Un mare di guai con la vodka subacquea
di Giovanna Grassi
Il titolo si riferisce al nome di una nave sovietica «sepolta» nell'Oceano Atlantico, a oltre tremila metri sott'acqua. Nei paraggi del relitto, di cui però ignorano l'esistenza, lavorano alcuni scienziati, geologi e minatori di profondità marine. Uomini e donne, otto in tutto, abitano lo Shack 7, un ottagono d'acciaio tecnologicamente perfetto ed ecologicamente puro, e sono alle dipendenze di una multinazionale per la quale estraggono, da alcuni depositi, argento e minerali.
Le ricerche e i trivellamenti vengono fatti con strumenti incredibilmente perfezionati e con scafandri motorizzati perché scienza e tecnica sono state messe con investimenti da milioni e milioni di dollari al servizio della multinazionale Tri-Oceanic.
Tutto sembra procedere serenamente in quel microcosmo sott'acqua, ma quando due esploratori trovano il relitto della nave russa da carico e uno di essi compie l'errore di impadronirsi segretamente di una bottiglia di vodka rinvenuta nella stiva ha inizio una tragedia. Orrende trasformazioni e infezioni genetiche sconvolgono l'equipaggio con colpi di scena horror e con una forte e convincente suspense intorno alla quale si legano i caratteri dei diversi personaggi e le apparizioni di una ributtante «creatura».
Il finale, dopo tante ombre subacquee, propone uno squarcio di sole che, però, a godersi saranno in pochi, dopo tante carneficine sul fondo marino.
«Leviathan», sia pure «déja vu» e ricalcato per alcuni spunti su «Alien», è un solido e avvincente esempio di film spettacolare ed è realizzato con grande professionismo e con una tecnica d'altissimo livello che comprende i grandi nomi dei responsabili degli effetti speciali, dei trucchi, di Alex Thomson direttore della fotografia, di Jerry Goldsmith autore della colonna sonora e del responsabile del fluido montaggio.
Autentico kolossal nella resa visiva e nella cura di ogni particolare, il film è un po’ fragile nella sceneggiatura che caratterizza eccessivamente i diversi personaggi interpretati da attori però di buona resa, come il «robocop» Peter Weller, il veterano Richard Crenna, il vigoroso Hector Elizondo, le emergenti Amanda Pays e Lisa Eilbacher. George Pan Cosmatos, regista discontinuo, sorregge con un solido mestiere il suggestivo gioco realistico e fantascientifico.
«Leviathan» è un riuscito esempio di produzione italiana al servizio di un cinema «a effetto», che non ha alcunché da invidiare alle grandi produzioni statunitensi.
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