Appunti su "Cronache marziane" di R. Bradbury
1. Un fiore cannibale.
La sf è un fiore cannibale, ti attira per il suo strato di miele e poi dopo un poco ti inocula il suo veleno per assorbirti.
Il miele è l'avventura, il senso del meraviglioso. Poi con l'evoluzione del genere ha cominciato a far effetto il veleno; perché tutto non poteva andare sempre liscio al solito scienziato-eroe-santo.
Miele e veleno, le idee avvelenano l’uomo e ciò mi pare giusto, veleno come scossa, come acido gusto dell’universo che non è schematico e semplicistico ma organizzato, complesso.
Non so se vorrei la fantascienza "Adulta" in senso emulativo del mainstream, forse non mi piacerebbe più. Eppure c'è l’esigenza di un "manifesto" della sf nell'atto di un modo nuovo d'intendere ed interpretare le cose, una letteratura per raccogliere e riordinare le idee dell’uomo tecnologico. Una nuova cultura?
2. SF come avanguardia?
Dopo esperienze come la SF sociologica e la New Wave, sotto la spinta di autori come Farmer, Dick, Delany il problema SF è sicuramente sentito più organicamente d'un tempo, se il ghetto rimane (e forse solo nel nostro mondo italiano) è per una certa mentalità in primis dei lettori e degli appassionati in generale; il credere giusto isolarsi nella nostra piccola, tiepida galassia privata.
Ma così non è, non deve essere se vogliamo rivalutare la serietà, l'impegno di un certo discorso "altro" che da tempo il riflusso tende a sclerotizzare.
La SF potrebbe essere, con appositi strumenti, un'avanguardia letteraria ed artistica di notevole importanza.
Questo dopo eventi come la New Waye, globalmente valida, che hanno indicato una possibile strada da seguire senza dimenticare comunque quei crismi di lucidità della SF tradizionale.
Prima di quest’ultimo movimento, tuttavia sono stati espressi veri e propri capolavori d'indiscussa. qualità letteraria.
Sono molti tali lavori. ma Cronache marziane ha colpito particolarmente la mia mente perché riassume in sé tutte le grandi problematiche del1a fantascienza e del nostro stesso futuro come del presente.
3. Le cronache.
Il Marte delle cronache non è quello della civiltà crepuscolare e dei canali; semmai quello è il tocco magnifico, un impasto emotivo epico che dà colore a molte impagabili pagine del rimpianto.
Un rimpianto, risulta evidente, forse per quelle civiltà (indiani d’America in primo piano) distrutte non solo dal tempo ma dall'arroganza dell'uomo bianco angloamericano.
Tuttavia le cronache sono principalmente cronache di umanità, testimonianza del disastro.
Marte così diviene un immenso laboratorio ideale entro il quale muovere personaggi, sperimentare e sintetizzare. Né Marte resta isolato, il cordone ombelicale è evidenziato, ribadito. La difesa istintiva degli uomini contro l'ambiente alieno fa si che questo non abbia effetto sulla moltitudine dei coloni. Anche se alcuni ci provano a capire Marte, il sacerdote di "Sfere di fuoco" lo Spender della quarta spedizione ne sono una prova, tuttavia la massa riforma le sue città, si porta dietro la polvere della terra.
Da un lato i coloni fuggono le terrestri miserie, dall'altro ricostruiscono poi le stesse contrade che hanno abbandonato.
Non avendo il coraggio di esporsi al pianeta e compromettersi con esso non possono trovare una autentica liberazione.
Il confine della poesia è molto tenue, come l'arte del pittore o del musicista cammina con noi per strada, ci è accanto sempre.
Ogni tanto qualcuno se ne accorge, si ferma e cerca attorno, indaga finché non trova il giusto angolo dal quale guardare le cose e trovarle diverse, animate da spirto proprio. Questa è una dimensione entro la quale gli uomini sono trasparenti, allora si può cantare dell'umanità nella sua fragilità e grandezza. Saper trarre dal quotidiano l'elemento fiabesco poi, è davvero difficile. Bradbury è particolarmente bravo a far questo, ed in cronache marziane va più in là. L'elemento fantastico non è un pretesto per rendere certi passi più attraenti; ma assume un ruolo di confronto. Marte è un pianeta romantico, spingendo un poco l’interpretazione potremmo dire che simboleggia la poesia stessa.
I colonizzatori portano con loro la stolidezza di una terra stanca, incapace di vedere al di là del suo perbenismo, la battaglia che ne consegue si conclude solo con il gesto della famiglia della "gita di un milione di anni" che va a creare un rapporto molto forte con l'ambiente, pizzicando corde mai sopite nell'animo umano.
Le cronache non solo si differenziano molto nella loro aria trasognata e rarefatta da altri lavori di R. Bradbury, ma in brani come "L'estate del razzo", "Cadrà dolce la pioggia", "Su negli azzurri spazi" sentiamo vibrare un sentimento del fantastico quale è difficile riscontrare in molte altre opere che hanno fatto la storia della SF.
Vediamo per esempio il razzo; R.B. lo analizza come simbolo di liberazione ed esaltazione. Cosicché dalla costruzione tipica dell'inverno bradburiano, immobile, silente, provinciale erompe, come sovvertimento dello stesso circolo naturale, la vampa del razzo che parte per la nuova frontiera del sempiterno, quasi patetico "Sogno americano".
E come non dimenticare le pagine di grande intensità di "Cadrà dolce la pioggia" disincantata, grottesca, gelida resa del disastro finale, non scevra del perenne tema del. rimpianto.
Se la poesia è sintesi e trasfigurazione dell'esperienza quotidiana, Bradbury proprio per questo. Il fantastico nelle sue mani più che rispecchiare le cose della realtà si rivela uno strumento tremendamente efficace nell'evidenziare i passi della tragedia umana.
Ancora la "Gita di un milione d'anni" ci offre un'interessante chiave di lettura dell'opera, proprio nella luce di quanto detto poco fa; i protagonisti del racconto fuggono da una realtà quotidiana insopportabile, ma il ritorno all'idea fantastica (prendere un razzo ed andare su Marte a fare il fine settimana) serve proprio come mezzo per raggiugere la verità ed il conseguente equilibrio.
"Erano là, i marziani, nell'acqua del canale che ne rimandava l'immagine. Erano Tim, Mike, Robert, la mamma, il babbo. E i marziani rimasero là, a guardarli dal basso, per molto, molto tempo, in silenzio, a guardarli dall'acqua che s'increspava lieve…"
È finalmente stabilito il rapporto con l'ambiente nuovo, anzi vi è una totale immedesimazione nel ruolo di "Marziani", un atto di umiltà e disposizione, ma anche una meravigliosa intuizione.
Il legane limitativo con certo passato è definitivamente spezzato. L'immedesimazione finale (i marziani simo noi) a prima vista pazzesca è invece l’unica soluzione, l’ulteriore indicazione che per conquistare bisognava prima farsi marziani.
La SF ha proprio lo spirito di cronache marziane, è territorio interamente costruito nella. dimensione fantastica ma sempre profondamente legato alla realtà, territorio di verifica, di continua ricerca fino ad espandere la sfera d'interesse coinvolgendo le cose che saranno o potrebbero essere.
Tutti prima o poi sediamo sulla riva del canale e nelle sue acque scorgiamo nuovi aspetti di noi stessi.
Se ci fermeremo per molto, molto tempo allora accetteremo l'identità di marziani e sarà veramente nostro il mondo che ci siamo scelti per essere veri.
Forse la fantascienza può aiutarci, se è davvero un'estensione di quel concetto di "ricerca dell'identità" che in questo secolo è stato ed è ancora molto dibattuto.
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