Notti persiane
di Alberto Muratori
Michele quel mattino giunse molto tardi in ufficio, fatto piuttosto inconsueto per lui. Aveva un'aria allegra, felice; e salutando mi mormorò qualcosa sulle strade; sugli scorci caratteristici dell'antica città, sui negozi che gli erano parsi diversi, quasi che avessero perso la quotidiana, grigia funzionalità. La città per lui sembrava si fosse vestita a festa. Annuii distrattamente, borbottando qualcosa sull'approssimarsi della fine dell'inverno e sulla bellezza di Bologna in ogni stagione ma, come seppi solo parecchio tempo dopo, il vero motivo era solo suo e se lo cullava dentro; non lo nominava neppure sottovoce, non se lo voleva dire per timore d'esaurirne, in un unico assaggio, il dolce sapore.
Michele ed io eravamo amici non solo per via dell'impiego nella stessa azienda, ma per un antico legame d'infanzia che ci aveva visti compagni di giochi in imprese che allora avevano una grandezza ed importanza che nulla nell'età adulta era riuscito a superare. Tutto ciò aveva creato una sottile intesa tra noi, sopravvissuta ai lunghi anni durante i quali c'eravamo persi di vista, ed inoltre si era consolidata perché vivevamo la realtà dell'ufficio, nella quale s'intrecciavano snobismo, rivalità, frustrazioni, in modo abbastanza simile ed ambedue tentavamo di neutralizzarne l'aggressività. Inoltre ci accomunava quell'età nella quale terminati i sogni ci si scontra con una realtà che ci obbliga a vivere senza nemmeno più il beneficio d'un'attesa, senza l’illusione che qualcosa possa ancora cambiare, ed è quella la prova più difficile. Solitamente è a quel punto che s'impazzisce e ci si getta selvaggiamente su chi o cosa paia offrirci una qualche certezza. La scelta è sempre difficile, i condizionamenti dell'ambiente, del lavoro sono spesso determinanti. Mentre io reagivo a queste limitazioni in modo deciso per via del mio carattere poco incline alle mediazioni, lui tentava con una sorta di resistenza passiva che lo trascinava a volte in situazioni ambigue al limite tra gli schieramenti, con pessimi effetti per il suo umore e con crisi dalle quali usciva solo al prezzo di notevoli sforzi. Si era posto al lavoro da poco quel mattino quando l'ambiente, nella persona che maggiormente lo rappresentava, lo trasse dai suoi sogni: Roberto gli si era avvicinato ed il suo sorriso da "gatto che ha sempre appena mangiato un grasso topo", lo stava ponendo a disagio.
Dalla mia scrivania osservavo incuriosito i deboli tentativi di Michele d'abbreviare il colloquio. innalzando uno schermo protettivo basato prevalentemente sul mostrare un interesse molto tenue per l'argomento e su un "... qualcosa d'urgente da fare..." a fior di labbra che Michele non riusciva mai a strapparsi e che una volta tanto avrebbe conferito un aspetto di serietà a quelle sue difese delle quali Roberto conosceva benissimo la fragilità. Non riuscivo a cogliere il dialogo per via dei molti rumori dell'ufficio, ma appariva evidente che Roberto era su di giri, in senso positivo ovviamente, ed il motivo nel suo caso era invariabilmente costituito da una nuova conquista femminile. Notai l'accentuarsi delle pieghe furbe delle labbra di Roberto, il tono della sua voce che diveniva via via più confidenziale, ed infine il tocco della sua mano sull'avambraccio di Michele che significava "a te queste cose le racconto perché sei un amico e sei quasi grande come me" e che solitamente otteneva l'effetto di frantumare le ultime difese. S'avviarono al bar per un caffè e questa volta fu un caffè davvero lungo. La mia ostilità nei confronti di Roberto era stata quasi istantanea e risaliva a molti anni prima, anche se ad onor del vero non traeva origine da nessun fatto particolare; potrei affermare piuttosto che egli riuniva in sé tutte le caratteristiche che solitamente vengono definite negative, quali vanità, dissolutezza, totale assenza di principi, ipocrisia. Egli gestiva questo suo patrimonio di scelleratezze in modo certamente abile e brillante, trasformandole quasi in virtù agli occhi dei colleghi e, soprattutto, delle colleghe. Egli navigava in qualunque acqua, ed era veramente l'uomo di tutte le stagioni. La mia mentalità, il mio modo di vivere erano molto lontani dal suo e perciò avevo sempre ricusato qualsiasi tentativo di coinvolgimento, ma non potevo non osservare con preoccupazione le sue astute manovre nei confronti di Michele, certamente assai più sensibile di me a quel tipo di sollecitazioni.
Ebbi sentore al loro rientro che qualcosa fosse accaduto: Roberto ora stava discosto, il sorriso complice era scomparso per lasciar posto ad una espressione incredula e corrucciata che stava per "se è uno scherzo non mi piace". Di questo episodio solo molto tempo dopo Michele mi fornì l’interpretazione, ma dato che si trattò in effetti del prologo di quanto accadde in seguito, ne anticiperò il contenuto. L'ufficio nel quale operavamo era il centro motore dell’intera azienda, in quanto era lì che nascevano le campagne di vendita, s'adottavano nuove tecniche promozionali, ricerche di marketing, ecc… Ovviamente queste attività richiedevano frequenti proiezioni all'esterno sia per promozione vera e propria sia per verificare l'efficacia delle nostre iniziative o per elaborare nuove ipotesi di sviluppo o per il controllo della rete rivenditrice. Tutti noi quindi potevamo usufruire di un monte ore da dedicare al lavoro esterno che per brevità designavamo "le ore".
Roberto da molti anni usufruiva oltre che delle sue anche delle ore di Michele che per carattere non amava avvicinare persone estranee, specie se per aridi colloqui commerciali; questo scambio dapprima saltuario, era divenuto in seguito prassi consolidata con reciproca soddisfazione. Quel mattino mentre sorseggiavano il caffè Michele aveva chiesto le sue ore. Roberto era sconcertato: Michele che gli sfuggiva, Michele sino a quel momento rassegnato spettatore delle sue imprese che improvvisamente rivendicava il suo ruolo … quelle ore gli erano indispensabili ormai, erano "sue" di "diritto" e per lunga consuetudine. Aveva perso l'aspetto di "bel gatto satollo" e le pieghe attorno alla bocca accentuavano l'espressione di dispetto, mentre il balenio degli occhi non lasciava presagire nulla di buono.
La nostra conoscenza, mia e di Michele voglio dire, risaliva alla prima adolescenza, ai calzoni corti, alle vie che la guerra aveva lasciate povere e dilaniate dalle bombe, e quei ricordi ancora vivi ci legavano ancor di più della realtà quotidiana. Tra noi, anche se apertamente non ce l’eravamo mai confessato, era più che mai presente il malinconico sfondo della strada ed il ricordo di quel coraggio che avevamo strappato l'uno all'altro nell'affrontare timorosi gli antri oscuri di case vecchie e plebee, cortili chiusi al sole dove gli odori della vita s'impastavano con l'umidità, con il sapore di muschio e muffa nati tra le crepe, negli angoli. La nostra fragilità fisica, più apparente che reale forse parlava d'anemie, di sottonutrizione, di un mondo dove la carnagione pallida era la normalità, come i toni sbiaditi ed i profili smozzicati delle case.
Michele era cresciuto con un carattere malinconico, un poco timido, autosufficiente non tanto per abbondanza di risorse quanto per scelta; se qualcosa gli sembrava difficile, lontano dalla sua portata anche se non irraggiungibile, ebbene egli vi rinunciava senza esitazioni. Ho sempre pensato che ricavasse una forma di piacere fisico da questo autolesionismo: certo allora non ero in grado di intuirne la componente masochista. Quella patina indefinibile e purtuttavia reale era nata dal vivere quotidiano tra case squarciate dalla guerra, oscenamente violate nella loro intimità, dove le pareti rimaste a seconda delle colorazioni ricordavano i desideri di chi le aveva abitate e l'estensione dei loro sogni che nei toni chiari richiamavano spazi più ampi, il trasporto della carne nei rosa carichi delle camere da letto, e che nelle muffe, negli intonaci gonfi e scrostati ricordavano l'umore del quartiere, i pochi soldi, quella tristezza incancellabile di una stagione che ci aveva visti nascere nel mezzo della morte. Questo era ciò che ci univa e che ci riconoscevamo nello sguardo, nelle parole. Ciò nonostante quella solidarietà di fondo non era mai sfociata in una vera amicizia, forse proprio per via di quel nostro carattere per certi versi simile, chiuso, testardo, a volte pigro.
Michele avrebbe potuto "prendere" la vita, ne aveva certo le capacità, ed invece aveva finito con il subirla, con l'attendere passivamente e senza soverchia curiosità lo svolgimento della trama.
Quando sposò Sandra non ne rimasi stupito, lei era una di noi, conosceva gl’orizzonti limitati dei vecchi bassi, delle terrazze, addossate l'una all’altra ed attraversate dalle corde tese per il bucato. Era bella a modo suo, ma con lei Michele aveva abdicato ancora una volta.
Intorno a Roberto, ispettore anziano non tanto per l'età quanto per la lunga milizia, si muovevano alcuni altri colleghi, che ne dividevano il prestigio, l'alone. di mondanità, gli intrighi. Tutti gli altri erano il pubblico, la platea che subiva più o meno passivamente la loro influenza. Questi universi coabitavano a fatica, anche perché i tentati vi d'ingerenza di Roberto e soci nella vita d’ufficio, e non solo d’ufficio, di tutti noi erano continui e ripetuti. Notai in quei giorni un particolare fermento in Roberto e nei suoi compari Ferretti· e Lasagna: s'alzavano di frequente. dalle scrivanie ed i loro conciliaboli erano contornati da scoppi di risa mentre indirizzavano sguardi allusivi ed assai poco benevoli verso Michele, il quale pareva accusarne il fastidio. Conoscendo Roberto ormai da parecchi anni ero in grado di comprendere il suo comportamento: egli aveva fatto dell'esteriorità, del prestigio frivolo e mondano il vero fine della sua vita, L'abbigliamento curato fino all'eccesso, l'orologio alla moda, l'auto, le donne, l'attenzione e l'invidia di coloro che lo circondavano costituivano lo scopo di ogni sua azione. Ma ora Michele gli stava sfuggendo e perdipiù era uno dei pochi che mai aveva plaudito alle sue avventure, né aveva fatto corte intorno a lui. Ora si permetteva addirittura di contrastarlo nella sua egemonia - sino ad allora indiscussa. Questi erano i termini dei rapporti interpersonali di Roberto, dato che egli non ne conosceva altri, ne pensava che qualcuno potesse dare o chiedere di più. Roberto non sapeva amare, né trarre gioia dalle sue conquiste; se non assaporando l’invidia che riusciva a suscitare in altri colleghi meschini quanto lui.
Michele frattanto aveva perso l'euforia dei giorni precedenti, sfuggiva tutti, me compreso. Si era ripreso le ore. In quel periodo la nostra amicizia subì una considerevole flessione.
Un giorno mi telefona Sandra. Era sconvolta, voleva parlarmi, mi chiese un appuntamento. Era un po' di tempo che non ci sentivamo a causa dello strano comportamento di Michele, e ciò che in altri momenti sarebbe stato del tutto normale dato il rapporto di amicizia esistente, divenne invece ai miei occhi la conferma del travaglio che l'amico e la sua famiglia stavano attraversando. Avevo interrotto le visite a casa loro sicuro in questo modo d'assecondare un desiderio che Michele non aveva avuto il coraggio di manifestare, ma che l'atteggiamento, il disinteresse per qualsiasi argomento, lo stesso aspetto fisico che andava peggiorando di giorno in giorno, esprimevano meglio di qualsiasi discorso. Per di più avevo qualche motivo di risentimento nei suoi confronti in quanto ogni qualvolta avevo tentato d'offrirgli il mio aiuto ne avevo ricevuto in cambio un netto rifiuto ed un invito esplicito a farmi gli affari miei. Mi ero perciò allontanato, seppure forzatamente, da lui e dai suoi problemi della cui gravità non avevo più dubbi. Mi recai all'appuntamento con Sandra con un po' d'apprensione ed una forte curiosità. Desideravo sinceramente aiutarla e volevo conoscere la natura dei guai nei quali si stavano dibattendo. Sandra attraversa con grazia la serie di tavoli che ci separano e mentre s'avvicinava ne ripercorrevo le fattezze note, apprezzandone la pacata bellezza che rivelava appena i primi segni del tempo. Ogni volta mi ritrovavo a compiere quell'esplorazione, a chiedermi com'era fatta, cosa mancasse perché la sua bellezza divenisse completa ed evidente, ma come sempre i particolari mi sfuggivano o forse. si trattava di sfumature troppo sottili ma che nel complesso la rendevano incompiuta. Forse ella stessa non aveva mai maturato la convinzione d'esser bella.
Mi stava seduta dinanzi, le mani nervosamente serrate sulla borsetta, il bicchiere colmo di coca-cola che non avrebbe bevuto dinnanzi a lei. Parlava e m'interrogava, chiedeva e supplicava, aggirandosi sperduta tra i resti delle certezze del suo matrimonio. Non la ascoltavo: il mio pensiero correva ancora lontano, eppure s'interessava a lei, e da vie sconosciute persino a me ripiombava brutalmente nel presente, incurante dei sentimenti della donna per chiedersi come sarebbe stata a letto, in quanto tempo avrebbe dimenticato il peso del corpo di Michele, le sue parole, i suoi gesti nei momenti dell'amore. Sandra non sapeva nulla di ciò che stava accadendo al marito; ne percepiva la gravità, ma in realtà non ne sapeva nulla. Ero deluso e non lo nascosi, ma anche lei mi lasciò con l'intima convinzione che le avessi taciuto la verità per coprire l'amico.
Spettatore silenzioso continuai ad osservare il sottile e nevrotico intersecarsi degli avvenimenti. Tra Michele ed il terzetto ora regnava una freddezza palese, tanto che tutti i colleghi l'avevano notato. Il viso tirato, le occhiaie, l'irrequietezza che mai l'abbandonava tanto che la scrivania pareva fargli l'effetto di uno strumento di tortura, l'avevano invecchiato di molti anni. Sempre più frequentemente quando superava il limite di sopportazione si segnava sul registro ed usciva, e certo non si recava a visitare clienti.
Il Ferretti era quello che più apertamente dimostrava animosità nei suoi confronti: il rancore che pareva nutrire verso il mondo intero per via d'una malformazione all'anca che conferiva al suo passo un'andatura caracollante un poco comica, ora lo riversava solo su Michele. Ogni pretesto era sufficiente per dimostrargli il suo disprezzo totale. Ma fu il Lasagna, che esercitava l’antico mestiere del calunniatore e delatore, ed era temuto e rispettato proprio grazie a queste spregevoli caratteristiche, che s'assunse l’incarico di pedinare Michele. L'evidenza del suo comportamento non poteva sfuggirmi, anche se ancora non riuscivo ad immaginare fino a che punto la trojka volesse forzare quel gioco che ormai non era più tale. Ero ancora indeciso su quale atteggiamento tenere, cioè se aiutare Michele nonostante il suo incomprensibile isolamento, o se disinteressarmi totalmente della questione come del resto egli stesso mi aveva consigliato. Mentre valutavo indeciso le due possibilità, vidi Michele uscire ed il Lasagna che lo seguiva frettolosamente per l'ennesimo tentativo di pedinamento, riuscendo tuttavia a trovare il tempo di gratificarmi d'un ironico sorriso. Era decisamente troppo. Indossai la giacca e lo seguii.
Due particolari mi furono evidenti quasi immediatamente: che il Lasagna non sarebbe riuscito a pedinare un bambino senza farsi scoprire alla svolta del primo isolato, e che Michele non cercava in nessun modo di rendere difficile il pedinamento anzi, quando la folla si faceva più fitta nelle antiche vie del centro cittadino, egli provvidenzialmente si soffermava ad osservare le vetrine dei negozi, attendendo pazientemente che l'improvvisato segugio, trafelato ed accaldato, lo rintracciasse. Stavo assistendo ad una commedia grottesca nella quale ormai mi sentivo coinvolto pur non conoscendone il copione. Rimasi, deciso ad andare sino in fondo, E poco dopo il fondo giunse, un fondo notevole, come tutto l'insieme: la donna abbracciò Michele con naturalezza.
Erano trascorsi oltre tre mesi dal giorno del pedinamento, da quando cioè avevo scoperto la natura del segreto di Michele, e la primavera stava per cedere il passo all'estate. In quel lasso di tempo avevo, fatto un viaggio e mi ero interessato ben poco a quell'intrigo che, dopo averne appurata la natura, avevo giudicato banale e degno di Roberto e soci. E tra i soci annoveravo ora anche Michele. Sul suo viso erano evidenti gli effetti di quel lungo, tormentoso periodo e dell'antica luminosità che soleva guizzare improvvisa negli occhi piccoli e chiari non era rimasta traccia. I tratti del volto scavato e smagrito erano in continuo movimento e parevano sottrarsi ad ogni controllo, mentre il tremito delle mani era tanto evidente da rendere del tutto inutile ogni suo sforzo per celarlo. Senza preamboli Michele chiese di vedermi quella sera stessa nel bar in Piazza Maggiore dove ogni tanto eravamo soliti recarci. Accettai senza celare tuttavia la sorpresa, e mi andavo chiedendo perché avesse deciso solo ora di "vuotare il sacco", come si suol dire. Dopo tanto. Perché di questo doveva trattarsi, ne ero certo.
- La vedesti quel giorno? - Esordì non appena ci trovammo seduti dinanzi al caffè.
- Lo so che mi stavi seguendo, come il Lasagna. - Le sue parole erano pronunciate in fretta, con aggressività, espressioni d'intense contraddizioni. Ciò nonostante non potei evitare di sentirmi offeso dall'associazione al Lasagna, ma riuscii a reprimere l'indignazione comprendendo che l'amico non aveva posto malizia alcuna nell'affermazione, ma che semplicemente non aveva più spazio per questi dettagli tanto era preso dal suo problema. La sua era stata una semplice constatazione. Se l'avevo vista! Prima di salire l'aveva fatta passeggiare per mezz'ora, passando e ripassando dinanzi agli occhi del Lasagna che nemmeno più tentava di nascondersi, ed ai miei che essendo ancora indeciso se fossi stato scoperto o meno, me ne stavo seminascosto dietro a una colonna, un poco in disparte. Una donna magnifica, dotata di classe e l'effetto era tale da spiegare come Michele fosse letteralmente "partito" per lei. Ma era una storia comune e priva d'originalità. Non gli dissi ciò che pensavo, limitandomi al commento che certo s'attendeva. Era impacciato e nonostante che la confidenza tra noi fosse notevole, l’argomento lo poneva in difficoltà. Parlò di Leyla, così si chiamava, il suo sogno fulvo, l'incanto dell'amore, il mondo che si trasforma, un profumo che avvolge ogni cosa. Cercava la mia comprensione sottolineando l'equilibrio che lui aveva sempre dimostrato nei lunghi anni della nostra conoscenza, desiderava che gli credessi, che mi convincessi che non aveva perso la testa dinanzi alla prima femmina in calore. Raccontava senza pause, quasi temendo di non trovare più, una volta interrotto il fluire delle parole, il coraggio necessario per continuare. Raccontava seguendo un frenetico vorticare di ricordi che si alternavano nella sua mente, ma spesso le parole erano insufficienti a rendere il pensiero ed allora, impotente, dispiaciuto, ripeteva con lo sguardo fisso nella sua memoria: - Ma è di più … molto di più … è tutto ciò che ho desiderato da sempre. È difficile immaginare qualcosa che non è compreso nelle nostre esperienze. –
Le parole di Michele stavano creando l'immagine di una donna diversa, improbabile, anzi impossibile nella realtà. L'amore fisico nel loro rapporto era divenuto il mezzo per una unione più profonda attraverso la quale a Michele si erano dischiusi orizzonti sconosciuti, esperienze diverse, mondi mai visti e la sconvolgente impressione di non essere più solo, ma circondato da molte presenze che riunivano le sensazioni che la razza aveva disperso in milioni di esseri diversi. Un amore egoistico, esclusivo di cui lei ha il possesso indiscusso, incontrastato. Si fermò; quasi necessitasse di riprendere fiato dopo una lunga corsa. Il mio sguardo errava per la grande piazza, si fermava sui rilievi illuminati dai fari, frugava i ripostigli, le ombre dei portici che costudivano secoli di storia. Quei mattoni trasudavano vita ed io mi sentivo felice di poter partecipare per il solo fatto di vivere e respirare tra loro, al corso di quelle storiche esistenze. Ero ben disposto e lo scenario suggestivo incoraggiava le confidenze. La voce di Michele era divenuta un sussurro, ma nonostante che l'emozione lo attanagliasse, proseguì:
- La vergogna della mia arretratezza, dei tabù di cui tutti, chi più chi meno, siamo schiavi. Ognuno ha ancora in sé le morbosità della gioventù, l'incertezza dei primi approcci al sesso, i sogni popolati d'erotismo selvaggio, di possessioni di nudità oscenamente esposte, d'avventure ingenuamente ed assurdamente erotiche… i corpi inesplorati, i corpi come oggetto di piacere … -
Seguivo il suo racconto cercando di popolarlo con immagini mie, ricordi d'episodi lontani che riaffioravano alla mente. Immagini che si alternavano, sensazioni d' una grande energia… le prime scoperte del sesso, sogni erotici assurdi, avventure del tutto improbabili.
Ed ancora una purezza, una dicotomia impossibile nell'adulto: che contrapponeva i candidi cumuli di neve che fiancheggiavano le diroccate vie della mia infanzia ai sogni proibiti delle mie notti.
- … Tutto in lei è superiore; il profumo ad esempio. Non ha eguali. Su di lei assume significati sconosciuti e non si limita a sottolinearne la bellezza, ma pare animato da vita propria e seduce, dandoti l'impressione di essere l'unico uomo scelto tra tutti. È una lusinga sottile e tuttavia sfrontata, impudica addirittura nella forza del suo aroma. Provoca i sensi, risveglia la sensualità. -
Non ero un esperto di profumi, tuttavia ero a conoscenza che le donne della cosìdetta "buona società" e le prostitute condividevano gli stessi gusti in questo campo. Amano gli odori inebrianti che generano sottintesi, che creano ambiguità, ma non lo dissi, sapendo che si sarebbe offeso. Mi sforzavo di cogliere appieno la profondità dell'esperienza di Michele, 'ma mi riusciva difficile; da tempo i miei interessi seguivano altre vie e l'esplorazione delle sensazioni che può generare l'amore di una femmina come Leyla non figurava nel mio passato recente.
- E la musica … - proseguì, - è un'esperta. Non so dove abbia ricevuto un insegnamento così profondo e completo ne dove effettui le incisioni che poi ascoltiamo insieme. Ha musiche per ogni stato d'animo e quando io le confondo o non riesco a coglierne l’atmosfera, le diversità, ella si irrita. All'inizio erano musiche comuni, anche se estremamente scelte. Molte le avevo già udite, pur non avendo mai dedicato grande attenzione a questa forma d’arte, poi cambiò decisamente qualità. Progressivamente subentrarono ai temi noti musiche dai canti ritmati accompagnati dai battiti delle mani. Sono brani lunghissimi, estenuanti. Nessun rivenditore in città li possiede; li ho girati tutti ascoltando le registrazioni in loro possesso. Niente, non esistono. Ed io ... e noi ... ecco è come se fossimo in trance … e "vedo", penetro in luoghi mai visti, dove figure indistinte cantano inni alla luce delle torce si abbandonano a danze ed a orge. -
Ora mi rendevo conto pienamente a qual punto lo avesse portato quella donna, e quanto inutile sarebbe stato ogni tentativo di ricondurlo alla ragione. Non avevo alcun dubbio su quanto lontano ormai si fosse spinto su quella via, ma il pensiero di Sandra, il ricordo della sua disperazione mi indussero almeno a tentare:
- E a Sandra non pensi? E a tuo figlio? -
La sua fronte fu attraversata da solchi profondi, mentre l'espressione del viso tradì un senso di fastidio:
- Avevo necessità di parlare con qualcuno, dopo tanto, qualcuno che potessi ovviamente considerare un amico. Ho un inferno privato qui dentro che non posso dimenticare e che non mi lascia mai. Di Sandra … del ragazzo non voglio' parlare e speravo l'avessi compreso. -
- A questo punto! -
- M'illudevo che almeno tu … ma è probabilmente impossibile senza averlo provato personalmente. Credimi, è superiore alle mie forze, alla mia volontà … è … è … oh, al diavolo! È inutile! -
E senza aggiungere altro se n'ando lasciandomi perplesso e turbato. Credevo di conoscere bene Michele, il suo carattere, le sue debolezze e ritenevo che non avrei mai potuto tacciarlo di precipitazione, di superficialità e, per quanto ne sapevo, non era mai stato schiavo delle passioni. Tuttavia osservandolo mentre s'allontanava, pensai che quell'uomo si era beccato la più potente sbornia di sesso che avessi mai visto.
Michele ora m'evitava apertamente percui conclusi che doveva aver avvertito i miei richiami come una sorta di tradimento, né io d'altro canto potevo riprendere a frequentare casa sua: ora che sapevo non sarei riuscito a mentire a Sandra. L'infatuazione di Michele, così convinta, così profonda, mi aveva impressionato più di quanto fossi disposto ad ammettere e da parecchi giorni andavo riesaminando il contenuto di quell'incontro, le sue affermazioni, le sensazioni che aveva cercato di trasmettermi. Lo ricordavo, già ragazzo, indifferente ed insensibile alla maggior parte dei fatti comuni della vita, ed ora me lo ritrovavo contrariamente ad ogni supposizione al centro di una vera e propria tempesta sentimentale.
Certo Leyla era una donna splendida … risvegliava inquietanti desideri, un rimpianto che nel corso degli anni avevo più volte seviziato, decapitato, nascosto ma che sapevo ancora vivo in me nella sua fantasmatica esistenza; un'assenza che nell'intimo non mi ero mai perdonato. Lacerazioni di vite che per un poco mi si erano offerte, con tutte le loro possibilità, con un'ampiezza e vastità da togliere il respiro ed alle quali non avevo saputo dare un'esistenza. Certo si poteva amare e soffrire con grande intensità, ma non volevo, non potevo ammettere che Michele rinnegasse completamente la sua vita precedente. Conclusi che era certamente impazzito. Me n'andai per quindici giorni. La primavera era ormai inoltrata, i primi caldi si facevano sentire, le case verso sera s'aprivano riversando i rumori di vita nelle strade che la luminosità delle giornate più lunghe lasciava lentamente, quasi con rammarico. Amo il mare in quel periodo, quando le spiagge della Romagna non hanno ancora subito l'onta stagionale della grande invasione; ed il mare, che nell'inverno ha tentato invano di cancellare gli sgarbi di pietra e cemento dell'uomo, ha ridonato loro per un poco l'aspetto naturalmente irregolare. I bagnini toelettano e verniciano le costruzioni, riparano le cabine, pettinano la sabbia, saggiano la tenuta dei pattini. Da tempo ho imparato a godere di quel periodo che mi si offre quasi in esclusiva, un paesaggio che sa dei primi lustri del novecento, con ampi spazi, come dovevano averlo vissuto i bagnanti di quei tempi. Percorro parecchi chilometri, senz'accorgemene, in perfetta solitudine e mi ci trovo bene perché la solitudine è insopportabile solo quando s'attende invano qualcuno o qualcosa, o quando quel qualcuno non è mai venuto. Se invece si è ricchi di vita interiore e di ricordi ed invece di sfuggirla s’accetta la sua presenza, si parla il suo linguaggio che è fatto di momenti vissuti eppure sempre nuovi, di colori, di stagioni, di musiche, ebbene avrete trovato una compagna magnifica, discreta, sempre presente quando la vorrete.
Così in quei giorni di primavera compivo lunghe passeggiate su quell'arena piatta pensando a Michele ed alla solitudine: anche lui ne possedeva il segreto, ne ero certo, anzi credo che questa fosse l'affinità che più ci legava, quella dote che la nostra infanzia assurdamente adulta ci aveva donato non disponendo d'altre risorse. Io e Michele … così simili per alcuni aspetti … avevo individuato il motivo vero del mio interesse per quella storia: Michele aveva scelto la via che io non avevo mai imboccato, ma per la quale dovevo aver celato nel profondo forti rimpianti.
Non ero più così sicuro; forse qualcuno avrebbe potuto riempire e dare un'impronta completamente diversa alla mia vita. Qualcuno che non era mai venuto … volevo conoscere la fine della storia. Mi precipitai a far le valigie e ritornai.
Non appena incontrai Michele, l'avvicinai, anzi lo circuii, senza tuttavia osare rivelargli il vero motivo del mio rientro anticipato. Non mi occorsero tuttavia pretesti per invitarlo quella sera stessa a casa mia; stava scoppiando ed accolse volentieri l'invito. Cenammo con cibi freddi che avevo rimediato in fretta, ma nessuno dei due dava particolare importanza in quel momento al lato gastronomico. Senza troppi preamboli, Michele introdusse l'argomento che più gli stava a cuore, e che ora era anche l'oggetto del mio interesse.
- Hai più sentito Sandra? - Tratteggiai un breve resoconto dell'ultimo colloquio e gli spiegai che avevo evitato di farmi trovare ogniqualvolta ella mi aveva cercato. Ascoltava senza interloquire, i muscoli contratti, le mani serrate. Poi con fare impacciato, prese a narrare:
- Sono accadute molte cose dall'ultima volta che ci siamo parlati. Cose gravi a tal punto che ho perso ogni speranza. Probabilmente hai pensato che fossi uscito di senno. o quantomeno il mio equilibrio fosse irrimediabilmente compromesso e certo avevi ragione non mi era possibile, e non lo è tutt'ora, pensare e decidere secondo gli schemi consueti. Avevo cercato di farti comprendere cosa rappresentava per me quella donna, ben sapendo che sarebbe stato un tentativo del tutto inutile; posso solo dirti che l'alone di mistero che la circonda e impenetrabile, e che nonostante il nostro rapporto duri ormai da parecchi mesi, non so assolutamente nulla di lei, né più né meno che la prima volta. -
Prese tempo, soppesando evidentemente le parole prima di continuare, io non sapevo che dire, pur rendendomi conto dell'intensità delle sue emozioni lentamente riprese: - Perché si ama una donna? I motivi possono essere molti, alcuni evidenti, altri meno. Il sorriso, una ciocca di capelli che cade in un certo modo, il corpo, gli occhi sono forse particolari futili ma spesso decisivi. Poi ci si può innamorare perché ti piace "dentro", perché ti comprende, perché si condividono gusti, mentalità, progetti, il futuro in una parola. Se c'è tutto questo allora ogni definizione diviene insufficiente. E se fosse possibile andare oltre? Se fosse possibile che un altro essere umano fosse capace di corrisponderti completamente, d'amarti con rabbia quando lo desideri, con dolcezza nei momenti difficili, di cavalcare il tuo sangue quando turbina per il desiderio, di farti vibrare con le armonie del suo animo, ebbene se tutto ciò fosse possibile? - Ascoltavo con la massima attenzione mentre Michele s'infervorava sempre più nel racconto: - Comprendi ora da queste povere parole, che appena sfiorano la vera essenza di Leyla, quale effetto abbia prodotto su di me. Una scoperta continua, un coinvolgimento senza eguali, ed un bisogno di lei in ogni momento, lancinante, un desiderio superiore ad ogni mia resistenza.
Ti assicuro che ho lottato, ho tentato in ogni modo di starle lontano, di dimenticarla. Mio Dio! Quando penso a Sandra ed ad Andrea… ma sono attimi e poi la mia mente torna a lei. Credimi, sono impazzito sulle reni di quella donna, ma non è questo che mi lega a lei. Che avevo io da offrirle? Una vita semplice e piatta, banale.
Ma lei vuole sapere tutto di me, mi fruga incessantemente con domande; ma più volte ho sospettato che abbia altri mezzi per sondarmi. Sa delle mie gioie e dei fallimenti, dei tradimenti, della mia infanzia, sa di me e di te, dei giardini, della strada che fu il nostro modo di vivere, della miseria del dopoguerra alla cui ombra siamo cresciuti, dei sottoscala bui, delle vecchie cantine in cui l'odore della legna e del carbone si unisce alle muffe sino a divenire qualcosa di diverso, di pregnante che ti resta negl'abiti, nei capelli, nell'animo. Sa molto di più di quanto io le abbia mai raccontato, fino a conoscere i miei sogni bambini dinanzi al vecchio abbaino da dove inquadravo un rettangolo di cielo nel quale le rondini intessevano infiniti ricami nelle cui trame io cercavo di scoprire le linee del mio futuro. Ogni vita, ella dice, è un mondo a sé, un'opera ineguagliabile, un brulicare infinito di conoscenze e d'esperienze. Ella è affascinata da questa ricerca che persegue con uno slancio inesauribile, e con una meticolosità scientifica. Io scambiai tutto questo per una grande umanità per una capacità d'amare senz'eguali. Solo tardivamente mi sono reso conto della verità, di quanto egoismo, di quale golosità si celasse sotto questo falso aspetto. Ella ha colto in me quella parte che sin dalla nascita in ognuno di noi piange in silenzio per il solo fatto di dover lottare quotidianamente per sopravvivere, e che diviene in seguito la vera essenza, il nucleo di ogni nostra sofferta conoscenza, la nostra umanità. Prima ha scavato, poi lo ha isolato, l'ha fatto vivere per un poco in simbiosi con lei mostrandomi possibilità infinite, conoscenze perdute nei ricordi della razza, per poi sottrarmelo definitivamente. Non ho più tenerezza, né amore, né colori per dipingere la vita. La chiave è lei, solo lei, quella che conduco non è vita senza di lei. Ti sarai accorto di quale gabbia infernale sia divenuto per me l'ufficio, ed i colleghi ... Roberto ha preso ad odiarmi in modo feroce perché mi sono ripreso le ore e mi ha messo contro il Lasagna ed il Ferretti, giungendo fino a farmi pedinare. Tu cercasti d'avvertirmi, ma me n'ero accorto sin dalla prima volta. Per un poco delusi la loro sorveglianza, poi mosso dalla vanità decisi di mostrar loro Leyla. Una donna così neppure Roberto l’aveva mai avuta. Non resistetti al desiderio di rivincita nei confronti di chi per anni aveva turbato i miei lunedì con i racconti delle sue imprese galanti. Così decisi di rendere facile il pedinamento e di permettere a quei cialtroni d'ammirare il mio segreto. Tu sai tutto questo, dato che quel giorno c'eri anche tu. -
Nella soffusa illuminazione del salotto la figura di Michele si confondeva nella penombra ed io, più che dai tratti del volto, ne intuivo dalla voce la profonda commozione. Riprese a raccontare, e la voce era ormai quasi un indistinto mormorio: - … Nel frattempo qualcosa era cambiato in me: lo stato di spossatezza che m'attanagliava al termine dei nostri rapporti era del tutto innaturale, ma io solo sapevo l'intensità emotiva di quei momenti, della partecipazione più completa e totale, e fino ad allora non avevo attribuito grande attenzione a quel particolare. Iniziai a valutare diversamente il fenomeno quando m'accorsi di un progressivo decadimento della mia potenza sessuale. Mi divenne difficile avere un'erezione se non con Leyla, con la quale recuperavo miracolosamente la mia virilità. Cercavo d'evitare Sandra con ogni sorta di scuse mentre m'indagavo per cercare una soluzione ai miei problemi. Il responso dei medici che consultai fu unanime, tutti concordavano su un forte esaurimento nervoso, ma io sapevo che non era vero. La causa era Leyla. Lei aveva svuotato di ogni interesse il rapporto con un'altra donna. Solo la, in quella stanza con lei mi ritrovavo intieramente. - Ora i contorni del dramma di Michele avevano preso forma e ne comprendevo appieno la profondità, tuttavia credo che nessuno avrebbe seriamente creduto al suo racconto e dopo un formale e poco convinto cenno di comprensione avrebbe sposato completamente la diagnosi dei medici. Michele era partito. Quella donna aveva avuto l'effetto di un tornado sconvolgendo la sua vita metodica e passiva che ben conoscevo. Si era interrotto, meditando sulla gravità della sua situazione. Solo con evidente sforzo riprese a raccontare: - Stabilii infine senza possibilità d'equivoco che il fenomeno s'aggravava maggiormente dopo ogni rapporto con Leyla, e mentre cresceva l'integrazione tra noi e la conoscenza diveniva così profonda e totale che in alcuni momenti non ero più in grado di distinguere le sue sensazioni dalle mie, così aumentava la mia dipendenza da lei. Non avrei potuto amare nessun'altra dopo di lei, quei voli di cui i corpi sono solo lo strumento, sono per me ormai irrinunciabili. La sua bellezza è pari solo al suo orgoglio, un orgoglio smisurato ed immotivato, pronto ad accendersi per i più futili motivi. Ora so che in realtà Leyla prende solo senza dare, dalla vita, da tutti, in particolare da me. Affrontare con lei l'argomento sarebbe equivalso a perderla, o perlomeno a rischiare un lungo periodo d'incertezze. –
Ora la voce di Michele si era fatta monocorde, e per un attimo temetti che sopraffatto dall'emozione interrompesse il racconto.
- Tu sei l'unico che può parlare a Sandra … non tornerò più a casa. Non posso. Sarebbe assurdo ed intollerabile, per lei e per me.
L'uomo che conoscevate non esiste più e nemmeno so dirti se sono felice così. Ma non posso agire in altro modo, e nemmeno lo voglio. - L'osservai allontanarsi ed era spiaciuto a tal punto che nemmeno lo salutai. Avvertivo un triste presentimento.
L'ultimo incontro con Michele mi aveva senza dubbio impressionato; se mai avessi voluto predire un futuro al pallido ragazzetto compagno dei miei giochi, gli avrei attribuito pene e gioie certamente, ma assai diverse da quelle che la vita gli aveva in seguito riservato. E se Michele non era pazzo? Se una passione così intensa fosse stata possibile, se quella donna era veramente in grado di suscitarla, ebbene la mia vita era assai simile alla mostra delle occasioni perdute. Per dirla brevemente io non avevo mai vissuto. In confronto all'esperienza di Michele le tappe della mia vita apparivano come i passi incerti di un bambino, o come cartoline sbiadite dal tempo che non interessano più nessuno se non qualche collezionista che non sapendo osservare nemmeno il luogo in cui vive, cerca orizzonti più ampi in sterili raffigurazioni di luoghi che non ha mai visto e che non godrà mai. Avvertivo da qualche parte del mio essere un'aspettativa, un vago rimpianto, il ricordo di un'attesa che non era mai stata appagata. Ora ero io a seguire Michele: ormai l'intera vicenda era diventata un fatto personale, pur comprendendo tardivamente che fin dall'inizio ero stato qualcosa di più di un semplice spettatore di quel gioco pericoloso. Dovevo sapere. Esisteva qualcosa di là dei miei limitati orizzonti? Quella donna, secondo Michele, offriva un intero nuovo continente, anzi un universo d'emozioni. Dovevo scoprire se era una istriona od anche peggio. Li seguivo così, senza idee precise. Li seguivo quando si recavano ai loro appartamenti, e seguivo lei che usciva sempre per prima, recando sul viso i segni della intensa eccitazione dell'incontro. La seguivo senza avere il coraggio di fermarla, senza sapere esattamente cosa stavo cercando. Avevo la precisa consapevolezza che mai l'avrei affrontata, e tuttavia la pedinavo, automaticamente, mentre il mio pensiero del tutto indipendente proseguiva le sue tortuose elucubrazioni.
Un giorno Leyla improvvisamente si volse ed iniziò a marciare decisamente su di me; quando giunse alla mia altezza mi si fermò dinnanzi e con un sorriso tra il divertito ed il malizioso mi lanciò uno sguardo eloquente. Poi senza proferire parola s'allontanò. La seguii molte altre volte senza tuttavia venire a capo di nulla.
Si lasciava tallonare, qualche volta mi salutava ridendo; inoltrandosi per le vie della vecchia città e là, dove le case che.si fronteggiano sembrano quasi toccarsi e dove una folla brulicante s'aggira indaffarata tra i mercati, ella mi seminava. Ciò accadeva sempre, invariabilmente, nonostante che abbandonata ogni finzione la seguissi sfacciatamente. Quasi c'impazzii; l'abilità della donna mi sconcertava e posi sempre nuove e maggiori attenzioni nel pedinarla, ma non ottenni alcun successo. Iniziai a dubitare che si trattasse di sola abilità, tantomeno di fortuna. Ricordai le parole di Michele; più volte aveva definito la sua esperienza più che umana … Fu durante l'ultimo pedinamento, l'ultimo perché poi non ebbi più la possibilità di rintracciarla, che assistetti al tentativo di Roberto. La fermò sotto lo stabile dove lei e Michele si davano appuntamento. Non fu difficile: la donna si lasciò convincere con facilità a salire sull'auto di Roberto che partì velocemente seguita a poca distanza da un'altra con a bordo il Lasagna ed il Ferretti. Sentii il mio stomaco contrarsi come stretto in una morsa ferrea. L'epiteto più gentile che m'affiorò alle labbra era attinente alla più vecchia professione del mondo. Non era la mia donna, ma quella storia apparteneva un poco anche a me. Michele dopo qualche tempo scese, evidentemente sorpreso e preoccupato per il ritardo. Osservai con commiserazione l'amico che ritto sul portone scrutava i passanti con crescente nervosismo sperando di scorgere tra essi la fulva chioma della ragazza. Infine me n'andai lasciandolo alla sua vana attesa.
Michele come mi aveva confidato non tornò più a casa: viveva nel piccolo appartamento che Leyla aveva affittato e del quale ella non si servì mai più. In ufficio il rendimento dell'amico era sceso a livelli inaccettabili e nonostante cercassi d'aiutarlo in ogni modo, la situazione era ormai evidente a tutti. Roberto attese qualche giorno prima d'assaporare pubblicamente il suo trionfo. Attendevo ogni mattino l'offensiva, studiando accuratamente il viso di Roberto, le sue mosse, per intuire quando avrebbe sferrato l'attacco. Ma quando venne mi colse ciononostante impreparato, forse perché avevo sperato sino all'ultimo in un improbabile atto di "generosità" da parte sua. Fu il Ferretti ad iniziare la sceneggiata quando, dopo essersi assicurato che Michele fosse abbastanza vicino da udire, salutando Roberto che arrivava sorridente gli chiese: - Com’è andata? Ce l'hai fatta con Leyla? Raccontaci com'è! -
Il mio sguardo era fisso su Michele, come quello della trojka. Per un attimo temetti che svenisse lì, tanto era impallidito. Roberto sfoggiava per l'occasione uno dei suoi più larghi sorrisi; e sempre a voce alta prese a recitare con un'ampiezza di dettagli che nulla lasciava all'immaginazione. Spietatamente l'uomo affondava l'invisibile coltello nell'animo esasperato di Michele. Penso che l'amico impazzisse definitivamente. Non tornò mai più in ufficio.
Più riflettevo e meno trovavo una giustificazione al comportamento di Leyla. Perché? E perché proprio Roberto? Doveva essersi stancata della piccola vita di Michele, e poi perché fondamentalmente era assai simile a lui. E come aveva potuto Michele scambiare gli amplessi di una sgualdrina di quel genere per un amore senza eguali, per un'esperienza addirittura aldilà della capacità di descrizione? Inesperienza? Forse. Michele conosceva l'altro sesso superficialmente, come la maggioranza degli uomini. La bellezza di quella donna, l'eleganza, il profumo, un misto di spregiudicatezza e d'erotismo gli avevano ingigantito antiche voglie ed il desiderio d'esplorare il mistero della vita che si cela in maniera sempre eguale ed eppure diversa tra le gambe delle donne. Mi dolevo per l'amico e non riuscivo ad archiviare l'episodio e ritornare alle mie tranquille e limitate abitudini, anche se ora avevo la certezza di aver perso null'altro che le prestazioni di un'abile "gheisa".
Occorsero due mesi prima che accadesse qualcosa di nuovo. Dapprima non me n'accorsi quasi, dato che dopo la scomparsa di Michele e le ultime considerazioni sul caso, seguivo solo da lontano le vicende dei tre colleghi che ormai odiavo apertamente. Fu il loro strano comportamento ad attirare la mia attenzione: dopo la palese euforia dei primi tempi per la rivincita su Michele, era subentrata in loro una strana eccitazione. Roberto non sfoggiava più il suo famoso sorriso, aveva una pessima cera ed i tratti del viso tesi come se avesse trascorso lunghe ore insonni. L'andatura caracollante del Ferretti non aveva più nulla di comico, e spesso coglievo sguardi a Roberto che imploravano una soluzione del problema che li assillava. Il Lasagna non parlava ed i suoi gesti erano privi della sfrontata sicurezza di un tempo; non s’occupava più degli affari altrui, né pareva ritenere Roberto in grado di porre rimedio alla situazione. Discretamente, senza farmi notare troppo, continuavo ad osservarli nella tiepida speranza di ritrovare la donna e quindi Michele che certo non li aveva mai persi di vista. Ricominciai i pedinamenti, della trojka questa volta, ma non ritrovai Leyla. Conclusi che la ragazza li aveva piantati come aveva fatto con Michele. Ogni, tanto il mio sguardo s’incontrava con quello di Roberto ed allora coglievo l'abisso di terrore nel quale era sprofondato. Un giorno giunse a chiedermi disperatamente se sapevo rintracciare Michele. La paura era tale da indurlo a cercare l'alleanza con l'antico nemico. Più che una richiesta si trattava di una resa completa. Non nascose nulla, dando per scontato che io conoscessi l’intera storia. Il terrore aveva generato in lui una confusione enorme, ed i brani del racconto uscivano spesso incoerenti e difficili a comprendersi per chi non avesse in precedenza udito un'altra versione dell'intera storia. Roberto ed i suoi soci, ai quali dopo un poco aveva "passato" la donna, erano vittime dello stesso destino di Michele. Leyla aveva assecondato le loro voglie per poi fagocitarne completamente la personalità, le sensazioni e infine la virilità. Un dramma per qualunque uomo, la fine nel loro caso dove al mito della potenza e superiorità del maschio non avrebbero saputo porre altra alternativa di vita. Ripensai all’amico, alle sue parole, alla tragedia che aveva vissuto ed al fatto che non ero stato capace d'aiutarlo. E Leyla dov'era? Ne ricordai il bel corpo, il viso altero, gli occhi neri ed enigmatici, la fulva chioma che a volte gettava dietro le spalle con un gesto elegante e deciso. Chi era veramente? Da dove veniva? Per quale motivo raggirava gli uomini illudendoli, offrendo loro sensazioni mai provate per, poi lasciarli distrutti ed impotenti? Una vendicatrice del genere femminile? Forse. Od un nuovo tipo di femmina, libera e forte, tanto forte d'annullare e distruggere il maschio? O che altro? Mondi di versi, altre razze ... pareva possedere capacità sconosciute, come leggere nell'animo dei suoi amanti, o come far perdere le tracce ogni volta che decideva fosse giunto il momento. Roberto iniziò una lunga serie d'assenze motivate da una forma d'esaurimento. Ogni tanto ricompariva per qualche giorno tentando di rientrare nella routine quotidiana. Era distrutto, l'ombra dell'uomo che aveva fatto del successo e della sua immagine esteriore l’unica ragione di vita. Il suo suicidio che seguì qualche mese più tardi non sorprese, quasi nessuno.
La moglie del Lasagna chiese il divorzio ed abbandonò il marito. Egli poi morì in un incidente d'auto, ma in realtà si tolse la vita uscendo di strada in un tratto completamente libero e privo di difficoltà. Ogni tanto mi reco a visitare il Ferretti nella lussuosa clinica per malattie nervose dove la moglie l’ha fatto ricoverare. Ha perso la ragione, ma in alcuni momenti rari di lucidità mi racconta i suoi incubi popolati di Leyla e dei suoi mondi fantastici, misteriosi come le notti persiane. I mondi di Michele: era l'unico dei quattro che avrebbe potuto trovare un'altra via, un diverso modo di concepire una vita privata dai contenuti più comuni. Dov'era ora? Forse era morto, od impazzito come il Ferretti, oppure trascorreva il tempo in perenne agguato, in attesa dell'attimo favorevole per porre fine alle imprese di quella femmina, o forse invece stava sbavando nella vana attesa d'ottenere ancora un'ora d'amore?·Ora so molto sull' intera storia: i racconti di Michele, le mie pazienti attese, i ricordi del Ferretti, le lunghe ricerche nelle biblioteche pubbliche e nelle collezioni private mi hanno consentito di giungere ad una ipotesi fantastica ma supportata da mille indizi e da qualche fatto preciso. Il fazzolettino che un giorno la ragazza lasciò cadere con falsa distrazione, ad esempio, e che io raccolsi senza restituire come ella si attendeva, e intriso del suo profumo, un profumo dall'aroma intenso che nessun esperto è stato in grado di riconoscere. Un profumo che non svanisce. Mai. La donna si profuma i per diventare un 'altra, un travestimento, e l'eccitazione che ne ritrae è solo pari a quella dei suoi partners che sono l'oggetto del suo gioco. Ma quel profumo … è come un animale da preda, selvaggio e feroce e colpisce diritto i sensi stordendoli. Eppure è raffinato. Desta desideri ed immagini del corpo che lo ha lasciato, del calore del letto dove ha giaciuto e l'amante abbandonato non potrà evitare di cercarlo, come una belva ferita. Nasi esperti sono rimasti allibiti nell'odorarlo e mi hanno implorato di rivelare loro la formula. Una pallida somiglianza al profumo di Leyla la si può ottenere cospargendosi di un profumo noto che porta il nome di una bellissima ed enigmatica eroina d'un romanzo orientale di nome Mitsouko, ma è solo una ben lontana somiglianza. Oppure Mitsouko è il portavoce di Satana. Ora, so che i profumi hanno un'anima, come asseriscono gli stregoni persiani che li invocano come se fossero esseri viventi. Sono certo che Leyla drogava Michele e così pure Roberto e gli altri due compari, eli trasportava così nei luoghi dei misteri, nel "mondo dello spirito". Il più efficace elemento catalizzatore in questi casi è la musica. Il canto rende irresistibili i filtri ed i profumi mettendo in opera forze psichiche nell’uomo che trasformano se non il mondo almeno la sua percezione. Per gli studiosi moderni tutto ciò è una malattia, un oscuramento della ragione. E tuttavia è soltanto dalle profondità dell'irrazionale che scaturiscono le meraviglie dello spirito umano. Le visioni di Michele, i suoi mondi … esseri che vivono sotto i raggi di un sole eterno la cui forza risplende durante i giorni e le notti … un profumo perenne che fluttua su questo paese di voluttà ... Musiche che si applicano al sorgere del giorno, altre al crepuscolo, altre ancora predispongono all'amor. Michele non conosceva i profumi, né la musica. Come me conosceva il profumo dei poveri, effluvi a buon mercato di mughetto o di garofano che le donne della nostra infanzia madri, zie, nonne, si concedevano come un lusso della domenica. Michele era caduto facilmente nella trappola, i luoghi si erano mescolati, aveva "visto" stagioni diverse, ore sul ciglio della luce, oro sulla baia, porte di vetro immense, trasparenti, dove danzavano le ombre di cieli sconosciuti ed infiniti. Poi il profumo d'una felicità intravista era divenuto il profumo di una felicità perduta. Certo è stato un duro colpo per un positivista quale io sono dover riconoscere l'esistenza di esseri fantastici quali le streghe, ma ora non ho dubbi: Leyla è una strega, anche se dannatamente bella. Ho tentato d’immaginarmela mentre si prepara per la festa del Sabba, cospargendosi il bel corpo d'unguenti a base di elementi inebrianti e sinceramente non vi sono riuscito. Ma forse anche le streghe si sono adeguate ai tempi moderni, ed agli unguenti hanno sostituito l’"erba" e le "pere"', ed ai boschi fantastici ed ai manieri tenebrosi preferiscono comodi appartamenti con tutti i comforts raggiungibili con vetture di lusso. So tutto questo e loro sanno che io so. La nuova segretaria che è stata assunta per rimpolpare gli organici del nostro ufficio così tragicamente sguarnito, è molto avvenente. Ieri ho potuto osservare bene i suoi occhi: sono neri e profondi come le notti persiane e promettono mondi sconosciuti. Il suo profumo stordisce, ed è lo stesso di Leyla. Muore dal desiderio di suscitare il mio interesse e tutto l’ufficio ride per il mio atteggiamento difensivo. Non ho risolto tutti i miei interrogativi, ma non ho intenzione di sperimentare nuove vie. Fuori c'è un tiepido sole di marzo ... mi abbandono alla indolenza … ad un disinteresse totale e con le membra intorpidite e l'animo sonnecchiante ricordo attraverso le fessure degl'occhi un bambino, io, dai fini capelli biondi tirati indietro sulla fronte e fermati con una molletta come si usava una volta, sottili come il respiro, che guarda gli inverni, rigido sulle gambe magre: poco protette dai pantaloni corti. Ho una cieca fiducia in quel ragazzetto e nella bellezza del mondo così come lui lo vedeva. e penso che non ho mai smesso di sognare con lui. Mi basta e nessuno ci avrà. Una di queste sere inviterò a cena Sandra. La sua semplicità è a mia, ed insieme ameremo nell'unico modo che sappiamo.
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