L. Sprague De Camp: umorismo e fantasia 1ª parte
di Marcello Bonati
Eccoci, dunque, ad analizzare cronologicamente alcuni romanzi di L. Sprague De Camp; spazieremo dal suo primo periodo fino alla produzione più recente, lasciando da parte, volontariamente, la parte della sua opera che riguarda la continuazione e la rifinitura dei testi howardiani (di cui vorrei parlare in seguito in un altro articolo dedicato espressamente a Howard ed ai suoi "coadiuvatori" sia a lui contemporanei che postumi). Iniziamo con "Abisso del passato" (Lest Darkness Fall, 1939) (1).
Vecchio classico, questo romanzo tratta del tema dei viaggi nel tempo.
Certo oggi come oggi tale tema è trito e ritrito, basti pensare a romanzi come "I guardiani del tempo" (Guardians of Time, 1960) di Paul Anderson, o a "Il paradosso del passato" (Up the Line, 1969) di Robert Silverberg, e tanti altri ancora che da quando è stato pubblicato questo "Abisso del passato" sono apparsi nelle nostre librerie. La caratteristica saliente che marca, se così si può dire, questo testo, è l'erudizione con cui l'autore affronta il tema, ovvero; la trama è infarcita di cognizioni storiche molto precise, e, ad un certo punto della lettura, il lettore si chiede: "Ma devo sapere la storia romana antica per capirci qualcosa?" La risposta è no, anche se, evidentemente, sarebbe meglio; ovvero, se qualcuno di voi è un latinista, ha appena sostenuto un esame di storia romana, o qualcosa del genere, qui troverà pane per i suoi denti.
Altra caratteristica è la velocità con cui si succedono gli episodi, che a volte è veramente vorticosa; un po’ come accadeva nei vecchi romanzi di Van Vogt, anche certo non fino a raggiungere quei livelli di caleidoscopicità. La vena ironica, tipica del Nostro, già si intravede, anche se non ai suoi massimi livelli, e chi cerca della poesia in prosa stia ben lontano da questo romanzo.
Molto interessante, in conclusione, il saggio di Moskovitz, uno dei pochissimi sussidi critici per chi voglia affrontare la lettura dell'opera del Nostro, anche se lo segue solo fino al '64 ed il resto della sua produzione è coperta unicamente da una breve nota, incompleta, dell'autore.
Passiamo quindi ad un altro romanzo, comparso anch'esso nel 1939, "Le dimensioni del sogno" (The Carneliann Cube) (2), che De Camp scrisse in collaborazione con Fletcher Pratt che, principalmente, è confuso.
Si tratta del vagabondaggio del protagonista, Arthur Finch, da un mondo all'altro, da una dimensione all'altra, in un quadro generale che si tenta sempre di costruire ma che sfugge ogni volta di mano.
I mondi hanno diverse caratteristiche, per lo più improntate su diversità sulla scala razionale-irrazionale, ed il tutto è tenuto insieme da un tenue filo, il fatidico cubetto di Caniola, (al titolo originale), che è il mezzo attraverso il quale Finch trasborda da una dimensione all'altra. La passione per gli studi storici e gli arzigogolamenti intellettualistici di De Camp riaffiorano in pieno, come pure la sua ironia tutta particolare; certo non saprei dire quali parti ha scritto l'uno e quali l'altro, ma, nell'insieme, la presenza di due personalità si riscontra appieno.
In conclusione, un libro che non consiglio proprio a nessuno; se avete letto qualche libro di De Camp e vorreste leggerne altri, escludete, a colpo sicuro, questo. Per lo meno la traduzione e l'introduzione sono state fatte dalla nostra bravissima Roberta Rambelli... che chissà cosa sarebbe saltato fuori, altrimenti!
Salto di due anni, ed esce "Gorilla sapiens" (Genus Homo, 1941) (3), anche questo a quattro mani, ma questa volta è P. Schuyler Miller il collaboratore, ed i risultati sono decisamente migliori. Splendido classico, questo, nel parlare del quale non si può fare a meno di ricordare l'altrettanto e forse più famoso "Il pianeta delle scimmie" (La planéte des singes) di Pierre Boulle, pubblicato, comunque, parecchi anni dopo di questo, e di conseguenza la tetralogia di film ad esso ispirati recentemente regalataci da mamma RAI. Il romanzo si può suddividere tranquillamente in tre parti: nella prima c'è il risveglio degli occupanti di un pullman addormentati per secoli da un gas appena inventato, il loro progressivo rendersi conto della situazione in cui si trovano ed il loro organizzarsi, oltre ai primi contatti con una natura totalmente mutata; la seconda parte, invece, narra del contatto di questi superstiti del genere umano con i nuovi padroni della terra, i Gorilla, che hanno civiltà, città, scrittura, cultura, tutto quanto; nella terza parte vi è la guerra dei Gorilla, affiancati dagli umani e dalla civiltà dei castori giganti, contro i Babbuini, acerrimi nemici da secoli; con la vittoria finale, chiaramente, dei primi.
Il tutto è molto scorrevole, di piacevole lettura, con pochi punti deboli e non rari spunti di umorismo piuttosto ben riusciti. Il tono è leggero, forse più che nel sovracitato "Il pianeta delle scimmie" e la situazione, per lo meno insolita, viene fatta risaltare con una maestria tale da renderla del tutto credibile, sia sul piano scientifico che su quello umanistico. In conclusione, veramente ottimo, anche se, forse, la terza parte sarebbe stata più gustabile se invece della guerra avesse avuto come argomento quello dell'adattamento progressivo degli umani nella società gorillese... ma non si può avere tutto dalla vita, accontentiamoci; per un finale come lo avrei voluto io il romanzo avrebbe dovuto essere stato scritto non nel '41 ma per lo meno a metà degli anni '60.
L'anno successivo, esce "La terra dell'impossibile" (Land of Unreason, '42) (4), altra collaborazione con Fletcher Pratt, ma di tutt'altra fattura.
Qui siamo in piena fantasy, tanto è vero che il mondo in cui si svolge la scena è un mondo alternativo, è Fairyland, il paese delle fate.
Un diplomatico inglese, durante la seconda guerra mondiale, viene scaraventato per un errore, piuttosto fantasioso, in questo mondo alternativo, e ivi viene trattato come un changeling, un bimbo rapito dal mondo dei mortali; ma ben presto il suo destino muta, la sua maturità viene scoperta, e le sue doti di diplomatico vengono messe a frutto.
Portato alla corte di re Oberon, viene a sapere di strani terribili mutamenti che stanno infestando Fairyland, e viene mandato in missione presso i Coboldi, popolo delle colline, che, a differenza dei sudditi di Oberon, possono maneggiare il ferro, e che starebbero progettando una guerra contro il reame.
Ma la missione si rivelerà molto più estesa e complessa del previsto; le mutazioni toccheranno in prima persona Barber, che man mano diverrà il protagonista di una leggenda antica; sconfiggerà i Coboldi, toccando il primo sito, si trasformerà in ranocchio, e sotto codeste spoglie debellerà una dittatura, toccando il secondo sito, poi, trasformatosi in essere dotato di ali di pipistrello, giungerà, nel più nefasto momento delle mutazioni nel regno di Oberon, al castello di Wartburg, ove ritroverà la sua vera identità, quella del Barbarossa della leggenda, lui e Oberon stringeranno un'allenza, e la pace ritornerà su Fairyland.
Queste le tracce principali della trama, al cui interno, però, ritroviamo infiniti piccoli incantesimi, disquisizioni, strade da cercare.
È quindi un tipico romanzo di Recherque in cui il protagonista, attraverso le proprie peripezie, ritrova sé stesso, ma sotto nuove vesti; molto marcata, infatti, la continua sensazione di Barber di trovarsi in procinto di scoprire qualcosa di estremamente importante, come quando, nel finale, si trova di fronte a sé stesso, ibernato, sotto la calotta di ghiaccio: "Un brivido di travolgente attesa lo percorse, quasi si trovasse alla soglia di qualcosa di splendido e terribile allo stesso tempo..."
Come ben dice Lin Carte nell'introduzione: "Nella loro collaborazione (di De Camp e Pratt) rientrava una ricchezza di cognizioni mitologiche e letterarie oltre che uno studio altamente tecnico di magia rituale o anche accenni di antropologia."
In conclusione, stupendo, veramente da non perdersi, una lettura entusiasmante e realmente ricca di simbolismi e di rimandi, che è ben difficile perdersi, sbagliare linea interpretativa, come, d'altro canto, è estremamente facile spaziare in luoghi mentali molto ricchi.
L'introduzione di Lin Carter: "Un americano del Michigan alla corte di re Oberon", è molto ricca di dati, specialmente su Pratt e sull'inizio della collaborazione De Camp-Pratt; a che piacesse Tolkien e compagnia bella... non se lo lasci scappare.
Ora il salto è molto più lungo, ben nove anni, fino ad arrivare all'uscita di "La principessa indesiderata" (The Undesidered Princess, 1951) (5).
Anche qui si tratta di fantasy, ma, a differenza del precedente, l'ambiente in cui si svolge l'azione non è un mondo di tale genere, più o meno riconoscibile; la trovata è quella di un mondo in cui valgono le leggi aristoteliche, per cui una cosa è tale o non tale, senza possibilità di dubbio. Il protagonista è Rolling Hobart, un ingegnere di New York, che viene rapito da Himon, un asceta di tale mondo parallelo. Il feeling che regge tutta la storia è quello del continuo tentativo del protagonista di svincolarsi dagli impegni in cui si trova invischiato per tentare di tornare al suo mondo, il nostro mondo. Ma, in una spirale di avvenimenti, lo vediamo salire gradualmente la scala sociale di quel mondo, fino al ruolo di dio; una volta raggiuntolo, però, darà ordini tali da esaudire, alfine, il suo più profondo desiderio. Non manca, quindi, il lieto fine, con pure il matrimonio con la bella principessa Argimanda, da lui salvata per ben due volte, che lo segue, o meglio, lo precede, nel mondo reale, insieme ad un leone rimpicciolito alle dimensioni di un gatto.
I colpi di scena non mancano, né tanto meno gli spunti di divertita speculazione sulle possibili conseguenze di un mondo retto da tali leggi.
In conclusione un buon romanzo, piacevole e scorrevole; unica pecca del volume è la mancanza della sia pur minima introduzione; qualche accenno lo si può trovare nella già nominata introduzione di Lin Carter.
Arriviamo adesso a quelli che possiamo tranquillamente considerare i romanzi di Heroic fantasy del Nostro, che sono tre, di cui uno isolato e due che insieme formano un ciclo; il primo è "L'anello del Tritone" (The Tritorian Ring, 1953) (6).
È l'avventura di un principe dell'età del bronzo, un principe di Poseidonis, Atlantide, ai tempi in cui non era ancora scomparsa.
È, inutile dirlo, un viaggio pieno di avventure e, soprattutto, di duelli cappa e spada, di incantesimi e di magie, alla ricerca di qualcosa, che in questo caso è il fatidico anello del tritone, la cosa più temuta dagli dei, poiché interrompe i contatti tra questi ed i mortali che ne sono in possesso.
Più precisamente è il ferro, metallo che, nella leggenda interna al libro, è piovuto dal cielo, sotto forma di meteora.
L'ingegno di De Camp si riscontra soprattutto nella descrizione di infinite civiltà, popoli, nazioni e costumi, mentre decisamente stucchevoli, a volte, le descrizioni più o meno sempre uguali di duelli.
Altro fattore interessante è che i nemici contro cui combatte l'eroe,sono degli dei, che, alla fin fine, risultano piuttosto buffi, appunto, sulla via della sconfitta, della loro definitiva scomparsa, già intrasentita verso la fine del romanzo.
Molto ben fatta l'introduzione di Riccardo Valla, in cui tenta, con ottimi risultati, di inquadrare questa parte della produzione di De Camp nell'ambito della tradizione di questo genere, venendo a riscontrare l'esistenza di due scuole all'interno di essa, ovverosia quella che segue Lovecraft e quella che imita Howard... e, chiaramente, De Camp fa parte di questi ultimi. Ultima nota: facendo un'eccezione, nominerò qui un racconto del Nostro, "L'occhio di Tandyla" (The Eye of Tandyla, 1951) (7), che ha per sfondo lo stesso mondo di questo romanzo, e che rende noto al lettore un piccolo particolare dell'opera; cosa sia l'imprecazione più usata da Vakar, l'eroe protagonista.
NOTE-CRITICHE
1) C. Oro n. 4 Nord '72-trad. di R. Prinzhofer. Pubblicaz. originale su Unknow Dic.1939; correlati critici: "L.S. De Camp", Sam Moskowitz
2) Galassia 146, '71 trad. di R. Rambelli; correlati critici: Presentazione di R. Rambelli
3) Class. Fantascienza n. 23 Mondadori, '79-trad. P. Dalloro
4) Saga 17 ed. Meb '77; trad. M. Maiocco-corr. critici: "Un americano del Michigan alla corte di re Oberon" di Lin Carter
5) Saga 18 ed. Meb '78; trad. M. Matossi L'Orsa
6) Fantacollana n. 2 ed. Nord '73 trad. Riccardo Valla-correlati critici "Introduzione" di R. Valla
7) "Tempo senza tempo" Pocket Fantascienza 524 ed. Longanesi '75-trad S. Schumpler
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