Commento redazionale sul film "The wall" by Pink Floyd
Perché un commento redazionale su questo film? Era ovvio che essendo la nostra rivista fortemente ispirata sin dalla nascita dalle tematiche comuni alla S.F. più moderna, al confine con espressioni analogamente "traenti" quale è il rock di un certo tipo, di cui i portabandiera sono i Pink Floyd, un rock dai toni rarefatti e pulsanti, che parla la stessa lingua della S.F. più avanzata era naturale, che noi si dedicasse un poco d'attenzione ad un film di questa gente, che molti nella S.F. hanno valutato estremamente in carattere con questo genere che non è ormai più solo letterario.
L'impatto che questo film ha avuto su chi vi scrive è molto forte.
Questioni sociali, costanti psicologiche, simbolismo, premonizione, arte della sensazione, intesa come fluido di contatto fra loro nella scena e noi in platea ...
Insomma un film complesso e meritevole.
Una pellicola che riunisce tutti i mali tipici dell'uomo di oggi, che è in parte non indifferente uomo di domani.
È una investigazione nel tempo moderno, una spietata e lucida relazione sullo "Stato dell'uomo" in questo 1983.
Tanta carne al fuoco, tante chiavi di lettura quindi. Non vogliamo perderci in esaltazioni assurde, per cui moderiamo l’entusiasmo e parliamone con sufficiente oggettività.
Tecnicamente non assistiamo ad alcun sensazionalismo, ma la fusione fra immagini normali ed animazione è una trovata che denota attenzione e ricerca. La fotografia è ottima, il suo uso è molto simile a molti "video" delle Hit Parade, ma in questo caso tutto è maggiormente articolato e l'apporto dell'immagine ben montata è decisivo ai fini della rappresentazione.
La trama appare all'inizio ingarbugliata ma si dipana poi, attraverso la storia di una vita, di un calvario, di un viaggio allucinante fra le scorie della violenza e del potere, scorie che ci avvelenano giorno dopo giorno, con placida costanza.
La contestazione assume forme violente, le sole che possono rendere bene l'impatto di ogni ingiustizia sulla storia umana.
A violenza segue violenza, terreno di battaglia è la mente dell'uomo moderno, un meccanismo delicato e in balia delle costrizioni operate dalla società della violenza.
Il muro ne è il simbolo, i martelli il simbolo di una setta militarista e squadrista di chiara ispirazione nazista.
Tanto che ci viene subito alla mente la figura di Himmler quando il protagonista si esibisce, rasato quasi a zero e in divisa da S.S., nello stadio a urlare: "Credevate che vi sarebbe piaciuto venire allo spettacolo?"
Il muro è la provocazione il martello la violenza che si connota quindi come reazione violenta ad una azione altrettanto violenta (la guerra dove muore il padre del protagonista, tutto l'apparato del potere, le convenzioni sociali che di tale apparato sono l'emanazione).
Ma leggere il film in chiave politica appare fuorviante, i simbolismi psicologici si sprecano; ricordiamo solo la grande solitudine, l'enorme emarginazione che aleggia in tutto il film come una nebbia.
Il film è da leggere soprattutto in quanto tale. Infatti è un'esperienza più di una virtuosa recitazione con belle scenografie.
Un'esperienza a tutti i livelli che ti inchioda ti fa sprofondare nel vortice.
Le musiche sono possenti, acutizzate nei toni bassi che rompono i timpani.
Un film totale dove si vive il film, non lo si guarda. Il colloquio con noi che vediamo raggiunge l'apice quando gridano nelle nostre orecchie le parole sopra citate: "Credevate che vi sarebbe piaciuto venire allo spettacolo?"
Questa frase ti coinvolge, è un poco come se ti dicessero che sei responsabile per tutto quello che accade, che anche tu sei solo un altro mattone nel muro; il che vuol dire che è anche colpa tua se esiste il muro ...
Il muro divide, il muro su tutto il mondo, il muro in cielo!
Il tono è sempre sostenuto, le immagini sempre accusatorie, spietate, realistiche; quando scatta la finzione dell'animazione si tratta in realtà di un incupimento, di una iniezione di cinismo e di sconfitta.
Ma c'è la speranza in The wall?
Alla fine si, alla fine esiste una speranza.
Forse la stessa del Leopardi che tanto ci hanno inculcato a scuola.
Che non esiste il bene, ma solo una diminuzione della pena.
Quando il muro viene rotto, fatto a pezzi e dimenticato, abolito di là non c'è la terra promessa, ma un mondo ancora nella disperazione, nel pianto, nella miseria (simboleggiata dal bambino che spinge la carrozzella in mezzo alle rovine), ma in tale condizione vi è il germe di una pace finalmente raggiunta, che non è la libertà di essere poveri e diseredati, ma è la libertà di una certa forma di comunicazione, (comunione?) finalmente possibile dopa il buio del muro, dopo la pazzia.
Si fa chiaramente intendere che sta a noi rompere il muro, aprire una breccia.
Un forte messaggio rivoluzionario, condito da irrisione e denuncia ad ogni passo una irrisione che si vede nel coro dei bambini (dai toni beffardi e crudeli) come anche nel ritorno a casa dei soldati (quante analogie con le Falkland) salutati da una fanfara che sembra gli sputi in faccia e gli dica: "Bravi scemi".
Questa è la vena dei Pink Floyd.
Vena che rintracciamo già in album quali ad esempio Wish you were here (brano Welcome to the machine) o The Dark Side of the Moon e per certi versi in Animals (ecologia).
Dove si irride con violenza al mondo, alle sue convenzioni.
Questa volta tuttavia il progetto è stato enorme, un album doppio e un film che ha richiesto più di due ami di lavoro.
Eppure passa in sordina, Lo danno poco, non ci va quasi nessuno (almeno qui in provincia) si preferisce E.T., rassicurante e lacrimoso. La gente vuole davvero divertirsi quando va allo spettacolo.
Non vogliamo contrapposizioni assurde fra cinema impegnato e cinema d'evasione. Tuttavia queste cose bisogna accennarle, fare presenti certe discrepanze, certe nostre abitudini ...
Questo fa il film dandoci ad ognuno di noi un mattone per costruire un muro e poi indicandoci dove stanno i martelli ...
Ma i martelli non sono forse tristi figure di fanatismo, di barbarie?
È un monito, un dirci che i martelli si usano piuttosto per spaccare teste che per eliminare il vecchio muro della violenza e dell'incomunicabilità.
Un messaggio che è in sé stesso chiara volontà di metter in crisi le nostre coscienze e dove non sia possibile, farci passare in ogni caso un brutto quarto d'ora seduti a fianco dei nostri incubi, della nostra latente follia.
Per noi questa è S.F., un Atrocity Exibition sotto mentite spoglie di film rock.
Se Ballard avesse firmato il film io non avrei avuto nulla da dire.
The wall indica che siamo ormai in un romanzo di S.F. e dei più cattivi, duri, spietati.
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