x 451
di Enzo Verrengia
Il circuito televisivo di Rete quattro ha passato recentemente un "Fahrenhait 451" stipato d’inserti pubblicitari.
Fra tutti i possibili motivi di rilettura del capolavoro di François Truffaut, derivato dall’originale matrice romanzata di Ray Bradbury, spicca la mancata citazione di Borges, vero uomo/libro ed autore di quella parabola cosmica intitolata "La Biblioteca di Babele". In una recensione di Vittorio Spinazzola apparsa su "GAMMA" all'epoca d’uscita della pellicola - MOSTRA DI VENEZIA DEL 1966 - si dà spicco alle dichiarazioni da parte del regista su roghi recenti e passati di volumi stampati Ma Borges aveva fatto di più, riprendendo in più punti dei suoi scritti il personaggio dell’imperatore cinese Shin Huang Ti, passato alla storia nei ruoli antinomici di costruttore della muraglia (la "Grande Muraglia") e distruttore di libri: in particolare egli funge da protagonista ne: "La Muraglia e i libri", in apertura a "Otras Inquisiciones" (Emecé Buenos Aires 1960). Due titaniche manifestazioni di civiltà che annullandosi s’identificano, come la monorotaia, gli schermi 3D e le astronavi opposte al silenzio della scrittura imposto nell'America del "Fahrenheit".
Il nesso non poteva sfuggire all'intellettuale europeo Truffaut, nel momento in cui s’accingeva ad infiorare la trasposizione di una fiaba triste stesa da uno stilista suggestivo ma impreciso quale è Ray Bradbury. Nel suo romanzo Borges non aveva ragion d’essere, oltretutto il mondo non s'era ancora avveduto di ospitare fra i vivi il pontefice orbo sopravvissuto nell’era dell’effimero alla grande letteratura del passato - che è fantastica nell’essenza.
Bradbury è solo un americano mite, scioccato dalla circostanza di essere fermato dalla polizia a Beverly Hills solo perché passeggia, e in quella zona vive gente così ricca da spostarsi solo in auto: non ci sono distopie da inventare, basta raccontare il presente.
Truffaut invece "doveva" coinvolgere Borges nel suo allarme contro il futuro, lanciato ad un’Europa fatalmente protesa verso il modello americano per tutta la durata degli anni 60, londinesi e swiging al ritmo dei Beatles, dei Rolling Stones e in fondo anche di Bacharach... Se solo si fosse saputo leggere meglio dietro la facciata. E proprio Borges era diventato completamente cieco nel 1959, quasi il fato gli avesse precluso ad hoc il fluire della civiltà, dell’immagine per votarlo alla memoria perenne dei libri letti, dell’unico infinito libro del quale ogni esemplare non è che epifenomeno.
Chi meglio di lui sarebbe stato a proprio agio nell’ultima memorabile sequenza di "Faherenheit 451", fra persone che camminano recitando romanzi imparati a memoria? Quali opere, se non le sue, sarebbero state quelle più avidamente trafugate da Montag?
La realtà è che anche quest’allarme è stato innescato troppo tardi ed ha suonato male. Spezzoni di film alternati ad uno stillicidio reclamistico: la critica e la conferma di uno status quo che a forza di contraddizioni vede dissociati tutti i possibili istanti di sintesi.
"Quella" fantascienza è fotografia stilizzata del presente.
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