Bond and fiction
di Enzo Verrengia
IAN FLEMING E IL MITO TOTALE DI JAMES BOND
4 TECNOLOGIA E FANTASCIENZA NELL'INTRECCIO A SENSAZIONE
La "distanza" fra le pellicole bondiane e i romanzi di derivazione è certamente più formale che concettuale. Gli elementi sensazionali dispiegati da Fleming confinano e sconfinano con/nella fantascienza tecnologica. La prigione dorata che il dottor No ha ricavato dal ventre di una montagna, nell'isola di Crab Key, è un’enclave in piena regola, degno degli eremi di Robur il Conquistatore, del Capitano Nemo e del barone Rodolphe de Gortz ne "Il castello dei Carpazi", ovvero dei maggiori protagonisti negativi di Jules Verne (1). Ma si potrebbero vedere più dirette derivazioni da Herbert George Wells, che nel diabolico sperimentatore, il Dottor Moreau; non a caso aveva anticipato la tentazione di piegare il genio all'esercizio della malvagità, e per giunta su un'isola lontana dall'intervento regolare delle forze di polizia, dove solo un dilettante dell'avventura e comunque un individuo reso eroico dalle circostanze, può trionfare.
Il romanzo "Dr. No", sesto della cronologia originale, viene dunque trasposto nella prima sceneggiatura cinematografica su 007. E per l'unica volta nella storia del ciclo non occorreranno trovate troppo eclatanti per adattarla. La classica " sala controllo" (da far saltare in aria, di rigore durante la sequenza finale) è una concessione indispensabile alle esigenze della spettacolarizzazione. Il resto è pura trascrizione in immagini delle descrizioni di Fleming. Ascensori nella montagna, un acquario da un milione di dollari sotto il mare - o meglio il mare stesso trasformato in acquario attraverso una immensa lente deformante che occupa una parete del "salotto privato" del Dottor No. Il covo è una costante, si intende, che si manterrà per il successivo Goldfinger, per i cospiratori sovietici di "From Russia with Love" (che nel film sono in realtà un'associazione criminale neutra), per il titanico Hugo Drax, per la sempiterna SPECTRE - Speciale esecutivo per controspionaggio, terrorismo, ritorsioni, estorsioni - capitanata da Ernst Stavro Blofeld.
Nella struttura architettonica del "rifugio", Fleming esercita la sua conoscenza dei più avanzati ritrovati tecnologici, la cui fusione in un contesto da congiura "crea" fantascienza. Una serratura Yale è comune fino al banale nei condomini, ma diventa futuro e apocalisse se apre e chiude le porte sotterranee nell'isola del Dottor No, un registratore miniaturizzato è già utilissimo agli studenti americani nei campus degli anni '50, per cogliere le lezioni al volo, ma diventa attrezzo di misterioso supercontrollo se nascosto in una scansia dissimulata nella stanza d'albergo in cui è atteso James Bond.
Ai films non resta che dilatare la tecnologia in gadgets d'invenzione bella e buona, al punto che le scenografie vengono costantemente affidate a quel Ken Adam già curatore dell'indimenticabile sala conferenze in "Il Dottor Stranamore" di Stanley Kubrick. Di volta in volta occorre studiare circostanze più o meno di attualità per rinfrescare le pagine già invecchiate di un decennio. E non è difficile prevedere l’Aston Martin truccata, il motorino a ventola subacquee applicato alle bombole d'ossigeno, lo squalo spaziale che ingoia le navicelle russe e americane per seminare zizzania, l'elicottero tascabile, la bomboletta di schiuma da barba lanciafiamme, e chi più ne ha ne metta.
Stupisce a questo punto la dichiarata ammirazione di Fleming per le spy-stories serie, il suo culto per Graham Greene, Somerset Maugham e in particolare Eric Ambler (2). Quasi che volesse una volta di più fornire al suo pubblico la chiave per mascherare l'alta sofisticazione celata dietro l'operazione Bond, l'impostura ben smistata nel susseguirsi d'atmosfere per sopperire alla carenza di colpi di scena autentici.
E non è ogni "finzione" un’ombra del fantastico e della fantascienza (quando soprattutto la tecnologia sommerge un po' tutto di viti e bulloni?).
Sta di fatto che l’abbondanza di pellicole d'imitazione seguite al successo del "bondismo" finì con l'evidenziare la contaminazione fantascientifica, anche a prezzo della dozzinalità e della noia. Inoltre, gli anni '60 omologarono la moda dei super-eroi fumettistici a quella dell'agente segreto 007, fornendo ai sociologi d’assalto (e d'accatto) una pletora di false tracce per giungere a definizioni come "infantilismo di massa", "evasione forzata" e ovviamente "coazione ripetitiva". L'ultima è una formula coniata da Freud per indicare l’incapacità dell'individuo adulto di procedere in direzione di una vita sana e a misura realistica, cui si sopperisce col gusto morboso della regressione verso ricordi e desideri infantili. Eppure apprezzare tutte le sfumature della mitologia fleminghiana richiedeva una cultura, una maturità e un'ironia non reperibili nei ragazzi (tagliati fuori dalla tenzone anche dalla censura, che vedeva il minuscolo erotismo di quelle pellicole sufficientemente titillante per ordinare qua e là un VIETAT0 AI MINORI). Semmai, appunto, era per la fantascienza un'occasione in più per rivolgersi proprio a quegli adulti che la snobbavano quale genere senza intelligenza di trame e trovate.
Un’occasione persa, purtroppo, anche grazie ai buoni artigiani di Cinecittà, troppo frettolosi di "girare" per avere il tempo di "pensare" e dunque scrivere sceneggiature meno ridicole. Gli anglo-americani se non altro, facevano un po' meglio con i vari Matt Helm e Harry Palmer (volto cinematografico dell'agente senza nome di Len Deighton).
Ma il boom fantascientifico made in Hollywood era ancora lontano un decennio. Saltzman e Broccoli si limitavano ad impiegare milioni di dollari perché la fantascienza sia nei film di 007 non più che un fondale.
Sta all'appassionato entusiasmarsi, per l'efficacia di tale fondale, e per l'impervia strada attraverso la quale questa accuratezza tecnica nutrirà le grandi pellicole di poi.
Fleming aveva fornito gli spunti. Basterà citare la scena madre dell'aereoporto (3). Quanto dista dalla quotidianità del volo spaziale resa magistralmente da Arthur C. Clarke in "A Fall of Moondust" (4) e nella novellizzazione di "2001"?
Si tratta di due narratori inglesi praticamente contemporanei, forse ignari delle affinità fra i loro lavori. Ma quello che conta è che anche nel mondo dei lettori specializzati di S.F. cominci a serpeggiare l’idea che anche in Fleming esista materiale di ricerca e che forse quei polpettoni in technicolor interpretati prima da Sean Connery e poi da Roger Moore hanno più radici letterarie di quante non ne abbiano sapute vedere le due schiere contrapposte di ammiratori che James Bond continua ad avere.
NOTE
(1) Cfr. Queste osservazioni di Paolo Filo della Torre stralciate dalla sua corrispondenza sulla prima Londinese del film "Moonraker" tenutasi all'Odeon il 26 giugno 1979:
"Moonraker, scritto da Ian Fleming una ventina di anni fa, risentiva dell'attenta lettura del "Dalla terra alla Luna" di Verne ed il creatore di James Bond si era limitato ad aggiungervi un po' di brividi, di ragazze feline e sexy e un po' di angosce della recente epoca bellica"
(La Repubblica, 28/6/79)
(2) In part. scrive Fleming in "Il traffico dei diamanti", reportage seguito al romanzo del ciclo di Bond "Diamonds Are Forever":
"Lo schema letterario di "un inizio, un culmine intermedio ed una fine" non si adatta a un buon racconto di spionaggio, che dovrebbe essere pieno di vicoli ciechi e di grigiore, con una conclusione improntata alla sconfitta. Forse solo Somerset Maugham, Graham Greene e Eric Ambler hanno colto la monotonia e lo squallore tipici del servizio segreto".
L'insegnamento in realtà sarebbe stato colto alla lettera negli anni '60 da narratori del calibro di John Le Carrè e Len Deighton, in cui ogni elemento sensazionalistico e seppur alla lontana imparentato con la fantascienza sarebbe scomparso in favore del realismo.
( 3 ) Cfr. L'apertura di "Goldfinger" e l'arrivo in America a bordo dei mastodontici Constellation in "Live and let Die" e "Diamond Are Forever".
(4) Gollancz, 1961.
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