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Bada al signore di Fife!


di Silvio Sosio


1

Già da qualche ora è scesa la notte sull’emisfero nordoccidentale dell'asteroide, Darling 7482 DL, dove si trovano installazioni della base stellare, unico avamposto terrestre nel sistema di Treasury B e nell’intero ammasso di omega centauri e sede governativa di quella regione della galassia. Inattaccabile nei suoi schermi di difesa, terribile nelle sue armi d’attacco, è un nodo strategico inespugnabile di migliaia di sistemi stellari. Al suo interno il personale, ad eccezione di pochi, dorme tranquillo vegliato nel sonno della breve notte del planetoide da dispositivi cibernetici che scrutano fino a miliardi di chilometri di distanza lo spazio circostante.

Il centro controllo, costrittivo durante la giornata, è abbandonato alla tenebra e alla fioca luce delle rare stelle che brillano al di là della cupola di vetracciaio non opacizzata. Seduto, quasi sdraiato sulla poltroncina di comando, vi è un uomo; il Governatore Tar-Donjar. Il suo sguardo è perduto tra gli astri che ammiccano là fuori; a volte li osserva attento, cercando dei soli che per la loro infima piccolezza scompaiono nell’infinità della moltitudine, a volte se ne lascia sommergere, e allora hanno il sopravvento le fantasie. E lui non è più su questo mondo, ma altrove.

L'oggetto dei suoi pensieri, la Terra, è lontana centinaia di anni-luce nello spazio e decine d'anni, ormai, nel tempo; le immagini, i ricordi, sono ormai sfumati nella sua mente, non più di fantasmi senza volto, ma il desiderio di tornare è ancora forte e bruciante come il giorno in cui fu costretto a partire. Come un tempo accadeva ai letterati di corte che, soggetti ai voleri del mecenate, erano spesso costretti a lasciare i loro studi per assolvere compiti per i quali non avevano alcuna inclinazione se non la lealtà verso il loro sovrano, così lui è stato mandato ad esercitare un infame ruolo di tiranno in una sperduta regione dell'alone, ultimo atto d'un peregrinare per l'universo dell’impero. Ma nulla, né un mondo nell'Impero o altrove, può lontanamente aspirare a una minima parte della bellezza della Terra, la Terra a lui negata.

Ciò che manca è soprattutto a Tar-Donjar, qui fra le stelle lontane, è la dimensione umana, nella quale ha vissuto da giovane, immerso nelle testimonianze del passato, la cui atmosfera è così pregnante sulla Terra, e che sapeva dargli sicurezza, compagnia. Ora ciò che gli rimane di questo non sono che pochi libri della sua biblioteca personale, che è costretto a rileggere in continuazione nonostante li conosca a memoria; attorno a lui non vi sono altro che macchine, e uomini-macchine, e trattati scientifici e manuali tecnici, e la sua sete di letteratura viene frustrata ogni giorno di più, e la tensione dei suoi nervi si avvicina pericolosamente al suo limite.

Un rumore nell'oscurità interruppe il corso dei suoi pensieri, irritandolo. È entrato qualcuno, ma non è visibile nell'oscurità. - Chi è? –

- Mi perdoni, Tar, dovrei parlarle. - Una voce fredda, controllata, tagliente, gentile quanto potrebbe esserlo un computer. Ossequiosa quanto è necessario esserlo verso un superiore. Nulla di più, nulla di meno. È Arlynk, la vicecomandante, in teoria sua aiutante ma in realtà colei che tiene le redini di tutto. Donjar, se è per questo, la lascia fare volentieri: lo opprime occuparsi di questioni militari o tecniche, e si limita ad osservare. Ciò che per lui è insopportabile in quella donna è lo zelo che profonde in ognuna di quelle piccole cose futili, mentre ignora, anzi disprezza, quello che è il suo dominio, le forme d'espressione più alte dello spirito umano. Donjar accende la luce, e il salone si illumina gradualmente rivelando la slanciata figura della donna, alta, rigida, bionda, glaciale; sul volto forse una espressione di leggero disprezzo, ma così lieve da non dar adito a più di un sospetto.

- Mi spiace disturbarla, Tar ... –

- Lasci stare i falsi convenevoli, Ar. Ormai lo ha fatto. -

- Ho il dovere di riferirle delle importanti informazioni di cui sono venuta in possesso solo pochi istanti fa, dalle ultime trasmissioni della sonda FX670. -

- Parli, si sbrighi però. -

- La nostra sonda, orbitante vicino a Treasury BIX, come ben sa il pianeta più esterno del sistema - non lo sa, ne gliene importa nulla, ma coglie la frecciata - ha rilevato la presenza di una grande concentrazione di forze astronavali. Si tratta dei ribelli centauriani. È ovvio che stanno preparando un attacco contro questa base. –


II

Donjar conosce bene la triste situazione dei centauriani, ribelli irriducibili disposti a combattere fino alla morte dell’ultimo di loro.

Originari di Treasury IV, i centauriani dominano l’ammasso chiamato del centauro fino a pochi anni prima. Razza civilissima, fiera ma non feroce, accolsero amichevolmente i primi terrestri giunti nel loro impero, su veloci e splendide navi intergalattiche, vedendo in quella razza super evoluta un popolo di déi benigni; ma come spesso accade gli uomini tradirono la fiducia, gli déi benigni si trasformarono di colpo in divinità crudeli, senza scrupoli. In pochi giorni l’ammasso cadde nelle mani dei terrestri, e a un debole, disorganizzato tentativo d'opposizione seguì la spietata distruzione del pianeta-patria dei centaurani. Una civiltà antica quasi quanto quella della Terra era scomparsa in un gran lampo silenzioso. Donjar arriva qualche anno dopo, ma l'eccidio non è ancora terminato, la lotta spietata non si è ancora spenta, anche se la battaglia è già perduta e vinta.

Spesso Donjar è assalito dal dubbio, a fatica riesce a sopportare questa situazione, che fa di lui un involontario carnefice; ora ha una tentazione strana, vorrebbe sapere quali risposte potrebbe dare la fredda Lynk a queste domande per lui così inquietanti.

Anche se, in fondo, lo immagina.

Mi chiedo se non sia più giusto lasciare ai centauriani ciò che è loro - vorrebbe domandarle. - La nostra condotta qui è immorale e disumana, la mia vergogna per i nostri crimini, lo confesso, non ha limiti. –

I centaunani sono una razza inferiore, signore, è giusto che soccombano di fronte al più forte. Inoltre, come ben sa, abbiamo bisogno dei materiali ricavabili in questo ammasso, - risponderebbe la donna.

Questo non è il solo ammasso dell’Alone, anzi ce ne sono decine, obbietterebbe guardando le stelle - e molti sono spopolati. Potremmo ignorare i centauriani senza distruggerli, sappiamo entrambi che non possono nuocerci in alcun modo, siamo troppo superiori.

Per ora è vero; ma il tempo è lungo, un giorno forse i nostri nipoti potrebbero dover maledire il nostro ricordo, per non aver fatto ciò che era necessario quando ancora era possibile. È la leggenda dell’universo, ed è ferrea; il più forte mangia il più debole, o ne viene mangiato. È inevitabile. –

- Inevitabile! Lei non capisce nulla Ar-Lynk - egli allora avrebbe detto. - Lei non è altro che un dannatissimo tecnico, un'escrescenza carnosa di quelle fottutissime macchine che servite tutti, di cui questa base è piena, di cui è piena la colonia su Rigel Kent III dove è nata lei, dove la cosa più antica ha vent'anni, dove l'unica dea e la matematica. Lei non conosce valori etici, non sa nulla di bellezza, di filosofia, di virtù ... come posso sperare che capisca ciò che è giusto e cosa non lo è? –


II bis

Ar-Lynk sta ancora aspettando che Donjar la congedi. Egli la guarda, esita, è sul punto di lasciar perdere, di lasciar tutto come sempre al livello di fantasia personale. Ma qualcosa di più forte s'impone dentro di lui, e Donjar si volta verso il cielo stellato al di là delle lastre trasparenti, mentre le parole gli fluiscono dalla bocca spinte da una pressione troppo a lungo trattenuta.

- Non è giusto distruggere quegli esseri. Ar, lasciamo… -

Non può neppure terminare la frase, e la risposta non né quella che si attendeva.

- Tar-Donjar si controlla. Parole come le sue possono bastare per giustificare una accusa di tradimento, anche contro un governatore.

Nessuna inflessione nella voce, nessuna ira. Disprezzo, nient'altro può dargli quella carogna. Ciò to fa infuriare ancora di più. Continuando a voltarle le spalle le ordina di allontanarsi, e appena è uscita torna a spegnere la luce.

Gli ci vuole un po' di tempo per riuscire a calmarsi, a rallentare i battiti del suo cuore e a scacciare dalla mente l'ira. Quando finalmente vi riesce, però, uno strano pensiero giunge a turbare nuovamente la sua quiete. Si insinua nella sua coscienza all'improvviso e vi si abbarbica saldamente, tanto che Donjar, quasi spaventato, non riesce a scacciarlo, e, affascinato, deve accettarlo.

Macbeth.

Tutta questa situazione gli ricorda una tragedia del grande poeta inglese del seicento, Shakespeare, una tragedia, forse la più bella, che Donjar conosce a memoria: il "Macbeth". Macbeth aveva ucciso Re Duncan per usurparne il trono, come avevano fatto i terrestri con i centauriani. Ma Macbeth aveva espiato il suo tradimento; i terrestri invece avrebbero regnato su omega Centauri fino alla fine del tempo.


III

Ar-Lynk lascia il centro controllo disgustata. Automaticamente accende una sigaretta, mentre si avvia a passe spedito al servizio vedetta. Ogni suo incontro con quell'uomo per lei è un trauma, la sconvolge profondamente.

Come è possibile, si chiede molte volte ogni giorno, che sulla Terra siano così pazzi da affidare incarichi così importanti a idioti allucinati totalmente impotenti come Donjar? Tar-Donjar, venerabile Donjar! Mai tale appellativo è stato meno appropriato. Come può sperare quel pazzo di aiutare l’umanità sfuggendo alle proprie responsabilità?

Le specie intelligenti sono pericolose, tutte. E solo annientando i pericoli si può sperare in un futuro tranquillo. Un concetto semplice, anche se per accettarlo è necessario coraggio. Ma senza coraggio, l'uomo sarebbe estinto da secoli. Se tutti fossero come Donjar.

Queste meditazioni rafforzavano la sua sicurezza, ma incrementano anche la sua ira. I dati continuavano a scorrere a fiumi dalla stampante. Lynk si mette a posto un ciuffo ribelle e riprende a lavorare.


IV

Si svegli, uscendo da una intricata sequenza di incubi angosciosi, quando i primi raggi di Treasury B filtrano attraverso il vetracciaio della cupola, non smorzati da alcuna atmosfera, ferendogli gli occhi. L'astro è ancora basso sull'orizzonte, non ha dormito molto. Non è la prima volta che si appisola senza volerlo nel centro controllo, nel bel mezzo delle sue meditazioni. Sente i rumori della base che si sta rimettendo in moto, ma la grande sala è ancora deserta.

Errore. Ar-Lynk è già davanti a lui. Ha dei fogli in mano, il suo aspetto è un po' sciupato: forse non ha dormito molto. Donjar ne è quasi soddisfatto fra sé e sé, anche se non è contento di trovarsela di fronte inattesa. Le chiede cosa c’è di nuovo.

- I centauriani attaccheranno in mattinata. Hanno radunato il gruppo di astronavi più imponente che ci hanno mai messo di fronte. Evidentemente sono riusciti a celarci gran parte delle loro forze, perché le nostre stime non prevedevano che la loro flotta contasse più di due terzi di quello che hanno effettivamente schierato. -

- Corriamo qualche pericolo? -

- No. Saranno tutti distrutti prima di essere abbastanza vicini da poterci colpire. -

- Se esiste anche solo una possibilità che il personale di questa base corra pericolo, voglio che sia effettuata l’evacuazione immediata. -

- So come la pensa, Tar. Ma i centauriani non hanno speranza. Anche se ci colpissero con tutte le loro armi, non sortirebbero alcun effetto contro i nostri schermi di stasi. -

Donjar le passa davanti ed esce dalla sala. Non vuole più vedere per un po' quella donna malefica. Lady Macbeth, ecco chi è. Lo sta costringendo al genocidio contro la sua volontà.

Donjar va al suo appartamento. Entrato nel bagno per rinfrescarsi, si arresta davanti allo specchio. Osserva la sua lunga, folta, fulva barba, se la liscia, cerca di cancellare dalla sua mente ogni pensiero. ma dal più profondo del suo cervello, dalle nere paludi del suo inconscio, spettro del passato, Macbeth lo tormenta.


IV bis

PRIMA APPARIZIONE: Macbeth! Macbeth! Macbeth! A Macduff, bada al signore di Fife! Lascia che io vada ...

MACBETH: Chiunque tu sia, grazie del buon avviso: hai fatto vibrate le corde della mia paura. Ma ancora una parola …

PRIMA STREGA: Non accetta comandi da nessuno. Eccone un altro più potente ancora: (Tuona; seconda apparizione, un fanciullo insanguinato)

SECONDA APPARIZIONE: Macbeth! Macbeth! Macbeth!

MACBETH: Se avessi tre orecchi ti ascolterei con tutti e tre.

SECONDA APPARIZIONE: Deridi l'uomo, audace sii e spietato: nessuno che di femmina sia nato potrà offendere Macbeth.

Fantasmi. Apparizioni. Anime insanguinate. Streghe. Le immagini tornano alla memoria di Donjar limpide, chiare, terribili, e con esse terribili le parole, i versi del poeta:

Sii fiero qual leone e non dar cura a chi

infuria, a chi freme, a chi congiura: Macbeth

giammai non piegherà la testa finché da

Birman tutta la foresta non muova verso di

lui, in Dunsinane.


V

IL centro controllo ora e affollato di gente anonima, senza volto, nei cui occhi si riflettono le spie luminose dei servomeccanismi, delle consolle dei computers. Donjar odia tutto ciò, odia la perfetta funzionalità d'ogni oggetto, il liscio metallo privo d'ogni decorazione, le tastiere, le luci, le leve, le bobine, i dischi, gli schermi. Oggetti privi d'anima al servizio di uomini altrettanto disanimati. La dialettica passato-futuro è irresolubile, così gli appare: o l'uomo torna al passato e ritrova sé stesso, o si volge al futuro e si lascia tramutare in robot dalla propria scienza. Nulla può fermare una macchina, nulla è più crudele di essa. Ora gli si rivela finalmente nella sua interezza quale crimine sta per compiere, e odia Ar-Lynk più che mai, ma soprattutto odia sé stesso.

Donjar ha il potere di impedire tutto ciò. Ma sa che non lo farà. Perché quel gesto avrebbe come conseguenza la sua caduta in disgrazia presso i suoi signori, e mai più rivedrebbe l'amata terra.

La flotta centauriana è finalmente giunta allo scoperto, visibile alle telecamere dei terrestri, riempiendo gli schermi del centro controllo. È uno spettacolo eccezionale. Decine di migliaia di astronavi! Grandi, splendenti, gloriose, migliaia e migliaia, non si possono contare. Il sole si riflette sulle loro corazze, che illuminano il cielo così come le frecce di Dario lo avevano un tempo oscurato. Nonostante la lontananza immensa lo sciame giganteggia sui visori e, almeno in Donjar, incute timore e reverenza.

Per fortuna, pensa amaro il Tar, non saranno a tiro dei cannoni dei difensori ancora per qualche minuto. Ma il loro attimo di gloria non durerà comunque a lungo.

Eppure, nonostante il cinismo che gli riempie il cuore, sembra impossibile che quell'orda gigantesca possa essere arrestata. Tanto gli sembra piccolo, ora l'avamposto terrestre di fronte a quello schieramento così titanico da dar l'impressione di potersi imporre solo per la sua grandezza. Decine di migliaia di astronavi, milioni di centauriani, quegli esseri così strani eppure così maestosi.

Yurjin, certo, è fra loro. Il sommo sovrano, sceso in campo per la battaglia finale: vincere o morire. Odio e disperazione, e sete di vendetta: le stesse motivazioni che mossero Macduff allo scontro con Macbeth. Un eroismo, una forza irrefrenabile che può a volte andar oltre il divario di potenza, e portare una insperata vittoria a dispetto di tutte le leggi fisiche al più debole e disperato. No, si; dice Tar-Donjar. Scuote il capo. Nella realtà queste cose non accadono, Yurjin e i suoi forse sono eroi, ma sono pazzi.

Non hanno nessuna speranza e lo sanno. Solo la fuga avrebbe potuto, forse, riservare loro un futuro per i loro figli; e invece …

Sporogonia.

Senza nessuna apparente connessione col filo dei suoi pensieri, questa parola si accende come una lampadina al neon nella sua mente, lasciandolo per un momento esterrefatto. Prima ancora di richiamarne il significato, Donjiar quasi ne avverte la gravità, e il suo cuore accelera i battiti.

Lentamente, riluttante, la definizione arriva dal mare ribollente, maelstrom tenebroso senza fondo della memoria: sporogonia: metodo riproduttivo asessuato di molti esseri viventi primitivi terrestri e di alcuni esseri alieni, fra cui i centauriani …

Nessuno che di femmina sia nato potrà offendere Macbeth.

Non ci sono femmine fra i centauriani. Yurjin è nato da una spora.

Donjiar, ora sente di avere la febbre. La testa gli duole, le orecchie gli ronzano. Osserva lo schermo, inebetito, dove campeggiano le navi aliene che ora stanno gradatamente scomparendo dietro la fascia di asteroidi.

Gli asteroidi sono troppo lontani. I centauriani li dovranno abbandonare, se vogliono arrivare abbastanza vicini per sferrare il loro attacco, pensa Ar-Lynk. Ora anche l'ultima nave e scomparsa dietro la cintura di montagne volanti.

- Contatto visivo interrotto - proclama un tecnico.

Il silenzio cala sulla sala carico di tensioni, mentre Ar-Lynk controlla con lo sguardo che tutti siano ai propri posti, pronti alla battaglia. Finalmente, qualcosa si muove.

- Gli asteroidi stanno deviando dall'orbita e sono in rotta di collisione con la base, Ar. I ribelli spingono avanti a loro il rifugio, anziché abbandonarlo.

Per lo stupore di questa mossa imprevista, Ar-Lynk esita un istante, ma si riprende immediatamente.

- Prepararsi a far fuoco. Questo trucco servirà a loro ben poco; taglieremo a fettine asteroidi e astronavi, fa poca differenza.

Trionfante, sul volto un sorriso sarcastico, Ar-Lynk si volge verso il Tar. Ma Doniar non è più nella sala. Il sediolo di comando è vuoto.


VI

Ecco la foresta in movimento, ogni arbusto nasconde un soldato. Macbeth giammai non piegherà la testa finché da Birnam tutta la foresta non muova verso di lui in Dunsinane. Gli asteroidi si sono mossi, la tua vita non vale un soldo, arrenditi Macbeth, attaccheremo il tuo ritratto in cima a un palo e scriveranno: "Ecco il tiranno".

Donjar si aggira sconvolto per i corridoi della base, gli occhi iniettati di sangue, le vesti lacerate, si osserva le mani, se le passa frenetico su quanto rimane della sua uniforme. - Queste macchie di sangue non potranno più essere lavate, rimarranno macchiate queste mani per sempre, come la mia anima! - Cade; si rialza; cade ancora; la mente ormai non governa più il corpo. Donjar è scosso da una risata isterica che riecheggia spettrale nelle sale deserte.

- Io sorrido alle spade, sghignazzo di scherno davanti alle armi di un uomo partorito da donna! La mia vita è protetta da un incanto ...

Un tuono scuote la base, lo fa barcollare, la battaglia è cominciata, gli araldi della morte sono alle porte. Dispera della tua magia, rimbombano gli echi, Macduff fu tratto anzitempo, con un taglio dal grembo di sua madre.

Un altro tuono, più forte. Qualcosa di fragile si frantuma, da qualche parte. Yurjin è nato da una spora, la foresta, gli asteroidi si sono mossi verso Darling, verso Dunsinane ...

In qualche modo, Donjar è arrivato al suo appartamento. La base continua ad essere scossa da violente onde d'urto. Un rombo continuo lo frastorna. Bada, Macbeth, bada al signore di Fife: la testa gli scoppia, i vasi sanguigni del cervello si spaccano, inondandogli i pensieri, confusi di liquido purpureo. Un urlo risuona sopra il cupo frastuono della battaglia.

- No. No. Non mi arrenderò per baciare la polvere davanti al piede di Malcom e per sentirmi urlare intorno la popolaglia maldicente. No! Sebbene il bosco di Birman sia venuto a Dunsinane, ed abbia di fronte te, che non sei nato di donna, tenterò il tutto per tutto: protendo dinanzi a me il mio scudo di guerriero, e sia maledetto chi grida per primo: "fermo, basta!",

Clangori di spade. Il freddo acciaio sulla pelle, nella carne.


VII

Due ore dopo la battaglia è finita. Intorno a Darling navigano alla deriva gusci vuoti di migliaia di vascelli ormai morti, silenti. Frammenti di roccia, sassi, polvere e poco più li accompagnano.

La base terrestre non ha subito alcun danno, la vittoria è stata completa.

Quando Ar-Lynk entra nelle stanze del Tar per comunicargli la buona notizia non trova però che il suo cadavere, con la testa ripiegata ad un angolo impossibile e un largo squarcio nella gola. E nella camera, tutto intorno, abbastanza sangue per colorare tutti gli incubi della sua vita.






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