Cinema & Sf: un problema di politica culturale
di Nicoletta Vallorani
Il mio precedente (ed unico) intervento su T.D.S. riguardava il cinema ed in particolare le figure femminili nei film ci fs. Il termine di riferimento era chiaramente un prodotto americano (Blade Runner): credo che si possa essere tutti d'accordo nel dire che, per quanto gli Stati Uniti non siano sempre qualitativamente al primo posto in questo senso, lo sono senz'altro quantitativamente. E le pellicole americane sono quelle che circolano più facilmente in Italia. Ora, se consideriamo l'ampia fascia di pubblico che va regolarmente al cinema e che ama i film di fantascienza, si può comprendere come certi modelli di comportamento o certe figure ricorrenti in essi incidano sulla considerazione che l'uomo comune ha dei personaggi tipici di storie ambientate in un futuro possibile.
Ho parlato di "uomo comune": intendo riferirmi dunque a chi, pur non avendo alcun interesse particolare per la fantascienza, una volta che si trovi a scegliere tra un film di Bergman e, poniamo, "I predatori dell'arca perduta", opta per quest'ultimo.
Ciò non toglie che, se il termine di confronto fosse un film con Paolo Villaggio (con il dovuto rispetto per chi sa come far divertire quasi tutti), la pellicola di sf passerebbe immediatamente al secondo posto. Non c'à ovviamente nulla di male in questo: è del tutto legittimo andare al cinema per divertirsi e in tal senso ognuno si sceglie la forma di distrazione che preferisce. Quello che voglio dire è che, siccome da sempre la donna (tanto per fare un esempio) è amante o al massimo madre dell'uomo, il procedimento più comodo per un produttore consiste nell'offrire al pubblico esattamente quello che si aspetta. Ovviamente questo discorso si basa su una semplificazione.
Per valutarne la validità occorre tener ben presente che il pubblico non è quel che si dice un'entità omogenea. In altri termini c'è chi cerca nel film una conferma alla sua etica tradizionale e alle convenzioni alle quali è abituato, e c'è invece chi cerca degli stimoli nuovi (e in alcuni casi, ma solo in alcuni, riesce a trovarli).
La distinzione è essenziale se non si vuole rischiare di fare di ogni erba un fascio.
Una esigua (ma forse in accrescimento) porzione di pubblico è in grado di intravedere la differenza tra un buon film di fantascienza e un polpettone commerciale, e questo è già consolante. D'altra parte, se è vero che il trascorrere del tempo in questo campo ha portato un'indubbia evoluzione riguardo agli effetti speciali, e anche indiscutibile che i moduli semantici, cioè le trame, sono rimaste sostanzialmente le stesse. Quello che intendo è che in questo ambito (come del resto in molti altri) lo spettatore corre il rischio di essere gravemente mistificato.
Consideriamo a titolo di esempio la trilogia di "Guerre Stellari", di cui è recentemente uscita in Italia anche l'ultima puntata. Si tratta di pellicole di ottima fattura, girate senza risparmio di mezzi e con un cast di attori accuratamente e sapientemente selezionati. Ho detto "sapientemente" perché secondo me è proprio questo il punto: l'abilità di Lucas è consistita nella scelta di attori non tanto (e non solo) particolarmente dotati o eccellenti come professionalità, quanto POPOLARI, cioè capaci di stimolare nel pubblico una reazione empatizzante la più intensa possibile.
Per questo, con The Return of The Jedi, il ciclo doveva concludersi: sono passati sette anni da quando il primo film della trilogia è uscito e materialmente Luke e Leyla cominciano a diventare un po' troppo adulti per continuare ad impersonare gli "eroi-fanciulli". E Harrison Ford, insostituibile mercenario forte e coraggioso, sensibile al denaro ma anche succube dell'etica dell'amicizia, è pure lui un personaggio che potrebbe col tempo trasformarsi in una brutta copia di John Wayne (con tanto di incipiente calvizie). Cavaliere libero e selvaggio, assolutamente splendido in questa parte, piace ancora di più perché si innamora e diventa un cucciolone, realizzando la combinazione vincente: muscoli e tenerezza.
L'unico problema è che come fidanzatino (e, implicitamente, futuro marito) non convince: molto banalmente, diremmo che le frasi dolci dette da lui suonano blasfeme quasi come le bestemmie in bocca ad un prete. Però, al termine del film, il pubblico se ne va soddisfatto: il futuro, questo futuro lascia intatta la sacra istituzione della famiglia. Cambiano i modi e i tempi, ma l'amore resta una forza incoercibile, l'unica vera, tangibile Forza nel mondo di "Guerre Stellari". Questo spiega, a mio modo di vedere il successo strabiliante de: "The Return of the Jedi", comprensibile ma sproporzionato al valore reale di un film che, per quanto molto ben fatto, come contenuti non propone nulla di nuovo.
Ma se il pubblico vuole questo .... Il problema è che non è sempre vero che il pubblico voglia questo. In altri termini, è una questione di politica culturale: finché i modelli proposti hanno successo, tanto vale mantenerli tali e quali oppure apportare lievi e superficiali innovazioni. Dunque concludo, da spettatrice inesperta dei complessi meccanismi operanti nel mondo dei produttori cinematografici e dei registi, che il cerchio si chiude: chi va a vedere film di fantascienza vuole che l'eroe sia forte e coraggioso e che l'eroina sia bella ed innamorata. Cioè, vuole che l'universo tradizionale al quale è abituato sia rispettato. Però lo spettatore si è affezionato a questi modelli proprio perché per anni il cinema di sf ne ha proposti solo di questo tipo. Dunque, una volta arrivata a simili conclusioni, io devo ammettere umilmente che non so come uscirne.
E chi è più esperto di me, mi dia una risposta.
Commento redazionale:
Questo breve saggio di Nicoletta fa un'analisi mi sembra serena ma precisa e puntuale su un fenomeno di massa come Guerre Stellari. Ma io molto modestamente penso che a monte di questi discorsi pur validi mi sembra che il lato tranquillizzante non sia superiore al concetto fondamentale che la massa ha di un film, il divertimento e la spettacolarità avvincente.
Certo è che chiaramente questo aspetto di "tutto va bene" entra in gioco anche se ci limitiamo a considerare il lato spettacolare che è quello che ci coinvolge a livello conscio.
Perché lo spettacolo ci fa passare un'oretta rilassata e quindi ci aiuta a uscire dalla sala convinti che "non è poi così grama la vita". Tranquillizzati dunque (seppure temporaneamente).
A livello inconscio poi entrano in gioco i fattori indicati da Nicoletta.
E qui entriamo nell’ordire d'idee che allora noi spettatori non siamo poi tanto liberi nelle scelte, come non lo siamo noi cittadini.
Del resto l'anima della S.F. cinematografica è lo spettacolo, l’azione.
Ecco, perché qualcuno di voi non fa una bella riflessione su di questi argomenti?
Esiste o no un modo di fare spettacolo e azione e nel contempo dire qualcosa?
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