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Finchè morte ne segua


di Paolo Raiteri


"Tu puoi andare e lasciarci alla nostra paranoia, non ti metteremo in catene per questo, fratello." Urla uno di loro allontanandosi.

Per un momento mi soffermo ad osservare i lunghi mantelli neri avvolti sui corpi scarni, la sequenza indolente del loro incedere, e i poveri volti, deturpati dal virus, mentre la febbre sale e tutta la pelle diventa secca e traslucida. La nenia che intonano è un canto di morte, ma anche un avvertimento.

Mi scuoto e stancamente riprendo a vagabondare, tra rifiuti e palazzi abbandonati, senza voltarmi. Dopotutto, ciò che rimane di una grande città non e poi così poco, ma in sostanza non importa ad alcuno che marciapiedi e grattacieli rimangano a guardare.

Cammino ed accanto a me i muri sembrano parlare, voler dire qualcosa, qualcosa di inutile.

La mia mente invece è una fornace di ricordi.

Ma sono poi ricordi, o soltanto sogni? Dieci anni sono passati.

Un tempo alcuni ricordavano, ora solo rifiuti.

Sto cercando una domanda...

Ritornare sulla strada, la sola risposta.

Tutto è cambiato, eppure qualcosa è come prima: i desideri del passato non sono che memorie.

Mentre le ombre si allungano, da uno scantinato, immerso nell'oscurità di un vicolo, si sente una voce cantare distorta:

"Lasciateci brindare e vivremo più a lungo,

lasciateci brindare e saremo felici e sapremo di meno

e saremo migliori

e faremo la conta

e vedremo domani

se ci sarà sempre il sole,

e leveremo in alto i bicchieri

senza vederli mai cadere,

il nostro sogno è il nostro destino.

Lasciateci brindare,

e il demone danzerà con lo spirito santo

e il bene ed il male si daranno la mano

per cantare con noi alla fine del mondo."

Vaghe in lontananza, scorgo delle sagome che danzano attorno ad un fuoco: un rito superstizioso che si ripete… ma da quanto?

Forse da sempre.

Dallo sporco ingresso della metropolitana provengono le urla di coloro ai quali non è riuscito di conservare la loro dignità di uomini.

Vagano alla ricerca di qualcosa che possa prolungare la loro agonia: un lurido straccio col quale vestirsi, del cibo da consumarsi in fretta per evitare guai.

Da tempo ormai, si rintanano là sotto, uscendo solo se spinti dalla fame.

Improvviso uno sparo, un urlo, come un cancro, come sempre.

Poi dalla vecchia metropolitana esce un cencio vestito che maledice l’asfalto su cui cade il suo sangue bastardo di morto.

Il denaro non conta più. Ora si paga con la vita; cinque morti per una scatoletta di latte e non bastano, ci vorrà di più. Tutti sono sostanzialmente d'accordo.

Da quanto va avanti? Ce ne fottiamo del tempo.

Per strada, il vento trascina con sé un pezzo di carta che rotolando si dirige verso il nulla, ultimo residuo di una civiltà morente.

Buffo come questi rifiuti, cartacce, lattine e le plastiche siano le uniche vestigia sopravvissute all'irreversibile processo di disintegrazione del genere umano.

Camminando alzo lo sguardo verso la luna, ultimo ad eterno riflettore puntato su questo teatro sventrato e capace di illudere gli uomini, ma non il tempo. Ed ecco, da un angolo, qualcosa scivola carponi ed urla al mio indirizzo con voce umana:

"Io amo la morte, padrona di questi luridi marciapiedi. La vedi nei miei occhi? Guarda, guarda bene. Io amo la morte, è qua con noi. La puoi sentire no?"

Il suo corpo è scosso da un violento eccesso di tosse, poi riprende ansimante:

"Paura? Ah! Dietro questo angolo o quello, non importa dove, prima o poi la incontrerai anche tu e farai la nostra stessa fine.

Noi amiamo la morte. Noi siamo già morti! Morire è la nostra più grande aspirazione. Nascere è stato un errore, ma ce ne siamo resi conto troppo tardi. Comunque io guiderò la mia legione dorata finché ne avrò la forza, fino all'ultimo respiro! E non sarai certo tu ad impedirmelo!"

Rantola, continuando a strisciare sull'asfalto mentre io sono già lontano.

Tipi come quello non hanno più speranza. Non ci sarà morte assoluta per l'uomo, mi ripeto per la centesima volta.

Lo spirito è la vita, e lo spirito non può morire. Solo la carne passa e si dissolve.

Ma sono ben conscio che anch'io fra un anno, fra un mese od un'ora, potrei diventare come loro. Un essere canceroso che il male ha ridotto nel fisico e nella mente a qualcosa di degenerato. Possono le bestie sperare nell'immortalità?

Eppure che importa! Il passato non esiste e le campane non hanno mai suonato. Se domani sarò un mucchio di carne fredda non avrò mai vissuto.

Ciò che conta veramente, è vivere l'oggi, vivere ancora malgrado tutto. E mentre una notte come tante ricalca le ombre di sempre cerco di non pensarci. Morire tutti sarebbe troppo semplice.

Passerà ancora del tempo per accorgersene.






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