molte attrazioni del parco (esibizioni di delfini ammaestrati, acrobazie coreografiche sugli sci d'acqua, tunnel sottomarino degli orrori e così via). Ma il mostro marino non può vivere in cattività e si lascia morire.
Fin qui nulla di molto grave se non si rivelasse nella laguna la presenza di un ben più mastodontico (dodici metri di lunghezza) squalo femmina, madre del cucciolo catturato e vero pericolo assassino che semina il panico, tra l'altro sfondando le vetrate della galleria «undersea» piena di visitatori.
Insomma il pedale del catastrofico viene premuto sempre più a fondo mentre si ingaggia la lotta contro il mostro infuriato (capace di ingoiare per intero, come la balena di Geppetto e Pinocchio, chiunque gli si pari di fronte) finché una carica di dinamite usata come esca non lo riduce a brandelli.
Arruffato e dispersivo soprattutto nella prima parte con situazioni appena accennate e scarsamente attinenti all'economia del racconto, il film deve qualche attrattiva alle curiose scenografie (naturalmente ideate dal regista stesso), ma per lo più si consuma in banali pretesti per effetti ed effettacci tridimensionali che, dopo le prime sorprese abortiscono nell'indifferenza.
È proprio la regia che non sa trarre partito dai momenti cardine e di possibile tensione della storia (nessun rilievo, per esempio, assume il panico che dovrebbe serpeggiare tra la folla in pericolo), e di conseguenza anche gli interpreti (generalmente sconosciuti se si eccettua Louis Gossett jr., l'istruttore negro di Ufficiale e gentiluomo qui nei panni del dirigente in testa della Disneyland marina) non possono che comportarsi alla stregua della bambocciata.
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