Una principessa Disney fra stereotipi e anaffettività
Impossibile dire che questa Biancaneve di Mike Webb sia «live», sembra più cartoon del film del '37 che, con oltre un milione di disegni, valse un Oscar a Disney e mise nel salvadanaio oltre un miliardo e mezzo di dollari di oggi.
I sette nani sono fatti con anaffettiva computer graphic (un ottavo è fra i ribelli), la tempesta nel bosco è tutto fuorché reale, gli animaletti della foresta sono in puro digital e non fanno i mestieri e i personaggi sono cosi stereotipati che la fisicità degli attori paga lo scotto di convenzioni, come la regina cattiva Gal Gadot, tutta perfide unghie e gadget macabri di teschi.
Il resto della trama è noto, ma qui il principe (Andrew Burnap) è invece solo un ladro di patate. Che alla fine, schioccato lo smack della resurrezione, va con Biancaneve, la cui attrice Rachel Zegler viene dal West Side di New York, a reclamare, come Il quarto stato, la Reggia del potere sottratta con l'inganno, mentre la Maligna finisce rugosa come in The Substance.
Sono semplici glosse, come la festina danzante davanti alla casa dei nani, che permette la battutina queer sui due ballerini tanto uniti, mentre la colonna sonora, la parte nuova di Pasek & Paul, sparge mielosa i soliti lamenti delle principesse disneyane innamorate infelici (in forza i vecchi song).
Furbo, ricco inutile musical edulcorato dove Biancaneve non rifà il letto e scattano con fatica i primordiali sentimenti con cui la ditta Grimm-Disney ci ha tenuto minorenni in ostaggio per anni.
Voto: 6,5
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