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Lo spettro dei colori


di Silvano Drago


Questo racconto che state per leggere è una classica storia di carattere. Forse non è stilisticamente perfetta ma sa evocare con rabbia e determinazione il problema dell’emarginazione e quello oscuro del potere.

Silvano è un autore che va subito al dunque senza abbellire o sviare la realtà. Sarà una storia molto dura e rabbiosa, aspra.


Sentii lo sfrigolio metallico della chiave nella toppa della porta. Un attimo dopo questa si aprì, con un cigolio rauco sui cardini ormai ossidati dalla sporcizia secolare. La figura ossuta di Pino, La guardia-infermiere tra le più carogne di quell’universo proibito, infagottato nel solito camicione sfiorito, infettato d’odio, si stagliò nella semi-oscurità fredda della camera-spelonca.

Portava, con la mano destra solcata da vene gonfie e bluastre, un piccolo vassoio su cui trovavano posto un piatto di brodaglia scura, un gruccio di pane, un rognoso pezzetto di formaggio e una scheggiosa brocca d’acqua torbida. Lo posò sul tavolaccio traballante, dicendo: - Tieni, deficiente di merda. Se vuoi mangiare questo schifo, bene ... ma se non vuoi, meglio, così lo risparmiamo per domani! –

La sua voce roca si incollò sui muri della cameretta quadrata per poi scivolare lentamente sull’assicella legnosa della branda arrugginita su cui ero sdraiato. Mi limitai a schiacciare le sillabe cadute al mio fianco e non dissi nulla. Anche quel grosso moscone, dal ventre gravido e lucente, creatura immobile appesa al soffitto cerchiato di giallo via via sfumato, non emise un solo suono ... perché era vero ... Sapevo che tutto era vero ... Sapevo, dal buio che mormorava sempre la mia storia. Per intere notti, mi raccontava come i miei pensieri si fossero screpolati quando morì mio padre per poi sbriciolarsi all'entrata, dopo pochissimo tempo, del re-tiranno, mio futuro patrigno, severa lucertola marrone nonché signore dei colori dell'inferno. Tutto ciò accadeva tanto tempo fa. Non sapevo con precisione quanto, né ricordavo quando fossi entrato in quella catacomba limacciosa, in compagnia dei topi che girellavano sui muri levigati della stanza, dopo essere entrati dalla finestrella barrata, assieme alle ore del giorno che poi marcivano sul pavimento, accanto al secchio dei bisogni corporali. Così per anni … o forse per millenni, come la lunghissima peluria incolta sulla faccia e i capelli sfilacciosi, altrettanto lunghi, pendenti dai lati davano ad intendere.

Mi alzai dal letto, dopo che Pino se ne fu andato rumorosamente, stizzito ancora una volta poiché non riusciva mai a scaricare su di me la sua collera eruttiva a causa del mio comportamento abulico, smarrito dentro lo stormire fresco e libero del bosco, che si pitturava nel rettangolo della finestra.

Feci un passo verso il tavolo e vidi, nuovamente, i colori ... li vidi, lì, vicino alla porta, immote palline piatte, pronte ad assalirmi tutte insieme … Schifosi circoli palpitanti di colori fusi, emulsionati in un amalgama liquefatto … Miserabili dischetti dalle tinte febbrili, leggermente rigonfi verso il centro ed appiattiti lungo i bordi sfrangiati, irraggianti tempeste di calore vivo.

Era già la quinta volta in quel mese che mi aggredivano, tentando di tagliarmi a dadini il cervello e portarselo dietro con sé, dopodiché mangiarselo nelle fredde serate invernali.

Sicuramente erano i sicari del mio patrigno, inviati per torturarmi ancora ... ancora ... finchè la mia vita non fosse precipitata nella dissolvenza. "Andate via … andate via ... lasciatemi in pace fottuti scagnozzi colorati ... lasciatemi … VIIIAAAAAA!". Urlai, scartando nel contempo di lato ma i cerchietti mi piombarono sul viso fulminei, ossidandomi pezzetti di pelle dove si erano posati. S'infilarono poi su per il naso, uno dopo l'altro, arrivando alla calotta cranica armati di lame affilate e bocche rubate, in modo d'iniziare a masticare bocconi di materia grigia. Sentii dolore … dolore … visioni del male fisico nelle fibre nervose ... Immagini rosse ... I colori stavano succhiando il nettare dalle gemme lucide della mia follia ... Ancora immagini rosse frammiste a strepiti delle cellule …

Udivo grida dilatate della coscienza-animale. Si, grida che uscivano dalle mie labbra come colate laviche. Mi scagliai furiosamente contro il muro, battendo più volte la testa per scalzare fuori gli assalitori del demonio, che cavalcavano ridendo la corteccia cerebrale.

I miei ululati erano spessi di sangue sgorgante dalle ferite riaperte, disposte in disordine sulla fronte e sul cranio, grossi vermi contorti ed arrossati, ricordi delle colluttazioni precedenti.

E mentre una cappa di gemiti avvolgeva tutte le cose, entrarono i camici bianchi, mi afferrarono per le braccia, parlottando in modo concitato: - Su su, sta calmo ... sta calmo maledizione! Se ne sono andati … Avanti sta fermo, fermo, bestione … buono, buono … -

L'ago della siringa penetrò di colpo nella mia carne e caddi subito negli spazi opalescenti delle altre galassie.


Stefano Gulotta, giovane inserviente, dai tratti arrotondati e ridenti, disse rivolgendosi ad Antonio Ghidini, l'anziano capo-infermiere:

- Dì, pensa se sto gigante qui fosse un violento tipo quel vegliardo dell'altra stanza … uffa, come cavolo si chiama già porcaccia la miseria?... Ah Si, si: il Messia Nero ... -

- Ssssss! - rispose Antonio, mettendosi il dito davanti alle grosse labbra - Zitto ... sta zitto! ... Fammi il santissimo piacere di non dire certe cose nemmeno per scherzo. Solo a pensarci mi viene la pelle d'oca. -

- Ma dai - protestò il giovane, producendosi in un debole sorriso - volevo solo dire che costui è, in fondo, solo un povero demente, un bonario e nulla più. Infatti, se guardi bene, tutte queste crisi violente hanno come unico sfondo l'autodistruzione. Ci puoi scommettere che una volta o l'altra, a furia di dar craniate alle pareti si spappola la testaccia. -

Mentre uscivano, il vecchio infermiere, appoggiando stancamente una mane sulla spalla di Stefano, sibilò: - Sai, ti dirò una cosa, in tutta sincerità: speriamo che crepi presto, prima che gli salti il pallino e decida di polverizzarci tutti quanti. -

- Ahò! Mannaggia Antonio, guarda che ti mettiamo sopra un trespolo avvolto in un mantellaccio nero; con un cartello appeso al collo dove ci sia scritto: ANTONIO GHIDINI, MAGO POTENTISSIMO, SPECIALISTA IN CATASTROFI, DISGRAZIE E AFFINI -

- Benedetto figliolo, ricorda le parole del saggio: POLVERE SIAMO E POLVERE RITORNEREMO -

-Ma vattinne a spalar neve sull'Himalaja, va –


Sferette di parole tambureggiano con insistenza la membrana del mio orecchio; all'inizio solo un confuso eco d'oltretomba ma via via suoni sempre più distillati.

- Forza ... andiamo, andiamo … Vieni con me nella sala verde ... Dai, non farti pregare, vieni ... Avanti alzati, vedrai che riusciremo ad uccidere i tuoi colori. -

Era il dottor Perotto, grande medico-stregone della tribù civile, con il suo falso corpo staccato da un manifesto appresso. Lo seguii docile, anche se non volevo, lungo corridoi immensi, rimbombanti urla e gemiti di bestie umanoidi, rintanate nei crepacci dell'esistenza. Il dottore si fermò ad una porta d'acciaio, l'aprì con sforzo, ed entrammo nel planetoide verde, enorme parallelepipedo ricolmo di luce bianca che gocciolava piano dal soffitto formando una miriade di stalattiti appuntite, trapananti le cellule bagnate del buio, tristemente ammontichiate negli angoli.

La stanza era ingombra di macchinari morti, con i tentacoli di plastica afflosciati nel vuoto, e congegni lucenti di tutte le forme sepolti nei silenzi antichi; e poi ancora file di scaffali pieni di ampolle imbevute di trasparenti odori, alambicchi con residui fumi opachi delle streghe e vicino alla parete sinistra una seggiola attaccata ad un grosso cubo d'acciaio, butterato in tutto il viso, di pulsanti, manopole, quadranti con lancette … Era la macchina del male cosmico ... si si la riconoscevo ... Si, era lei, era lei, la bastarda macchina incandescente degli inferi ... il marchingegno spremi - incubi di luce.

- Non voglio - iniziai ad urlare e dibattermi - non voglio che mi tocchi, non-voglio … no nooooooo ... Tenetela lontano. Scacciatela via via, viiiiiaaaa ... non voglio che mi tocchi con i suoi sozzi fili elettrici … Gettatela fuori, gettatela fuori ... rompetela, rompetela ROOMMPEETEEELAAAA … -

- Non fare così! Smettila, smettila di fare così ... Dobbiamo farlo, capisci? Dobbiamo farlo per guarirti, farti star bene, lo capisci, vero?

Vuoi o0 no che ti bruciamo quei cerchietti di colore? Allora smettila di far così … smettila. –

Un attimo solo e tutti i camici-bianchi mi furono addosso, armati di ferocia nuda. Mi colpirono ripetutamente con pugni, calci e morsi, sghignazzando della loro bravura massacratoria. Poi mi legarono stretto mani e piedi, mi scaraventarono sulla sedia e, dopo avermi messo in testa una corona d'elettrodi ferrosi, lo stregone abbassò una piccola leva: la crudele tempesta elettrica iniziò.

Grossi lampi azzurro-violacei danzano dentro la mia testa … saette bollenti che liquefano sezioni di cervello … cellule nervose, in fiamme … odore di carne bruciata … aahaa basta, basta … spruzzi di radiazioni rancide … ultrasuoni d'un verde scintillante che frantumano il cranio … basta …

Il corpo vomita quintali di muco giallo ... la mia voce fugge inseguita da teste di lupo imbalsamate ... piccoli insetti divorano scheletri di uomini-scimmia ... basta … basta … BAAASSSTTAAAAAA … - Gridai …. E il nero schizzò fuori dagli occhi del mio io che gridava dal fondo della stanza.


Le palpebre gonfie si schiusero a poco a poco e i miei occhi succhiarono avidi gli ultimi raggi d'un sole rossastro che filtrava dalla familiare finestrella sbarrata.

Improvvisamente un bussare fitto alla parete … Un secco martellare di nocche screpolate … il Messia Nero!

Lugubre figura dai lunghissimi e filiformi capelli argentei pendenti sulla logora tunica nerastra, abitante della cella accanto, violento predicatore dell'ERA DI SANGUE ma orma uomo avvizzito, iguana squamato da mille sevizie e torture, sempre incatenato al muro divorato da spesse ombre acquose. Mi drizzai con sforzo. Il corpo doleva nelle sue chiazze tumescenti. Barcollai lungo il muro fino all'angolo: - Che vuoi vecchio? -

Una voce cruda, lontana anni-luce, perforò blocchi di pietra calcarea: - Figliolo, ascolta. Ascolta le parole del Dio di Fuoco, scritte sulle sabbie dei secoli e a me riferite dai Padri del Sangue.

Ascoltale. ti prego, ascoltale … Sono vecchio e sento sempre più la morte infilarmisi sotto la pelle secca, perciò vorrei che tu riuscissi dove io ho fallito. Tu solo lo puoi, si si tu solo … Ascolta, ascolta il saggio, ascoltalo ... -

Si interruppe, rotto da un ansimare convulso, catarroso. Poi riprese: - Ascolta, ti hanno sempre raccontato menzogne MENZOGNE … bugie, null'altro ... BUGIE ... Hai creduto sempre che fosse il tuo patrigno ad inviarti i colori, perché LORO ti hanno fatto credere questo … Non è vero, figliolo, non è vero, credimi ... Credi nel discepolo del padre dei padri, Signore unico delle galassie di materia e cenere, colui che crea e distrugge con la bava dei suoi occhi cancrenosi. -

Un raspare rantolante si levò nuovamente dalla sua gola. Dopo un po' continuò:

- Figlio, chi ti manda i colori è in realtà il Potere, ricordalo sempre. È il Potere, credi; pura bestia immonda, camaleonte dai mille travestimenti, che si nutre del tessuto dei forti per distribuirlo ai deboli, i quali s'ingozzano all'ombra della loro debolezza, senza lottare per conquistarsi la vita. Si si è lui, è lui … Il Potere qualunque esso sia … il Potere dello Stato, della Chiesa, delle Istituzioni pubbliche e private, delle Società ... Il Potere in ogni sua forma che vuole distruggere i forti come te perché solo voi potreste un giorno ribellarvi ai suoi melliflui messaggi di pace, e al suo continuo proteggere i due-piedi senza spina dorsale che si leccano a vicenda i molli nervi e scodinzolano di gioia in folti gruppi al sorgere del sole ... Il Potere ha ristabilito l'ordine, la calma, ha consegnato ancora sigillata la dignità a chi non l’ha mai meritata, non s'è mai battuto. Ha impedito che la terra amputasse la carne infetta dei paurosi, affogasse i miseri nel sangue nero della loro paura.

Distruggilo ... distruggi il Potere tu che hai la forza viva dei padri antichi sepolti nelle paludi siderali, se vuoi salvarti dai colori e in seguito sederti alla destra del Dio di Fuoco, Signore dei tempi circolari.

Scappa figlio ... Fuggi da questa prigione eterna, invocando tutti i Santi del Sangue affinché ti concedano la loro protezione e ti avvolgano con i loro magici scudi di widia. Fuggi ... e nuovamente semina la morte con le tue mani, per il bene dei forti ormai sbriciolati negli amorfi abissi ciclici del passato … -

Un silenzio profondo galleggiò nella sera penetrata da fuori in punta di piedi, ma le parole del Messia fiammeggiarono ancora per molto nell'aria bruna della spelonca, componendosi e ricomponendosi in continuazione. Le sue frasi erano vere, oppure tutto si scioglieva negli specchi della falsità? Ma perché, perché ora che la morte stava soffiando nelle sue membra dirmi menzogne? Raccontarmi che i colori erano inviati dai poteri sparsi nel mondo e non dal mio lucertoloso patrigno se non era vero? A che scopo? ... Perché infettarmi la mente di cose false?

La testa bolliva nel cercare d'acciuffare la verità per i capelli.

Mi coricai e mi addormentai con aguzze punte di dolore nei muscoli.

Sognai che i colori mi spingevano nei cieli di porpora al di là delle galassie, e io poi rotolavo giù da nuvole sature di pus versato dai polmoni atrofizzati dei forti mentre il Potere, sdraiato sul dorso d'un enorme coccodrillo con le fauci aperte, si sbellicava dalle risa. Rideva ... rideva rideva rideva ... e la sua risata si spandeva sopra i continenti addormentati nelle loro culle vetrose. Rideva, finché scoppiava in tantissime bolle trasparenti.


Il mio corpo, morbidamente patinato di dolenza rossa, riemerse al fruscio del mattino azzurrato. Un particolare sapore di verità passeggiava adagio nella mia gola.

Pino comparve nella cameretta, sempre odioso nella sua pelle tirata d'uomo. Subito gli balzai addosso; lo afferrai dietro le spalle, tappandogli con una mano la bocca umidiccia e lo sbattei violentemente contro il muro. Sempre tenendolo saldamente fermo, gli puntai un ginocchio al suo fondoschiena e lo incurvai in giù, macilento arco carnale vibrante d'ossa ... ancora ancora ... finché un "crack" di spina dorsale si levò crepitando dalla sua anima nera. S'afflosciò in un angolo, con bavelle di saliva sciropposa fluenti dal mento aguzzo in piccole cascate sottili e viscide.

Andai alla porta e sbirciai il corridoio. Il silenzio grondava dalle crepe dei muri. Solo il dottor Perotto arrivava dal fondo nebuloso, con la sua camminata da granchio anchilosato. Aspettai che fosse a tiro, poi l'agguantai per il collo, sollevandolo da terra e lo trasportai velocemente verso l'uscita.

- E adesso, schifoso stregone, apri subito il portone d'ingresso, se non vuoi succhiarti le viscere una ad una. -

- Lasciami ... aaarrghhh … lasciami ... mi soffochi mi soffochi … -

- Zitto ranocchio ... apri presto … in fretta in fretta -

- Ma ho … io non ho … aarrrrgghhhh soffoco soffoco ... io non ho la chiave per aprire. –

- Menti mago ... Tu menti per perdere tempo e farmi assalire dai colori vero? Vero? … rispondi rispondi … -

La mia mano iniziò a stringere rabbiosamente il suo grasso collo stinto.

- Nooooo … aaaahhh … no ti prego ti prego … là … là nello sgabuzzino c'è ... c'è la chiave di riserva dell'ingresso. -

Allentai la presa e, quasi di corsa, lo sballottai fino ad una porticina grigia. Li, lo stregone, dopo aver annaspato con dita burrose sulla manigliola bronzea ed essersi miscelato interamente nell'odore nero del ripostiglio, riapparve con una chiave lucida sepolta nel tremolio d'una mano dissanguata. Gli afferrai un braccio e lo trascinai all'ultima barriera di quel pianeta ... Lui aprì convulsamente ... Dalla nebbia del corridoio sbucarono camici bianchi urlando. Presi la testa dello stregone tra le mie mani e premetti con forza, sempre di più ... di più, sempre di più affondando gli artigli fra i suoi pensieri agonizzanti e il caldo-grigiastro della sua mente ...

Lo strepitare delle guardie si compresse nella poca aria prigioniera del budello cementizio. Sollevai in alto il corpo ormai senza vita del dottore e lo scagliai sui più immediati inseguitori. Poi corsi fuori, attraversai il giardinetto agghindato di fiori ancora impellicciati dalla rugiada, scavalcai il muretto di cinta e mi buttai nel bosco profumato d'ombre selvatiche. Finalmente ero libero ... libero ... e ora il Potere doveva stare in guardia!


Il sole s'infiltrava a briciole dorate tra i fitti alberi chiomati, traboccanti di delicati fantasmi umidi mentre continuavo ad addentrarmi in quel mondo verdastro, palpitante di muschio soffice, con la polvere di legno selvaggio nel mio alito. D'un tratto inciampai in un nascosto affossamento del terreno e caddi bocconi. Ad un palmo dalla faccia, sghignazzando tra loro, comparvero i tre cerchietti colorati. Il tempo di rialzarmi, e mi furono addosso...

Tentai di strapparmeli dal viso con le dita artigliose, senza riuscirvi.

- Via via porci lucenti … porci … Porci maledetti. Ma non mi avrete stavolta. Noo non riuscirete più a saccheggiare il mio cervello … Non più, merdosi servi del Potere. - La mia voce spazzò i cespugli ma i colori, nuovamente armati di picozza e ramponi, scalarono in cordata la sdrucciolevole parete nasale per giungere infine vittoriosi alla vetta cranica. I porci-brillanti iniziarono a cuocere a fuoco lento i neuroni, friggendoli in un brodo spesso … Dolore, dolore nella testa ... dentro la testa … - Loro stanno tagliando pezzi di membrana cellulare e l'infilano in sacchetti di plastica, che portano dietro l’abbozzo appena schizzato delle loro spalle. - bofonchiai.

Raccolsi in terra un nodoso ramo disseccato e, ripetutamente, mi colpii la fronte in modo da ricacciarli fuori e sbriciolarli ... il sangue scendeva sul viso, seguendone i tratti ed imbevendo del suo odore il rosso tramonto trasportato dal vento leggero e macchiato da zampette violacee ... Alla fine ricaddero gemendo sull'erba e il mio piede impietoso schiacciò rapidamente le loro fragili viscere colorate. Ma ora la debolezza spuntava prepotente nel mio corpo; mi inginocchiai con ancora il respiro affannoso del bosco nelle orecchie e gli occhi si spensero ...


Vincenzo Carabitta, comandante degli agenti di Pubblica Sicurezza del distaccamento d'Orbassano, si levò con fastidio il grosso cappello a visiera, e con il dorso della mano s'asciugò le goccioline di sudore avvinghiate alle radici dei capelli, dicendo:

- Porca puttana, questo bosco di Stupinigi è una foresta vera e propria, altro che balle! Proprio il posto ideale per costruirci nel mezzo una "casa di cura" per pazzi furiosi: così il primo che scappa, alè, fa il bel uccellin di bosco, e qui prima di riuscire ad acciuffarlo, sempre ammesso di riuscirci, sono dolori, vero Bracalin?

Mariano Bracalin, florido ragazzone paonazzo, da poco nominato brigadiere, bisbigliò:

- Certo, sior comandante, certo ... Però secondo me, non può essere andato lontano. -

- Ma che ne sai tu eh? Che cavolo vuoi sapere buzzurro! Può essere già in Alaska, come stare in agguato dietro quel cespuglio laggiù, e allora sarebbero davvero guai per tutti, poiché è oltretutto un colosso mostruoso, un gigante forzuto di due metri e più … Hai visto no come ha ridotto quei due poveretti del ricovero! -

Mariano, guardandolo di traverso, balbettò:

- Davvero sior comandante, pensa che possa trovarsi drio quel cespuglieto là? Ma se ... se fosse là in nostri du cani-lupo dovriano sentir la sua presenza no? Comunque, per mi se dovria allora passar da un'altra parte perché se quello ci attacca all'improvviso, ostregheta, ci spaca la testa a tuti quanti, prima de avere il tempo de pronunciar un Ave Maria, ciò! … Mentre così noi altri lo ciapemo a le spale e lo caturemo prima che sia lu' a dire una parola. -

- Oooohh a' Mariano ... tu si scemo, si scemo ... San gennà mio, proteggimi tu da simili fetenzie! … - esplose il comandante, tentando di dargli una scappellata sul capo - cosa vuoi fare tu eh? Cosa cosa ... Cosa dici, cosa dici imbecille … Chi vuoi prendere alle spalle? ... Chi? Chi? Chi? ... Imbecille d'un disgraziato … io l'ho detto così, tanto per dire, per scherzare in fondo, ma niente di più capito? ... E poi, se proprio lo vuoi sapere, questi due botoli travestiti da pastore-tedesco non riuscirebbero a fiutare un accidente, perché li hanno addestrati, per giunta malamente, a cercare pomodori, te lo dico io!-

Il brigadiere abbassò gli occhi, sussurrando:

- Ho capio, ho capio ... ma non se arrabbi in 'sto modo ciò! -

- Hmmmmm ... d'accordo, d'accordo ... Comunque, il sole sta tramontando e fra poco inizierà a far buio. Allora, direi di ritornarcene a casa e domattina all'alba riprendere le ricerche, sperando che nel frattempo lui non combini disastri. -

- Sior comandante, però prima se dovria cercar de dire ai contadin qui intorno de fare atension perché ghe xe un mato che gira per il bosco. -

- E bravo il nostro Bracalin ... Dunque, secondo te, dobbiamo bussare di porta in porta, toc, toc, toc e dobbiamo dire: "Attenzione attenzione, uno schizofrenico furioso e criminale, fuggito da una casa di cura per alienati mentali, circola nei dintorni. Quindi tappatevi per bene in casa e non uscite fino ad ulteriori istruzioni" risultato: spargiamo del panico folle e succede un casino d'inferno! -

- Si xe vero, xe vero … però mi volevo dire ... ehm ehmmm … mi disevo de ... -

- Ma vaffanculo Mariano ... vai, stronzo di merda ... vaffanculo, VAAFFFANN'CCUULLOOOO ... Vacci una buona volta, così mi lascerai finalmente in pace. -


Aprii gli occhi di colpo ...

Il chiarore fosforescente del mattino sbucciava piano piano il nero pastoso della notte. Avevo fame ... fame, fame, fame … la fame si lamentava dentro di me, uggiolava con la sua vocina disperata… correva lungo i tendini, scalciava, percuoteva i muscoli, mordeva il midollo spinale.

Mangia un po' di bacche nere dal sapore dolciastro, ma LEI continuava nella sua protesta, cocciuta più che mai ... Seguitava ad urlare epiteti incandescenti ...

Vidi d'improvviso, nella campagna laggiù avvolta nel silenzio ronzante, un casolare bruno, raggomitolato nella foschia setolosa. Di corsa attraversai un campo rigato da collinette d'erba secca, stopposa e penetrai nel cortile terroso della cascina, ingombro di strani macchinari con le ruote, macchiati da molli chiazze di fango e un grosso congegno color verde scuro sul lato destro, a fianco di una tettoia scrostata, con tante e lunghe zanne d'acciaio spento dalla ruggine, penzolanti sul davanti a grappoli ...

E poi uno schiamazzare petulante, un verso ripetuto, proveniente dal fondo del cortile … Un recinto con dentro molti animali pennuti; batuffoli di carne viva, razzolanti la terra magra e polverosa. Galline, come mi suggerì immediatamente la stomaco rantolante!

La fame esplose in scagliette viola nelle mie tempie brucianti. Mi precipitai furiosamente verso l'entrata, un cancelletto d'assi sbilenche, fradici d'anni, e con una spallata lo fracassai … Frastuoni di suoni, in mezzo a sbuffi biancastri di piume perduti. nelle nubi rosse della polvere ... Una massa ringhiosa molto grossa, dai riccioluti peli scuri; una infernale bestia arrivata chissà da quale spazio-tempo … le sue fauci schiumose sul mio braccio ... denti d'avorio lucido ... I suoi denti dentro la mia carne in sangue.

Con l'altra mano gli strinsi forte la testa, riuscendo infine a staccarlo e gettarlo a terra. In un lampo, gli afferrai le zampe posteriori, lo sollevai in alto e lo sbattei più volte sul terreno, selvaggiamente … Spruzzi di sangue caldo sul mio corpo, odore di ritagli membranosi imbratta la fresca brezza del mattino, contorti tubi d'intestino sparpagliati sui sassolini silenziosi.

... Un uomo nel cortile, a tre o quattro metri da me, con un fucile ... lo vidi trasformarsi in un colore fosforescente ... Le sue carni ribollivano con un crepitio sulfureo... Boccioli di color argento germogliarono nelle sue braccia, gambe; sul suo stomaco ... sbocciarono nel naso, nelle orbite oculari, tra i denti … Ora era diventato un unico ovaloide scintillante … Con un filamento robustamente intrecciato, avvolto sul calcio del fucile, puntò la canna verso di me e sparò: deflagrazioni d'innumerevoli anni-Luce, lacerazioni di cellule d'aria ... bruciore alla fronte, e una sottile bocca sanguigna si schiuse fra la pelle tirata. Uscii dal recinto e mi addentrai all'istante nel suo forte bagliore ultravioletto. Strappai l’arma dai suoi filamenti e gli diedi un terribile fendente sulla sommità liscia. La luce schizzò fuori in saette accecanti.

S’afflosciò a terra, in un ruggito di lamenti primordiali. Sollevai quella boccia dai colori comatosi, come un macigno preistorico ormai sgretolato dall'erosione di molte ere, e lo scagliai contro la macchina dalle lunghezzanne. Rimase lì, fermo, impalato a mezz'aria, con una lama uscente dal suo petto striato di sangue vermiglio.

... Una giovane donna sull'uscio che grida parole incomprensibili ... E di colpo diventò un arcobaleno di colori cattivi, una raggiera di luce malvagia ...

D'un balzo, afferrai un vecchio arnese dalle molteplici e ferrose lingue appuntite, appoggiato al muro e caricai il perfido nemico. Affondai completamente il tridente nel suo ventre gommoso e, tenendo poi saldamente in verticale il manico, ululai sinistramente più volte verso quella raggrinzita palla di colori spenti, infilata sulla punta, che colava tutta la sua linfa lucente sull'asta legnosa ... Ma di lì a poco il bagliore ridiventò una figura femminile sanguigna, rivestita dal silenzio bieco della morte. Così avevo solo ucciso un essere umano come anche quel povero birillo color rosa là, infilzato, nel vuoto trasparente, era un essere umano! Individui innocenti tutt'e due, pensai, che non mi avevano mai fatto nulla … vittime, anche loro come me, del Potere ... Si, si, del Potere, del Potere! … Tutti noi inglobati dentro di lui, nel suo stomaco dilatato ... Schiavi tutti quanti ... burattini in mano al Suo malefico fascino, servitori fedeli della Sua libertà, in nome e per conto Suo ... Il Potere era indistruttibile poiché le sue marce branchie crescevano dentro di noi e infettavano tutte le nostre cellule, logorando la nostra volontà che noi credevamo indipendente e piegandoci al Suo volere.

Schiavi, schiavi, schiavi, schiavi ... pronti a soppraffarci gli uni con gli altri per diventare ancora più Suoi schiavi ...

Tante marionette feroci collocate dal Burattinaio Potere in una lotta incessante e senza tregua, dove il più forte calpesta il più debole e a sua volta viene calpestato da uno ancora più forte, e così via, fino alla fine dell'umanità.

Non si può più vincere il Potere ... No, non si può più, non si può ... È troppo tardi ... troppo tardi perché ormai l'umanità è una sua creatura, un cagnolino al Suo guinzaglio. Tutti siamo manovrati dai fili del Potere. Tutti, anche il Messia Nero, con il suo menzognero e inverso discorso sui deboli e forti ... Falso, falso, falso … "Dovremmo annientarci tutti, uno sull'altro, per riuscire a sconfiggerlo" dissi al mio io che m'ascoltava da dentro. "Si, dovremmo massacrarci tutti e l'ultimo sopravvissuto, prima di darsi la morte, dovrebbe bruciare i nostri resti su un altare di pietra, affinché le nostre colpe si dissolvano nell'aria, per sempre"

- Mi senti Potere? - urlai con quanto fiato avevo in gola - Io ho scoperto il tuo gioco ... Si, si ... io, un povero pazzo idiota, ho scoperto la verità pura, da te ammaestrata e modellata a Tuo piacere, e poi da Te fatta penetrare velocemente all'interno del cosmo; anch’io sono rimasto per un po' di tempo nelle Tue grinfie e ho ucciso solo per farti divertire, per farti gioire ... Ma adesso basta! Preferisco uccidermi, piuttosto di servirti ancora ... si, annullarmi, annullarmi. -

Calato il silenzio, scappai via ...

Attraversai di nuovo il campo, già ondulato di calore, e ripiombai nel bosco, ombreggiato dal chiarore verde, fresco. Poco più in là, sommersi in quel sibilante alone ramato, uomini-blu con cani e corti fucili scintillanti, e poi voci, voci ... tuoni rabbiosi di parole che svirgolano nell'aria puntinata di giallo. Udii chiaramente l'uomo-capo, col suo enorme berretto stellato, fieramente in testa al gruppo, urlare:

- Eccolo, eccolo … È lui … Sparate, sparate, sparate ... Fuoco per Dio, prima che ci piombi addosso! -

Frizzanti fiammate rosse sbocciarono sulla cima delle canne ed un crepitare furibondo, martellante s'intrufolò invadente fra i rami degli alberi … mentre il mio corpo si lacera in più parti, compreso lo spirito ... Fatti alcuni passi tremolanti, mi piegai sul terreno barbuto d'erba, dinnanzi al capo e lo guardai intensamente negli occhi, per fargli capire l'atroce errore di cui era stato vittima, solamente un burattino di legno, prima che il nero uscisse da dietro i cespugli per avventarsi su di me e trascinarmi nel sepolcro delle galassie infinite.


Nel suo piccolo ufficio velato di silenziosa penombra, il comandante Carabitta appoggiò la nuca al morbido schienale della poltroncina; mise i piedi sul bordo della massiccia scrivania e si accese una sigaretta. Tirò una grossa boccata ed espirò con violenza una nuvola di fumo azzurrato, che roteò lentamente, con grazia, su sé stessa, fine al soffitto. Il suo io cercò d'afferrare con le proprie mani quel filo fumoso ma subito dopo rientrò nel corpo abituale per rincorrere nuovamente quel pensiero fisso: lo sguardo del pazzo! Quella sua occhiata ... Sentiva ancora adesso gli occhi del matto bruciare intensamente dentro ai suoi ... Sembrava che avesse voluto trasmettergli un messaggio con quello sguardo tremendo, fargli comprendere un terribile segreto … Si, un terribile segreto di cui lui solo era a conoscenza. Improvvisamente un rumore, come un fruscio acuto, fastidioso ... Vincenzo girò la testa di colpo e vide dei cerchiolini di colore che stavano passando da sotto la porta!






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