Fleming & son: Ian Fleming e il mito totale di James Bond
di Enzo Verrengia
IAN FLEMING E IL MITO TOTALE DI JAMES BOND
COME S'INVENTA IL SUCCESSO
Stendendo la prima bozza di "Casinò Royale", Fleming non poteva intravedere l'esatta misura del materiale narrativo che se ne poteva dipanare. Alla stregua di quanto era avvenuto alle grandi "macchine per fabbricare storie", secondo la bella definizione rinvenuta da Oreste del Buono (l), egli non sapeva di avere inventato 007; di essere l’artefice di un nuovo universo mitologico nel campo della letteratura a sensazione contemporanea, come invece era già stato sanzionato per Raymond Chandler, Eric Anbler (autore preferito di Fleming e per traslazione di Bond) e soprattutto per quel Mike Spillane giallista d'azione e di violenza per antonomasia, dal cui eroe Mike Hammer sono prese a prestito le ossessioni fondamentali del novello agente segreto. Nel saggio "Le, strutture narrative in Fleming" Umberto Eco evidenzia queste derivazioni più o meno coscienti da parte dell'autore:" ... Bond è ossessionato da una immagine: un giapponese esperto in codici che egli ha freddamente ucciso al trentaseiesimo piano del grattacielo RCA, al Rockfeller Center prendendolo di mira da una finestra al quarantesimo piano del grattacielo di fronte. Analogia non casuale, Mike Hammer appariva costantemente perseguitato dal ricordo di un piccolo giapponese ucciso nella giungla durante la guerra, sia pure con maggior partecipazione emotiva (mentre l'omicidio di Bond, autorizzato ministerialmente dal doppio zero, è più asettico e burocratico)" (2). Del resto, Fleming stesso cita esplicitamente la "Mike Hammer stuff" (roba alla Mike Hammer) per ridicolizzare il comportamentismo delle gang americane in "Live and Let Die", "Diamonds Are Forever" e "Goldfinger", romanzi del ciclo in cui 007 agisce in territorio statunitense. Possibile allora che l'autore volesse limitarsi a sottrarre alle colonie d'oltreoceano il primato del libro d'azione?
Lo schema di "Casino Royale", ripreso alla lettera in tutte le successive narrazioni niente ha del classico thriller tutto ritmo e revolverate (3) e tanto meno della detective-story alla Agatha Christie, con la quale può spartire solo il gusto per l'evocazione del rituale inglese del viaggio e dell'osservanza abitudinaria che si mantiene costante anche sotto l'incombenza di situazioni decisamente fuori dalla norma.
Ma di certo James Bond non è un Hercule Poirot e nemmeno un Philip Marlowe (4).Si tratta semplicemente di un uomo ancora giovane dal passato di precoci avventure (mente sull'età per arruolarsi volontario due anni prima del previsto), approdato al mestiere di "operatore per la sicurezza nazionale" per certo patriottismo anglosassone di pura derivazione familiare (5), cui l'esperienza cosmopolita ha aggiunto il mistero di sottili piaceri offerti a chi sa goderli dallo spostamento improvviso da un luogo all'altro, da una donna all'altra .. con brevi periodi di soggiorno londinese in cui c'è l'agio per riassuefarsi alla nebbia, alle partite di golf e picchetto ed alle cene, al Blades - il noto. club di giocatori - salvo che quest'ultime non preludano ad ulteriori inferni come accade in "Moonraker").
Attrezzato in questa guisa, James Bond è sempre l'uomo utile per una missione singolare quanto impossibile da condursi a buon termine con saldi margini di rischio. Per esempio sbugiardare al tavolo del baccarat un sindacalista al soldo dei rossi e gangster in proprio, quale è Le Chiffre (lett. "la cifra", essendo stato ritrovato apparentemente senza memoria nel campo di concentramento di Dachau e non avendo che un numero su un passaporto, apolide come riconoscimento). Sembra solo l'occasione per costruire una commedia di esibizioni contrapposte, un po' alla Oscar Wilde o alla Bernard Show, eppure c'è in ballo la guerra fredda, l'equilibrio internazionale, il prestigio del leader dei comunisti francesi Thorez e la rivalità fra tre servizi segreti: il Déuxième Bureau francese, la CIA statunitense e il Military Intelligence 6 (Ml 6), meglio conosciuto come "Intelligence Service, dal quale dipende Bond.
C’è anche il primo angelo del male in femminili parvenze a terremotare i sentimenti di Bond, che nei libri non sarà mai il disinvolto seduttore fabbricatogli al cinema "anche" dal fedele Connery. Vesper Lynd è affiancata a 007 nel ruolo di assistente dall’ufficio londinese, ed alla fine si rivela una doppiogiochista ricattata dai sovietici, vera responsabile della cattura e della tortura di Bond da parte dei suoi avversari.
I momenti culmine del romanzo risaltano in forma alquanto elementare: la sequenza di introduzione alla missione (il classico colloquio con M), il contatto con l'agente francese Mathis e quello americano Felix Leiter (che tornerà ad affiancarsi a Bond in più occasioni), la tensione al tavolo del baccarat quando Bond gioca un banco di 32 milioni di vecchi franchi contro Le Chiffre solo per fargli. perdere denaro sottratto dal fondo dello spionaggio sovietico, la successiva cenetta intima con Vesper Lynd interrotta dal finto rapimento di quest'ultima, l’inseguimento in macchina e la tortura. Poi c'è un lungo finale, che si trascina oltre metà libro e culmina nella rivelazione che la donna ha lavorato per i russi e si è tolta la vita per il rimorso e l’amore che nel frattempo le era sbocciato per Bond. Insomma: preludio, tema, variazione, canzone triste finale.
Ed ecco che lungo la strada è venuta a snodarsi la FORMULA. Le atmosfere raffinate al momento della meditazione o della preparazione ed intense al momento dell'azione feroce, tanto più se rapida e fulminea rispetto a quello che l'ha preceduta (6).
Quando si penserà a tradurre in film una vicenda-tipo di James Bond non si avrà che una scelta: "I film di Bond fecero a meno del realismo e puntarono sulla stravaganza, diventando esercizi di assurdità ammassata" (7).
Inoltre: "Col cinema, 007 diventa a pieno un eroe del comportamento: tutto riassunto nei suoi gesti sicuri, deve tuttavia qualche sfumatura alla sapienza interpretativa di Sean Connery, e la perderà con il più superficiale Roger Moore. " (8) … Salvo ritrovarla in pieno 1983 con il prevedibile e/o imprevedibile ritorno di Connery nei panni di James Bond, dopo aver detto più volte che "mai più" vi si sarebbe cimentato, e invece la seconda moglie lo aveva rimbeccato: "Never Say Never Again".
Ma questa è un'altra faccenda.
NOTE
1) "Il rosa, il giallo, il nero"; prefazione a MILANO CALIBRO 9 di Giorgio Scerbanenco; Garzanti, Milano 1969
2) "Le strutture narrative in Fleming"; in IL SUPERUOMO DI MASSA; Bompiani, Milano 1978. Lo stesso saggio è riportato in: A.A.V.V. L'ANALISI DEL RACCONTO, Bompiani, Milano 1980.
3) Cfr, "Quando eravate in dubbio" ammette Raymond Chandler a proposito della SCUOLA.DEI DURI, fiorita attorno alla rivista BLACK MASK "facevate entrare dalla porta uno sconosciuto, con la pistola spianata" (ANCORA UNA NOTTE; Longanesi & C., Milano 1965 e segg.)
Sempre in proposito giusta l'enigmatica frase finale dell’incompleto THE LAST TYCOON, di Francis Scott Fitzgerald: "ACTION IS CHARACTER" ovvero IL PERSONAGGIO IN AZIONE.
4) Sull’intreccio dei rituali, preferenzialmente alcolici o comunque libatori (il thè, p. es.) nelle narrative parallele inglesi e americane fra le due guerre, v. "Whisky e thè nel giallo anni Trenta", di Alberto Capatti, in LA GOLA N° 1, ottobre 1982; Cooperativa Intrapresa, Milano 1982.
5) Per un'esauriente ricostruzione biografica e. fisiognomica di Bond, chi volesse evitare un laborioso calepino da comporre in proprio scorrendo l'intiera opera di Ian Fleming (14 romanzi, incluso "You Only Live Twice" che si compone in realtà di ben 5 lunghi racconti, e "Octopussy", includente tre novelle postume), tornano utili: John Pearson, JAMES BOND - THE AUTHORIZED BIOGRAPHY, Jonathan Cape, Londra 1965 e O.F. SNELLING, DOUBLE 0 SEVEN JAMES BOND: A REPORT: Spearman, Londra 1964, nonché Kingsley Amis: JAMES BOND DOSSIER; Jonathan Cape 1965.
6) "Sorprende infatti in Fleming la minuziosa e oziosa determinazione con cui conduce per pagine e pagine descrizioni di oggetti, paesaggi e gesti apparentemente inessenziali al corso della vicenda; e di converso la furibonda telegraficità con cui liquida in pochi capoversi le azioni più inopinate e improbabili"; Umberto Eco, Op. Cit. In realtà questa sproporzione fra meditazione ed azione non fa sempre regola nei romanzi di Fleming, tranne forse in "Casinò Royale" e "Goldfinger", dove l'approccio col nemico trascende il rapporto che alla fine viene consumato. Inoltre in LICENCE RENEWED e FOR SPECIAL SERVICES (rispettivamente nel 1981 e 1982) James Bond viene coinvolto in momenti di sospensione fine dalle prime battute. Giova invece rilevare quanto tale apparente lentezza, che gioca tutta a favore dell'atmosfera, sia stata ripresa anche negli scenari tecnologici e dispendiosi dei films, dove le sequenze da stuntman, con capitomboli ed auto incendiate, non sovrabbondano rispetto a quelle in cui Sean Connery (e sulla sua scia Roger Moore) giocano esclusivamente sulla battuta fatidica: "Mi chiamo Bond, James Bond" (V. il primo paragrafo di questo saggio comparso sul n. 2 83 di T.D.S.),
7) Philip Larkin: "The Batman from Blades", recensione di LICENCE RENEWED, di John Gardner, in THE TIMES LITTERARY SUPPLEMENT 5/6/81; Times Newspapers Ltd, Londra 1981. Nello stesso intervento è contenuta un'ampia e circostanziata ricognizione dell'intero canone-Bond compresa una bonaria analisi delle ragioni delle due schiere di fans, quelli cinematografici e quelli letterari.
8) V il "Commento al film" in 007 LICENZA DI UCCIDERE, fotoricostruzione del film in "Cinestory" n. 4; LatoSide Editori, Roma '82.
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