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Recensione di Armando P. Saveriano a "Scanners"


A differenza de "La forza invisibile" (The Power) di Byron Haskin (1967), che a tratti riusciva ad evocare un'inquietudine assai vanvogtiana circa la brutale, improvvisa e netta proiezione del protagonista nella caotica incertezza della propria identità e nell'attanagliante mistero di una presenza PSI solo all'ultimo consapevolmente rilevata in sé stesso e quindi interiorizzata, nel film di Cronenberg il personaggio-guida della vicenda avverte la sua condizione di diverso.

Dopo la fascinazione degli orrori sessuali e granguignoleschi di "Parasite Murders" (Il demone sotto la pelle) ed il sapiente e godibilissimo cocktail di fantascienza/horror dei successivi Rabid e Brood, il regista canadese ripesca il tema, più classicamente fantascientifico, della telepatia e della conseguente situazione emarginante di chi è dotato di tali caratteristiche ESP. Lo Scanner è lo straniero tra la folla, la vivente cassa di risonanza dei borbottii mentali e delle angosce altrui, lo scandagliatore, lo scrutatore, appunto delle menti degli altri.

Nel racconto cinematografico, come in un vecchio romanzo di Wilson Tucker, "Wild Talent", l'interesse politico e l'avidità di conquistare e/o conservare la supremazia "fanno le mani sporche", per dirla alla Sartre, prevalendo anche sulla curiosità scientifica. Le doti ESP sono state indotte artificialmente in un gruppo di nascituri: la pellicola prende l'avvio dal recupero del protagonista (Stephen Lack) da parte di un'agenzia governativa, che, avendolo costantemente tenuto sotto controllo per trentacinque anni, invisibile ed attenta, deve ora servirsene come estrema munizione superumana da opporre ad una micidiale organizzazione avversaria, composta d'individui ESP dalla natura psicopatica, i cui tentacoli oltre tutto allignano nelle file stesse del potere legale riconosciuto.

Nel lavoro di Haskin citato, il climax del braccio di ferro mortale tra protagonista (George Hamilton) ed antagonista (Michael Rennie) offriva una raffinatezza visuale indubbia, che in "Scanners" gli attuali progressi tecnici in perfezione cinematografica di "frode realistica" rimpiazzano grazie all'impatto-shock di vene che abnormemente s'inturgidiscono in rilievo, di ossa che si deformano e si espandono, di occhi che vengono risucchiati via, di carne che sfrigola ed arde in torce spontanee.

Michael Ironside, la caratterizzazione malvagia del film, esaspera i tratti del folle, del megalomane assassino, mentre resta indimenticata la maschera fredda e composta, glaciale ed aliena di Michael Rennie, il Nordlund de "La forza invisibile". In compenso, Stephen Lack offre un'immagine lunare, sospesa e sconcertante, rispetto all'interpretazione dubbiosa ed al physique du rôle piuttosto inadeguato di George Hamilton, protagonista della pellicola di Haskin.

Cronenberg ha colto il dramma del superuomo dalla superiorità ghettizzante, infelice e dilacerato fisicamente ed emotivamente, dalla ottica dell’infinita e capillare sofferenza che la mutazione indotta infligge a coloro che ne portano il marchio, costringendolo ad una disperata ed esasperante ricerca di via di scampo, di allontanamento dal "chiassoso" mondo dei normali.

Questo atroce stato è descritto magistralmente come non mai nel crudo vissuto narrativo di un bellissimo racconto della scrittrice Pamela Sargent: "Oasi". Il suo personaggio, Simon Atenn, urla al mondo l'orrore della necessità d'una fuga dalle mitraglianti voci mentali, che, negli agglomerati umani, gli invadono e dilaniano il cervello. C'omè parte degli Scanners presentati da Cronenberg, Atenn ha sviluppato una psicosi, che però non conosce alcuna soluzione o palliativo medico (come la somministrazione, nel film, di dosi di quella stessa sostanza, l’ephemerol, all'origine della mutazione) e senza neanche sublimazioni (come, sempre nel film, la scultura morbosa consente ad uno scanner di dirottare nell'arte le energie di creazione prima schiacciate ed incanalate nel delitto e nella sfida distruttiva).

Il nome di Cronenberg è la massima garanzia d'una firma collaudata per uno spettacolo incalzante, che si lascia seguire a respiro mozzo. Discreta la colonna sonora e buona la fotografia.

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