Mitologie aliene
di Claudio Tinivella
Il piccolo bughi giallo fece capolino dalla porta nel momento meno opportuno, come al solito. Era irritante quel suo modo di comportarsi, per ore e ore non sapevi manco dove fosse, poi, quando meno te l'aspettavi, saltava fuori dai luoghi più impensabili. Io sbuffai infastidito, ma Anna fu abbastanza gentile da dedicargli un sorriso.
Kloid (si chiamava così) saltò sul tavolino e sgattaiolò agilmente verso la pila di fogli che Anna aveva appena ordinato. Si accontentò di darle una rapida occhiata poi, con quella sua aria finto-innocente, si fermò accanto a me e si mise a leggere i miei appunti. Sapeva benissimo che non sopporto che gli altri vengano a ficcare il naso nelle mie carte, eppure non si lasciava scappare un'occasione per farlo.
"Via di qui!" ringhiai, allontanandolo con una manata. Lui fece un salto e per poco non cadde dal tavolo.
Anna lo prese delicatamente fra le sue mani e si mise ad accarezzarlo.
"Sempre violento devi essere" mi rimproverò. Fui tentato di replicare, ma capii che sarebbe stato inutile.
La passione di mia moglie per quella creatura era del tutto irrazionale, e non sarei mai riuscito a farle cambiare idea.
E poi Kloid era utile anche a me, di tanto in tanto. Era uno dei pochi bughi ad aver appreso correttamente la lingua terrestre, e per di più conosceva un numero enorme di canzoni tradizionali, era un'autentica miniera d'oro per le mie ricerche. Se solo fosse stato meno insopportabile, quasi quasi sarei stato felice che Anna lo avesse convinto a venire a vivere con noi.
In quei giorni stavo lavorando sul ciclo di Arghim il Trasformatore. Avevo raccolto una buona quantità di ballate e di leggende incentrate su di lui, e lo stesso Kloid era stato una delle mie fonti principali. Ormai però il lavoro di raccolta era pressoché ultimato, stavo già intraprendendo lo studio vero e proprio (una fatica immane: c'era da analizzare e interpretare una decina di canzoni e altrettante ballate, verificare l'esatta traduzione di parole ed espressioni arcaiche delle quali talvolta gli stessi cantori avevano dimenticato il significato, inquadrare il materiale in mio possesso nel più ampio corpus della cultura dei bughi) e come sempre in questi periodi ero piuttosto nervoso.
El-Trair è un buon pianeta (voglio dire, a un ricercatore sul campo può capitare ben di peggio), ma in qualche modo dopo sette mesi trascorsi su di esso la nostalgia di casa aveva preso a farsi sentire, e avvertivo il bisogno di una compagnia diversa da quella offerta da bestiole non più grandi di un gatto e capaci solo di cantare per tutto il santo giorno.
Cercai di dissimulare l'irritazione che l'improvvisa comparsa del bughi aveva suscitato in me e mi rimisi al lavoro. Era destino, tuttavia, che quel giorno non riuscissi a combinare più nulla, in quanto Anna mi chiamò e mi disse:
"Alex, Kloid vorrebbe che tu andassi con lui al villaggio. Dice che è importante."
Guardai interrogativamente mia moglie, e poi il bughi. Questi aveva assunto un'espressione ancora più timida del solito, sembrava sul punto di mettersi a tremare.
"Da quando in qua ti sei messa a fargli da portavoce?" chiesi, acido "Mi sembrava che sapesse parlare anche lui... "
"Alex!" mi interruppe Anna, e dal tono che usò capii che era parecchio seccata "Non capisci che facendo così lo impaurisci?"
"Lo sai benissimo che quando sto lavorando sono sempre nervoso" cercai di giustificarmi. Lasciai perdere gli appunti. Spensi il computer e volsi la sedia in direzione del bughi.
"Allora, cosa c'è che non va?" gli chiesi, cercando di mostrarmi affabile.
Kloid guardò alternativamente Anna e me, come incerto se rispondermi o meno.
"Va tutto bene" disse poi, con quel suo vocino melodioso "Non c'è nessun problema."
Mascherai la delusione con un'espressione di grande sicurezza. Per un momento mi ero visto nei panni del salvatore della patria, e la prospettiva non mi era parsa poi troppo brutta.
"Perché vuoi che venga al villaggio, allora?" gli chiesi, scandendo con cura le parole. Sentivo l'esasperazione crescere dentro di me.
"Stasera è una sera particolare" mi rispose il bughi "Vedrà qualcosa di interessante."
Quel piccolo diavoletto era sempre troppo laconico. Ma quando mi aveva promesso qualcosa di interessante aveva sempre avuto ragione. Cos'altro potevo fare, se non seguirlo?
Ci mettemmo in cammino poco prima del tramonto. Il villaggio distava non più di un chilometro dalla nostra base, e preferimmo andarci a piedi. Il bughi, nonostante le ridotte dimensioni, non faticava a tenere il mio passo, e oltretutto un po' di mote mi avrebbe fatto bene.
Per tutto il tragitto mi scervellai per cercare di scoprire le ragioni che rendevano quella una sera particolare, ma non ne trovai. Per quanto ne sapevo, era una normalissima sera, priva di eventi astronomici degni di qualche rilevanza, assolutamente indistinguibile dalle altre che l'avevano preceduta e l'avrebbero seguita.
Una pungente curiosità crebbe dentro di me, man mane che ci appressavamo al villaggio, e quasi inavvertitamente mi trovai ad aumentare l'andatura non appena intravidi in distanza le luci che ne rischiaravano le vie notturne.
Kloid, al contrario, sembrava sempre più restio a camminare, come se ci fosse qualcosa che lo contrariava, o che temeva. Avrei voluto chiedergli i motivi del suo insolito atteggiamento, ma sapevo che i bughi sono sempre molto riservati, non amano parlare delle proprie emozioni se non in occasioni rarissime. Non volevo offenderlo.
Anna era rimasta alla base. Aveva parlottato per un po' con Kloid, poi mi aveva confessato che non se la sentiva di venire con me. "È meglio che resti a casa", aveva detto, e io avevo preferito non insistere.
Stavamo per iniziare la rampa che conduceva al villaggio vero e proprio quando Kloid si decise a rompere il silenzio.
"Signor Alex, qualunque cosa penserà di me dopo stanotte, voglio che sappia che sono molto felice di averla conosciuta. Serberò sempre un piacevole ricordo di lei... e di sua moglie."
Le parole del bughi mi sorpresero spiacevolmente. Per la prima volta da che lo conoscevo avevo sentito una stonatura nella sua voce.
"Perché dici questo?" indagai "Hai mica intenzione di lasciarci?"
"Forse" rispose, di malavoglia dopo una breve esitazione.
Un brivido mi corse per la schiena. Dopotutto, quella poteva essere davvero una serata particolare, forse indimenticabile.
I miei rapporti col villaggio di Kloid duravano ormai da quattro mesi. Per i primi tempi io e Anna avevamo vagato in lungo e in largo per il vasto continente equatoriale, stabilendo fugaci contatti con svariate comunità. Giungendo a Firlize però (quello era il nome del villaggio) avevo avuto l'immediata sensazione di aver trovato una comunità culturalmente molto più ricca di tutte le altre con le quali avevo avuto a che fare in precedenza, così decisi di stabilirmi per qualche tempo nei suoi paraggi. In seguito scoprii che alcuni bughi di quel villaggio avevano appreso i primi rudimenti della nostra lingua e questo valse a convincermi definitivamente a piantare le tende in quella zona.
I bughi sono una specie tuttora poco conosciuta. I primi uomini misero piede sul loro pianeta una settantina d'anni fa, ma da allora ben poche sono state le spedizioni umane a scopi scientifici, e i dati raccolti sulla loro cultura e sui loro ordinamenti sociali sono ancora piuttosto lacunosi.
Il villaggio, che ospitava all'incirca diecimila individui, sorgeva su di un'altura, una bassa collinetta di origine alluvionale, e aveva una bizzarra forma esagonale che non trovava riscontro in nessun altro abitato da me osservato.
Io non sono uno specialista di società aliene (il mio campo è l'etnologia), ma nel tempo libero mi ero dilettato nello studio dell'organizzazione sociale di Firlize, senza però ottenere grandi risultati. La popolazione del villaggio sembrava vivere in compartimenti stagni, divisa in gruppi (clan o caste) alla cui origine non stavano legami di sangue o altre distinzioni razziali o sessuali, ma sottili, inafferrabili differenze che nessuna parola della nostra lingua era in grado di esprimere. Dal punto di vista evolutivo, i bughi si trovavano a uno stadio ancora abbastanza primitivo, tuttavia il loro bagaglio culturale rivelava di tanto in tanto sottigliezze impensabili.
Sapevano cantare dannatamente bene, quelle piccole canaglie. Era forse questo che me li rendeva così insopportabilmente antipatici: io amavo la musica, da sempre; da bambino avevo sognato di diventare musicista, ma per uno di quei paradossi tanto cari a Madre Natura il mio talento in quel campo risultò nullo. Per quanto ci dessi dentro, prendessi un sacco di lezioni, leggessi libri e riviste sull'argomento, non riuscii mai a imparare a suonare decentemente uno strumento. Un maestro un giorno me l'aveva detto, con brutale sincerità: avrei potuto imparare a far tutto, nella vita, ma non a suonare. Non ci ero portato.
Ero totalmente sprovvisto di orecchio musicale. La delusione che provai quel giorno ...
Con le loro voci sottili e armoniose i bughi cantavano per ore e ore, dimentichi di tutto. Cantavano dei loro eroi, delle genti dei tempi antichi, di guerre e battaglie che nessuno più sapeva quando erano state combattute, di storie d'amore struggenti e incomprensibili, e tu li stavi a sentire senza accorgerti dello scorrere del tempo, affascinato dal mondo meraviglioso che riviveva in quelle canzoni, e avresti desiderato che il canto non finisse mai. Poi alla fine ti chiedevi come avevi potuto lasciarti avvincere da quell'arte ingenua e primitiva, ti sembrava impossibile che fosse trascorso così tanto tempo.
A me, più che altro, veniva dentro una rabbia sorda, di fronte a quelle creature così dotate. Se avessi potuto, li avrei uccisi tutti, quei pupazzetti di peluche perennemente spensierati, loro e tutti i loro roboanti eroi da melodramma ...
Ma il fatto era che i bughi possedevano un epos molto interessante, e io era lì per studiarlo. Dovevo far finta di niente, ricacciare indietro il sentimento velenoso (era forse invidia?) che me li faceva detestare e limitarmi a registrare i loro canti, trascriverli e ordinare l'abbondante materiale mitologico che se ne ricavava. A parte ogni altra considerazione, dovevo ammettere che il lavoro che stavo compiendo era ricco di soddisfazioni. La bellezza e l'originalità del mondo poetico che mi si andava svelando ricompensavano abbondantemente le frustrazioni che mi costava il vivere a contatto con i bughi; inoltre, i risultati che stavo ottenendo mi lasciavano ben sperare per il dottorato, e più in là per un poste alla Fondazione Ughi.
Nove mesi su El-Trair, dopotutto, non erano un prezzo troppo alto per conquistarsi il paradiso.
La prima cosa che notai, entrando nel villaggio, fu che i bughi si erano messi in maschera. Quasi tutti gli individui che si vedevano in giro, a eccezione dei piccoli, avevano il pelo dipinto a colori vivaci, secondo disegni geometrici vagamente inquietanti. Se ne stavano in gran parte raggruppati in assembramenti cromaticamente omogenei (probabilmente connessi con il gruppo/clan/casta di appartenenza, pensai), per una volta silenziosi, ammutoliti.
"Io devo andare a prepararmi" sussurro Kloid, e prima che potessi anche solo accennare un saluto scomparve nei meandri del villaggio.
Incerto su dove andare, rimasi fermo in attesa di chissà quali disposizioni, chiedendomi cosa diavolo stesse succedendo a quelle creature di solito così tranquille. Avvertivo nell'aria un palpabile nervosismo, e i bughi erano troppo circospetti, troppo taciturni.
Mi sentii toccare una gamba. Una vocetta più sottile ancora di quelle a cui avevo dovuto assuefarmi mi apostrofò, parlando nel sonoro dialetto locale:
"Uomogrande, tu non puoi restare qui. Ti abbiamo preparato un posto più sicuro. Di là potrai osservare ciò che succede."
Era il figlio più piccolo del capovillaggio (o perlomeno: del bughi che ricopriva una carica vagamente assimilabile a quella di capovillaggio). Mi stava indicando una zona lievemente sopraelevata, al centro della quale si scorgeva un rudimentale gabbione di legno. Notai che anche lui sembrava un po' spaventato, molto teso, e per la seconda volta mi chiesi cosa stesse succedendo. Gli feci cenno di precedermi e lui mi guidò al mio posto d'osservazione.
La notte era incredibilmente silenziosa. Nell'intero villaggio non si udiva un solo insetto ronzare. Avvertii la tensione che cresceva dentro di me in modo spasmodico. Cercai di rilassarmi, senza però riuscirci.
D'improvviso iniziai a percepire un rumore cupo, che pareva provenire da sottoterra. Una ventata di agitazione scompigliò le file dei bughi, ma subito l'ordine si ricompose. Un battito di tamburo si levò da un punto imprecisato, nel cuore del villaggio.
Lo spettacolo era inconsueto, ma mi aspettavo che da un momento all'altro si incanalasse in una delle forme tipiche dei rituali primitivi. La presenza del tamburo mi faceva supporre che si trattasse di una danza, o di una cerimonia magica incentrata in qualche modo sulla musica.
In effetti non ero del tutto in errore: nel giro di pochi minuti la danza ebbe inizio. Ma con un imprevisto: a danzare non erano i bughi.
Gli altri emersero dal buio come ombre furtive, materializzandosi dal niente. Sembravano grossi lumaconi, e dalle loro antenne, o da qualcosa che avevano sul capo, uscivano spruzzi di un liquido che vaporizzava immediatamente, creando una sorta di cortina fumogena. Un odore denso e dolciastro giunse fino a me, ma il fumo rimase ben al di sotto del luogo in cui mi trovavo, stagnando come nebbia mattutina. Fu sufficiente il suo profumo, tuttavia, a inebriarmi, a procurarmi una bizzarra sensazione di distanza, di altezza vertiginosa.
Per un istante, vinto dalla bellezza di quella sensazione, persi di vista la scena che si andava svolgendo sotto ai miei occhi, e quando riportai l'attenzione sui bughi e sulle strane creature emerse dalla notte notai che vi era stato un significativo mutamento: ognuno dei nuovi arrivati, ora, era circondato da un gruppetto di bughi e si muoveva a un ritmo parossistico spruzzando tutt'intorno quegli schizzi che svaporavano, contribuendo con ciò ad addensare ulteriormente la già fitta cortina fumogena che stagnava sul villaggio.
Notai, con un moto di autentica meraviglia, che quegli strani lumaconi avevano l'epidermide colorata, e benché la distanza mi rendesse difficile individuare i disegni che vi erano stati tracciati mi parve di indovinare una notevole rassomiglianza fra questi e quelli dipinti sul pelo dei bughi che li attorniavano.
La danza raggiunse un ritmo frenetico, ai tamburi si affiancò un altro suono (avrei giurato che fossero voci che cantavano, ammesso che potessero esistere voci così spaventose). poi, in modo del tutto inatteso, fecero la loro comparsa i coltelli.
Rimasi incredulo a osservare, quando il primo bughi lo affondò nel corpo molle e guizzante del lumacone.
Un umore giallastro prese a scorrere dalla ferita, e subito altri bughi si avventarono sulla loro vittima, colpendo senza pietà, affondando i coltelli fino al manico, raccogliendo il liquido che fuoriusciva dai tagli nelle loro piccole mani e versandoselo sul capo.
A questo punto successe qualcosa di strano. Nel ricordo la scena che si svolgeva sotto di me si confonde con altre immagini di cui non comprendo l'origine. Probabilmente le sostanze allucinogene che aleggiavano nell'aria fiaccarono la resistenza della mia psiche, e per alcuni minuti mi abbandonai a un flusso incontrollato di visioni.
Quando riguadagnai il controllo dei miei atti, il massacro era già iniziato. I bughi avevano preso a smembrare i corpi degli avversari uccisi e a cibarsene, e mentre i tamburi tacevano e le voci salmodianti urlavano con selvaggia violenza qualcosa prese a parlare dentro di me, con grande tristezza, con tenacia.
Un flusso inarrestabile di immagini irruppe nella mia mente, a fiotti, senza tuttavia riuscire a raggiungere il nucleo cosciente del mio essere. Era come una visione rapidissima da un mezzo in movimento, o spezzoni di film diversi montati assieme senza alcuna logica, ma le sensazioni che mi provocava erano piacevoli.
Poi ci fu una specie di lampo luminoso che incenerì ogni pensiero e quando tornai ad aprire gli occhi il villaggio era piombato nel buio e nel silenzio, i bughi se ne stavano ammassati al suolo in ordine sparso, immobili, e del denso fumo che stagnava fino a pochi minuti prima non rimaneva che una leggera traccia di odore nell'aria.
Abbandonai il mio posto di osservazione senza chiedere il permesso a nessuno. Raggiunsi la mia abitazione camminando ad altezze inaccessibili, sollevato dal mondo e dal suolo di chilometri e chilometri, incapace di riancorarmi al terreno.
Dormii per più di venti ore, e Anna non ebbe il coraggio di svegliarmi per chiedermi com'era andata.
Kloid non si fece più vedere, e dopo un paio di giorni di apprensione mia moglie decise di andare al villaggio a indagare. Il racconto della cerimonia a cui avevo assistito l'aveva molto impressionata, ma sospettavo non credesse fino in fondo alle mie parole. Del resto era io il primo a nutrire qualche dubbio sull'autenticità dei miei ricordi: rammentavo fin troppo bene il senso di ebbrezza che mi aveva assalito non appena una folata di vento aveva portato verso di me un refolo del fumo che stagnava più in basso, ed ero consapevole che da lì in avanti le mie percezioni si erano alterate. Non potevo escludere che una parte di ciò che avevo visto fosse il frutto di allucinazioni prodotte dal mio inconscio, di conseguenza non riuscivo a dare un giudizio definitivo sul rito di cui ero stato spettatore.
Anna tornò dal villaggio con più dubbi di quando era partita, e la sua inquietudine mi contagiò rapidamente.
In breve: al villaggio non c'era più traccia né di Kloid né di altri bughi di nostra conoscenza. La popolazione appariva di colpo molto ringiovanita, in preda a un frenetico attivismo. Le costruzioni più antiche venivano abbattute, altre ne venivano erette in luoghi diversi, gli edifici pubblici mutavano disposizione, piazze e vie venivano ridisegnate.
Anna fu molto turbata da queste novità, era in ansia per la sorte di Kloid. Era molto affezionata al bughi, la sua scomparsa l'aveva sconvolta più di quanto avessi previsto. Per rincuorarla le promisi che avrei fatto il possibile per ritrovarlo, ma non mi parve che lei desse molta importanza alle mie parole.
Quel pomeriggio per un po' cercai di lavorare, poi, visto che non mi riusciva di combinare nulla di buono, piantai tutto e andai a visitare il villaggio dei bughi. Orientandomi a fatica nel labirinto di vie che non conoscevo più, trovai la capanna del capovillaggio. Un giovane bughi dall'aria molto sicura di sé se ne stava accovacciato accanto all'ingresso. Gli chiesi dove potessi trovare Rubis, e quello parve cadere dalle nuvole.
"Rubis chi?" mi chiese a sua volta, e nel suo tono mi parve di intuire una certa avversità.
"Rubis il capovillaggio" risposi.
"Vuoi dire Samsor il capovillaggio" mi corresse.
Avrei dovuto arrivarci da solo, mi rimproverai. Tutto era cambiato, dunque anche le autorità erano diverse.
"D'accordo" feci, conciliante "Adesso il capovillaggio è Samsor. Io però volevo parlare con Rubis, il vecchio capovillaggio. Sai dirmi dove posso trovarlo?"
Il bughi attese un poco prima di rispondere, ma quando lo fece mi parve fosse sul punto di infuriarsi.
"Non c'è nessun Rubis, qui a Vorlize" disse "Non c'è e non c'è mai stato!"
Questa era una novità interessante, pensai. Persino il nome era mutato. Dei vecchi abitanti non c'era più traccia. Prima di arrendermi, però, volli fare un nuovo tentativo.
"E Kloid?" chiesi "Che fine ha fatto Kloid?"
"Senti, uomogrande: non so cosa stai cercando qui a Vorlize, ma qualunque cosa sia ti assicuro che non la troverai. Perciò vattene finché sei in tempo, prima che qualcuno si arrabbi ... "
Notai che attorno a me si era raccolta una piccola folla di bughi e questo fatto mi convinse a non insistere.
Cercai di riacquistare la mia dignità di Uomogrande, voltai i tacchi e me ne andai. Prima di uscire dal villaggio, però, volli prendermi una piccola rivincita:
"A proposito" urlai, in direzione dei bughi che mi avevano seguito "Il villaggio si chiama Firlize, non Vorlize."
Il sasso che uno di loro mi tiro mi mancò per un pelo.
Nei giorni seguenti fui molto impegnato. Mancava ormai poco più di un mese all'arrivo dell'astronave ed ero maledettamente in ritardo. Avevo sperato di ultimare perlomeno il Repertorio Tematico prima di mettermi in viaggio verso la costa, invece dovevo ancora catalogare un buon 20% del materiale raccolto.
Così mi misi d'impegno e per un paio di giornate lavorai a ritmo continuo, concedendomi solo brevi pause per i pasti. Non era la prima volta che mi sottoponevo a un simile tour de force, sapevo che il mio fisico poteva reggere fino a una settimana a quel ritmo prima di crollare, inoltre il superlavoro mi impediva di pensare alle inquietanti vicende che si erano svolte nel villaggio dei bughi.
Anna era quasi sempre in giro, a rovistare nelle campagne circostanti con la scusa di studiare le caratteristiche geologiche della zona per farne una mappa dettagliata. La verità naturalmente era un'altra: lei sperava di trovare da qualche parte il suo piccolo amico, o almeno una traccia che le facesse intuire cosa gli era successo, ed era per questo che setacciava metro su metro delle terre circostanti il villaggio.
Com'era tacitamente pronosticabile, però, le ricerche di mia moglie non diedero esito, e il suo umore si incupì ulteriormente. In considerazione di ciò e del fatto che ormai il grosso del lavoro ero riuscito a portarlo a termine le proposi di levare le tende e riprendere la vita nomade, in attesa di tornare sulla costa per il rendez-vous con l'astronave. Lei si dichiarò d'accordo.
Ci mettemmo in viaggio un mattino nuvoloso, dopo aver lavorato un paio d'ore per smontare la baracca in cui avevamo vissuto. Avevo pensato di abbandonarla lì, quando ce ne saremmo andati, come testimone della nostra permanenza su El-Trair, ma la partenza anticipata a cui ci eravamo rassegnati rendeva impraticabile quel gesto. Ancora molte notti ci attendevano, e dormire sotto le stelle nel sacco a pelo sarebbe stato romantico ma non molto salutare.
Avevamo percorso si e no una ventina di chilometri quando scorgemmo i ruderi preistorici che avevamo visitato poco prima di imbatterci nel villaggio di Firlize. Passammo a una certa distanza da loro e io, concentrato sulla guida, non vi prestai soverchia attenzione. Anna però dovette notare qualcosa di strano, in quanto mi pose una mano sul braccio e mi disse:
"Alex, ti dispiace avvicinarti a quelle rovine?"
Da buon marito ubbidiente la accontentai. Non avevo idea di cosa avesse attirato l'attenzione di mia moglie, ma se aveva voglia di osservare da vicino per un'ultima volta quegli antichi resti a me non dava nessun fastidio.
Deviai in direzione delle rovine, cercando di scovare un percorso praticabile nella campagna pietrosa che la circondava, e tenni gli occhi incollati al terreno davanti alle ruote fino a che non raggiungemmo la spianata erbosa al cui centro sorgevano le costruzioni. Fu per questo che non mi accorsi di nulla fine al momento in cui arrestai l'automezzo.
Le antiche colonne che delimitavano la zona orientale delle rovine non erano affatto decrepite, come le ricordavo. Al contrario, la loro superficie era stata levigata e dipinta a vivaci colori. Studiando le figure tracciate ebbi l'impressione di averle già viste da qualche parte, ma prima che potessi stabilire dove e quando la voce di Anna mi chiamo dall'interno:
"Vieni a vedere, Alex!"
Piegandomi in due varcai il basso ingresso (evidentemente le costruzioni erano opera di creature molto più piccole di noi) e raggiunsi mia moglie. La scena che mi si presentò mi lascio di stucco: le pareti del tempio (perché ora ero certo che si trattasse di un tempio) erano state ripulite, intonacate, e su di esse mani ignote avevano dipinto scene tratte dalla mitologia. Sulle prime non avevo compreso il significato di quegli affreschi ma era bastato un esame più approfondito per permettermi di riconoscere episodi del ciclo di Laras Penne d'Acciaio e di Arghim il Trasformatore, quelli che conoscevo meglio. Un fatto mi aveva tratto in inganno: i personaggi rappresentati non erano bughi, come mi ero aspettato.
Proseguendo l'esplorazione giungemmo nell'Anfiteatro (un ampio spiazzo semicircolare con un accenno di scalinata sul lato meridionale) ma qui non ci parve di riscontrare cambiamenti, a parte una pulizia meticolosa.
Anna si sedette sulla scalinata e rimase pensierosa. Dopo una rapida ispezione del luogo la raggiunsi e mi sedetti accanto a lei.
"Cosa pensi che sia successo?" mi chiese.
Attesi un poco prima di rispondere.
"Mi sembra chiaro" dissi "Qualcuno è state qui e ha messo tutto a posto. Ma chi e perché, proprio non riesco a immaginarlo."
"Li hi visti" mi disse "I dipinti. Quei... Quelle creature... Sono uguali a quelle che hai visto al villaggio?"
Annuii. C'era qualche rapporto con gli avvenimenti di quella sera, era chiaro, e con la scomparsa di Kloid e di tutti gli altri. Ma che tipo di rapporto?
"Ascolta!" sussurrò Anna, posando una mano sulla mia "Loro sono ancora qui!"
Ascoltai, ma non udii nulla. Presi la mano di mia moglie e gliela baciai. Lei sorrise e mi accarezzo, con molta tenerezza.
"Andiamocene" disse, facendosi seria all'improvviso.
Si avvicinò al vano di passaggio, poi parve avere un ripensamento. Si voltò e mi chiese:
"Non hai una matita?"
"Cosa vuoi fare?" le chiesi porgendole un pennarello, l'unico ancora funzionante.
Lei non rispose. Risalì la scalinata, scelse un punto particolarmente liscio e, dopo averlo pulito con cura, vi scrisse: Addio Kloid! Accanto tracciò un piccolo cuore con una freccia che lo trapassava.
Dentro di me sorrisi per quella dimostrazione d'affetto che Anna aveva voluto lasciare al suo amichetto alieno, ma mentre uscivo dal tempio fui attanagliato da un'inspiegabile malinconia.
Chinandomi per varcare la soglia esitai un attimo, e fu in quel mentre che mi parve di cogliere un remoto sussurro che diceva:
"Addio signora Anna!"
Ma forse fu solo un'allucinazione auditiva, uno scherzo giocatomi dalla tensione del momento.
Perché la voce che aveva pronunciato quella frase era roca, stonata. Non assomigliava minimamente a quella di un bughi.
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