di Maurizio Porro

Un altro Luca, il protagonista di La casa del buon ritorno opera seconda del trentanovenne Beppe Cino, vista alla sezione De Sica: è un racconto gotico e raccapricciante, con pericolose deviazioni di "Psycho" all'italiana, ma girato tecnicamente con una perizia talvolta espressiva.

Un giovane, tornando proustianamente nella casa dell'infanzia, viene assalito da un trauma omicida a causa di una tragedia causata e vissuta da piccolo. Saranno più d'una le ragazze che faranno una brutta fine, fino al risolutore suicidio finale. Si vede che il regista ha una certa mano per l'efficacia del cinema, peccato che prediliga ancora le datate atmosfere criptiche in cui si può nascondere il Tutto e il Nulla e nelle quali comunque lo spettatore non è invitato a incamminarsi, perché gli mancano gli strumenti. Non si capisce infatti se La casa del buon ritorno sia un thriller, un horror, una storia d'amore (in questa zona si raccoglie il meglio) o una seduta di analisi: lo spiacevole è che comunque sembra una cosa già vista, e che desidera rimanere volutamente nell'oscuro. Stefano Gabrini soffre, si inalbera, è preso da raptus, o almeno fa del suo meglio per farcelo credere, mentre Amanda Sandrelli, la ragazzina che rischia di stargli accanto, come in un classico film del terrore di serie B (c'è perfino la maniglia forzata) passa di paura in paura, di emozione in emozione. Non si dispiaccia se le diciamo che ricorda spesso la mamma, nei toni e nelle occhiate; è solo per farle un complimento.

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