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Il Dio dell'albero


di Silvio Sosio


Lydia si arrestò a riprender fiato, e si guardò alle spalle lasciando affiorare lo strano miscuglio di sentimenti che agitavano quel suo animo un tempo fragile, ma ormai indurito dalle recenti esperienze della sua avventurosa vita colma di sfortuna.

La contentezza e l'euforia predominavano in lei: dopo mesi di segregazione era finalmente riuscita a fuggire dal Monastero dei Frati Oumiriti. Ah! Dove la felicità che la pervadeva lasciava qualche spiraglio, l'esaltante sapore della vittoria per averla fatta in barba a quei tonacati veniva a galla. Puah! Frati Sopraterreni! Ancora ricordava il giorno in cui (ormai era passata la metà di un anno) aveva avuto l'infelice idea di rifugiarsi al monastero per sfuggire al Signore di Taal: sperava che i monaci, che vivevano a poche miglia dalla città, le avrebbero offerto asilo senza insidiarla, dato che quell'ordine di Frati propugnava il distacco dai beni terreni. Povera ingenua! Si disse Lydia. Ora capiva perché vivevano isolati: per meglio nascondere la loro efferata depravazione! Per quasi sette lune era rimasta segregata nei sotterranei del convento, dove a qualunque ora del giorno e della notte veniva obbligata a sottostare ai perversi desideri dei frati; finché, quella notte, approfittando dell'agitazione dovuta alla ricorrenza della Feste di 0umer (durante la quale il Dio si sarebbe presentato ai suoi fedeli), era riuscita a trovare una maglia allentata nella rete della sorveglianza e aveva preso il largo da dei, frati e monastero, dandosela a gambe nella direzione opposta alla città di Taal, e inoltrandosi nella foresta di Phoulku.

Saldato il debito di ossigeno che aveva contratto nella lunga corsa, Lydia si guardò intorno, e a poco a poco esultanza e trionfo lasciarono il posto all'inquietudine. Un bosco, di notte, non era certo il posto più sicuro per una giovane fanciulla.

In special modo, pensò Lydia rammaricandosi subito di questo pensiero, quando il bosco in questione è così malauguratamente silenzioso e carico di oscure leggende. Lydia ripensò alle voci, o meglio ai bisbigli, che aveva udito e di cui s'era beffata con tanta leggerezza al monastero, voci di sparizioni e di fiere enormi e temibili. Ora, sola nell'oscurità, Lydia si trovava costretta a dover prendere il problema in seria considerazione.

Alzò gli occhi al cielo senza stelle, e diede un’occhiata ad Ava, la luna azzurra, per orientarsi. Poi finalmente si decise a muoversi, cercando di esser silenziosa il più possibile, rabbrividendo di terrore ad ogni scricchiolio di foglie secche sotto i suoi piedi leggeri e a ogni rumore sospetto proveniente dall’insondata oscurità che la circondava.

Il terreno, notò ben presto, cominciava a salire. Lydia si inerpicò su per quelle che dovevano essere le pendici d’un monte od una collina, e dopo qualche tempo, quando ormai era sicura di non poter muovere un altro passo dalla sfinitezza, trovò una grotta.

Lydia vi si intrufolò subito. L'antro era piuttosto ampio, e alto più di lei comunque, cosicché poteva camminare senza abbassare la testa. Era anche profondo: fece almeno venti passi senza trovarne il fondo, poi s’impaurì e tornò indietro. A circa otto passi dall'entrata trovò un angolino coperto di morbido terriccio, e lasciatavisi cadere, s'addormentò quasi subito.

Sognò di venir salvata da un bellissimo principe, che la portava nel suo palazzo dorato dove insieme si lasciavano andare alle delizie dell'amore. Ma qualcosa la disturbò nel sonno, e il cavaliere e il palazzo svanirono. Nella terra tra il regno di Orfeo e la realtà, però, Lydia si accorse che in effetti, sebbene il principe fosse scomparso, continuava a sentire dentro di sé un (notevole) "linkan" in deciso movimento ondulatorio.

Il sonno svanì, e Lydia aprì gli occhi, e vide a meno di due centimetri dal suo naso, il muso allungato di un enorme lupo ansante, dalle pupille dilatate e la lingua penzoloni. Lydia cacciò un urlo e cercò di divincolarsi, vinta dal disgusto, ma il bestione la immobilizzava con il suo stesso peso e continuava incurante la propria opera. Lydia chiuse gli occhi e cercò di svenire, ma in quell'istante udì una voce profonda e rauca:

- Stai buona ancora un attimo ... ci sono quasi … -

Lydia sgranò gli occhi incredula: non c’erano dubbi, aveva parlato proprio il mostro. - Chi ... sei tu? -

Il lupo non dette segno di averla sentita o di voler parlare ancora, ma strinse le fauci e continuò ad accoppiarsi con lei, facendola venire tre volte prima che il suo appetito fosse soddisfatto. Al che si alzò, sbadigliò, si stirò e si accucciò dall'altra parte della grotta, illuminata dal giorno ormai fatto.

- Io sono Phoulku - disse l'essere, con la voce al margine tra il parlare umano e l'abbaiare canino. - Erano secoli che non lo facevo con una donna! Oggi è stata una buona giornata: la caccia è andata bene - indicò col muso il cadavere di un cervo che giaceva immerso nel suo sangue qualche passo più in là - e di ritorno mi ritrovo una preda supplementare che se ne dorme tranquilla nella mia tana! - e qui proruppe in un orrendo verso simile a una risata rauca.

Lydia lo guardò intimorita ma nel contempo affascinata. Dunque quello era il leggendario Phoulku. Cosa dicevano le storie che aveva udito al monastero? Lydia ricordò: parlavano di Phoulku come di un mago maligno che secoli prima abitava la foresta che proprio da lui aveva preso il nome; la sua potenza era nota e temuta su tutto il mondo di Starless, e Taal e tutta la valle del Tlain erano in suo potere. Finché dai remoti Regni Adici giunse un potente signore che volle misurare con lui il suo potere: il grande Oumer; il Dio dell'albero. Phoulku era stato sconfitto nel duello di magia, ed era stato tramutato in un grosso lupo alto poco meno d'un uomo al garrese; ma anche Oumer non era uscito indenne: si diceva infatti che da allora il Dio dell'albero non si era più potuto togliere l'armatura. Oumer se ne era molto indispettito, e avrebbe voluto finire Phoulku con la spada, dato che il duello aveva completamente annientato i poteri magici di entrambi. Ma Phoulku era fuggito a zampe levate e aveva ben presto fatto perdere le sue tracce.

Da allora Oumer lo cercava per il globo in lungo e in largo, assetato di vendetta. Tuttavia, ogni dieci anni, come sarebbe accaduto proprio fra un paio di giorni, il dio tornava nella valle del Tlain, dove gli abitanti, grati della liberazione dal tirannico mago, avevano fondato il monastero in suo onore.

- Questa allora era ...la tua antica dimora? Non hai paura che Oumer ti trovi? -

- Ah! L'ho. giocato! Lui mi cerca per il mondo, e io sono sempre stato qui!- fece uno strano verso, simile a una risata rauca. - Questo pensiero quasi mi consola della mia triste sorte.

Lydia meditò. Poi chiese: - cosa hai intenzione di fare di me? -

Il lupo sbadigliò. - Non ho dimenticato il tempo in cui ero un uomo, e ancora non riesco ad abituarmi alle femmine della mia nuova razza. Mi divertirò con te, e poi, quando mi avrai tediato, anziché saziare il mio linkan sazierai il mio stomaco. - Il lupo scoppiò in una sguaiata risata vedendo la smorfia d'orrore di Lydia..

La ragazza deglutì preoccupata. Prese il sanguinolente pezzo di carne cruda che Phoulku le aveva gettato e lo addentò un po' schizzinosa ma affamata, meditando un piano per la fuga.

Dopo il pasto il lupo si addormentò. Lydia aspettò molti minuti per accettarsi che il sonno della bestia fosse profondo, poi, quatta quatta, si alzò in piedi. Sbirciò un'ultima volta il mostro, temendo la sua reazione se l'avesse colta in flagrante, poi mosse verso l'uscita della caverna.

Ma, un passo fuori dall'imboccatura dell'antro, qualcosa che le tratteneva il piede sinistro la fece cadere bocconi sul terriccio, con un sordo rumore che disturbò Phoulku nel sonno senza però svegliarlo.

Lydia strisciò indietro e scoprì di avere una lunga fune legata alla caviglia. Come avesse fatto il lupo ad annodargliela per lei restava un mistero. La corda era lunga forse quattro volte la sua altezza, e sembrava fatta di un materiale a lei ignoto; era resistente e morbida, ma non vi si scorgevano fibre. Lydia rientrò nella grotta. La fune all'altro capo era fissata ad un anello che spuntava dal terreno.

Si mise seduta e subito si diede da fare per sciogliere il nodo che le vincolava la caviglia, ma le ore passarono e infine venne il tramonto e il lupo si svegliò per andare a caccia, senza che Lydia, nonostante si fosse spezzata parecchie unghie, fosse riuscita a sciogliere il nodo o anche solo a smuoverlo un poco.

Phoulku decise bene di saziare i suoi antichi appetiti prima di uscire nella notte della foresta, e questa volta, per stare più comodo vista la sua condizione di quadrupede, fece sistemare Lydia in una posizione più adatta. Lydia non poté fare altro che reprimere il disgusto e accontentarlo in tutto, pensando distrattamente che per essere un lupo aveva accessori abbastanza rispettabili: grosso Lupo, grosso linkan.


Non appena Phoulku si fu allontanato dalla caverna Lydia, che ovviamente aveva dovuto interrompere i suoi sforzi sui legacci che la tenevano prigioniera allo svegliarsi della bestia, riprese il lavoro. Ben presto rinunciò a sciogliere il nodo alla caviglia e passò a quello stretto intorno all'anello fissato al terreno, ma dopo un'ora di inutile fatica la pazienza di Lydia venne meno, e la giovane non trovò di meglio che sfogare la sua frustrazione dando uno strattone alla corda (rendendo così vani anche quei pochi impercettibili risultati che poteva avere ottenuto). Ma, con suo stupore, sentì l'anello smuoversi un poco insieme al terriccio che lo circondava. - Che stupida sono stata! - imprecò Lydia. - Perché non mi sono chiesta subito cosa ci faceva un anello fissato al pavimento? Qui c'è una botola, evidentemente! -

Freneticamente smosse il terriccio finché non sentì sotto le dita la pietra nuda, e infine riuscì a trovare le sottili intercapedini tra la botola ed il pavimento.

Si alzò in piedi e, afferrato l'anello con entrambe le mani tirò con tutte le sue forze. Il coperchio si sollevò, e Lydia con un ultimo sforzo riuscì a spostarlo e ad aprire un varco. Comunque, la sua idea di fuggire portandosi appresso il coperchio della botola era naufragata sul nascere; avrebbe impiegato mezza giornata solo ad uscire dalla caverna, con quel peso da trascinare.

Lydia si inginocchiò accanto alla botola e cercò di sbirciare all'interno, ma naturalmente, essendo oltretutto notte, non vide che il buio più nero. Prese un sassolino e lo lasciò cadere, ma la pietruzza sembrò rimbalzare su qualcosa di solido ad appena un palmo o due di profondità; si udirono altri rimbalzi, sempre più profondi. Lydia allungò una mano e tastò: doveva esserci una scala di pietra che conduceva là sotto, ma non se la sentiva di avventurarsi, di notte, in un cunicolo che per quanto ne sapeva poteva anche condurla a Drax dagli occhi vuoti in persona, nel sotterraneo regno delle ombre. Perciò rimise a posto il coperchio e lo coprì alla meglio col terriccio, e infine ricadde sul morbido pavimento della grotta, nel suo angolo, e si addormentò.


Quando il contatto di un naso freddo e umido che le risaliva le gambe cercando di sollevare la veste per scoprire le parti intime la svegliò, il sole era già alto nel cielo. Lydia si arrese ai voleri del taciturno Phoulku e infine, quando dopo un'eternità il lupo ebbe finito, si rincantucciò nel suo angolo e disse candidamente: - Non posso mangiare sempre carne cruda, io! Ho bisogno di legna per cuocerla, o mi verrà qualcosa.

Phoulku le lanciò un'occhiata indagatrice, ma quel giorno per fortuna era di buon umore. Abbaiò: - Laggiù in quell'angolo, fra quelle cianfrusaglie, ci dev'essere almeno un acciarino. Ti porterò qualcosa da bruciare.

Il bestione si alzò languidamente e uscì dalla grotta. "che gentile" pensò Lydia un po' sarcastica, e si avvicinò all'angoletto indicatole dall'ex mago. Vi trovò una montagnetta di oggettini, evidentemente depredati a vittime umane di passaggio nel bosco e poi divorate. C'erano molte monetine da uno, cinque e addirittura venti onze, alcune gemme (Lydia stimò un valore complessivo di almeno duecento onze), brandelli di vestiti, penne d'oca, e due acciarini placcati d'oro. Lydia guardò tristemente tutto quel ben di Dio, che, a parte l'acciarino, in quel momento era inutile tanto al lupo quanto a lei.

Phoulku tornò con un fascio di rami più o meno secchi nelle fauci. La ragazza lo ringraziò e preparò un piccolo fornello vicino all'uscita, in modo che il fumo si disperdesse, e si cucinò, bruciacchiandola, la carne di cervo che il lupo le aveva dato.

Infine venne la notte, e la bestia andò a caccia. Subito Lydia accese il fuoco e tentò di bruciare la corda, ma, come del resto si aspettava, lo strano materiale di cui era composta non prese fuoco. Del resto non poteva aspettarsi che Phoulku le avesse dato la possibilità di fuggire con le sue stesse zampe. Lydia passò alla seconda parte del suo piano. Fece una piccola fascina coi rami più freschi e ne accese una estremità, ottenendo così una rudimentale torcia, che subito accenno a volersi spegnere, anche se Lydia riuscì a mantenerla accesa. Quindi aprì la botola e, torcia alla mano, scese le scale.

La rampa di scale portava in un vano scavato proprio sotto la grotta, più o meno cubico, incredibilmente polveroso e pieno di ragnatele. Lydia vide parecchi scarafaggi lunghi più di tre dita fuggire alla luce della torcia rifugiandosi nei buchi alle pareti e nei mobili di legno marcio. L'aria era fredda e viziosa, e la puzza di muffa e di marcio era quasi insopportabile. Lydia rabbrividì.

Era ovvio, si disse, che nessuno metteva piede da molto tempo in quel locale. se, come lei era convinta, quello era l'antico laboratorio di Phoulku, che nella sua nuova condizione non era più riuscito ad avervi accesso, allora doveva essere rimasto chiuso e dimenticato per più di settecento anni. Quanto tempo! Risaliva più o meno all'epoca dei Re Verdi, nel pieno fulgore dell'Impero Millenario di Arnora.

Arnora! Quando avrebbe rivisto la sua città natale? Si chiese Lydia tristemente. Due anni prima era partita, annoiata dalla comoda vita della capitale della Sylvania, alla scoperta del mondo. Da allora ne aveva passate di tutte: dai pirati di Jada, ai mercanti di schiavi di Chili, alle folli città di Robinia, dove gli uomini vivono sugli alberi e le donne a terra, eccetto otto giorni ogni anno in cui impazzivano in una frenesia erotica; e poi ancora ad Aval, a Taal dove il principe locale intendeva farla partecipare al rito del Dio Mantide, ai frati Oumiriti, e infine qui.

Un luccichio attirò la sua attenzione: uno specchio! Lydia si avvicinò, e le si strinse la gola, a vedere la veste sgualcita sporca, i capelli ingarbugliati, tutto un groviglio biondo che incorniciava il volto, ancora bello ma incrostato di sporco, dagli zigomi alti e le labbra sottili, e gli occhi verdi dalle pupille dilatate, unica oasi di purezza.

Lydia si osservò bene, perché quasi si era dimenticata il suo aspetto, e cercò di riordinarsi un poco.

Alla fine, però, la sua mente ritornò, sebbene a malincuore, al presente e alla sua missione.

La stanza doveva essere stata una specie di magazzino o di laboratorio: alle pareti erano appoggiati grandi scaffali pieni di oggetti strani, ampolle, storte, fiaschette, barattoli. Al centro della stanza vi era un tavolo da lavoro e vari sgabelli, e in un angolo c'era un piccolo fornello.

Lydia guardò in giro svogliatamente: sembrava esserci ben poco che potesse essere utile. Spaccare lo specchio e usare i cocci per tagliare la fune? Ma così si sarebbe attirata addosso altri dodici anni di sventura, e i due che già si era sorbita le bastavano. Dappertutto gli scaffali erano pieni di strumenti di magia: Ah se solo avesse conosciuto qualche rudimento di quella antica arte!

Purtroppo, invece, quegli oggetti avevano per lei ben poco significato … ma che cosa c'era in quella teca così ben protetta? La targhetta diceva:

RELIQUIE DELLA PRIMA ERA

Non aprire!

La prima Era! Lydia osservò affascinata gli oggetti al di là del vetro, risalenti all’epoca in cui, secondo le leggende, i primi uomini erano scesi su Starless dal Regno Celeste d i Art, prima ancora della nascita dell’Impero Millenario. A quel tempo gli uomini possedevano raffinatissime arti tecniche e magiche, che però erano ben presto andate perdute.

Quegli oggetti forse ne p conservavano un poco, però. Lydia aprì la teca per osservare meglio. Tutti i cinque oggetti erano costruiti di metallo e una strana sostanza calda e morbida come il legno, ma liscia come il vetro; il primo, a sinistra, era rettangolare e quasi piatto; sotto una strana finestrella che si apriva nella parte superiore vi erano tanti bottoncini quadrati con dei simboli stampigliati sopra. Vi era una targhetta:

MACCHINA DEI NUMERI

- inutile (forza esaurita)

L’oggetto a destra era simile, ma era più piccolo, rotondo e possedeva solo quattro bottoncini, ai lati. Anche questo portava la triste dicitura: - inutile.

Lydia si accorse che solo due oggetti erano classificati "utilizzabili": il primo era un cubo, formato a sua volta da 26 cubi più piccoli, tutti colorati: portava la dicitura:

STRUMENTO PFR FAR IMPAZZIRE

(Cercare di ottenere sei facce di colore omogeneo)

No, lei non aveva bisogno di impazzire, almeno per ora. Osservò l'altro oggetto: era costituito da una canna di metallo, lunga più o meno un palmo, e da un'impugnatura. C'erano anche una levetta e un bottoncino.

La targhetta diceva:

LANCIATORE DI STELLE FILANTI COLORATE

(Funziona solo se puntato verso l'alto; per azionarlo abbassare la leva e premere il bottone.)

Questo poteva essere utile. Avrebbe certo attirato i soccorsi e sarebbe stata libera. Libera? I soccorsi sarebbero venuti in ogni caso da Taal o dal Monastero, e in ogni caso sarebbe stata ancora prigioniera, del. principe o dei frati.

Per quanto esile, comunque, c'era una terza possibilità.

L'indomani al Monastero sarebbe giunto Oumer, il Dio dell'albero, nemico implacabile di Phoulku, e sarebbe ripartito (così dicevano i frati al Monastero) solo la notte tarda; se lei allora avesse lanciato una stella filante, Oumer avrebbe capito che doveva trattarsi di Phoulku, e sarebbe accorso. Fremente per l’eccitazione Lydia si rassegnò a lasciare al suo posto fine all’indomani il congegno che l'avrebbe salvata, e salì nella caverna, chiudendo bene tutto e nascondendo come al solito la botola. Quindi cercò di riposare, ma non riuscì ad addormentarsi.

Quando ritorno, a mattina inoltrato, Phoulku era ancora più imbestialito del solito; la caccia era andata a vuoto, e Lydia temette che il lupo volesse rifarsi su di lei, ma per una (parziale) fortuna il mostro non aveva ancora scaricato del tutto il suo secolare desiderio, e le lacerò la veste con una zampata denudandola completamente, per prenderla poi con impeto diverse volte.

Alla fine Lydia si ritirò un po' tranquillizzata nel suo angolo, mentre il lupo iniziava a ronfare, e il giorno passò. Quella sera il lupo la lasciò stare, e, evidentemente spinto dalla fame, uscì a caccia un'ora prima. Appena fu fuori vista Lydia corse alla botola e scese nella stanza interrata. Aprì la teca e, con mano tremante; ne trasse l'antico strumento. Poi risalì, e si pose in attesa. Doveva attendere almeno la mezzanotte, quando avrebbe avuto termine l'ultimo rito Oumerita e il Dio sarebbe partito a cavallo dal suo tempio verso nuove destinazioni.

Le ore passarono lente, e Lydia non aveva alcun modo per misurare lo scorrere del tempo: cercò di contarsi i battiti del cuore, ma ben presto perse il conto. Sbirciò la luna dall'entrata della grotta, ma non aveva grandi cognizioni di selenologia, e perciò ben presto desistette. Alla fine, quando cominciò a temere che fosse passato troppo tempo, decise che era il momento giusto.

Tendendo la corda si sporse fuori dell'antro, e riuscì a puntare il lanciatore verso l'alto. Quindi con dita tremanti abbassò la levetta e premette il bottone.

Vide un piccolo lampo alla bocca dell'arma e null'altro, e temette che non avesse funzionato; ma pochi istanti dopo udì il botto nel cielo, e volgendo in alto lo sguardo vide una grande linea verde fosforescente che indicava la grotta. Era salva!

I primi risultati si fecero attendere solo pochi minuti. Al galoppo arrivò infatti Phoulku inferocito come non mai, con le fauci semiaperte e gli occhi che sprizzavano scintille.

- Tu! Cagna, come hai osato toccare le reliquie di Phoulku? Ora hai messo in allarme l'intera vallata, e dovrò nuovamente fuggire. Pagherai la tua imprudenza, avrai subito la fine che ti avevo promesso! -

Lydia arretro terrorizzata. Che qualcuno fosse giunto a tempo! Doveva fare qualcosa, ma la paura le ottenebrava il cervello, non fece altro che indietreggiare lentamente. Puntò contro il lupo la reliquia e premette ancora il pulsante, ma come del resto aveva letto l'arma non funzionava che puntata verso l'alto. Ormai non le restava che pregare.

- Aspetta … - disse debolmente - ti spiegherò ... io non sapevo … - ma in quel momento dall'esterno giunse un grido imperioso, e Lydia quasi svenne dal sollievo.

- Phoulku! Phoulku, ti ho trovato finalmente, la mia vendetta sta per compiersi! -

Il lupo voltò il capo con un sordo ringhio. – Oumer! E va bene, che il nostro diverbio termini oggi. O tu o io -

Con un balzo uscì dalla grotta.

Si udì un cavallo nitrire disperatamente, poi clangore di metallo; Oumer doveva esser caduto. Poi si udì un guaito, ancora rumori metallici e infine un rantolante guaito che fece rabbrividire Lydia: poi s'udì un corpo stramazzare.

Poi, alla luce delle torce, un cavaliere in armatura si profilò luminoso sulla notte esterna: portava uno scudo su cui era dipinto un albero. Lydia, vagamente a disagio, si ricordò di essere nuda. Poi il cavaliere lasciò cadere spada e scudo, e alzò le mani guantate di ferro al capo, e con un gesto rapido si tolse l'elmo scoprendo un capo peloso, un grugno con zanne tremende.

"Ecco perché non si tolse più l'armatura" pensò in quel momento Lydia, sull'orlo di una crisi isterica.

Ma intanto il grugna s'era atteggiato a sogghigno, e le altre parti dell'armatura caddero a terra una a una con clangore metallico, scoprendo due possenti braccia da gorilla, il torace peloso, i piedi simili a mani.

E il più grasso linkan che Lydia avesse mai visto.






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