Bond: the end
di Enzo Verrengia
5. Il gotico e l'esotismo
La variegata esperienza umana di Ian Fleming non poteva non includere il razzismo. È facile parlare di diritti civili e di integrazione al di qua dell'oceano, nelle sonnolenti capitali europee, dove solo dopo gli anni '60 il fenomeno dell'immigrazione di colore e il complicarsi delle commistioni etniche videro il disagio nascente dalla convivenza fra genti di ceppo diverso, sfociato negli incidenti nel quartiere londinese di Brixton nella primavera e nell'estate 1981.
Fleming aveva esperienza diretta non solo dell'America ma anche e soprattutto della Seconda Guerra Mondiale, dove lo scontro razziale fu innegabilmente latente in quello politico e militare. I nemici di Bond e del Regno Unito (e poi per traslazione dell'intero Mondo Libero) sono singolari mezzisangue cino-tedeschi, come il dottor Julius No - negri come Mister Big in "Live and Let Die" – tedeschi alla Drax e alla Goldfinger – polacchi, come il capo della SPECTRE Ernst Stavro Blofeld - e russi a gò-gò. In "Dalla Russia con amore" il capo della sezione turca dell'Intelligence Service descrive i bulgari come sicari indispensabili per i sovietici, e la "bulgarian connection" degli scorsi mesi, con serio inquinamento dei rapporti diplomatici fra i nostri due paesi, dà una veste fondata alle affermazioni.
L'esotismo degli ambienti in cui James Bond si sposta coincide dunque con l'esotismo dei personaggi. E l'esotismo fatalmente si tinge da gotico.
Le torture scientifiche dei films sono puro sadismo di derivazione gotica nei libri.
C'è Edgar Allan Poe, Ann Radcliffe, Horace Walpole e William Beckford, ovvero la migliore tradizione anglo-americana della novellistica nera, a snodarsi nei retroterra di certe agghiaccianti sequenze macabre magistralmente incastonate nei romanzi di Fleming. Il culmine riconosciuto della vena gotica è raggiunto nel giardino di fiori velenosi e piranhas di "You Only Live Twice", che nell'omonima pellicola (per altri versi davvero spettacolare) veniva avvilito al ruolo tragicomico di "piscina" per sicari disobbedienti agli ordini di Blofeld.
Il razzismo è da sempre l’ingrediente fondamentale, di cui si nutre il gotico, ed in presenza dell'effetto narrativo il lettore intelligente non può che riservarsi o sospendere del tutto il giudizio sul piano etico ed ideologico.
Quanto alle fissazioni sull'innata mania di grandezza dei sovietici, al cinema si è sempre cercato 1'understatement, l’attenuazione forzata ed addomesticata al clima di esaurita Guerra Fredda. Tuttavia non si può misconoscere a Fleming la diretta sperimentazione dei sistemi d'oltrecortina all'epoca delle sue corrispondenze da giornalista. E in più parti della sua opera egli non dissimula la considerazione che non è tanto questione di buoni e cattivi, quanto di scelta. E, insieme a Bond, si richiede che tutti, emotivamente e folcloristicamente magari, scegliamo l’Occidente coi suoi fasti e nefasti.
6. Dai libri al cinema
Nel 1958 Fleming fu avvicinato dal produttore Kevin McClory che lo convinse a vincere la sua riluttanza per una possibile avventura cinematografica dell'eroe già tanto noto e stendere un trattamento di sceneggiatura intitolato "James Bond - The Secret Agent".
L'opera fu data alle stampe molti anni più tardi in coincidenza con l'uscita del film "Thunderball" che ne era stato tratto. Si sta molto spettegolando su queste vicende artistico-creative-legali, dal momento che il ritorno di Sean Connery nei panni di James Bond sul set di "Mai dire mai" (Never Say Never Again) vi è nettamente collegato.
Quando nel 1961 Broccoli e Saltzman producevano il primo film della serie, "Dr. No" (Agente 007, licenza di uccidere), possedevano i diritti di tutti i romanzi di Fleming, tranne "Casinò Royal" e "Thunderball" appunto, che restava in mano a McClory. Fleming era stato convinto all'operazione Bond cinematografico più che altro dall'aderenza dell’attore Sean Connery al personaggio originale. Così, quando si trattò di ridurre in film il romanzo "Thunderball", McClory intentò causa a Broccoli e Saltzman e la vinse, col risultato che sui titoli di testa i due figurarono esclusivamente come produttori esecutivi. Oggi, a vent'anni di distanza dal primo film col sentore serpeggiante di una massiccia ondata di nostalgia per gli anni '60, il ripescaggio di Bond al cinema non poteva che risultare scontato.
Le vicende iniziali fanno parte della storia dei pettegolezzi marginali al mondo dello spettacolo. I fatti sono che Sean Connery era scozzese come Fleming e Bond, somigliava al compositore americano Hoagy Carmichael come Fleming e Bond, era duro ma agile nei movimenti come si conveniva a un ex-ballerino. Un ottimo professionista per incarnare l'eroe più popolare del romanzo d'azione anglo-americano. Un professionista così serio da stancarsi a un certo momento dell'identificazione con la sua maschera in celluloide e preferire passare ad altri ruoli, più maturi.
Nel 1961, sul set di "Al servizio segreto di sua maestà" (On Her Majesty's Secret Service) viene convocato l'australiano George Lazenby. E all'uscita del film si ha l'impressione che il successo sia dovuto più al personaggio che alla interpretazione. Sta di fatto che nel successivo "Diamonds Are Forever" ritorna Connery, ma per l'ultima volta. Poi si crede di dover globalmente rinnovare la formula per adattarla agli anni '70, e con Roger Moore si intravede la possibilità di un Bond che strizza l’occhio a sé stesso prima che allo spettatore.
Ed è il fallimento.
Niente paura per i1 box-office: un Bond-movie è sempre il1 primo nella lista degli incassi, ma il suo pubblico è cambiato. I veri appassionati affollano le riedizioni sempre benvenute dei vecchi film con Connery, e vanno a vedere Moore per fare confronti malevoli e riascoltare con un brivido il tema musicale di Monty Norman.
"Tutto migliora, nei film di 007, tranne me stesso" ha la bontà di affermare Roger Moore. Alla metà del 1981 comincia la ridda di voci; si parla di una sostituzione con Peter Fonda, poi di un ritorno di Connery, infine la verità emerge. Si andrà in lavorazione in due paralleli film su 007, uno con Sean Connery, e uno con Roger Moore. La cronaca si ferma qui.
Nel 1967 si ebbe un caso analogo, allorché insieme a "Si vive solo due volte" venne messo in circolazione "Casinò Royal", con Woody Allen e una sfilza di stars che per l’occasione si erano cimentate col sorriso sulle labbra in una parodia elegante e costosa di 007.
7. La riscrittura
Questo breve saggio, chissà quanto fatalmente composto di ... SETTE sezioni, non poteva che chiudersi con un accenno alla riscrittura di Bond in letteratura, dopo la prematura comparsa di Ian Fleming nell’agosto 1964. Alla stessa stregua di Sherlock Holmes, il personaggio pare fatto apposta per richiamare quell'estrema forma di omaggio che un cultore può offrire "riscrivendo". Innegabili anche i moventi commerciali per la Casa Editrice Jonathan Cape e la Glidrose Ltd. (detentrice, quest’ultima, dei diritti letterari sull1intera opera di Fleming). Nel 1968, lo scrittore Kingsley Amis, conosciuto anche nell'ambiente degli appassionati di SF, firmò il volume "Colonel Sun" con lo pseudonimo di Robert Markham.
Ne era protagonista uno James Bond ancora sulla cresta dell’onda, ma il pubblico ne restò deluso. Nel 1981, John Gardner pubblica "Licence Renewed", e questa volta si crea il caso.
Tutti fanno la corsa a sminuire il nuovo autore al cospetto di Fleming, ma comprano il libro. E nel 1982 esce "For Special Services" (non ancora tradotto in italiano al momento della stesura di questo saggio) decisamente all'altezza degli exploits originali … anche se ormai Bond, dovrebbe aver superato la sessantina.
È possibile che, per la prima volta nella storia della letteratura sia nato un mito inespugnabile, perfettamente in grado di riciclare sé stesso anche sotto le mani di artefici diversi e mediocri? Che James Bond fosse dall’inizio una creatura del tutto indipendente da Fleming stesso? Difficile ammetterlo, con tutta quella autobiografia. Ma allora, qual è i1 suo vero nome: "Mi chiamo Bond, James Bond" oppure "Mi chiamo Fleming, Ian Fleming", oppure ancora "Mi chiamo Connery, Sean Connery"?
Bisognerebbe chiederlo a Roger Moore. Dal suo punto di vista neutrale forse potrebbe illuminare chi, come me, attende con ansia di reimmergersi nella magia del trinomio Connery-Fleming-Bond senza a1cuna interferenza di disturbo dalla realtà di tutti i giorni.
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