Biotica
di Mirko Oriati
... credere che la notte non sia la fine, ma il preludio di un nuovo giorno
Luca guardò la bottiglia vuota che aveva davanti a sé, abbassò istintivamente lo sguardo come per volersi sottrarre alla realtà: non era un alcoolizzato, ma una piccola sbornia ogni tanto era proprio quello che ci voleva. Era convinto che annebbiarsi un po' le idee quando si sentiva molto depresso, non poteva che fargli bene e, perlomeno, poteva sempre sperare di svegliarsi l'indomani vedendo finalmente ogni cosa sotto una forma nuova, con più ottimismo, con più serenità, anche se, fino a quel momento, l'unica cosa che aveva rimediato era stato sempre un gran mal di testa. Il fatto è che non era mai riuscito a combinare nulla di buono in quasi quarant'anni di vita, e non era la volontà che gli mancava, bensì non riusciva a trovare la sua giusta collocazione, il suo posto nella società che gli permettesse di dire con sincerità: "Ecco! Finalmente ho imboccato la mia strada; posso arrivare in fondo senza troppi rimpianti."
Finora aveva fatto decine di lavori diversi, uno alla settimana, e tutto quello che gli avevano portato era solo insoddisfazione nonché il titolo cittadino di miseria nera: e la concorrenza era spietata.
Fece l'atto di richiamare l'attenzione della ragazza che stava dietro il banco, ma si fermò. Vederci doppio era stato fino a poco prima il suo limite massimo, ma ora stava vedendo triplo e, il gran mal di testa e la pesantezza di tutto il corpo, erano il sintomo tutt'altro che trascurabile che quella sera si era decisamente spinto troppo oltre il solito limite.
Si alzò incespicando in altri che forse erano più sbronzi di lui perché si limitarono solo a deprecare senza reagire, e a fatica strascicò le sue quattro ossa fino al banco. Prese fiato e buttò fuori le parole a stento: - Il conto… prrego! –
La ragazza lo guardò con sospetto. Poi rispose:
- Ma lei ha già pagato prima. Qui prima si paga e poi si consuma, è una precauzione necessaria, non trova? -
- Siii.. - nitrì lui.
- Lei però a pensarci bene è un tipo strano, è il primo che dopo essersi sbronzato mi viene a chiedere di pagare! - Luca rimase con i gomiti appoggiati al banco, oscillando paurosamente con la testa che non ne voleva sapere di stare ferma, poi riuscì a riaprire la bocca e, rendendosi conto che per quella sera non ci sarebbe stata una seconda volta, cercò di andarsene con un minimo di decoro.
- Mi dispiace signorinaa… ma… ma crredo prroprio di non pooter sosstenere oltre q… questa interesss… converrsa… ione. Buonanotte! –
Compiaciuto, si scostò dal banco e barcollando si tirò su in tutto il suo metro e ottanta rimanendo in un equilibrio veramente precario; si volse a piccoli passi verso l'uscita guardandola come per cercare di metterla a fuoco assieme al percorso da attraversare, e lo affrontò tutto d'un fiato fine al semaforo che si trovava poco distante dal locale. Ci si aggrappò come se fosse stato un'ancora di salvataggio, e restò lì appeso per un paio di minuti o poco più, finché il freddo della notte lo convinse a sciogliere quella simbiosi fuori del comune… E quel vento discolo lo sospingeva facendolo sbandare da una parte all'altra della strada ormai deserta: attorno a lui si muoveva sinuoso, e fischiando si contorceva nelle acrobazie più ardite spolverando le cose dai ricordi del giorno oramai andato. "Uuuuu… " soffiava "Uuuuu" urlava… e come d’incanto si calmava, ansimando una leggera brezza, rimaneva in ascolto, proteso a cogliere una voce; ma la voce non arrivava ed allora riprendeva ostinato con più forza, con più vigore di prima.
- Ehi, Luca!... Vieni fuori a giocare! –
Luca si guardò intorno con stupore, ma non vide altro che le strade inanimate sotto il soffuso luminare dei lampioni e delle insegne pubblicitarie.
- Ma… chi sei? Dove sei? -
- Dai! Andiamo fuori nel giardino: ci sono gli altri amici, e c'è Agilulfo che ci aspetta. Non dobbiamo farlo attendere! - Insistette la voce. Ed ora riusciva anche a vederlo, mentre lo sospingeva con insistenza, con tutta la forza di cui era capace, e gli sorrideva, gli sorrideva…
- Aspetta, non tirarmi! - Luca si guardò attorno: quei mobili, quelle pareti, quei libri, i giocattoli, il vecchio pallone di cuoio, tutto era come se avesse avuto un sapore già noto da tempo.
- Come ti chiami bambino? –
Il bimbo gli lasciò di colpo il braccio e lo guardò con sospetto: - Mi chiamo Luca, non mi riconosci? –
Si che lo aveva riconosciuto, ma aveva avuto paura di ammetterlo a sé stesso fino ad appena un secondo prima; ora invece si sentiva calmo e la situazione in cui si era venuto a trovare, gli sembrava la cosa più naturale del mondo. - Ma non vedi che rischia di piovere? Sarebbe meglio chiederlo alla mamma! -
- No, non è il caso - assicurò il bimbo, - e poi il nostro micio aspetta che gli portiamo da mangiare. Te ne sei scordato? –
Si calarono di nascosto dalla finestra e camminarono uno accanto all’altro, con un piccolo fagotto sotto il braccio, verso il cimitero delle auto dove c’era Agilulfo ad attenderli. Ma appena varcato il cancello del piccolo giardino che cingeva la casa, una sventagliata d’acqua li aggredì con impeto. Corsero verso casa per ripararsi, ma inciamparono e caddero fra l’erba già inumidita; quando Luca risollevò lo sguardo, notò che il bimbo non era più accanto a lui: si guardò attorno smarrito e poi, istintivamente si voltò verso la finestra da cui poco prima erano usciti. E dietro la finestra chiusa, c'era lui, con il viso imbronciato, rassegnato a guardare la pioggia picchiettare sui vetri con tono beffardo.
- Non ti preoccupare - gli gridò con quanto fiato aveva in gola, - ci andrò io da Agilulfo! -
E tenendo stretto a sé il piccolo pacchetto, cominciò correre, a correre…
Si svegliò di soprassalto, con la fronte madida di sudore, gli occhi sbarrati e la bocca aperta. Gli stimoli dei sensi, ancora incompleti, non avevano subitamente provveduto a ristabilire in lui il senso del reale; ma quando i fugaci intrecci di colore, di immagini e suoni lo abbandonarono, allora le sue percezioni si fecero sempre più distinte e Luca capì di aver sognato.
Distolse gli occhi dal soffitto bianco e, mettendosi a sedere sul letto, si guardò intorno: non aveva mai visto quel posto, ma aveva tutta l’aria di essere una camera d'ospedale. Tuttavia non ebbe il tempo di fare indagini più accurate, perché nello stesso istante si aprì la porta e ne entrarono un uomo ed una donna.
- Stia comodo. Non abbia timore - lo prevenne l'uomo, - la prima cosa da fare sarà quella di presentarci e di spiegarle come mai lei si trovi qui, perché dubito che lei si possa ricordare molto, vero signor Ancelli? –
- Lei conosce il mio nome? - Balbettò Luca.
- Certo, ma andiamo per ordine. Io sono il professor Iberius e questa è la mia collaboratrice, dottoressa Linda Helbert –
Luca si soffermò su quel volto femminile che vagamente gli ricordava una persona che, a dire il vero, non sapeva neppure se fosse esistita solamente nella sua fantasia.
- Si, ha ragione a guardarla, - sembrò leggergli nel pensiero il professore - Linda è la signorina che lei ha incontrato al servo-bar. –
- Ma certo! - Sbottò Luca. - È vero. È la cassiera a cui…. Cassiera? Ma in un servo-bar non ci sono cassiere! C'è un coso che ingurgita denaro e ti serve quello che hai ordinato a voce! Accidenti che sbronza mi sono preso ieri sera… ieri sera, vero? –
- Naturalmente - intervenne Linda, - e lei Ancelli, ieri sera si è letteralmente gettato sul mio tavolino volendo pagare il conto: io non ho fatto altro che accondiscendere all'idea di essere la cassiera. –
- Va bene, tutte le mie scuse. Ma io che cavolo ci sto a fare qui? –
- Ha ragione - riattacco Iberius - lei merita una spiegazione. Noi l'abbiamo trovato, privo di sensi, a pochi metri dal servo-bar ed allora abbiamo pensato di portarla qui.- Fece una pausa pesando attentamente la situazione, poi continuò: - Ma c'è anche un altro motivo per il quale lei si trova qui: È inutile tenerle nascosto che è già da un po' di tempo che ci occupiamo di lei; oltre al suo nome, sappiamo che lei ha trentasei anni, le sono morti i genitori in un incidente stradale quando lei aveva solo otto anni, ha seguito un corso di tre anni per programmatore di computer e, per finire, sappiamo che ha un disperato bisogno di un buon lavoro. –
Le parole "buon lavoro", riportarono un po' di calma a Luca che cominciava a spazientirsi sensibilmente, non solo per quella mole di chiacchere che quel certo Iberius stava propinando a valanga, ma soprattutto per quelle indagini che erano state fatte sul suo conto.
- Lei, naturalmente può prendere i suoi vestiti, appesi nell’armadio, ed andarsene senza neppure starmi a sentire, ma io le consiglierei di ascoltare cosa ho da proporle. –
- Bè, ad ascoltare non ci rimetto nulla. - Disse più che altro a sé stesso Luca.
- Molto bene, Signor Ancelli. –
Dopo circa cinque minuti, Luca uscì dalla cameretta mezzo vestito e completamente furibondo.
- Una cavia. Vogliono fare di me una cavia. Roba da non credere! - Sbraitava con furia e sbracciava a pieno regime. Due infermieri lo bloccarono, ma il professor Iberius indicò loro di lasciarlo andare.
- Mi dispiace signor Ancelli che se la sia presa in questo modo, ma le consiglierei di tornarci a riflettere e rendersi conto dell’importanza dell’impresa. –
- Si, si certo, ma la pelle è mia e preferisco rimanere povero in canna, signor illustrissimo! –
E se ne andò correndo per le corsie come se lo stesse inseguendo uno sciame d'api. Ma mentre correva verso l'uscita, si stava rendendo conto di come avesse proferito quelle ultime parole più per convincere sé stesso che il professore; del resto Iberius non aveva fatto che proporgli un qualchecosa, di insolito d'accordo, ma non lo aveva costretto a nulla e tutto sommato si era dimostrato anche gentile. Arrivò in un baleno per la strada che era ormai ricoperta da una fiumana di gente.
- E stai attento a dove metti i piedi idiota! - Gli gridò in faccia un passante, Luca resto di sasso. Rimase instupidito per alcuni attimi da quelle parole che gli erano arrivate addosso come una frustata in faccia: ecco che cosa era lui in ultima analisi, un idiota!
Quando si riebbe, il passante si era già allontanato camminando con più lena per recuperare il secondo di tempo perduto. Luca si sentiva stanco, confuso, non sapeva neanche più se muoversi o rimanere piantato in mezzo al marciapiede; tuttavia l'istinto di conservazione gli consigliò bene di togliersi di lì. Dopo diverso girogavare le sue gambe lo portarono a casa: si buttò su un vecchio divano, e l'intento sarebbe stato quello di dormire, di non pensare a niente e, invece, non potè fare a meno di tornare sulle parole ai Iberius.
"Ebbene si tratta di un trapianto. Le verrà applicata, ovviamente se lei acconsentirà, una sorta di interfaccia realizzata con sostanze biologiche secondo la forma più spinta oggi concessa dalla microbiotica; grazie ad essa lei sarà in grado di accedere, tramite il cervello e i suoi stessi centri nervosi, ai terminali esterni del computer del nostro centro di ricerche; un piccolo dispositivo provvederà ad amplificare e convogliare tali stimoli sotto forma di microonde che saranno inviate e ricevute da un elemento di decodifica del calcolatore. A quel punto il gioco sarà fatto. –
Luca in un primo momento aveva creduto che lo stessero prendendo in giro, ma non era riuscito a trovare un segno tangibile di tutto questo sul volto dei suoi due interlocutori.
- Ma… ma starete scherzando. È impossibile! - Aveva detto anche se non molto convinto di quello che lui stesso stava dicendo.
- Per niente, signor Ancelli, l’operazione è fattibilissima. Se lei accetterà saremo lieti di fornirle tutti i particolari che lei riterrà opportuni. –
Era a quel punto che Luca si era stufato di stare ad ascoltare; sconvolto, impaurito, si era alzato dal letto con la sola decisione di uscire di lì il più presto possibile.
- Basta! Non voglio sentire una parola di più di questa storia. - Aveva detto mentre si infilava i pantaloni sopra il pigiama. Ora, invece, seduto sul divano, riusciva ad essere più calmo, ma non poteva fare a meno di pensare ai fatti che lo avevano coinvolto in quelle ultime ore. Insomma! Era un’occasione o no?
Doveva ritenersi fortunato, oppure doveva ritenersi anche campione cittadino di scalogna nera?
Era solo sicuro che una cosa del genere non gli si sarebbe mai più ripresentata: e quella forse, era una di quelle cose da prendere al volo.
Dopo circa un mese era già stato fatto tutto.
L’operazione era andata meglio del previsto; a parte la lunghezza, due interventi di circa otto ore ciascuno, e un po' di ansia più che giustificabile, non erano mai sorti grossi problemi, né d'ordine tecnico, né medico.
Doveva almeno riconoscere che quando il professore gli aveva detto che i progressi in quel campo erano stati tali da garantire il successo pieno al 90% , non gli aveva raccontato una bubbola, bensì la pura verità: l’unico autentico problema che aveva tenuto tutti sul pre-allarme per alcuni giorni, era stato il pericolo del rigetto, ma anche quell’intoppo, che da sempre per la medicina dei trapianti era stato un problema notevole, era stato affrontato di petto e risolto per buona parte.
Ed ora era ancora una volta lì, chiuso in quella cameretta d’ospedale che già un mese prima lo aveva accolto ubriaco al punto giusto, a guardare il soffitto che continuava ad essere invariabilmente bianco.
Era stata la forte somma di denaro? Il desiderio di notorietà, di gloria?
Forse! Non poteva negarlo che quelle erano state argomentazioni che avevano avuto il loro peso nella decisione finale, ma non sarebbe stato onesto con sé stesso ad ammettere che quelli erano stati i soli motivi validi. La storia di una scoperta scientifica era sempre la stessa, e Luca si era convinto che Linda e Iberius se ne stavano servendo nel modo migliore: attraverso sofisticati sistemi a sensori, ad azione e controreazione controllata, opportuni programmi listati appositamente, i non vedenti sarebbero stati guidati da una nuova luce, gli invalidi che ne avessero avuto il bisogno, si sarebbero potuti collegare al computer senza bisogno di spostarsi e la gente in generale avrebbe usufruito di un nuovo mezzo di dialogo. In quel momento Linda entrò sorridendogli.
- Buongiorno. Come si sente oggi signor Ancelli?-
La guardò ricambiando il sorriso, e snocciolò il suo buon giorno più armonioso di quegli ultimi giorni.
- Credo proprio che questa volta dovrò farle il conto! Ormai non ha più bisogno di starsene a letto a poltrire!
- Dice davvero, che mi posso alzare? –
- Calma, calma! È vero quello che ho detto, ma prima dobbiamo sentire il parere del professore! –
- Accidenti! Sempre lui di mezzo. - Borbottò tra sé Luca.
Ma questa volta era vero; la sua segregazione era ormai terminata, e quello stesso pomeriggio potè dire addio al letto. I giorni che seguirono lo videro sommerso da una serie di verifiche sulle condizioni della sua psiche e della sua carcassa: poi incominciarono i primi esperimenti con il computer.
- Guardi! Questo che lei ha di fronte è un integrale non calcolabile elementarmente - gli avevano detto, - lei non deve far altro che leggerlo mentalmente una volta ma con continuità, cioè senza interporre dei pensieri estranei. Dopodichè dovrà rimanere solo in attesa, e le cifre le verranno in mente, una alla volt a, e non dovrà far altro che trascriverle su quel foglio. –
I primi tentativi furono degli autentici fallimenti perché Luca non riusciva a concentrarsi sul calcolo da seguire: riusciva sempre a distrarsi, come se, all'improvviso, al suo cervello fosse venuto il bernoccolo di fare dispetti. Ma dopo un periodo di sedute ipnotiche, i risultati cominciarono ad arrivare. Eccome se arrivarono!
Nel giro di un paio d’anni, svolgere un qualsiasi calcolo numerico, più o meno complesso, più o meno lungo, era per lui una cosa spontanea. Poche volte si era sentito così felice; attorno a lui si stava creando un'atmosfera di vera amicizia, tutti i tecnici del centro erano gentili con lui, con il professore aveva instaurato un autentico rapporto di reciproca stima, e con Linda aveva ormai cominciato a darsi del tu.
Eppure aveva paura: l'esperienza gli aveva sempre insegnato a stare attento a quei momenti di gioia.
La sua trasformazione era stata una. trasformazione interiore, ma non era stata una cosa repentina, bensì graduale, e forse proprio per questo aveva dato tempo e modo a lui e a chi gli stava intorno di prenderci confidenza.
Ma la sera quando rimaneva solo nella sua vecchia casa, quando restava solo con quegli oggetti palpitanti di ricordi, e avrebbe voluto sognare i tempi più grami della sua vita, guardando a quei momenti con un pizzico di falsa nostalgia, era come se una cortina di fumo offuscasse a tratti quelle immagini e ne lasciasse intravedere solo delle diapositive.
Non era più l'uomo di prima. Non aveva più la mente di prima. Guardava le cose non più nella loro semplicità; tutto era una scusa per attivare la sua magnifica unione, crogiolarvisi con un sapore di benessere e di compiacimento, non era più un semplice chiedere-ricevere, era un assorbimento totale.
Si, un assorbimento, ecco che cosa era ciò che egli stava inconsciamente avvertendo, giorno dopo giorno, ora dopo ora, ed il suo cervello lo sapeva: continuava a provvedere al coordinamento dei suoi movimenti, dei suoi sensi, ma la parte che presiedeva ai suoi ricordi, alle sue emozioni sembrava venire sempre più esclusa.
Ed allora che cosa ne sarebbe stato di lui?
Quale futuro ci sarebbe stato per un uomo senza sentimenti? Ma tutto questo per lui era solo una vaga sensazione, un riflesso della stanchezza della sua mente sottoposta a dure prove, e questa convinzione si spingeva a tal punto da respingere, inconsciamente, ogni minimo sintomo d'allarme.
"Una bella dormita e domani sarò come nuovo" diceva fra sé, buttandosi sotto le coperte, ed invece la sua sola salvezza era che l'inconscio arrivasse alla soglia della sua coscienza il più presto possibile.
Suoni, colori, immagini accavallate e prive di senso lo destarono in un bagno di sudore. Esplorò, immobile, roteando gli occhi, i metri cubi di spazio che lo avvolgevano e, poi, esplorò in sé stesso, ogni parte del corpo. Si sentì abilitato a muoversi, a respirare, a vivere: ed allora arrivò la domanda "Chi sono?". Luca balzò a sedere con le gambe fuori dal letto. "Che scemo che sono!" pensò. "Io sono Luca Ancelli, sono un programmatore di computer e fino… a tre anni fa?!..."
Si senti perso. Il suo nome lo conosceva, sapeva chi erano Linda e Iberius, sapeva cosa avevano fatto, ma… "Io sono Luca Ancelli, ho trentanove anni, sono nato a…"
Con il capo tra le braccia cercava di rigettare quel senso di dolore che stava avvinghiando tutto il suo essere: si rotolava sul letto colto da un fremito irrefrenabile ed uno struggente senso d'impotenza lo rendeva ancora più vulnerabile.
- Vieni Luca!... Vieni fuori a giocare. -
E Luca si alzò, corse fuori all’aperto: il vento che giocava a nascondino con gli angoli dei palazzi, lo vide e, flessuoso, incolore, lo avvolse e lo sospinse ad una corsa all'ultimo fiato penetrandogli il ricordo di momenti lontani.
-Vieni Luca… Agilulfo ci aspetta! –
E Luca si vedeva. Si vedeva all'età di otto anni.
- Si, io sono Luca - gridava, - i miei genitori sono morti quando avevo otto anni. -
- Si Luca - Assentiva il bimbo.
- Sono il campione di miseria nera e ne sono contento! –
Cadde a terra in ginocchio ed un vago luccichio illuminò i suoi occhi stanchi.
Era stato il senso di colpa, contratto in quell'incidente in cui lui si era salvato, che nascosto nei meandri più remoti del suo subconscio, tornando a galla gli aveva dato la forza di reagire, ed ora che finalmente aveva ripreso coscienza di sé stesso e di ciò che rea dentro di sé, sapeva che Linda e Iberius avrebbero potuto aiutarlo.
- Andiamo Luca. Andiamo a casa! - Gli disse il bimbo prendendolo per mano. Luca lo guardò sorridendo.
E tutto quello che gl'importò in quel momento, fu godersi i primi raggi di sole che sventagliavano la città, fu incamminarsi in quell'alba per lui nuova, ed indorarsi con i fili della luce e i vetri delle finestre di quel bagliore che ridonava al mondo un nuovo giorno.
[ Indietro ]
The Dark Side Copyright © di IntercoM Science Fiction Station - (18 letture) |